Codice Civile art. 2392 - Responsabilità verso la società (1).Responsabilità verso la società (1). [I]. Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. [II]. In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. [III]. La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. (1) V. nota al Capo V. InquadramentoProfonde ed incisive sono state le innovazioni apportate dalla legge di riforma alla configurazione tradizionale della responsabilità degli amministratori, con il definitivo abbandono di ogni riferimento alla disciplina del mandato: in tal modo completandosi un lungo iter evolutivo che, partito dalla definizione degli amministratori della società per azioni come mandatari temporanei (art. 121 cod. comm. del 1882), aveva successivamente limitato il richiamo al mandato sotto il solo profilo del canone valutativo della responsabilità, nel testo originario del codice civile vigente. Nella disciplina novellata, si afferma, invece, che nell'adempimento dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto gli amministratori devono usare la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze. Dalla responsabilità del mandatario – e cioè, del buon padre di famiglia, tenuto alla conservazione del patrimonio: inadeguata per l'imprenditore, che per definizione deve correre rischi – si è passati, quindi, alla responsabilità secondo la natura dell'incarico e la competenza degli amministratori (che è solo eventuale, in carenza di specifica prescrizione statutaria). La locuzione “specifiche competenze” dei singoli consiglieri di amministrazione potrebbe essere interpretata, alternativamente, con riferimento all'eventuale delega loro concessa (criterio oggettivo), o, per converso, alla professionalità specifica di cui il singolo amministratore sia in concreto dotato (criterio soggettivo). Questa seconda interpretazione appare nettamente preferibile, tenuto conto che delle attribuzioni proprie del comitato esecutivo si parla poco dopo, nel corso dello stesso primo comma. Anche agli amministratori privi di una particolare qualificazione professionale si deve ritenere imposto, peraltro, un livello minimo di perizia. Come si legge nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003, la formula normativa non sottende che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria ed in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale; bensì, prescrive che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione. Non vi è, dunque, un requisito ordinario di perizia, superiore alla generica competenza gestoria – che comunque è sempre dovuta (Cass. n. 3483/1998) – ma vi è distinzione tra la posizione degli amministratori esperti, esposti ad un metro più rigoroso di giudizio, rispetto a quelli privi di qualificazione specifica. Per effetto della soppressione deIriferimento alla responsabilità del mandatario è altresì venuto meno il fondamento normativo che consentiva un minor rigore nell'amministrazione gratuita (art. 1710, comma 1, c.c.). Natura e limiti della responsabilitàL'amministratore impersona l'imprenditore societario; e l'alterità soggettiva, che pur sempre impedisce la totale sovrapposizione della persona giuridica con il soggetto che ne esprime all'esterno la volontà, in forza del potere di rappresentanza, rende necessario riconoscere l'esistenza di un legame giuridico intersoggettivo che li correla. Nei confronti della società la responsabilità dell'amministratore è senza dubbio di natura contrattuale (anche se i suoi aspetti contenutistici sono per lo più di origine normativa): onde, essa deve allegare e provare le violazioni compiute e il nesso di causalità col danno; mentre, spetta agli amministratori dimostrarne l'inimputabilità, per effetto dell'osservanza dei doveri (Cass. I, n. 28718/2020; Cass. I, n. 25056/2020; Cass. I, n. 2975/2020). Per contro, non costituisce titolo di responsabilità il fatto di aver disatteso le direttive della proprietà, in carenza di un vincolo di mandato tra i soci, o la maggioranza di essi, e l'amministratore, dal momento che il rapporto tra quest'ultimo e la società è disciplinato da norme speciali che non prevedono un potere di direttiva giuridicamente vincolante, salva la possibilità di revoca per giusta causa (Cass. n. 28718/2020). Al riguardo, è tralatizia ed ancora diffusa in giurisprudenza e dottrina la distinzione tra obblighi specifici, tipizzati, di condotta ed obblighi generici: con riflessi sull'identificazione della condotta dovuta, sui criteri di valutazione della responsabilità e sul riparto dell'onere della prova (Cass. I, n. 5718/2004). Esempi dei primi sono costituiti dagli adempimenti fiscali