Codice Civile art. 2415 - Assemblea degli obbligazionisti (1).Assemblea degli obbligazionisti (1). [I]. L'assemblea degli obbligazionisti delibera: 1) sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune; 2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito; 3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato; 4) sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul rendiconto relativo; 5) sugli altri oggetti d'interesse comune degli obbligazionisti. [II]. L'assemblea è convocata dal consiglio di amministrazione, dal consiglio di gestione o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti che rappresentino il ventesimo dei titoli emessi e non estinti (2). [III]. Si applicano all'assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all'assemblea straordinaria dei soci e le sue deliberazioni sono iscritte, a cura del notaio che ha redatto il verbale, nel registro delle imprese. Per la validità delle deliberazioni sull'oggetto indicato nel primo comma, numero 2, è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte. Quando le obbligazioni sono ammesse al sistema di gestione accentrata la legittimazione all'intervento e al voto nell'assemblea degli obbligazionisti è disciplinata dalle leggi speciali (3). [IV]. La società, per le obbligazioni da essa eventualmente possedute, non può partecipare alle deliberazioni. [V]. All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori, i sindaci e i componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza (4). (1) V. nota al Capo V. (2) L'art. 1 d.lg. 18 giugno 2012, n. 91, ha sostituito le parole «dagli amministratori» con le parole; «dal consiglio di amministrazione, dal consiglio di gestione». Tale modifica si applica, ai sensi dell'art. 5 dello stesso d.lg., alle assemblee il cui avviso di convocazione sia pubblicato dopo il 1° gennaio 2013. (3) L'ultimo periodo è stato aggiunto dall'art. 1 d.lg. 18 giugno 2012, n. 91. Tale modifica si applica, ai sensi dell'art. 5 dello stesso d.lg., alle assemblee il cui avviso di convocazione sia pubblicato dopo il 1° gennaio 2013. (4) Comma sostituito dall'art. 1 d.lg. 18 giugno 2012, n. 91. Il testo precedente recitava: «All'assemblea degli obbligazionisti possono assistere gli amministratori ed i sindaci». Tale modifica si applica, ai sensi dell'art. 5 dello stesso d.lg., alle assemblee il cui avviso di convocazione sia pubblicato dopo il 1° gennaio 2013. InquadramentoL'assemblea degli obbligazionisti e, del resto, la previsione della nomina del rappresentante comune rimessa alla stessa, compendiano, al meglio, l'obiettivo, perseguito dal legislatore del codice, di trovare un punto di legame tra l'esigenza di tutelare gli obbligazionisti, dotandoli di una struttura organizzativa destinata ad interagire con la società con la forza legata alla presenza di un gruppo unitario, per un verso; e, per altro verso, la necessità di offrire alla società un unico interlocutore, dominato, peraltro, dal principio maggioritario nella decisione, nella eventuale fase di rimodulazione delle condizioni del prestito imposte dall'evolvere delle vicende economiche dell'emittente, evitando di trattare partitamente con gli obbligazionisti acquisendone singolarmente il consenso (Donativi, 370). L'assemblea, costituita ex lege dopo la sottoscrizione dei titoli, rappresenta, dunque, il luogo di incontro tra interessi che, tuttavia, sono potenzialmente in conflitto, nella dinamica tipica del rapporto tra debitore e creditore; i relativi momenti di interazione e contatto tra le due posizioni denunziano, tuttavia, l'intimo collegamento che corre tra l'organizzazione degli obbligazionisti e la società emittente, ferma restando la reciproca indipendenza e autonomia (Petitti, 51). Tali ragioni di collegamento, infatti, non fanno perdere alle obbligazioni l'intima essenza che ontologicamente le connota in termini di operazione creditizia, estranea alla attiva partecipazione al rischio di restituzione del capitale da parte dell'emittente. Se contatti vi sono, dunque, sono tali da non influire direttamente sulla gestione delle due posizioni. E così, le modificazioni del prestito non dovrebbero, dunque, mai mettere in discussione la restituzione del capitale; ancora, la