Codice Civile art. 2430 - Riserva legale (1).

Claudio Sottoriva

Riserva legale (1).

[I]. Dagli utili netti annuali deve essere dedotta una somma corrispondente almeno alla ventesima parte di essi per costituire una riserva, fino a che questa non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale.

[II]. La riserva deve essere reintegrata a norma del comma precedente se viene diminuita per qualsiasi ragione.

[III]. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

L'articolo in commento non ha subito modifiche né in sede di riforma del diritto societario exd.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, né in sede di riforma della redazione del bilancio di esercizio exd.lgs. n. 139/2015.

Nella voce AIV «Riserva legale» si iscrive la quota dell'utile dell'esercizio che l'assemblea ha destinato a tale riserva. L'art. 2430 c.c. obbliga ad accantonare in tale riserva almeno il 5% dell'utile dell'esercizio fino a quando l'importo della riserva non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale. Nel caso in cui, per qualsiasi ragione, l'importo della riserva legale scenda al di sotto del limite del quinto del capitale sociale occorre provvedere al suo reintegro con il progressivo accantonamento di almeno un ventesimo degli utili netti.

Il rilievo organizzativo delle riserve nel bilancio d'esercizio

Nel nostro ordinamento, le grandezze contabili allocate nel patrimonio netto qualificabili come riserve assumono uno specifico rilievo organizzativo, sia quando il bilancio d'esercizio è redatto secondo le regole del codice civile sia quando è redatto secondo i principî contabili internazionali IAS/IFRS.

Il rilievo organizzativo riguarda in primo luogo le forme di utilizzazione delle riserve. Le principali forme di utilizzazione delle riserve sono: la distribuzione ai soci; la copertura delle perdite; l'imputazione a capitale.

Le riserve possono essere distribuite ai soci (in aggiunta o al posto degli utili d'esercizio). Le questioni principali che si sono conseguentemente poste riguardano quali riserve siano distribuibili, a quali condizioni e in quale momento.

Le riserve possono poi essere chiamate a coprire le perdite d'esercizio prima che queste impattino sul capitale sociale. Il tema principale che si è posto relativamente alla funzione di copertura perdite da parte delle riserve riguarda quali poste del netto vengono intaccate. Si pone cioè il problema del criterio, tra le varie poste, di imputazione della perdita.

Per la dottrina, poiché le varie componenti del netto sono soggette ad una disciplina vincolistica diversa, cioè sono più o meno liberamente disponibili dall'assemblea per la distribuzione ai soci, il principio della tutela dei creditori impone di ritenere che le perdite intacchino in primo luogo quelle parti del netto che non sono vincolate (o sono meno rigidamente vincolate) a protezione dei creditori sociali.

Dello stesso avviso è anche la giurisprudenza di legittimità secondo cui «le disponibilità delle società devono essere intaccate secondo un ordine che tenga conto del grado di facilità con cui la società potrebbe deliberare la destinazione ai soci; che il capitale sociale ha un grado di indisponibilità maggiore di quello relativo alle riserve legali, laddove le riserve statutarie e quelle facoltative create dall'assemblea sono liberamente disponibili; e che, pertanto, debbono essere utilizzati, nell'ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale» (Cass. I, n. 12347/1999).

L'applicazione di questo principio impone di rispettare un certo ordine nell'utilizzazione delle riserve a copertura delle perdite, condizionato dalla maggiore o minore intensità del vincolo a garanzia dei creditori insistente su ciascuna tipologia di riserva. Le perdite devono intaccare, prioritariamente, le riserve facoltative e, in genere quelle disponibili. In dottrina si è precisato che è competenza di una deliberazione assembleare stabilire quale, tra riserve caratterizzate dal medesimo grado di disponibilità, debba essere ridotta.

Le riserve possono inoltre essere imputate a capitale sociale. Poiché l'imputazione può riguardare solo la parte disponibile delle riserve e dei fondi iscritti in bilancio, il problema più significativo è proprio l'individuazione di quali siano tra le poste del netto quelle qualificabili come riserve disponibili per l'imputazione a capitale.

