Codice Civile art. 2447 quinquies - Diritti dei creditori (1).

Gianluca Bertolotti
Vittorio Minervini

Diritti dei creditori (1).

[I]. Decorso il termine di cui al secondo comma del precedente articolo ovvero dopo l'iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti.

[II]. Qualora nel patrimonio siano compresi immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, la disposizione del precedente comma non si applica fin quando la destinazione allo specifico affare non è trascritta nei rispettivi registri.

[III]. Qualora la deliberazione prevista dall'articolo 2447-ter non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Resta salva tuttavia la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.

[IV]. Gli atti compiuti in relazione allo specifico affare debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione; in mancanza ne risponde la società con il suo patrimonio residuo.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

Una volta che sia spirato il termine per l'opposizione e, comunque, dopo l'iscrizione nel registro delle imprese, i creditori sociali non potranno far valere i propri diritti sui beni oggetto del patrimonio destinato o sui frutti e proventi derivanti da essi, con l'unica limitazione prevista per la parte di proventi e frutti che spettino alla società.

La separazione, dunque è «asimmetrica» perché la società può scegliere di rispondere per le obbligazioni contratte dal patrimonio di destinazione con tutto il suo patrimonio, mentre non è prevista una speculare responsabilità del patrimonio di destinazione che non può essere aggredito per soddisfare i crediti della società. Questa particolare deroga alla separazione è stata considerata un indice in grado di porre in evidenza che la separazione patrimoniale è, appunto, «asimmetrica», dal momento che, se è vero che la società può scegliere di rispondere per le obbligazioni contratte dal patrimonio di destinazione con tutto il suo patrimonio, non è prevista una speculare responsabilità del patrimonio di destinazione che non può essere aggredito per soddisfare i crediti della società (Comporti, 986; Giannelli,1240; Manes, 170; Ventura, 186).

Deroghe alla separazione patrimoniale

La separazione patrimoniale subisce deroghe, tanto convenzionali, quanto legali.

In sostanza, la segregazione patrimoniale può essere variamente articolata ma non è mai perfetta (Rubino de Ritis, 820) .

Con riferimento alle deroghe legali, oltre a quanto previsto dal primo comma, la presenza di beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri nel patrimonio di separazione non li rende immuni dalle pretese creditorie sino a che la destinazione allo specifico affare non è stata trascritta.

Infine, è sempre la legge che prevede la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito, responsabilità che è dunque insensibile alla separazione patrimoniale.

La ratio della norma, che si reputa imperativa (Lamandini, 494), è quella di tutelare i creditori involontari (intendendosi con tale termine coloro che non hanno avuto la possibilità di conoscere e considerare ex ante le conseguenze della separazione patrimoniale. Baccetti, passim; Lenzi, 565; Amatucci, 137), ossia coloro che vantano un diritto di credito nei confronti della società a titolo di risarcimento dei danni derivanti dal comportamento illecito della stessa (Comporti, 986; Sciumbata, 108), ai quali la separazione patrimoniale sarà dunque inopponibile, ancorché correttamente realizzata e contabilizzata.

In ogni caso, ai fini dell’opponibilità, gli atti compiuti in relazione all’affare devono sempre recare «espressa menzione» del vincolo di destinazione con la conseguenza che, in assenza di esso, la società risponde con il patrimonio residuo, perché l’effetto della separazione si realizza solo quando tanto la destinazione del patrimonio quanto il compimento del singolo atto relativo all’affare cui il patrimonio separato è destinato assumano chiara conoscibilità esterna (Niutta, 89). Tale previsione impone dunque di dover definire in sede di compimento del singolo atto se esso sia imputato al patrimonio destinato o a quello generale, lasciandosi dunque ampia autonomia agli amministratori di scegliere se l’atto è da imputarsi al patrimonio destinato ovvero al patrimonio generale della società. Più problematica potrà risultare la corretta imputazione pro quota di atti aventi valenza ed effetti comuni, ossia degli atti compiuti a favore tanto della società che del patrimonio destinato.

Anche per questa ragione, e dunque per evitare potenziali conflitti nella gestione dei patrimoni e nell’imputazione dei relativi costi e ricavi, la dottrina prevalente ha reputato che sarebbe preferibile affidare l’amministrazione a soggetti diversi dai componenti l’organo di gestione della società costituente il patrimonio separato o, almeno, delegarla ad un amministratore anche al fine di evitare conflitti di interessi o, comunque, di agevolarne la composizione; ma questa scelta organizzativa potrebbe determinare un incremento dei costi di gestione e risulterebbe allora, almeno in certa misura, incoerente rispetto alla ratio dell’istituto (Maffei Alberti, 1680; Comporti, 979).

In ogni caso, anche per garantire un efficace controllo della separazione patrimoniale e degli effetti che la stessa determina, sarà necessario predisporre una specifica ed analitica contabilità (Manes, 147; Gentiloni Silveri, 338-9).

Bibliografia

Arleo, Sub art. 2447-quater, in Commentario al codice civile, a cura di Cendon, I, 2008; Amatucci, Fatto illecito della società e responsabilità proporzionata dei soci, Milano, 2002; Baccetti, Creditori extracontrattuali, patrimoni destinati e gruppi di società, Milano, 2009; Bertuzzi, Bozza, Sciumbata, Patrimoni destinati, partecipazioni statali, S.A.A, Milano, 2003; Comporti, Sub art. 2447-quinquies, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, II, 2003; Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società per azioni, in Quad. giur. comm., Milano, 2008; Gennari, Sub art. 2447-quater, in Commentario del codice civile, delle società dell’azienda e della concorrenza, a cura di D. Santosuosso e diretto da Gabrielli, Torino, 2015,  1340 ss.; Gentiloni Silveri, Patrimoni costituiti con prevalente apporto di terzi, in Giur. comm., 2016, III, parte 1,  321 ss.; Giannelli, I patrimoni destinati ad uno specifico affare in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004; Lamandini, I patrimoni “destinati” nell’esperienza societaria. Prime note sul d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, II-III,  490 ss.; G. Lener, Atti di destinazione del patrimonio e rapporti reali, in Contr. Impr., 2008, IV-V,  1054 ss.; Maffei Alberti, Dei patrimoni destinati, in Il nuovo diritto delle società, Torino 2005; Manes, Sub art. 2447-quinquies, in Patrimoni destinati ad uno specifico affare, a cura di Manes e Pasquariello, Bologna, 2013,  140 ss.; Niutta, I patrimoni e finanziamenti destinati, Milano, 2006; Rubino de Ritis, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, I, 2007,  817 ss.; Santagata De Castro, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il codice civile, commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2013; L. Ventura, Il patrimonio separato tra equivalenza funzionale e asimmetrie normative, in Dir. comm. Internaz., 2016, I,  161 ss.

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