reciproca partecipazione degli esponenti rappresentativi alle contrapposte assemblee (ai sensi del comma 5 della disposizione in commento e del comma 1 dell'art. 2418 c.c.), non va oltre la mera presenza (anche se va rimarcata la maggiore ingerenza assegnata agli amministratori dell'ente emittente, legittimati a convocare l'assemblea degli obbligazionisti). Ragione fondante dell'inserimento degli obbligazionisti in un gruppo comune dotato di una organizzazione tipizzata dal codice (Brancadoro, 949) è l'esistenza di un interesse comune che lega tra loro i sottoscrittori della singola emissione. Interesse che costituisce al contempo il motivo giustificativo della limitazione dei diritti che al singolo obbligazionista spetterebbero secondo il diritto comune (Galgano, 414), stante l'applicazione del principio maggioritario. E poiché l'interesse varia a seconda delle diverse condizioni dell'emissione, si avranno tante assemblee di obbligazionisti quante sono le diverse emissioni; e ciò accadrà anche quando l'emissione preveda sottoscrizioni relative ad obbligazioni aventi connotazioni diverse. Di minor rilievo deve ritenersi il tema legato alla corretta qualificazione giuridica dell'assemblea, legato a doppio filo al discorso relativo alla individuazione delle disposizioni normative destinate ad integrarne lo statuto ove non puntualmente tipizzate dalle norme del codice sul punto. Che la struttura in disamina dia corpo ad un consorzio, ad una associazione non riconosciuta o atipica, resta, infatti, comunque fermo il fatto che le integrazioni di disciplina andranno ricavate dagli artt. 36 e ss. del codice (Picardi, 855). Infine, seguendo l'ordine logico sopra rassegnato, possono schematizzarsi le competenze dell'assemblea, differenziandole tra quelle che ineriscono alla organizzazione della relativa struttura unitaria (nomina e revoca del rappresentante comune; costituzione del fondo spese; rendiconto) e quelle che attengono ai profili di contatto con l'ente emittente (dalle modifiche del prestito al voto sui concordati, fallimentare e preventivo, passando dalla clausola finale prevista dal n. 5 del comma 1 della norma in commento). Nel caso in cui una società abbia posto in essere una pluralità di emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno dei quali è dotato di un proprio specifico regolamento negoziale, al quale risultano estranei i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed eventualmente distinti rappresentanti comuni), ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su materie di interesse comune dei sottoscrittori del prestito al quale afferisce l'organizzazione. L'eventuale modificazione delle condizioni di ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il consenso dei sottoscrittori di quella particolare emissione, nella peculiare forma assembleare indicata dall'art. 2415 c.c., poiché soltanto ad essi fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la società emittente; ne consegue che l'approvazione della modifica con il concorso determinante dei sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da un'emissione diversa comporta non già la mera annullabilità, ma l'inesistenza della relativa delibera, la cui impugnazione è sottratta al termine di decadenza previsto dall'art. 2377, comma 2, richiamato dall'art. 2416, comma 2, c.c. (Cass. n. 7693/2006). Le competenze organizzative.Muovendo dalla distinzione schematica rassegnata nella parte finale del precedente paragrafo, spicca con immediatezza, tra le competenze annoverate all'interno del primo gruppo, quella afferente alla nomina, oltre che alla possibile revoca, del rappresentante comune. Fermo il rinvio che occorre fare al commento relativo all'art. 2417 c.c., disposizione che dà contenuto alla delibera in questione, va qui anticipato che ai sensi del comma 3 della norma da ultimo citata, accanto alla nomina, viene deliberato anche il compenso del rappresentante; che il relativo mandato ha una durata non superiore a tre anni ed è rinnovabile alla scadenza; che la delibera in questione va iscritta nel registro delle imprese a cura dello stesso soggetto nominato. Avuto riguardo alla revoca, va in particolare rimarcato, che tale potestà non appare in alcun modo