Le riserve sono poi anche il parametro di riferimento per una serie di atti societari. L'acquisto di azioni proprie può avvenire nel limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, anche quando finalizzato a consentire ai soci l'esercizio del diritto di recesso. La società può accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie nel limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili.

La disponibilità e la distribuibilità delle riserve

Occorre rammentare che le riserve iscritte nelle poste del Patrimonio netto, insieme al capitale sociale, compongono le poste del netto che corrispondono al valore positivo delle attività sulle passività. Esse non rappresentano né un debito, né un rischio di insorgenza di debito, né una rettifica di valori attivi e neppure rischi di svalutazione di attivi. Per disponibilità si deve intendere in senso generale la possibile utilizzabilità di una certa riserva per un determinato scopo di natura organizzativa tra quelli appena indicati (distribuzione ai soci; copertura delle perdite; imputazione a capitale; parametro di riferimento per atti societari).

In relazione a questa pluralità di scopi, ogni riserva può essere disponibile per un certo scopo e non per un altro, sulla base di un'analisi specifica. È quindi possibile che una riserva sia da considerare disponibile per la copertura perdite e non per l'imputazione a capitale.

In tale contesto, la distribuibilità di una riserva è una forma di disponibilità specifica di una riserva consistente nella sua possibile attribuzione ai soci. La nozione di riserva distribuibile è quindi una species del più generale genus della nozione di riserva disponibile. Da ciò consegue che una riserva può essere non distribuibile ma disponibile per gli altri scopi.

In tema di formazione delle riserve, fino alla introduzione dei principî contabili internazionali IAS/IFRS (d.lgs. n. 38/2005) era comune operare la distinzione tra riserva da utili e riserve di capitale. Rientrano tra le riserve di capitale tutte quelle che si formano in conseguenza di variazioni dell'attivo per apporti dall'esterno (quali ad esempio la riserva sovrapprezzo azioni, i versamenti in conto capitale, l'avanzo da conversione di obbligazioni, le riserve da fusione). Sono riserve da utili tutte le altre. In particolare sono riserve da utili quelle che nascono dalla decisione assembleare di accantonare a riserva utili d'esercizio.

Questa impostazione classica della distinzione tra riserva da utili e riserve di capitale è venuta parzialmente meno con riferimento alle riserve dafair value che, in base al d.lgs n. 38/2005, sono costituite in diretta contropartita di variazioni di valore dello stato patrimoniale senza interessare il conto economico. Si è infatti sostenuto che anche queste riserve, se pure direttamente iscritte nel patrimonio (le quali non trovando origine da imputazione di utili di esercizio dovrebbero essere annoverate tra le riserve di capitale), sarebbero da ricondurre alle riserve da utili.

Le riserve invece che si formano mediante una destinazione degli utili dell'esercizio presuppongono una delibera dell'assemblea la quale, una volta approvato il bilancio dell'esercizio da cui emerge l'utile, delibera la sua destinazione totale o parziale a riserva.

Questa impostazione tradizionale è stata messa in dubbio con riferimento alle riserve da fair value derivanti da utili che transitano per conto economico disposte ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 38/2005. Per una dottrina, la costituzione della riserva, anche nel caso di specie, dovrebbe essere di competenza degli amministratori in sede di redazione del bilancio (Bussoletti); altra dottrina, maggioritaria, è invece dell'opinione, anche con riferimento alla disciplina del d.lgs. n. 38/2005, che l'obbligo di costituire riserve formate con accantonamento di utili del conto economico spetti all'assemblea che approva il bilancio e tali riserve non dovranno essere costituite dagli amministratori già nel progetto di bilancio. Per questa dottrina infatti il vincolo legislativo che sottrae una quota di utile dell'esercizio alla disponibilità dei soci disponendo l'obbligatoria imputazione a riserva non implica una deroga all'ordinaria competenza assembleare in materia.

