Codice Civile art. 2409 septiesdecies - Consiglio di amministrazione (1).Consiglio di amministrazione (1). [I]. La gestione dell'impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione. [II]. Almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall'articolo 2399, primo comma, e, se lo statuto lo prevede, di quelli al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. [III]. Al momento della nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e prima dell'accettazione dell'incarico, sono resi noti all'assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società (2). (1) V. nota al Capo V. (2) Comma aggiunto dall'art. 2 2 lett. c) l. 28 dicembre 2005, n. 262. InquadramentoNel modello di amministrazione e controllo di tipo monistico la gestione sociale è di esclusiva competenza del consiglio di amministrazione. L'art. 2409-septiesdecies, comma primo, conferma il ruolo attribuito agli amministratori dall'art. 2380-bis c.c. e l'omessa riproduzione dell'inciso secondo il quale gli amministratori compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale deve considerarsi priva di effetto considerato che tale norma è di generale applicazione in virtù dell'art. 2409-noviesdecies (Ghezzi, 220). Il consiglio di amministrazione del sistema monistico si differenzia da quello che opera nell'ambito del sistema tradizionale sotto tre aspetti: i) obbligatoria composizione plurisoggettiva dell'organo gestorio; ii) previsione che almeno un terzo dei componenti del consiglio di amministrazione sia dotato dei requisiti di indipendenza richiesti dalla legge; iii) attribuzione della competenza al consiglio di amministrazione in merito alla nomina ed alla determinazione del numero dei componenti dell'organo di controllo. Il funzionamento dell'organo amministrativo ed il regime di responsabilità riservato ai suoi componenti non presentano, invece, profili di difformità rispetto a quanto disposto per gli amministratori del sistema tradizionale di amministrazione e controllo. Stante il richiamo alle norme sugli amministratori stabilito dal primo comma dell'art. 2409-noviesdecies, al consiglio di amministrazione delle società organizzate secondo il sistema monistico si applicano tutte le disposizioni che superino il vaglio della compatibilità, dettate per gli amministrazione del sistema tradizionale (artt. da 2380-bis a 2395 c.c.). Inoltre, in termini più generali, l'art. 2380, terzo comma, c.c. precisa che le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano anche agli amministratori del sistema monistico, salvo che sia diversamente stabilito. Struttura e composizione dell'organoDal disposto testuale dell'art. 2409-septiesdecies, secondo il quale la gestione dell'impresa spetta esclusivamente al consiglio di gestione, si desume che, similmente al sistema dualistico, l'organo di amministrazione del modello monistico è necessariamente pluripersonale ed opera collegialmente. Tale conclusione si spiega sulla considerazione che l'amministrazione unipersonale renderebbe materialmente impossibile la formazione dell'organo di controllo (Mancuso, sub art. 2409-septiesdecies, 1972; Guaccero, Di Marcello, 731). Ferma la regola della collegialità appare ammissibile un consiglio di amministrazione al cui interno tutti i membri, tranne uno, facciano parte del comitato per il controllo e nel quale, pertanto, la gestione dell'impresa, seppur affidata all'intero consiglio sia svolta, sotto il profilo esecutivo, da un solo amministratore (Guaccero, 912). La determinazione del numero dei membri dell'organo di amministrazione è rimessa allo statuto ma non vi è accordo in dottrina circa il numero minimo di componenti del consiglio di amministrazione e del comitato per il controllo sulla gestione. In particolare, è dubbio se il numero di amministratori indipendenti nominati dall'assemblea debba essere comunque superiore rispetto al numero dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione così da lasciare al consiglio un concreto potere di nomina. Secondo una impostazione, al fine di garantire una scelta effettiva all'organo