e previdenziali; dagli obblighi di informazione ed astensione ex art. 2391 c.c., nonché di convocazione senza indugio dell'assemblea in presenza di gravi perdite di capitale (artt. 2446 e 2447 c.c.); dal sollecito accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento (art. 2485 c.c.); dall'obbligo di curare l'adeguatezza degli aspetti organizzativi (art. 2381 c.c.): un numero relativamente modesto di doveri espressamente stabiliti dalla legge o indicati dall'atto costitutivo, cui fa riscontro un dovere generale di diligenza e di operare senza conflitto di interessi. È dubbio, peraltro, se la diligenza sia oggetto di un'obbligazione o la modalità della condotta dovuta ed il suo parametro di giudizio: questione, che riecheggia la tradizionale distinzione tra obbligazione di risultato e obbligazione di mezzi, in cui il risultato non sarebbe compreso nell'oggetto (distinzione, peraltro, superata da Cass. S.U., n. 1578/2005, sotto il profilo che tutte le obbligazioni implicano un risultato). Non sembra, invece, che dia luogo ad alcun effetto concreto, sotto il profilo della responsabilità, la distinzione menzionata nell'art. 2497 c.c. tra gestione della società e gestione imprenditoriale (seppure non sia un'endiadi). La responsabilità dell'amministratore resta invariata, per fatto proprio, anche se vi sia un organo di vigilanza interno (art. 6 d.lgs. n. 231/2001) o un dirigente preposto alla redazione delle scritture contabili (art. 154-bis T.U.F.). Né vale ad attenuare la responsabilità verso la società l'eventuale autorizzazione all'operazione espressa dall'assemblea ai sensi dell'art. 2364, primo comma, n. 5. Sul punto, si osserva che prima della riforma tale responsabilità sussisteva solo in caso di nullità della delibera, in quanto priva di efficacia vincolante per l'amministratore, che quindi avrebbe potuto liberamente disattenderla: restando, per converso, responsabile della sua volontaria esecuzione (Cass. I, n. 6278/1990). Al riguardo, la cornice normativa è stata modificata dalla riforma societaria del 2003, dal momento che il testo dell'art. 2364 previgente contemplava anche la competenza gestoria, e non solo autorizzativa, dell'assemblea: onde, l'amministratore era tenuto ad impugnare la delibera annullabile – come tale, dotata, allo stato, di efficacia – per sottrarsi all'obbligo di darvi esecuzione; con contestuale richiesta, se del caso, della sospensione cautelare (art. 2378 ). La responsabilità solidale degli amministratoriLa violazione del canone di diligenza importa la responsabilità solidale degli amministratori verso la società. Nella nozione di solidarietà presupposta dalla disposizione in esame potrebbe, però, annidarsi un'ambiguità. Mentre secondo la più diffusa opinione, confermata anche dalla recente giurisprudenza di legittimità, la responsabilità degli amministratori di società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società (o il curatore, nel caso in cui l'azione sia proposta ex art. 146 l. fall.) deve allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri e provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, incombendo, reciprocamente, sugli amministratori l'onere di provare, con riferimento agli addebiti contestati loro, l'osservanza dei doveri previsti dal nuovo testo dell'art. 2392 (Cass. I, n. 17441/2016), si è pure sostenuto, per contro, che l'obbligazione risarcitoria degli amministratori responsabili del danno causato alla società non si identifica con la loro obbligazione contrattuale, ma promana, in sostanza, da illecito, ancorché contrattuale (App. Milano 16 giugno 1995, in Soc., 1995, 1562, con nota di De Angelis). Questa impostazione ha notevole influenza sulla solidarietà sancita dall'art. 2392, che non impingerebbe più nella previsione dell'art. 1293 (solidarietà nell'obbligazione), bensì in quella dell'art. 2055 (solidarietà nel risarcimento del danno). Ai fini del regresso, ciò significa che ogni coobbligato sarebbe tenuto a rispondere, nei rapporti interni, in misura proporzionale alla gravità della sua colpa e all'entità del danno causato per effetto di questa; e non, come risulta dal combinato disposto degli artt. 1298 e 1299, in misura paritetica rispetto agli altri, salvo prova contraria. Anche in applicazione dell'art. 2055, al quale è concettualmente correlato l'art. 2392, sarebbe possibile, beninteso, che i coobbligati siano tenuti a rispondere, sempre nei rapporti interni, in misura tra loro paritetica: ma questa previsione ha carattere residuale e presuntiva iuris tantum (“nel dubbio”, recita, infatti, la norma); ed appare destinata a fungere da valvola di chiusura del sistema, per