Il funzionamento della riserva legale

La disciplina funzionale della riserva legale è assai laconica, limitandosi il dato positivo a stabilire, oltre all'obbligatorietà della formazione, la necessità di reintegrazione quando, per «qualsiasi ragione» essa sia diminuita (cfr. art. 2430, comma 2, c.c.).

L'espressione «per qualsiasi ragione» non deve, tuttavia, indurre in inganno: non una qualsiasi ragione può, infatti, diminuire la riserva legale.

Non può di certo costituire causa di diminuzione la distribuzione ai soci, dal momento che essa distribuzione contraddirebbe il principio di obbligatorietà della formazione della riserva stessa.

In altri termini, ciò che «deve» essere formato non può, di certo, essere distribuito.

La sua funzione consiste nello «stabilizzare» il capitale sociale attraverso la creazione di una barriera di protezione (Consiglio Nazionale del Notariato — Studio n. 99-2011/I).

Le modificazioni del capitale nominale senza modificazione del patrimonio netto. Insomma, la presenza della riserva legale impedisce che l'ordinaria oscillazione dei risultati economici abbia effetti immediati sul capitale, come, d'altra parte, si ricava dalla necessità della ricostituzione della riserva in esame allorché venga meno «per qualsiasi ragione».

Escluso, dunque, che possano coincidere con la distribuzione ai soci dei valori che compongono la riserva, occorre chiedersi quali siano le ragioni che determinano la diminuzione della riserva.

Una risposta adeguata non può che dipendere da un'approfondita analisi delle regole che disciplinano il procedimento di formazione della riserva.

Giova ricordare che in presenza di utili annuali «almeno» il 5% degli stessi deve essere destinato a riserva legale.

L'avverbio in parola impone di considerare che la ventesima parte dell'utile annuale rappresenti, nella valutazione del legislatore, la percentuale minima da allocare a riserva legale, ma nulla impedisce una maggiore riservizzazione.

Consegue che la maggiore allocazione di risorse a riserva legale ben può trovare la sua fonte tanto nella delibera dell'assemblea (o nella decisione dei soci) che approva il bilancio (annuale) di esercizio, quanto in un'apposita clausola statutaria della cui legittimità non è dato dubitare.

Si verifica il fenomeno noto come «accelerazione» della riserva legale, nel senso che, destinando maggiori percentuali alla funzione di cui all'art. 2430 c.c., il tempo in cui essa è destinata a raggiungere la quinta parte del capitale sociale sarà, evidentemente, più breve di quello ipotizzato dalla tempistica normativa.

Pure può accadere che, raggiunta la quinta parte del capitale sociale, si continuino a destinare somme prelevate dagli utili annuali a beneficio della riserva legale.

Si tratta, tuttavia, di due fenomeni solo apparentemente accomunati dalla maggiore grandezza dei valori allocati a riserva legale.

Nel primo caso, infatti, l'accelerazione produce la conseguenza di anticipare nel tempo la formazione della riserva.

Diversamente, nella seconda vicenda, la riserva s'è già formata nel suo ammontare massimo, e la sua implementazione appare effetto del tutto indifferente al dato normativo.

L'accelerazione, dunque, produce una vera e propria riserva legale «anticipata» nella sua consistenza, in ragione del meccanismo che affretta la sua formazione. Per questa ragione, l'opinione più diffusa sostiene che l'intero ammontare che ne risulta in costanza di accelerazione vada assoggettato alla disciplina della riserva legale, respingendosi l'idea di una distinzione tra parte della riserva legale vera e propria e parte della riserva legale formatasi per accelerazione che sarebbe dotata di una diversa disciplina e, in particolare, di un diverso grado di disponibilità o distribuibilità.