amministrativo, nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, nelle quali i membri del comitato devono essere almeno tre ex art. 2409 octiesdecies, primo comma, c.c. i componenti indipendenti del consiglio dovrebbero essere complessivamente almeno quattro, mentre nelle società chiuse, essi dovrebbero essere almeno tre, in quanto il comitato per il controllo sulla gestione deve essere composto almeno da due membri (Ghezzi, 222; Magnani, 1189; contraGuaccero, Di Marcello, 734; Ambrosini, 85, il quale rileva che, in mancanza di una specifica previsione statutaria sul numero degli amministratori indipendenti, la coincidenza numerica tra questi ultimi e il numero dei membri del comitato, non si risolve di certo in una nomina indirettamente assembleare, restando la nomina pur sempre in capo al consiglio). La nomina dei componentiLa nomina dei membri del consiglio di amministrazione è regolata, nel sistema monistico, in maniera del tutto omologa rispetto al modello tradizionale, la cui disciplina è richiamata dall'art. 2409-noviesdecies, primo comma, c.c. La competenza per la nomina di tutti i consiglieri spetta all'assemblea ordinaria ai sensi dell'art. 2364, comma 1, n. 2, c.c., la quale delibera a maggioranza assoluta, salvo che lo statuto non preveda una maggioranza più elevata. Rappresentano eccezioni alla regola della competenza assembleare nella nomina dei componenti del consiglio di amministrazione: l'art. 2328 c.c. che prevede che la nomina dei primi amministratori venga effettuata nell'atto costitutivo della società; l'art. 2351, quinto comma, c.c. (da ritenersi applicabile in virtù dell'art. 223-septies, primo comma, disp. att. c.c.) che riserva ai possessori di strumenti finanziari partecipativi la facoltà di nominare un componente indipendente del consiglio di amministrazione e l'art. 2449 c.c. in forza del quale lo statuto può conferire la facoltà di nomina di un componente del consiglio, non limitata al solo amministratore indipendente. Con riguardo al componente indipendente nominato ex art. 2351, ult. comma, c.c. si evidenzia che la nomina non ne assicura la presenza all'interno del comitato per il controllo ma solo l'eleggibilità, come gli altri membri indipendenti (Guaccero, 912). I requisiti di eleggibilitàValgono per gli amministratori, in quanto espressamente richiamati dall'art. 2409-novesdecies, gli artt. 2382 e 2387 c.c., che individuano i requisiti soggettivi degli amministratori nel modello tradizionale. La particolare conformazione del modello di amministrazione e controllo monistico si riflette nella struttura dell'organo amministrativo e fa sì che i requisiti soggettivi di eleggibilità del consiglio di amministrazione siano ulteriori rispetto al modello tradizionale ed a quello dualistico. Al fine di consentire la costituzione al suo interno del comitato per il controllo sulla gestione almeno un terzo dei consiglieri di amministrazione deve essere in possesso dei medesimi requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall'art. 2399, primo comma, c.c. nonché, se previsto dallo statuto, dei requisiti previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. I requisiti soggettivi previsti dallo statuto possono essere ulteriori e possono essere previste più severe cause di ineleggibilità, decadenza o di incompatibilità, consistenti, ad esempio, nei requisiti previsti per i sindaci dall'art. 2397, comma 2, c.c. in requisiti di onorabilità e professionalità diversi per ciascun componente del comitato o, ancora, in vincoli di esclusiva o limiti al cumulo di incarichi. Secondo una parte della dottrina il secondo comma dell'art. 2409-septiesdecies andrebbe letto nel senso che la previsione di requisiti di onorabilità e professionalità da parte dello statuto sia obbligatoria e ciò anche in considerazione della diversa formulazione testuale dell'art. 2409-duodecies, sesto comma, sul consiglio di sorveglianza ai sensi del quale «lo statuto può subordinare l'assunzione della carica al possesso di particolari requisiti di professionalità (Facchin, 677; Riolfo, 369; Veronelli, 351 ss.; contra, nel senso della facoltatività dell'individuazione