l'evenienza in cui non si sia potuto accertare, o comunque non sia stata in concreto accertata, l'effettiva misura della colpa, e quindi del danno da risarcire, a carico di ciascun condebitore. È dubbio se la carenza di competenza specifica attenui la responsabilità dell'amministratore inesperto direttamente verso la società, o solo nei rapporti di regresso con gli altri amministratori, corresponsabili solidali. Sembra da preferire la prima tesi, perché è la stessa fattispecie legale a delineare la diversa gradazione di responsabilità; contrariamente all'art. 2055 c.c., che invece riferisce esplicitamente la diversità di colpa all'azione di regresso. La giurisprudenza ha esteso l'applicazione delle regole di responsabilità al cd. amministratore di fatto, e cioè a colui che si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita da parte della società (Cass. I, n. 6719/2008): figura, ravvisabile anche nell'amministratore di una holding, nell'ambito di un gruppo soggetto a direzione e coordinamento, che s'intrometta direttamente nella gestione di una società controllata, disattendendone l'autonomia, con esautorazione sostanziale dei legittimi organi direttivi, ridotti a meri esecutori d'ordini (Cass. I, n. 2952/2015). Pertanto, l'amministratore di fatto di una società di capitali, che, pur privo di un'investitura formale – ancorché irregolare - si inserisca nella gestione sociale, esercitando poteri analoghi, se non addirittura superiori, a quelli spettanti agli amministratori di diritto, può concorrere con questi ultimi nella responsabilità per il danno da compimento, od omissione, di atti di gestione (Cass. I, n. 21567/2017; Cass. I, n. 21730/2020). In ogni caso, l'amministratore non può spogliarsi dei suoi poteri e doveri derivanti dal ruolo, delegando a terzi l'amministrazione della società, così da aggirare le norme di legge (Cass. II, n. 24068/2022, in Giur. it., 2023, 1, 118, con nota di Vitale). Specularmente, la presenza dell'amministratore di fatto non esclude la ricorrenza di un'ipotesi di responsabilità in capo all'amministratore di diritto: quanto meno perché questi non ha impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire ai sensi dell'art. 2392, comma 1 (Trib. Torino, 8 luglio 2016, in Giur. it., 2017, 1394, con nota di Riganti). In tema di giurisdizione, è costante il rilievo del difetto di giurisdizione della Corte dei conti in riferimento al giudizio avente ad oggetto l'azione di responsabilità nei confronti di una società interamente partecipata da un ente pubblico, pur non essendo in house providing. In ipotesi di danno al patrimonio della società a partecipazione pubblica determinato dalla mala gestio degli amministratori, non è infatti configurabile un danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della società sia socio. Il danno inferto dagli organi di gestione al patrimonio della società può dar vita unicamente all'azione sociale di responsabilità, ed eventualmente a quella dei creditori sociali, da esperirsi dinanzi al giudice ordinario; mentre, non può trovare ristoro mediante l'avvio di un'azione ricadente nella giurisdizione della C. conti (Cass. S.U., n. 22713/2019, in Danno e resp., 2020, con nota di Selini; Cass. S.U., n. 34471/2019, in Foro it., 2020, 1, 1282, con nota di D'Auria). La problematica relativa alla liquidazione del danno risarcibile si manifesta soprattutto in caso di fallimento della società. Il risalente criterio di liquidazione nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato all'attivo liquidato in sede fallimentare è tuttora ritenuto un plausibile parametro per la liquidazione equitativa, purché sia stato allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state indicate altresì le regioni impeditive dell'accertamento degli specifici effetti dannosi in concreto riconducibili alla sua condotta (Cass. VI-I, n. 25664/2021). Ne consegue che la prosecuzione dell'attività, in presenza di una causa di scioglimento, non comporta un'automatica responsabilità dell'amministratore per aggravamento del dissesto qualora, confrontando i patrimoni netti, questo non risulti superiore ai costi che la società avrebbe dovuto comunque affrontare, se messa tempestivamente in liquidazione (Trib. Milano 3 febbraio 2022, in Soc., 2022, 649). Non è invece giustificato, di per sé, tale parametro equitativo sulla base della sola tenuta irregolare delle scritture contabili, pur se addebitabile all'amministratore convenuto (Cass. I, n. 15245/2022, in Fall., 2023, 55, con nota di Rolfi; Cass. I, n. 13220/2021). In tema di gruppi di società, si è ritenuto responsabile l'amministratore che abbia subìto le ingerenze