La peculiarità della riserva legale così formata consisterebbe, semmai, nel fatto che il meccanismo acceleratorio possa essere sempre modificato. Nulla escluderebbe, quindi, che, se esso deriva da una disposizione dell'assemblea (o dalla decisione dei soci) in sede di approvazione del bilancio, per un esercizio sociale vi sia una previsione acceleratoria mentre in altro esercizio sociale non vi sia, ovvero vi sia una previsione con percentuale diversa.

Nel caso in cui l'accelerazione sia il frutto di una clausola statutaria è, parimenti, ipotizzabile che la stessa possa essere soppressa ovvero modificata, nel rispetto delle norme in tema di modifiche statutarie.

In ogni caso, la riserva formatasi in conseguenza dell'accelerazione deve considerarsi riserva legale a tutti gli effetti, fino a quando il suo ammontare non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale, poiché solo in presenza di tale ammontare si consegue lo scopo connesso alla formazione della riserva.

Quanto, poi, alla quota di riserva in eccedenza al quinto del capitale sociale, tale per volontà sociale o per clausola statutaria, secondo la prevalente opinione si tratta di eccedenza la cui funzione «eccede» quella legale, e va ricondotta alle comuni riserve volontarie (facoltative) o statutarie con scopi coincidenti con quelli imposti dalla legge.

Consegue che la riserva (legale) formata da una cifra il cui ammontare superi il quinto del capitale sociale è, in realtà, una riserva particolarmente caratterizzata sotto un duplice profilo: a) la parte sino al quinto si deve considerare riserva legale vera e propria e, pertanto, soggetta alla disciplina prevista dalla legge (cfr. 2430 c.c.); b) l'eccedenza rispetto al quinto – che è comunque riserva, ma non legale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2430 c.c. in quanto la sua fonte non è la legge – non ha la funzione sopra considerata.

Si tratta pur sempre di una riserva (rectius: di una parte di riserva) voluta dall'assemblea o dallo statuto, la cui destinazione, ossia il suo essere destinata a svolgere un ruolo sovrapposto a quello della riserva legale, può essere in ogni tempo rimosso dall'organo che ne ha la sovranità. Se ne può desumere che, qualora l'eccedenza rispetto al quinto sia stata fissata dall'assemblea (o dalla decisione dei soci) in sede di approvazione del bilancio, ben potrà il medesimo organo rimuovere la «funzione» impressa a tale eccedenza, secondo le regole e le maggioranze necessarie, utilizzando la detta eccedenza in ragione di obiettivi ritenuti più adeguati alle esigenze sociali.

Ove, al contrario, l'eccedenza sia fissata da una clausola statutaria, muovendo dalla considerazione che ci si trova in presenza di una riserva o, meglio, di una porzione di riserva non assimilabile a quella legale, si deve condividere l'assunto della sua disponibilità, non senza sottolineare l'esigenza di un'ulteriore precisazione.

Invero, nell'ultima ipotesi al vaglio, l'eccedenza risulta il frutto di una destinazione statutaria, la cui rimozione non può che seguire le regole enunciate in precedenza per la modifica o la soppressione della destinazione fissata in statuto per le riserve munite di scopi specifici.

Il regime delle riserve da fair value per le imprese IAS adopter

Nel quadro dei principî contabili internazionali, il problema della rilevazione nell'ambito dei risultati di periodo anche di componenti di reddito non realizzate che derivano da variazioni di valore delle attività assume un rilievo assai più ampio e significativo rispetto alla disciplina nazionale proprio per l'intrinseca natura di questo sistema di regole volto a rappresentare il valore effettivo del complesso aziendale e la performance complessiva della gestione, senza interessarsi della distribuibilità o meno degli utili che emergono.

Al fine di rendere coerente questo impianto di regole contabili con la funzione organizzatrice propria del bilancio d'esercizio nel nostro ordinamento, il d.lgs. n. 38/2005, nel prevedere per alcune tipologie di imprese l'obbligo o la facoltà di redigere il bilancio d'esercizio in base ai principî contabili internazionali IAS/IFRS, ha delineato un trattamento di diritto societario articolato che intende sempre sterilizzare ai fini della determinazione del reddito distribuibile o utilizzabile per altri fini le plusvalenze di natura valutativa rilevate in bilancio ma non realizzate.