subordinata al verificarsi di determinati presupposti ex lege: nulla esclude dunque che intervenga ad nutum. Se priva di giusta causa, finisce per fondare le pretese risarcitorie del revocato, rapportate all'affidamento di quest'ultimo rispetto alla ordinaria prosecuzione del rapporto. Rientra tra le competenze organizzative rimesse alla decisione dell'assemblea quella della previsione del fondo spese nonché quella inerente l'approvazione del rendiconto. La norma non ha contenuti di dettaglio. Pare tuttavia logico sostenere che il fondo spese va quantitativamente rapportato all'esigenza di sostenere l'azione comune e ripartito tra gli obbligazionisti in proporzione delle rispettive quote di partecipazione; che, in caso di ammortamento graduale, gli obbligazionisti non potranno pretendere la restituzione della quota di loro spettanza ma dovranno attendere l'estinzione integrale, rimanendo immodificata, sino a questo momento, la causale dei relativi versamenti, correlata alla tutela non del singolo ma dell'intero gruppo dei possessori di titoli (Petitti, 236); che il rendiconto, intimamente collegato a ruolo e competenze gestorie del rappresentante comune, va approvato quantomeno alla data di scadenza naturale del mandato conferito a quest'ultimo, senza che risulti preclusa una cadenza di verifica diversamente prevista dalla delibera di nomina del rappresentante. Nella giurisprudenza di merito la nomina del rappresentante comune è stata ritenuta non indispensabile nell'ottica della puntuale formazione della volontà dell'assemblea degli obbligazionisti: essendo facoltativa la relativa figura, la mancanza della nomina non invalida l'atto assunto ugualmente dall'assemblea. Né, del resto, l'assenza del rappresentante vizia in radice le relative delibere, perché assunte senza il corredo informativo che il suddetto organo fornisce agli obbligazionisti prima delle relative decisioni, potendo questi ultimi recepire aliunde le notizie utili ad una consapevole espressione della volontà assembleare (Trib. Mantova, 15 ottobre 2010, in Giur. merito, 2011, 7-8, 1855). Una tale presa di posizione, non sempre condivisa, impone alcune precisazioni di dettaglio. Sono infatti diversi gli indici che portano a ritenere non coessenziale, alla regolare formazione della volontà assembleare, la nomina del rappresentante comune. Lo chiarisce il comma 2 dell'art. 2417 c.c., laddove implicitamente dà per scontato che l'assemblea possa omettere la nomina, rimettendone l'incombenza al tribunale, sempre che facciano apposita istanza gli amministratori o gli obbligazionisti: è evidente, infatti, che se una siffatta istanza manca, nell'inerzia dell'assemblea, alla nomina non si provvederà senza che ciò ne ostacoli radicalmente il funzionamento. Del resto, se nella ordinarietà l'assemblea è convocata dal rappresentante, sono legittimati in tal senso anche altri soggetti, non ultimi gli stessi obbligazionisti (art. 2415, comma 2); e del pari, al sorteggio ex art. 2420 c.c. può presenziare il notaio in luogo del rappresentante comune, se quest'ultimo manca. Le competenze afferenti al prestito.Sotto il diverso versante delle competenze destinate ad incidere sulle modalità del rapporto che corre tra obbligazionisti ed ente emittente (nn. 3 e 4), latamente ricomprese nella clausola generale dettata dal 5 del comma 1 dell'articolo in commento, va subito rimarcato che, secondo la versione più accreditata in dottrina (Campobasso, 496), le relative decisioni concretano lo scambio negoziale incrociato tra una proposta (deliberata dalla società, nel suo organo competente alla emissione del prestito, ed avente ad oggetto possibili modifiche, peggiorative per gli obbligazionisti) e una accettazione (assunta dall'assemblea degli obbligazionisti, secondo il principio maggioritario). La modifica non dovrebbe riguardare i momenti essenziali della emissione, indefettibili per ricostruire l'operazione in termini di prestito obbligazionario. In particolare, la maggioranza degli obbligazionisti non può modificare l'originaria operazione di prestito rinunziando alla restituzione del capitale, rendendo infruttifero il prestito o, ancora, accettando la postergazione nella restituzione o la conversione dei titoli