della capogruppo, astenendosi dalla commissione di atti gestori di sua iniziativa, ma dando esecuzione a direttive altrui, senza assumere misure a tutela del patrimonio sociale, così da impedire il compimento di atti pregiudizievoli (Cass. I, n. 5795/2021, in Foro it., 2021, 2839). Il risarcimento di entrambe le voci del danno emergente e del lucro cessante integra un debito di valore: sensibile, quindi, al fenomeno della svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale, sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale (Trib. Catania 17 aprile 2020 n. 1328). La responsabilità degli amministratori non esecutiviPrima della riforma, se la conoscenza consapevole delle irregolarità non dava luogo a problemi, comportando l'obbligo di votare contro, far constare a verbale il dissenso e dare avviso al presidente del collegio, non essendo sufficiente la semplice astensione dal voto; e se nella successiva fase di attuazione di una delibera contrastata occorreva vigilare ed intervenire per attenuare nei limiti del possibile il danno (salva la causa di giustificazione dell'assenza motivata in occasione della delibera), molto più controverso era l'indirizzo rigoroso formatosi in ordine all'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione. Per evitare facili forme di deresponsabilizzazione (allegandosi, a titolo esimente, che l'operazione non era competenza del singolo amministratore non esecutivo), si addossava la responsabilità a tutti gli amministratori, per omessa vigilanza, anche nell'ipotesi che l'operazione dannosa fosse stata commessa nell'esercizio di specifiche mansioni degli organi delegati: salva la prova liberatoria dell'impossibilità inimputabile di rilevare l'illecito. Del resto, la corresponsabilità degli amministratori non esecutivi emergeva dalla lettera della norma (cfr. l'incipit del secondo comma dell'art. 2392: “in ogni caso...”, che nel testo previgente era correlato al dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, incombente su ogni amministratore); anche se non poteva considerarsi una responsabilità per fatto altrui: principio, affermato anche in tema di responsabilità del nuovo amministratore che, subentrato ad una precedente gestione caratterizzata da gravi irregolarità, omettesse di informarne l'assemblea: in tal modo, rendendosi responsabile, non già di tali irregolarità, bensì della propria omissione colpevole (Cass. I, n. 9193/2015; Cass. I, n. 3774/2005; Cass. I, n. 2906/2002, in un'ipotesi di responsabilità da ritardo del nuovo amministratore nel richiedere il fallimento). La giurisprudenza formatasi sul vecchio testo dell'art. 2392 c.c. affermava che, in considerazione del generale dovere di vigilanza sul complessivo andamento della gestione – che non veniva meno neppure nell'ipotesi di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori – l'esonero del singolo amministratore dalla responsabilità solidale poteva discendere solo dalla prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto (Cass. II n. 11643/2010), eventualmente perché la vigilanza gli era stata impedita dal comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio (Cass. I, n. 22911/2010). Si ammetteva che la responsabilità solidale potesse essere in parte attenuata soltanto nelle ipotesi in cui la complessità della gestione sociale rendesse necessaria la ripartizione di competenze ed attività mediante ricorso ad istituti specifici, quali le deleghe di funzioni al comitato esecutivo o ad uno o più amministratori, attraverso una procedura formalizzata secondo la previsione dell'art. 2381 c.c.: laddove restava esclusa, per contro, la rilevanza di una divisione di fatto delle competenze. In tal caso, anzi, la condotta omissiva, per affidamento a terzi dell'attività, lungi dal comportare esclusione di responsabilità poteva costituire ammissione dell'inadempimento dell'obbligo di diligenza e vigilanza (Cass. I, n. 12696/2003). L'obbligo di vigilanza di cui all'art. 2392, comma 2, c.c., testo previgente, e l'obbligo di controllo di cui all'art. 2403, testo previgente, imponevano agli amministratori deleganti e ai sindaci di ricercare adeguate informazioni, non potendosi ritenere esonerati da responsabilità verso i creditori sociali gli amministratori e i sindaci che avessero accolto passivamente il deficit informativo (Cass. I, n. 31204/2017). Le riserve palesate dai ceti professionali interessati sono state recepite nella riforma e rese esplicite nella relazione di accompagnamento, contro la trasformazione dell'obbligo di vigilanza in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, che allontanava soggetti professionalmente qualificati da incarichi in società, perché li esponeva, in caso di procedura concorsuale al rischio quasi inevitabile di onerosa responsabilità. Su queste premesse, incisiva è stata la modificazione, ad opera della riforma, dei criteri di valutazione di responsabilità, in presenza di deleghe. Pur essendosi mantenuta, infatti, la tradizionale configurazione solidale della responsabilità di amministratori (e dei sindaci e dei revisori contabili, per i danni conseguenti alle violazioni rispettivamente loro imputabili), salva la prova dell'immunità da colpa (art. 2392, ultimo comma), l'eliminazione dell'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione previsto dal previgente secondo comma dell'art. 2392 e la sua sostituzione con obblighi specifici ben individuati (artt. 2381 e 2391), hanno mirato, secondo la drastica formulazione della Relazione di accompagnamento, “ad evitare indebite estensioni della responsabilità che, soprattutto nell'esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finiva per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili”. È stato quindi espunto dall'art. 2392 il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione; dandosi, per di più, rilevanza esimente alle deleghe di fatto (“funzioni in concreto attribuite ad uno più amministratori”: art. 2392, primo comma). Nella disciplina vigente, pertanto, la delega di funzioni, anche atipica, funge come limite alla solidarietà. La responsabilità degli organi deleganti può pur sempre derivare, però, dall'inosservanza dell'art. 2381, terzo comma, che prevede l'obbligo degli amministratori non esecutivi di attivarsi, per richiedere informazioni agli amministratori delegati, al fine di agire informati; e comunque dall'omesso rilievo, colposo di segnali dell'altrui illecita gestione, pur percepibili anche al di fuori dei flussi informativi tracciati dall'art. 2381, che non sono la fonte esclusiva di conoscenza (Cass. I, n. 22848/2015). E tale responsabilità può ricadere anche sugli amministratori cd. indipendenti o designati dalla minoranza, che hanno una funzione di vigilanza, più che di gestione. Se la valutazione dell'adeguatezza degli assetti organizzativi e del generale andamento della gestione ex art. 2381 c.c. sembra derivare, letteralmente, solo dalle informazioni fornite dagli organi delegati, la giurisprudenza – anche penale, nell'ambito dei reati societari – l'ha ravvisata in presenza di sintomi percepibili di un illecito, tali da determinare nell'amministratore privo di delega l'obbligo di intervenire, per impedire il compimento dell'atto pregiudizievole, o eliminarne, o attenuarne le conseguenze dannose (Cass. I, n. 17441/2016; Cass. I, n. 22848/2015; Cass. pen., V, n. 32352/2014; Cass. pen., V, n. 36595/2009; Cass. pen., V, n. 23838/2007). Formalmente l'estensione della responsabilità dell'amministratore sembra configurata, al terzo comma, solo nell'ambito di attività deliberativa. Ma, secondo parte della dottrina, il dissenso su atti od omissioni fuori del procedimento deliberativo può essere egualmente manifestato in sede consiliare e fatto annotare in occasione della discussione su relazioni o informative degli organi delegati. Si esclude, comunque, il potere ispettivo autonomo del singolo amministratore. La giurisprudenza più recente, nonostante l'emendamento testuale introdotto dalla riforma del 2003 e l'ossequio formale alla nuova formulazione, ha finito, di fatto, col ripercorrere l'indirizzo interpretativo anteriore in tema di responsabilità dell'amministratore non esecutivo. Si è quindi andata consolidando la tesi secondo cui essa può discendere da un difetto di conoscenza per il mancato rilievo colposo dell'illecita gestione da parte dell'amministratore delegato, imputabile all'omessa ricerca di adeguate informazioni: senza che abbia rilevanza esimente il semplice fatto che nulla traspaia dalle formali relazioni del comitato esecutivo o dell'amministratore delegato. In particolare, si è statuito che gli amministratori senza deleghe debbano attivarsi perché il consiglio compia al meglio il proprio dovere di vigilanza, al fine di impedire il verificarsi di illeciti. È vero che nella ratio decidendi di tali sentenze compare spesso la rituale esclusione di una responsabilità oggettiva; ma, non di rado, l'affermazione di responsabilità è ancorata non solo alla conoscenza positiva delle irregolarità di gestione (il che rientra, de plano, nella previsione normativa vigente), ma anche alla possibilità di conoscenza, che sfuma, di nuovo, in un dovere di vigilanza generale: indirizzo rigoroso, presente soprattutto nella casistica riguardante società bancarie e