statutaria di tali requisiti, Valensise, 743). La previsione della nomina di amministratori indipendenti rappresenta la caratteristica fondamentale del sistema di amministrazione e controllo monistico ed, allo stesso tempo, la novità più significativa rispetto al sistema tradizionale. L'indipendenza degli amministratori che andranno poi a comporre il comitato per il controllo è, infatti, determinante per l'effettiva ed efficace attività di vigilanza esercitata sull'impresa sociale. La nozione di indipendenza dei componenti del comitato è individuata dal legislatore, mediante il richiamo all'art. 2399 c.c., relativo alla disciplina dettata nel sistema tradizionale per i sindaci In virtù del rinvio all'art. 2399 c.c., pertanto, si ritengono indipendenti i soggetti che non sono stati dichiarati interdetti, inabilitati, non sono stati condannati ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi (c.d. cause di incompatibilità oggettiva); non sono legati da rapporto di coniugio, parentela e affinità entro il quarto grado agli amministratori della società, non sono amministratori o legati da rapporto di coniugio, parentela e affinità entro il quarto grado agli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; non sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza (c.d. cause di incompatibilità soggettiva) (per una casistica delle diverse fattispecie concrete in cui non si deve trovare l'amministratore al fine di poter essere considerato indipendente si rinvia a Mancuso, sub art. 2409 septiesdecies, 1976-1978). È controverso se tra i requisiti di indipendenza rientri anche l'assenza di incarichi esecutivi all'interno della società. Secondo una prima impostazione interpretativa gli amministratori esecutivi potrebbero anche essere indipendenti, pur essendo ad essi preclusa la partecipazione al comitato per il controllo sulla gestione. Tale tesi si fonda sul raffronto letterale fra l'art. 2409-septiesdecies, secondo comma, che fissa i criteri di indipendenza senza far riferimento alla titolarità di incarichi esecutivi e l'art. 2409-octiesdecies, secondo comma, che stabilisce che l'assenza di tali incarichi è condizione soltanto per l'accesso al comitato per il controllo sulla gestione (Ghezzi, 224). Secondo altra dottrina, invece, la titolarità di incarichi esecutivi, dovendo essere annoverata «fra i rapporti di natura patrimoniale», sarebbe idonea a compromettere l'indipendenza del soggetto ai sensi dell'art. 2399, comma primo, lett. c), c.c. (Di Marcello, 82). Nella medesima prospettiva si osserva, altresì, che la norma nulla dice in merito agli specifici compiti che gli amministratori indipendenti sono chiamati a svolgere e che, pertanto, salvo che essi entrino a far parte del comitato per il controllo sulla gestione, nulla vieterebbe al consiglio di attribuire agli amministratori indipendenti anche deleghe operative (Rordorf, 143 ss.). In ogni caso, si osserva che la previsione che almeno un terzo degli amministratori sia in possesso dei requisiti di indipendenza non significa essi debbano essere tutti quelli poi designati al controllo, non sussistendo una relazione biunivoca fra amministratore indipendente e componente del comitato per il controllo per la gestione. Dal disposto dell'articolo in commento, infatti, discende solo la necessità che la totalità dei designati al controllo possegga tali requisiti. Con previsione analoga a quella contenuta nell'art. 2400, comma quarto, c.c. per i sindaci, l'art. 2409-septiesdecies, comma terzo, in tema di cumulo degli incarichi, stabilisce un obbligo di disclosure volto a prevenire possibili conflitti di interesse e, più in generale, a promuovere la trasparenza della governance societaria. Al momento della nomina dei componenti del consiglio di amministrazione e prima dell'accettazione dell'incarico, devono essere resi noti all'assemblea gli eventuali incarichi di amministrazione e di controllo ricoperti presso altre società. Si tratta di un obbligo – sconosciuto nel sistema tradizionale per quanto riguarda gli amministratori – introdotto dalla l. n. 262/2005 sulla tutela del risparmio