in azioni. In questi casi, viene infatti modificata la tipologia essenziale del prestito obbligazionario, risultato cui non si può pervenire tramite l'applicazione del principio maggioritario a dispetto degli interessi degli obbligazionisti dissenzienti e di minoranza. Si tratta di interventi, infatti, aprioristicamente conflittuali con l'interesse comune sotteso alla struttura organizzativa degli obbligazionisti, fondamento generale delle competenze demandate all'assemblea ai sensi del comma 1, n. 5, dell'articolo in disamina. Più controverso è, invece, il tema della ammissibilità di siffatti interventi laddove il regolamento tracciato dal prestito obbligazionario preveda espressamente l'assegnazione di siffatte competenze all'assemblea. In tali ipotesi, infatti, si potrebbe sostenere che con la sottoscrizione l'obbligazionista abbia accettato una visione più lata dell'interesse comune, cosi come tipizzata in via negoziale al momento della emissione: ma andrebbe comunque escluso il caso della integrale rinunzia alla restituzione del capitale, in ogni caso incompatibile con la nozione di interesse comune che legittima l'intervento assembleare (Donativi, 378), ipotesi cui andrebbe aggiunta anche quella della conversione in azioni, parimenti destinata ad alterare la causa del rapporto corrente con l'ente emittente (Picardi, 861). Sono invece certamente ammissibili le decisioni che senza modificare la struttura del rapporto, sono comunque volte ad incidere sul tempo della restituzione, ad influire sul tasso di rendimento, a ridurre le garanzie prestate. La competenza assembleare si fonda sull'interesse comune degli obbligazionisti interessati dalla specifica emissione; ed è quest'ultimo che, fondendosi alle esigenze perseguite dall'ente emittente nel proporre la modifica, realizza, tramite il principio maggioritario connaturato alla deriva assembleare, quella situazione di correlazione che lega intimamente i due poli del rapporto di prestito in questione. In genere, le modifiche consentite concretano un peggioramento delle condizioni del prestito rispetto alla posizione acquisita al momento della sottoscrizione. L'adesione della maggioranza assembleare determina in tali casi il legittimo il sacrificio dei dissenzienti: al mantenimento dell'originario regolamento negoziale, si contrappone quello, scelto dalla maggioranza, di assicurare comunque un risultato, anche se meno soddisfacente, alla categoria interessata permettendo, all'emittente, di riequilibrare deficit finanziari emersi nel corso del rapporto, destinati ad influire sul puntuale e satisfattivo adempimento restitutorio. Ma se manca, sotto tale prospettazione, una puntuale indicazione dell'interesse comune che giustifica la prevalenza della scelta adottata dalla maggioranza, la delibera appare viziata ed è impugnabile ai sensi dell'art. 2416 c.c. Secondo la giurisprudenza di merito, a differenza di quanto emarginato dalla dottrina prevalente, la maggioranza assembleare può rinunziare agli interessi, non ancora maturati, in origine previsti dal regolamento di emissione. Occorre tuttavia che tanto trovi giustificazione in una specifica situazione deficitaria riferibile all'emittente e che il tutto risulti congruamente motivato nell'ottica dell'interesse finale perseguito dal gruppo degli obbligazionisti interessati (Trib. Milano, 10 settembre 1989, in Giur. it. 1991, 1, 2, 39). Il n. 3 del primo comma della norma in commento prevede che l'assemblea deliberi sul voto da spendere con riferimento alle proposte di concordato provenienti dall'ente emittente. In questi casi, ai sensi dell'art. 125 l. fall. (per il concordato fallimentare) e dell'art. 171, stessa legge (per quello preventivo), la comunicazione della proposta va rivolta al rappresentante comune, chiamato a convocare l'assemblea per poi spendere, innanzi agli organi della procedura concorsuale, la volontà deliberata dalla maggioranza degli obbligazionisti. I tempi di manifestazione del voto sono in coerenza dilatati in ragione del necessario passaggio assembleare. L'adesione alla proposta di concordato, spesa dal rappresentante comune nel corso delel rispettive adunanze, vincolerà tutti gli obbligazionisti. Ed il rilievo quantitativo da ascrivere alla stessa andrà commisurato, in coerenza, all'intero portato del prestito obbligazionario in essere, senza distinzioni tra obbligazionisti aderenti e dissenzienti. Se l'emissione è assistita da garanzia reale ed è previsto il pagamento integrale degli obbligazionisti, questi ultimi, e per loro il rispettivo rappresentante comune, dovrebbero ritenersi esclusi dalla possibilità di votare sulla proposta (exartt. 127, comma 2 e 177, commi 2 e 3, l. fall.); in linea con tale interpretazione dovrebbe anche ritenersi consentita la possibilità di rinunziare anche in parte alla prelazione, svincolando dunque il credito dal fattore ostativo al voto, quantomeno nella parte della intervenuta rinunzia. Ma tale rinunzia presuppone a monte che una siffatta scelta sia stata assunta dall'assemblea degli obbligazionisti, non potendo provvedere in tal senso autonomamente il rappresentante comune (Valzer, 59). Le regole di funzionamento assembleare e la pubblicità delle deliberazioni.L'assemblea viene convocata in genere dal rappresentante comune, se nominato. Diversamente, provvede il Consiglio di amministrazione o di gestione. Può essere, inoltre, convocata anche su sollecitazione degli obbligazionisti che rappresentino un monte titoli, in essere, pari al 20% dell'intero. Le regole inerenti la formazione della volontà assembleare sono quelle proprie dell'assemblea straordinaria, cui il comma 3 della norma in commento fa espresso richiamo. Avuto riguardo, tuttavia, al quorum deliberativo necessario per la modifica del regolamento relativo alla emissione del prestito obbligazionario, la norma impone una regola specifica, diversa da quella prevista dall'art. 2369, comma 3, c.c. per l'assemblea straordinaria: mentre quest'ultima disposizione prevede un quorum partecipativo pari ad un terzo del capitale ed uno deliberativo pari ai due terzi del capitale presente, la norma in disamina ritiene necessario, anche in seconda convocazione, il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano il 50% dei titoli non ancora estinti. Tale quorum rafforzato, previsto a tutela degli obbligazionisti dissenzienti, andrebbe rispettato anche quando la legge (in particolare, l'art. 126 del TUF per le società per azioni quotate in un mercato regolamentato) prevede, per le ulteriori convocazioni, quorum minori. L'autonomia che corre tra l'assemblea dei soci e quella degli obbligazionisti, infine, dovrebbe riservare solo alla prima, senza possibilità di estenderle alla seconda, le deroghe allo schema legale previste dallo statuto (Picardi, 868), ove non espressamente approvate dall'assemblea prevista dalla norma in commento. La società, se in possesso di obbligazioni, non può votare in assemblea, stante l'evidente conflitto di interessi. Ciò pone il problema del computo di tali obbligazioni nella individuazione dei quorum, risolto dalla estensione della disciplina dettata dal comma 3 dell'art. 2368 c.c.: i relativi titoli fanno gioco per il computo del quorum costitutivo ma non si considerano ai fini della maggioranze previste per l'approvazione della deliberazione. Le deliberazioni sono iscritte nel registro delle imprese a cura del notaio che redige il relativo verbale. Tale iscrizione, oggi imposta normativamente in coerenza con il richiamo alle regole di funzionamento dettate per l'assemblea straordinaria (art. 2375 c.c.), ha valore dichiarativo avuto riguardo alle decisioni destinate ad esondare i margini di interesse esclusivamente propri dei soli obbligazionisti (Picardi, 870). BibliografiaBrancadoro, Sub art. 2414-bis, in Società di capitali: commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004; Campobasso, Le obbligazioni, in Trattato Colombo, Portale, Torino, 1994; Donativi, Le obbligazioni nelle società per azioni, in Tr. Res., 16, Torino 2011; Galgano, Diritto Commerciale, Bologna 2013; Ginevra, Le obbligazioni, in Diritto commerciale, a cura di Cian, II, Torino, 2014; Petitti, I titoli obbligazionari delle società per azioni, Milano, 1964; Picardi, Sub art. 2415 in Commentario al Codice civile, diretto da Gabrielli, Torino, 2005; Valzer, Gli obbligazionisti e i titolari di strumenti finanziari non partecipativi nelle procedure concordatarie, in Riv. soc. 2014, 59. |