finanziarie, giustificata sotto il profilo che i consiglieri non esecutivi devono possedere costante e adeguata conoscenza dell'attività bancaria e hanno quindi l'obbligo di contribuire ad un governo efficace dei rischi e ad una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi (Cass. II, n. 15583/2022, n. 15584/2022 e n. 15585/2022, in Soc. 2023, 470, con nota di Di Palma; Cass. II, n. 24851/2019, in Giur. it., 2020, 866, con nota di Passador; Cass. II, n. 5606/2019; Cass. II, n. 27365/2018, in Giur. it., 2019, 856, con nota di Riganti e Soc., 2019, 187, con nota di De Poli; Trib. Catanzaro 16 novembre 2018 n. 3627, in Soc. 2019, 745, con nota di Pototschnig). Spesso la responsabilità è identificata nel mancato rilievo colposo di segnali dell'altrui illecita gestione, percepibili con l'ordinaria diligenza da parte dell'amministratore non operativo (Cass. II, n. 8237/2019). Anche sotto il profilo penale, si è ritenuta, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la responsabilità ex art. 40, secondo comma, c. p., e quindi il concorso, per omesso impedimento dell'evento, dell'amministratore privo di delega, qualora emerga la prova, da un lato, dell'effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società (o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere, secondo i criteri propri del dolo eventuale, l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento illecito) e, dall'altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento (Cass. pen., V, n. 33582/2022). La responsabilità degli amministratori e dei sindaci trova fondamento non già nell'individuazione di specifiche condotte appropriative o distrattive di uno di essi (condotte che avrebbero dovuto essere riferite al soggetto che ne sia stato l'autore), ma nell'omesso controllo, cui tutti erano tenuti, in ordine ad atti che abbiano comportato la perdita di risorse patrimoniali della società (Cass. I, n. 7380/2023). Obbligo di diligenza e insindacabilità nel meritoLa verifica giudiziale della dedotta violazione dell'obbligo di diligenza non può trasmodare in un giudizio di merito. Questa regola, elaborata primamente dalle corti americane (nota con la definizione di business judgement rule) ed importata anche nella giurisprudenza nazionale, delimita lo scrutinio giudiziale all'avvenuto, o no, svolgimento di una adeguata attività istruttoria, in vista dell'operazione prefigurata: cui deve seguire una decisione dell'amministratore conforme alla corretta interpretazione dei dati conoscitivi acquisiti, oltre che immune da conflitto di interessi (Cass.I, n. 1783/2015; Cass. I, n. 3409/2013; Cass. I, n. 3652/1997). La regola è stata descritta come un vero e proprio diritto di sbagliare. E tuttavia la regola esimente dell'insindacabilità del merito delle scelte di gestione trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia ex ante, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell'art. 2392, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere (Cass. I, n. 15470/2017). Del resto, la Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003 precisa al riguardo che “la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico... Non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria in ogni settore della gestione dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione”. Anche nella giurisprudenza più recente si è confermato l'indirizzo che nega la possibilità di sindacare, con valutazione ex post, il merito delle operazioni intraprese dagli amministratori (cd. business judgement rule), e cioè l'inopportunità, dal punto di vista economico, di una scelta gestionale (Cass. I, n. 4848/2023): dovendosi affermare positivamente tale responsabilità solo ove siano state omesse le cautele del caso (Cass. I, n. 17494/2018), o sia stato violato il limite di ragionevolezza delle scelte di gestione secondo una valutazione ex ante (Cass. I, n. 2172/2023). In quest'ottica, è stata ritenuta grave inadempienza dei doveri di corretta gestione l'omissione sistematica del pagamento dei tributi, al fine di sostenere i costi aziendali, trattandosi di prassi illegittima di esercizio dell'impresa, mediante un implicito finanziamento pubblico (Trib. Milano 8 ottobre 2020 n. 6005). Nell'accertamento concreto dell'ampiezza delle indagini preventive al compimento dell'operazione si deve tenere conto dei costi e dei tempi dell'istruttoria esigibile, oltre che della propensione al rischio dimostrata dai soci. Trattandosi di responsabilità contrattuale, trova applicazione la presunzione di cui all'art. 1218: sulla società attrice incomberebbe solo l'onere della prova della fonte, legale o negoziale, del