Una ricognizione delle scelte societarie compiute con tale disciplina è funzionale ad avere un quadro sulle coerenze e incoerenze con le novità introdotte dal d.lgs. n. 139/2015 dove quest'ultimo prevede la formazione di poste di netto che discendono non da atti di natura realizzativa ma da atti di natura valutativa mutuando prassi dei principî internazionali.

Per quanto riguarda la natura delle riserve da fair value, per la dottrina, poiché coprono le perdite prima del capitale, esse sono da considerare vere e proprie riserve e non di mere poste correttive (come nel caso in cui tali riserve non fossero state disponibili per alcun utilizzo). Sotto un profilo sostanziale, queste riserve, se pure derivanti da plusvalenze di natura valutativa (e quindi meno certe rispetto a quelle formate con atti di natura realizzativa) corrispondono a valori esistenti al momento in cui si formano.

Se tale opinione è pacifica per le riserve da plusvalori da fair value che transitano per il conto economico, la questione è discussa per quelle riserve da fair value che si formano mediante imputazione diretta a patrimonio netto, senza transito per conto economico, ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 38/2005. In particolare la dottrina si chiede se queste riserve possano essere utilizzate a copertura perdite e se siano da considerare riserve o mere poste correttive. Per un certo orientamento si tratta di vere e proprie riserve che possono essere utilizzate a copertura perdite. Per un altro orientamento, invece, si tratta di mere poste correttive che non possono essere utilizzate a copertura perdite.

Bibliografia

Aa.Vv., art. 2423-2435 ter – Bilancio, Commentario del Codice Civile, a cura di M. Irrera, Bologna, 2022; Aa.Vv., Il bilancio di esercizio. Profili aziendali, giuridici e principi contabili, a cura di Palma, Milano, 2022; Aa.Vv., Principi contabili internazionali: temi e applicazioni, Torino, 2023; Assonime, Il nuovo bilancio di esercizio delle imprese che adottano i principi contabili nazionali: profili civilistici e fiscali, Circolare n. 14 del 21 giugno 2017; Balzarini, Artt. 2430 c.c., in Obbligazioni-Bilancio, a cura di Notari e Bianchi, in Commentario alla riforma del diritto societario, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006; Bussoletti, L’influenza degli IAS/IFRS/IFRS su determinazione degli utili e impiego delle riserve, in IAS/IFRS La modernizzazione del diritto contabile in Italia, in Quad. giur. comm. 2007, 189;Cagnasso, Racugno, De Angelis, Il bilancio d’esercizio, Il codice civile. Commentario, Milano, 2018; Fortunato, Le valutazioni per il bilancio: possibili sviluppi, in Giur. comm. 2015, n. 1; Giunta, Pisani, Il bilancio, 2023; Mambriani, Racugno, Bilancio e libri sociali. Gruppi di società, Milano, 2019; Quagli, Bilancio diesercizio e principi contabili, Torino, 2023; Riccomagno, Il bilancio d’esercizio e il bilancio consolidato dopo il d.lgs. n. 139/2015 secondo l’interpretazione dei principi contabili nazionali e internazionali, Padova, 2017; Sarcone, La formazione del bilancio annuale, Milano, 2016; Savioli, Il bilancio di esercizio secondo i principi contabili nazionali, Milano, 2017; Sottoriva, La riforma della redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato, Milano, 2014; Strampelli, Del bilancio, in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2017; Strampelli, Diritto contabile, Milano, 2022; Strampelli, Diritto contabile, Milano, 2022; Superti Furga, Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa italiana, Milano, 2017; Venuti, I principi ispiratori della nuova disciplina dei bilanci societari, in Giur. comm. 2016, I.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario