Codice Civile art. 2437 quinquies - Disposizioni speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati (1) (2).Disposizioni speciali per le società con azioni quotate in mercati regolamentati (1) (2). [I]. Se le azioni sono quotate in mercati regolamentati (2) hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso alla deliberazione che comporta l'esclusione dalla quotazione. (1) V. nota al Capo V. (2) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153. InquadramentoL'art. 2437- quinquies c.c. è norma coerente con il sistema complessivo di exit dalla società, perché garantisce a coloro che non abbiano votato a favore di una decisione che, attraverso l'esclusione della società dalla quotazione, determina una maggiore difficoltà in futuro di vendere le azioni, di uscire dalla società mediante recesso (Notari, 533). Per tutte le tipologie societarie, sono aumentate le ipotesi legali di recesso, sia inderogabili che derogabili (più precisamente queste ultime hanno fatto per la prima volta la loro comparsa). Se però si prendono in considerazioni solo quelle inderogabili (perché le altre sono eliminabili dall'autonomia privata) e si riflette sul fatto che si tratta di ipotesi tutte «controllabili» nel loro verificarsi da parte della maggioranza, si può giungere alla conclusione che, per quanto riguarda le s.p.a. chiuse e le s.r.l., non è corretta l'affermazione, che può derivare da un'analisi superficiale delle norme della riforma, secondo cui le ipotesi di exit sono senz'altro aumentate. Ponendo infatti vincoli alla circolazione delle azioni, al contempo riducendo al minimo le ipotesi di recesso, e avendo cura di non provocare alcuna delle ipotesi che lo legittimano, è oggi possibile dar vita a s.p.a. o a s.r.l. molto più chiuse che in passato, e in cui la maggioranza, anche nelle s.p.a., ha la possibilità di impedire per un periodo lungo fino a cinque anni l'uscita del socio, ferma però restando la facoltà di exit tramite recesso al momento dell'introduzione dei vincoli. Proprio quest'ultimo punto, oltre a costituire l'architrave su cui si regge l'intera disciplina del recesso, costituisce il punto di contatto più forte tra le (pur distanti) discipline delle società quotate in mercati regolamentati e di quelle chiuse: la volontà di attrarre investimenti garantendo al socio investitore che non ci siano «sorprese» quanto ad un suo eventuale exit (Delli Priscoli, 156; Di Cataldo, 114). Le società quotate in mercati regolamentati costituiscono dunque una tipologia di s.p.a. per certi versi molto più distante dalle s.p.a. chiuse, di quanto non lo siano quest'ultime rispetto alle s.r.l. Si è infatti attribuita all'autonomia privata, nelle società di capitali chiuse, da un lato la possibilità di allargare moltissimo le ipotesi di exit, cui discende il pericolo di depatrimonializzazione della società (si pensi alla previsione del recesso nel caso di società costituita a tempo indeterminato); dall'altro però anche di limitarle notevolmente, venendo incontro alle possibili esigenze di mantenere inalterata la compagine sociale (Spolidoro, 406; Delli Priscoli, 228). Sia l'opportunità lasciata all'autonomia statutaria di consentire il recesso in una molteplicità di casi, sia quella di rendere difficile la circolazione delle partecipazioni, pur costituendo strumenti sostanzialmente opposti, possono avere lo stesso scopo finale, a seconda delle esigenze del caso concreto, di incentivare l'investimento nella società: da un lato infatti può essere consigliabile, per attrarre finanziamenti, garantire la possibilità di poter disinvestire se del caso; dall'altro si dà la possibilità di assicurare la permanenza nella società di soci la cui persona può costituire motivo di richiamo per altri investitori M. Stella Richterjr., 398; Delli Priscoli, 138). La facoltà attribuita all'autonomia privata di individuare nuove ipotesi di recesso, e in particolare la previsione della possibilità di recedere (salvo diversa previsione dell'atto costitutivo) in caso di società costituita a tempo indeterminato, rendono ineludibile il problema relativo a quale rapporto debba stabilirsi tra l'ambito lasciato all'autonomia privata e norme inderogabili poste a tutela del capitale sociale (Daccò, 100; Notari, 535). La ridotta differenza tra società quotate e s.p.a. «chiuse» quanto alle possibilità di exit del socioLa riforma, rispetto alla normativa precedente, ha chiaramente spostato la bilancia a favore dell'autonomia privata, ma ciò non toglie che alcuni inderogabili capisaldi a tutela del capitale sociale sono rimasti anche per la società a responsabilità limitata e per la società per azioni «chiusa». È vero che la s.r.l. può modellarsi sulla falsariga di una s.p.a. o di una società di persone a seconda della volontà dei soci, ma la s.r.l. conserva tuttavia i pilastri fondamentali delle società di capitali: la tendenziale libera cedibilità della quota (ovverosia senza necessità di modificare il contratto sociale), il principio maggioritario (che non sembra essere intaccato dagli strumenti alternativi di raccolta del consenso dei soci e dalla denominazione di «decisioni» e non di «deliberazioni» per quanto riguarda la volontà dei soci stessi) e soprattutto la responsabilità limitata dei soci, che significa che la garanzia dei terzi è rappresentata esclusivamente dalla consistenza del patrimonio sociale. In effetti, sembra che la società a responsabilità limitata possa piegarsi al modello della società di persone per la gestione della società, non anche per le tutele riguardanti il capitale sociale, e dunque per quanto riguarda l'eventuale depatrimonializzazione che può nascere dal procedimento di recesso (De Nova, 336; Meli, 366). Pertanto, pur essendosi giunti alla conclusione che va escluso per tutte le società di capitali il carattere eccezionale delle norme in tema di recesso, va valutata con rigore, in particolare nelle società per azioni, la sussistenza degli altri elementi indispensabili per procedere all'analogia, ovverosia l'eadem ratio e l'esistenza di un vuoto normativo. L'elenco dettagliato e analitico delle cause di recesso, sia nelle società per azioni che in quelle a responsabilità limitata, deve rendere particolarmente «diffidente» l'interprete dal credere di aver individuato un vuoto normativo; inoltre la previsione legale o statutaria delle ipotesi del recesso, rendendo visibile e controllabile nei confronti dei terzi le possibili cause di uscita dei soci dalla società, pone l'eventuale circostanza per la quale si sia riconosciuta l'esistenza di un vuoto normativo, e astrattamente portatrice della stessa ragione giustificatrice di un'altra ipotesi invece espressamente prevista, su un piano di non automatica assimilabilità a questa, per la diversa e minore pubblicità che della circostanza stessa quale causa legittimante il recesso possono avere i terzi (Spolidoro, 405; Delli Priscoli, 221). Occorre a questo punto procedere ad una distinzione tra s.p.a., anche quotate in mercati regolamentati, ove la tutela dei creditori sociali è interamente affidata alla capienza del patrimonio sociale, e s.r.l., dove alla regola formale della responsabilità limitata al solo capitale sociale si affianca una rilevanza più o meno accentuata della persona dei soci, che pesa in maniera significativa nella valutazione dei terzi circa la solvibilità della società stessa (Delli Priscoli, 154; Di Cataldo, 113). Nelle s.p.a. dunque le maggiori esigenze di tutela del capitale sociale e il maggior dettaglio con cui il legislatore ha posto le norme non permettono l'analogia, perché il reticolo composto da norme imperative, autonomia privata e norme dispositive non sembra lasciare spazi; nelle s.r.l. invece la minore importanza rivestita dal capitale sociale e le maglie più larghe adoperate dal legislatore nel disegnarne la disciplina consentono di individuare, pur con i dovuti distinguo, delle ipotesi in cui l'analogia è possibile: in particolare si ritiene in caso di sussistenza di una giusta causa e di trasformazione eterogenea. In effetti, significativa novità della riforma è quella consistente nell'aver dotato le s.r.l. di un'autonoma disciplina del recesso, che non rinvia più dunque, come in passato, a quella delle s.p.a. (De Nova, 337; Meli, 367). L'omogeneità funzionale tra alienazione delle azioni e recessoEsiste dunque una omogeneità funzionale tra alienazione delle azioni e recesso, nel senso che entrambe tali operazioni consentono un exit al socio, e dunque un disinvestimento della propria partecipazione societaria. In effetti, l'interdipendenza fra istituti apparentemente lontani quali recesso e alienazione di azioni si coglie già da un sommario raffronto fra la disciplina delle s.p.a. quotate e quella delle non quotate. Infatti, quando, come nel caso delle società quotate, sia più facile l'alienazione delle azioni, la disciplina del recesso è più restrittiva, mentre nelle società non quotate, ove l'alienazione delle azioni può comportare maggiori difficoltà, è dato più spazio all'istituto del recesso, potendo l'autonomia statutaria individuare ulteriori ipotesi di recesso rispetto a quelle già previste dalla legge. L'esempio più evidente è costituito dal recesso dalle società costituite a tempo indeterminato (cfr. art. 2437, comma 3, c.c.): tale facoltà è negata al socio di una società le cui azioni sono quotate su un mercato regolamentato, ove si presume che l'exit possa agevolmente essere garantita dall'alienazione delle azioni sul mercato. Con l'ampliamento dei casi di recesso ad opera della riforma introdotta con il d.lgs. n. 6/2003, le società non quotate sono dunque diventare concorrenziali, quanto ad attrattiva per i finanziatori, con le società quotate in mercati regolamentati (Stella Richterjr., 403; Delli Priscoli, 136). Un dato che caratterizza la riforma è inoltre quello dell'omogeneità funzionale di recesso e vincoli che si possono apporre alla circolazione delle partecipazioni e della necessità di una valutazione globale delle due discipline, che si intersecano tra loro e solo se unitariamente considerate offrono il quadro completo delle effettive possibilità di exit dalla società, sia con riferimento alla disciplina di carattere imperativo sia con riguardo agli spazi lasciati all'autonomia privata. La nuova disciplina legale e inderogabile dell'exit offre al socio, in caso di limitazioni alle possibilità di uscita della società (derivanti da modifiche ai vincoli alla circolazione delle partecipazioni o da mutamenti della ipotesi che autorizzano il recesso) sempre la possibilità del recesso, la cui funzione è dunque sempre quella di attrarre finanziamenti impedendo il rischio che il socio possa diventare «prigioniero della società». Al contempo però una visione unitaria di recesso e disciplina dell'alienazione delle partecipazioni è necessaria anche per rispondere all'interrogativo riguardante il se siano aumentate o meno le cause legittimanti l'exit dalle società di capitali. Il significativo allargamento della possibilità di imporre limitazioni alla circolazione delle partecipazioni sociali si pone infatti in apparente contraddizione con l'aumento dei casi di recesso, perché sembrerebbe che da un lato si sia voluto rendere più facile l'exit, e dall'altro lo si sia reso più complicato. È infatti oggi possibile prevedere, per le s.p.a. chiuse e per quelle a responsabilità limitata, vincoli assai significativi alla circolazione delle partecipazioni, ancor più incisivi nella tipologia a responsabilità limitata, anche se è la prima ad aver subito le maggiori novità, tanto che si è affermato che il principio di libera trasferibilità delle azioni può dirsi oggi dotato di una valenza meramente dispositiva (De Nova, 336; Meli, 366). A tale proposito, il secondo comma dell'art. 2355-bis c.c., dettato in tema di s.p.a., stabilisce che «le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il recesso dell'alienante.... Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'art. 2437-ter». Secondo il primo comma dell'art. 2355-bis c.c., dettato a proposito delle s.p.a., «nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento....» (Stella Richterjr., 403; Delli Priscoli, 136). Si ritiene che di tale norma non siano destinatarie le s.p.a. «aperte» (ovverosia quelle che l'art. 2325-bis c.c. definisce «società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio»). Infatti le s.p.a., per essere ammesse alle quotazione nei mercati regolamentati, non possono prevedere nei loro statuti vincoli alla circolazione delle azioni. Per quanto riguarda l'altra tipologia di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ovverosia, secondo il dettato dell'art. 2325-bis c.c., le società diffuse tra il pubblico in maniera rilevante, si ritiene che, pur in assenza di un esplicito divieto, i vincoli alla circolazione delle azioni siano ontologicamente estranei a tutte le s.p.a. «aperte», perché non può farsi appello al pubblico risparmio limitando nello stesso tempo la circolazione delle azioni. Inoltre sarebbe contraddittorio che la legge abbia prima all'art. 2325-bis c.c. volutamente assimilato «ai fini dell'applicazione del presente capo» (ovverosia quello sulle s.p.a.) nell'unica definizione di «società che fanno ricorso al capitale di rischio» le società quotate in mercati regolamentati e quelle diffuse tra il pubblico in misura rilevante e abbia poi deciso di introdurre all'art. 2355-bis una differenziazione, su un tema, quello dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari, peraltro decisivo ai fini della attribuzione della qualifica di società «aperta» (Delli Priscoli, 134; Di Cataldo, 116). L'omogeneità funzionale di recesso e alienazione delle partecipazioni costituisce un ulteriore argomento a favore dell'opportunità di una distinzione tra s.p.a. e s.r.l. quanto alla possibilità di procedere all'analogia: la circolazione delle partecipazioni rimane infatti forte nelle s.r.l., mentre nelle s.r.l. la circolazione si può limitare in maniera estremamente incisiva. Da ciò consegue che la maggiore facilità di alienazione nelle s.p.a. (specie se aperte al mercato) rende per questa tipologia societaria le norme in tema di recesso di stretta interpretazione: l'analogia è formalmente possibile, perché non si tratta di norme eccezionali, ma sarà difficile trovare un vuoto di tutela (l'impossibilità di vendere la partecipazione) che permetta di rinvenire un'identità di ratio (l'impossibilità di uscire dalla società) che giustifichi l'applicazione analogica (Meli, 367, Notari, 536). BibliografiaCalandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, 317; Callegari, Commento all'art. 2437-ter c.c., in Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, II, 2, 1420; Daccò, Il recesso nelle s.p.a., in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010; Delli Priscoli, L'uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005; Demuro, La determinazione della quota di liquidazione del socio receduto, in Giur. comm. 2011, II, 139; De Nova, Il diritto di recesso del socio di società per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv. 2004, 333; Di Cataldo, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto della società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 3, Torino, 2006; Meli, Commento all'art. 2355-bis c.c., in Società di capitali a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, I, Napoli, 2004, 363; Notari, Il recesso per esclusione dalla quotazione nel nuovo art. 2437-quinquies c.c., in Riv. dir. comm., 2004, I, 529; Spolidoro, Questioni in tema di recesso dalle società di capitali a margine di un libro recente, in Riv. soc. 2012, 403; Stella Richter jr, Diritto di recesso ed autonomia statutaria, in Riv. dir. comm. 2004, I, 395. |