diritto, dell'allegazione della circostanza dell'inadempimento e della prova del danno conseguitone: incombendo, per contro, sull'amministratore la prova liberatoria dell'assenza di colpa (Cass. S.U., n. 13533/2001). Tra le condotte negligenti imputabili all'amministratore vi è quella dell'omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili: inadempienza, che ha trovato talvolta risposte non univoche nella giurisprudenza. Così, se la totale mancanza (ovvero la sommarietà o inintelligibilità) della contabilità sociale è stata considerata, talvolta, titolo di responsabilità, vertendosi in tema di violazione di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale (Cass. III, n. 27610/2019), la si è ritenuta, in altri casi insufficiente, di per sé, a giustificare la condanna dell'amministratore, in quanto questa presuppone che sia comunque previamente assolto l'onere della prova circa l'esistenza di condotte per lo meno astrattamente causative di un danno patrimoniale (Cass. I, n. 15245/2022, in Fall., 2023, 55, con nota di Rolfi). La solidarietà degli amministratori può essere oggetto di rinunzia da parte della società, anche con clausola statutaria (art. 1311), con conservazione dell'azione verso tutti gli altri condebitori (a differenza che nella remissione, ex art. 1301 c.c.). Non appare ammissibile, invece, una clausola statutaria di esonero di responsabilità; nemmeno nei limiti di cui all'art. 1229, primo comma, e cioè con esclusione del dolo e colpa grave, giacché non sembra dubbia, nella specie, la natura di norma di ordine pubblico, a tutela anche di interessi generali (ibidem, secondo comma). Presenta aspetti speciali di disciplina la responsabilità degli amministratori all'interno del gruppo: fenomeno societario che ha ricevuto, nella riforma del 2003, una regolamentazione incompleta, limitata proprio al profilo della responsabilità degli amministratori della società che esercita la direzione ed il coordinamento (artt. 2497 e segg.), sussistente, sia verso soci e creditori delle società controllate, sia verso quelli della società controllante: salva l'eventuale sussistenza di vantaggi compensativi idonei a neutralizzare, in tutto o in parte, il pregiudizio sofferto, che deve essere allegata e provata dall'amministratore (Cass. I, n. 16707/2004). L'ultimo comma pone un onere di formalizzazione del dissenso a carico dell'amministratore che voglia esimersi da responsabilità per delibere non condivise. Egli è tenuto, infatti, a far annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze delle deliberazioni del consiglio – il che presuppone la previa verbalizzazione della sua volontà contraria, all'atto della votazione – e a darne notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. Il presupposto espresso ed imprescindibile è peraltro ch'egli sia immune da colpa. Si pone quindi il problema se l'amministratore che abbia omesso le formalità sopradescritte possa, nel successivo giudizio di responsabilità, eccepire la propria immunità da colpa. Sul punto, una recente sentenza della Suprema corte, sia pure emessa in una fattispecie riguardante la responsabilità di un amministratore di S.r.l. (soggetta, peraltro, ad analoga disciplina, dettata dall'art. 2476) appare possibilista, statuendo che la responsabilità solidale degli amministratori della s.r.l. per i danni derivanti dall'inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società non costituisce una forma di responsabilità oggettiva posto che l'esonero da responsabilità previsto dall'art. 2476 non è ancorato al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante, ma all'effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa (Cass. I, n. 2038/2018). Sembra quindi affermato il principio che, come nelle ordinarie fattispecie di responsabilità solidale civilistica, la regola della responsabilità solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori siano responsabili del danno cagionato alla società, in concreto la responsabilità residui solo a carico di uno o taluno di essi, in relazione all'apporto effettivo alla causazione dell'evento: anche sino ad escluderne interamente quella di alcuno. Ne risulterebbe una sostanziale svalutazione degli oneri formali dell'annotazione del dissenso e della notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale. La responsabilità degli amministratori verso la società, derivando da fatto illecito, determina un debito di valore, che deve essere liquidato tenendo conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla decisione definitiva (Cass. I, n. 11018/2005; Cass. I, n. 3483/1998). 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