e successivamente modificato dal d.lgs. n. 303/2006. Come indicato nella stessa Relazione accompagnatoria alla l. n. 262/2005, la disposizione ha lo scopo di consentire all'assemblea di valutare l'idoneità del soggetto a svolgere l'incarico alla luce dell'intero complesso delle cariche ricoperte anche in altre società, oltre che di rendere nota l'esistenza di incarichi che, pur non integrando ipotesi di incompatibilità con l'assunzione della carica di amministratore in senso stretto, potrebbero influenzare negativamente l'attività di gestione oltre che di controllo. L'effettiva utilità della norma è peraltro dubbia, considerato che il predetto obbligo di disclosure è privo di sanzione e che, salvo che sia diversamente stabilito dello statuto, il cumulo di incarichi in altre società non rappresenta una causa di ineleggibilità o di decadenza dell'amministratore (Mancuso, sub art. 2409-septiesdecies, 1977). Dalla formulazione testuale della norma si desume che l'obbligo riguarda non solo i componenti del comitato, ma su tutti gli amministratori. E ciò si spiega alla luce della considerazione che ciascuno degli amministratori nominati, se dotato dei requisiti di cui all'art. 2409 septiesdecies, commi secondo e terzo, può essere nominato come componente del comitato per il controllo sulla gestione (Guaccero, Di Marcello, 733). Per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la normativa riferita al profilo soggettivo degli amministratori nell'ambito del modello monistico comprende anche quanto disposto dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (in tema cfr. Desana, 195 ss.). Come per le società di diritto comune, anche nelle società quotate vige la regola secondo la quale almeno un terzo dei consiglieri deve essere in possesso dei predetti requisiti di indipendenza, ma i presupposti soggettivi previsti dall'art. 2399 c.c. sono sostituiti con quelli più rigorosi fissati dall'art. 148 TUF. Ai sensi dell'art. 148, comma 4-ter, TUF si applicano al comitato per il controllo sulla gestione le regole che garantiscono l'indipendenza dei sindaci ed i requisiti di onorabilità e di professionalità dei membri del comitato per il controllo sulla gestione sono stabiliti con regolamento ministeriale, sentiti la Consob, la Banca d'Italia e l'Ivass. La mancanza o il successivo venir meno dei requisiti di onorabilità provoca la decadenza dell'amministratore dalla carica, che viene pronunciata dall'assemblea dei soci o, in mancanza, dalla Consob. L'art. 154, comma 3, TUF rende inapplicabile al comitato per il controllo sulla gestione l'art. 2399, comma 1, c.c. previsto per i sindaci. L'interpretazione sistematica delle norme del codice civile e di quelle del TUF riferite ai requisiti soggettivi dei componenti del consiglio di amministrazione pone all'interprete problemi di di coordinamento. Invero, mentre l'art. 2409-septiesdecies prevede che i requisiti stabiliti dall'art. 2399 c.c. devono essere posseduti da tutti i consiglieri indipendenti tra i quali il consiglio di amministrazione individua i componenti del comitato per il controllo sulla gestione, il comma 4-ter dell'articolo 148 del TUF estende l'applicazione del comma 3 dell'art. 148 ai soli membri del comitato per il controllo sulla gestione. L'art. 154 TUF esclude poi, limitatamente al comitato per il controllo sulla gestione, l'applicazione dell'art. 2399 c.c. Una parte della dottrina ritiene che la disapplicazione dell'art. 2399 c.c. debba intendersi limitata ai soli componenti del comitato per il controllo e non estesa in generale al consiglio di amministrazione. Secondo questa impostazione, pertanto, nei consigli di amministrazione delle società quotate, coesistono due categorie di amministratori indipendenti: quella dei consiglieri che godono tanto dei requisiti previsti dalla norma codicistica come di quelli dettati dal TUF, che potranno essere nominati membri del comitato per il controllo, e quella dei consiglieri che, rispondendo solo dei requisiti fissati dal codice civile, devono essere computati tra i consiglieri indipendenti, ma non potranno essere nominati membri del comitato (Ghezzi, Rigotti, 264; Guaccero, Di Marcello, 784; contraBenatti, per il quale l'inapplicabilità dell'art. 2399 non può che riguardare tutti i consiglieri di amministrazione). La disciplina del cumulo di incarichi, nell'ambito delle società quotate, è dettata dall'art. 148-bis che dispone che un limite al cumulo deve essere previsto statutariamente. Per quanto concerne il procedimento di nomina, in forza dell'art. 147-ter, comma 1 e 1-bis del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 sono applicabili al consiglio di amministrazione le disposizioni concernenti l'elezione mediante voto di lista. Inoltre, almeno un componente deve essere espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e che non sia in alcun modo legato, neppure indirettamente, con la lista che risulta prima per numero di voti; questi dovrebbe essere successivamente anche designato quale presidente del comitato per il controllo sulla gestione. La Raccomandazione 2005/162/CE, che promuove il ruolo degli amministratori indipendenti e l’introduzione di codici di disciplina adeguati, segue la tendenza ad assumere quale modello gli orientamenti del diritto societario statunitense, in cui gli amministratori non esecutivi e indipendenti svolgono un ruolo di vigilanza. Essi devono quindi vigilare sui singoli atti approvati dal c.d.a., sugli atti dell’amministratore delegato, sul piano industriale e finanziario, sulle politiche di bilancio della società. E ciò sia sotto il profilo della legalità, sia sotto il profilo del merito; questi principi sono dettati non solo per perseguire il fine di una corretta amministrazione della società, ma anche per comporre i diversi interessi di cui sono portatori gli azionisti, di maggioranza e di minoranza. Nel codice di autodisciplina, composto di una serie di precetti che appartengono all’autonomia privata, i requisiti di indipendenza sono declinati con riferimento ai rapporti familiari e di lavoro. La dottrina ha, infatti, evidenziato che il carattere specialmente fiduciario dell’amministratore indipendente non esecutivo, il quale deve monitorare non solo l’attivita` degli amministratori esecutivi ma anche i comportamenti dei managers, ad evitare che la societa` sia amministrata in modo da perseguire interessi extrasociali (Alpa). Durata e cessazione dell'incaricoLa disciplina del modello tradizionale in merito alla durata, cessazione e sostituzione degli amministratori è valida nel modello monistico, con il limite della compatibilità. Circa la durata dell'incarico si fa riferimento alla disposizione all'art. 2383, secondo comma, c.c. richiamato dall'art. 2409-noviesdecies, che dispone che gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica. Salvo diversa disposizione dello statuto gli amministratori scaduti sono, però, rieleggibili. Anche l'istituto della revoca dell'amministratore nell'ambito del modello monistico è ricavato da quello tradizionale in virtù del richiamo compiuto dall'art. 2409-noviesdecies all'art. 2383 c.c. (sul concetto di giusta causa di revoca dell'amministratore di una s.p.a. a governance monistica cfr. Guaccero, Di Marcello, 735-736). Nell'ambito del codice civile manca una disciplina compiuta della decadenza per difetto, originario o sopravvenuto, del requisito dell'indipendenza dell'amministratore nominato nel consiglio di amministrazione di una s.p.a. a governance monistica. Per le sole società quotate, invece, il TUF ha previsto, in ipotesi di mancanza/perdita dell'indipendenza, la decadenza dalla carica di amministratore del presidente del comitato ex art. 147- ter , comma terzo, nonché la generale decadenza dalla carica di amministratore per tutti i componenti del comitato per il controllo sulla gestione ex art. 148, comma terzo, TUF richiamato dal comma 4-ter del medesimo articolo. Con riferimento alle società chiuse, la tesi prevalente ritiene che il venir meno dei requisiti di indipendenza non provochi la decadenza dell'amministratore quando il numero dei consiglieri indipendenti sia superiore al minimo richiesto dalla legge. L'amministratore deficitario dei requisiti, infatti, rimarrà in carica quale amministratore non indipendente. Solo nel caso in cui il numero dei componenti indipendenti scenda al di sotto del minimo legale del terzo si avrà invece la decadenza (Ghezzi, 270 ss.; Valensise, 737; Guaccero, 916). La soluzione, peraltro, è problematica laddove si consideri che, a prescindere dal fatto che il numero degli indipendenti risulti al di sotto della soglia del terzo dei componenti dell'organo amministrativo, la nomina degli amministratori indipendenti avviene anche sul presupposto della ricorrenza di tali specifici requisiti. Posto che, in mancanza di disposizione espressa, non appare corretto affermare che la decadenza dovrebbe sempre conseguire al difetto/perdita del requisito dell'indipendenza, la dottrina sostiene che, qualora dalla deliberazione di nomina dell'amministratore risulti che il possesso dei requisiti era stato essenziale per la nomina, la perdita di essi dovrebbe essere considerata giusta causa di revoca (Guaccero, Di Marcello, 740). Quanto alla competenza a dichiarare la decadenza dell'amministratore per sopravvenuta o originaria perdita dei requisiti di indipendenza, l'art. 148, comma 4-quater, affida al consiglio di amministrazione il compito di verificare la sussistenza di tale situazione e di dichiarare all'assemblea quanto accertato. Per le società non quotate, invece, non si esclude una competenza concorrente del consiglio di amministrazione e dell'assemblea, in ragione dell'esigenza di consentire l'immediata sostituzione dell'amministratore dichiarato decaduto (in tema, cfr. Di Marcello, 102 ss.). Per la sostituzione degli amministratori venuti meno per qualsiasi causa, la norma riferita agli amministratori nel modello tradizionale – art. 2386 c.c., richiamato dall'art. 2409-noviesdecies – prevede diverse soluzioni a seconda che sussista o meno la maggioranza degli amministratori. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti. Nell'ipotesi in cui sussista la maggioranza dell'organo amministrativo, vige l'istituto della c.d. cooptazione. Stante il generale richiamo all'art. 2386 c.c., si ritiene ammissibile anche nel modello monistico l'eventuale previsione statutaria della clausolasimul stabunt simul cadent, con la precisazione, però, che la compatibilità della disposizione richiamata sussiste solo nel senso di causare la decadenza dell'intero consiglio al venir meno di un certo numero di membri del comitato per il controllo e non viceversa. E ciò perché, in caso contrario, la permanenza in carica dell'organo di controllo sarebbe, sostanzialmente, rimessa alla volontà dell'organo amministrativo (Valensise, 737 ss.; per i problemi che comporta la concreta operatività della clausola simul stabunt simul cadent nell'ipotesi in cui l'amministratore cessato dalla carica sia quello nominato da soggetti diversi dall'assemblea cfr. Guaccero, Di Marcello, 743-744). Inoltre, secondo la dottrina, si potrebbe prevedere statutariamente nella società monistica una legittimazione del consiglio di amministrazione uscente a presentare una lista di candidati per il rinnovo dello stesso. Si osserva, infatti, che la circostanza che tra gli amministratori ce ne siano alcuni destinati a svolgere specifiche funzioni di controllo come componenti del comitato di controllo sulla gestione, e che, quindi, ci sarebbe un problema di controllati che scelgono i controllori, significherebbe pensare alla funzione di controllo in termini preconcetti ed equiparare ingiustificatamente la posizione e la funzione del sindaco a quella dell'amministratore, che poi ha anche una sua specifica funzione di controllo, ma che nel sistema monistico è anzitutto un amministratore (Stella Richter jr). Il funzionamento dell'organoAnche per quanto concerne le regole di funzionamento consiliare l'art. 2409-noviesdecies opera un integrale rinvio, previo giudizio di compatibilità, alla disciplina del sistema tradizionale di amministrazione e controllo. La trasposizione di tali disposizioni normative non è, infatti, preclusa dalla peculiare articolazione interna del consiglio di amministrazione in quanto i membri che esercitano funzioni di controllo continuano ad essere amministratori. Al di fuori delle funzioni esercitate all'interno del comitato, i componenti indipendenti mantengono le medesime prerogative funzionale degli amministratori esecutivi e partecipano a tutti gli atti che ineriscono alla gestione dell'organo (Guaccero, 912; Abriani, 881; contraValensise, 736, secondo il quale i membri del comitato di controllo «sarebbero da escludere dal calcolo dei quorum consiliari, sia costitutivi, sia deliberativi, considerato che questi sono, innegabilmente, aspetti che permettono comunque di realizzare una forma di interferenza gestionale, e cioè proprio il risultato che il Legislatore sembrerebbe voler evitare »).Nell'ambito del plenum del consiglio di amministrazione, inoltre, i membri del comitato possono esprimere la propria posizione sull'opportunità delle scelte sottoposte a deliberazione del consiglio, atteso che la funzione di controllo, anche di merito, è svolta dal comitato nella sua interezza e non dai singoli componenti singolarmente (Mancuso, sub art. 2409-septiesdecies, 1973). Venendo all'organizzazione interna dell'organo, ai sensi dell'art. 2381, secondo comma, c.c., se previsto dallo statuto e previa autorizzazione dell'assemblea, l'organo amministrativo può delegare alcune funzioni ad un comitato esecutivo, composto da suoi componenti, o in via individuale a un amministratore delegato che sia scelto tra di essi. Peraltro, l'utilizzo della delega di funzioni nell'ambito nel modello monistico è fisiologico in quanto necessario alla ripartizione delle competenze gestorie all'interno dell'organo. Alla luce del medesimo art. 2381 c.c., inoltre, se non stabilito diversamente dallo statuto, è il presidente del consiglio di amministrazione che convoca l'organo, fissandone l'ordine del giorno, e che provvede al coordinamento dei lavori, affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine del giorno siano fornite a tutti i consiglieri (la carica di presidente del consiglio di amministrazione è incompatibile con la partecipazione al comitato per il controllo sulla gestione, Di Marcello,115). Il richiamo alla disciplina del modello tradizionale vale, anche, per le regole sul procedimento deliberativo di cui all'art. 2388 c.c. Secondo la concorde dottrina, infine, nell'ipotesi di scioglimento della società, con l'avvio della fase di liquidazione – salvo che i soci decidano l'adozione del sistema tradizionale – le regole del sistema monistico continuano ad operare, in virtù dell'art. 2488 c.c., ai sensi del quale le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto compatibili, anche durante la liquidazione. Per l'organo liquidatorio che sostituisce l'organo amministrativo, pertanto, varranno le medesime regole dettate per quest'ultimo, con la conseguenza che l'organo competente per la liquidazione sarà necessariamente pluripersonale ed al suo interno vi dovranno essere membri dotati dei requisiti per divenire componenti del comitato per il controllo sulla gestione (Guaccero, 927; sulla funzione in concreto svolta dal comitato per il controllo sulla gestione nella fase della liquidazione, Di Marcello, 169 ss). Lo statuto degli amministratori. Remunerazione e regime della responsabilitàLa remunerazione degli amministratori è disciplinata, conformemente al sistema tradizionale, dall'art. 2389 c.c., espressamente richiamato dall'art. 2409-noviesdecies. Il compenso degli amministratori è determinato dall'assemblea e può essere costituito in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione. Nel caso di amministratori investiti di particolari cariche, invece, il compenso è fissato dallo stesso organo amministrativo in composizione plenaria, previo parere dell'organo di controllo, nella fattispecie costituito dal comitato per il controllo sulla gestione. Secondo l'interpretazione prevalente il parere dell'organo di controllo può essere fornito, anziché con deliberazione ad hoc, anche nel contesto della medesima deliberazione consiliare, laddove risulti anche il voto favorevole di un numero di componenti del comitato per il controllo sulla gestione tale da integrare il quorum deliberativo dell'organo di controllo. Tale soluzione, peraltro, appare legittima, in ragione della semplificazione procedimentale che comporta, a condizione che alla riunione del consiglio partecipi un numero di componenti del comitato per il controllo sulla gestione sufficiente ad integrarne il quorum costitutivo (Mancuso, sub art. 2409 septiesdecies, 1974; Guaccero, Di Marcello, 748). Per le società quotate strutturate secondo il modello monistico di amministrazione e controllo, si applica l'art. 123-ter d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e la relativa disciplina informativa. Pertanto, la relazione sulla remunerazione deve essere approvata dal consiglio di amministrazione e sottoposta alla deliberazione non vincolante dell'assemblea. Con riferimento alla responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione è replicabile la disciplina valida per tutti i sistemi di amministrazione e controllo in virtù degli specifici richiami agli artt. 2392 ss. c.c. compiuti dall'art. 2409- noviesdecies. È dubbio se, nel modello monistico, sia configurabile in capo al comitato per il controllo sulla gestione la legittimazione a promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. La tesi prevalente ritiene che l'art. 2393, comma terzo, c.c. – che consente di promuovere l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori, a seguito di una deliberazione del collegio sindacale approvata con la maggioranza qualificata dei due terzi – superi il richiesto giudizio di compatibilità, senza che a ciò osti la compartecipazione dei controllori alla gestione sociale. La tesi affermativa si fonda principalmente sulla considerazione che il comitato per il controllo sulla gestione, pur essendo costituito da amministratori, esercita funzioni distinte da quelle del consiglio di amministrazione. A sostegno della soluzione positiva si osserva, altresì, che il riconoscimento della legittimazione attiva al comitato non precluderebbe l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte della minoranza azionaria (art. 2393-bis c.c.), dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) ovvero dei soci e dei terzi (art. 2395 c.c.), né impedirebbe alla minoranza di opporsi alla rinuncia o transazione eventualmente deliberate dal comitato (cfr. art. 2393, comma 6, c.c.) (Di Marcello, 144 ss.; Mancuso, Il comitato...,773 ss., il quale rileva che l'applicabilità al comitato dell'art. 2393, comma terzo, c.c. è suffragata anche dal dato testuale: l'art. 223-septies, comma 1, disp. att. c.c. richiama il regime del modello tradizionale di governance, all'interno del quale è regolata la legittimazione del collegio sindacale all'esercizio dell'azione sociale e l'art. 2409-noviedecies, comma primo, c.c. dichiara applicabile l'art. 2393, inclusa quindi la legittimazione dei controllori di cui al relativo comma 3, all'organo amministrativo della società organizzata secondo il modello monistico). In concreto, l'azione di responsabilità del comitato – concorrente con quella assembleare e quella della minoranza – potrebbe, poi, rivolgersi nei confronti del solo amministratore delegato o essere relativa ad un precedente organo amministrativo (Guaccero, Di Marcello, 50). Completano la disciplina dello statuto dei componenti del consiglio di amministrazione della s.p.a. a regime monistico le disposizioni relative al divieto di concorrenza di cui all'art. 2390 e quelle sugli interessi degli amministratori dettate dall'art. 2391 c.c. Con riguardo alle società che fanno ricorso al capitale di rischio, non è richiamato l'istituto delle operazioni con pari correlate di cui all'art. 2391-bis.c.c. Secondo la dottrina, peraltro, la lacuna non dipenderebbe da una scelta specifica sul punto, bensì da una difetto di coordinamento della novella che ha introdotto la disciplina (d.lgs. n. 310/2004). Il disposto di cui all'art. 2391-bis c.c., pertanto, dovrebbe comunque considerarsi applicabile in forza dell'art. 223-septies disp. att. c.c. (in tema cfr. Guaccero, Di Marcello, 746 ss.). 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