Codice Civile art. 2474 - Operazioni sulle proprie partecipazioni (1).

Guido Romano

Operazioni sulle proprie partecipazioni (1).

[I]. In nessun caso la società può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni proprie, ovvero accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto o la loro sottoscrizione.

(1) V. nota al Capo VII.

Inquadramento

La norma – di natura certamente imperativa – sancisce il divieto, penalmente sanzionato (art. 2628 c.c.: v.), di compiere operazioni sulle proprie partecipazioni. La riforma del diritto societario non ha apportato modifiche sostanziali rispetto al previgente art. 2483, essendo stato soltanto sostituito il termine di «quote» con quello di «partecipazioni».

Si vuole, in primo luogo, evitare che la società divenga socia di se stessa (Zanarone, 888; Tanzi, 1564).

Per come si legge nella relazione al codice civile (n. 1011, ancora attuale, attesi i mutamenti minimali intervenuti), la ratio del divieto – formulato in modo ancora più rigido rispetto alle società per azioni (art. 2357-bis c.c.) dove l'acquisto di azioni proprie è consentito seppure a determinate condizioni e nel rispetto di particolari procedure – consiste nell'esigenza di «vietare che la società possa speculare sulle partecipazioni dei propri soci o garantirsi con essa, quando l'acquisto di esse si risolverebbe in una prematura restituzione del capitale sociale».

Per parte sua, la dottrina (per una ricognizione critica delle posizioni, Speranzin, Miotto, 526) ha posto, a fondamento della norma: la garanzia della integrità del capitale sociale (Portale,Dolmetta, 706; Piccinini, 312) sotto il duplice profilo della corrispondenza effettiva tra valore dei conferimenti e capitale sociale e della necessità di evitare che l'operazione sia utilizzata al fine di eseguire restituzioni in favore ai soci senza una formale riduzione del capitale; l'interesse a che le risorse di cui la società dispone, a titolo di conferimento, non siano distolte dalla destinazione all'attività di impresa (D'Alessandro, 1019); l'esigenza della parità di trattamento dei soci, che impone di evitare che alcuni ottengano rimborsi preferenziali o che siano alterati i rapporti partecipativi; la garanzia della corretta formazione della volontà sociale, assicurando la neutralità della società nella determinazione della compagine sociale (Tanzi, 1557, che evidenzia la necessità di evitare che gli amministratori «favoriscano alcuni partecipanti a scapito di altri o compiano manovre sulle partecipazioni al fine di alterare gli equilibri assembleari o influire sull'eventuale valore di scambio delle stesse»; Zanarone, 904; Piccinini, 314).

Secondo un orientamento dottrinale, poi, il divieto servirebbe ad evitare che, in assenza nelle società a responsabilità limitata dell'incorporazione della partecipazione in un titolo di credito, l'acquisto di partecipazioni proprie da parte della società comporti l'estinzione, per confusione, della veste di debitore e creditore, del rapporto sociale relativamente a tali partecipazioni essendo inammissibile il permanere di un rapporto della società con sé medesima (Zanarone, 888). In senso contrario è stato, però, osservato che nelle società per azioni che non abbiano emesso titoli non è comunque precluso l'acquisto di azioni proprie (Tanzi, 1564), e, da altra dottrina (Speranzin, Miotto, 528), che l'esistenza di titoli incorporanti la partecipazione sociale è ipotesi meramente eventuale; sono numerosi i casi in cui la concentrazione in un solo soggetto del lato attivo e del lato passivo dell'obbligazione non determina l'estinzione dell'obbligazione (sul punto, anche Di Rienzo, 174); l'estinzione per confusione può configurarsi l'effetto delle operazioni e non già la ragione del divieto.

In questa prospettiva, il divieto è stato quindi spiegato evidenziando come il pagamento del prezzo comporterebbe una restituzione del capitale sociale (recte: dei conferimenti) che comprometterebbe l'integrità del capitale ledendo i diritti dei creditori.

Il divieto di acquistare partecipazioni proprie. Il divieto di sottoscrizione.

Secondo una parte della dottrina, la dizione della norma e l'espressione ivi contenuta («in nessun caso») impedisce di ridurre la portata e l'ambito di applicazione del divieto (Speranzin, Miotto, 530; Tanzi, 1559; Piccinini, 319; Zanarone, 891, che giustifica tale conclusione sulla base della inammissibilità, in via di principio, che la società divenga socia di se stessa). In questa prospettiva, la norma si riferirebbe a qualsiasi vicenda che conduca la società ad assumere la proprietà delle sue partecipazioni, anche se l'operazione non comporti alcun esborso a carico dell'ente, e, dunque: agli acquisti a titolo derivativo (trasferimento spontaneo o forzoso della quota dal socio alla società) oppure originario (sottoscrizione di proprie quote); agli acquisti onerosi oppure gratuiti; agli atti tra vivi oppure per successione mortis causa; alla fusione ed alla scissione (Zanarone, 891). Si evidenzia, peraltro, che la disciplina in commento è il frutto di una precisa scelta di politica legislativa con la quale sono tratteggiati i tratti tipologici della s.r.l. in contrapposizione alla disciplina della s.p.a., con la conseguenza che è preclusa, in radice, l'applicazione analogica alla società a responsabilità limitata delle norme sulle azioni proprie (Speranzin, Miotto, 536). Ricadono, inoltre, nel divieto l'acquisto di quote proprie effettuato per interposta persona e l'acquisto di quote della controllata compiute dalla controllante (Speranzin, Miotto, 537; contra, Zanarone, 895).

Altra dottrina, al contrario, appare più liberale ed ammette che il divieto non venga in rilievo allorquando l'operazione non sia comunque lesiva degli interessi tutelati dalla norma (Piccinini, 312; Di Rienzo, 198) e, precisamente, quando non comprometta l'integrità del capitale sociale ledendo i diritti dei creditori. In questa prospettiva, il divieto non opererebbe in caso di trasferimento a titolo gratuito, sia per atto tra vivi che mortis causa, di quote completamente liberate, non essendo ravvisabile una restituzione del capitale (Salafia, 1059; Santini, 434, che, peraltro, evidenzia come, equivalendo la donazione ad un recesso, seguito da rinunzia alla quota di liquidazione, la sostanza dell'atto rimarrebbe salva tutte le volte che fosse esercitabile il recesso; De Sandoli, 1938).

È, però, pacifico che, sebbene la norma parli soltanto di acquisto di quote proprie, il divieto si riferisca anche alla sottoscrizione delle proprie partecipazioni (Tanzi, 1563; Santini, 435; Speranzin, Miotto, 537; De Sandoli, 1937).

Deve ritenersi, poi, illecito anche l'acquisto finalizzato alla riduzione del capitale sociale (Tanzi, 1561; De Sandoli, 1939).

Dovrebbero ricadere nel divieto, nonostante la norma non riproduca il disposto di cui all'art. 2357 u.c., anche gli acquisti fatti per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona (e, quindi, previa stipulazione da parte della società di un mandato senza rappresentanza, o di altro analogo negozio che impegni il mandatario ad acquistare, in nome proprio ma per conto della società, le quote della società mandante) (così, Zanarone, 894, il quale, tuttavia, esclude che tra le persone interposte possa annoverarsi la società controllata, in quanto gli acquisti che quest'ultima faccia della controllante sono perfettamente leciti nei limiti dell'art. 2359-bis c.c.: v. pure supra).

Discusso, infine, l'acquisto di proprie quote a seguito di fusione o scissione: la prevalente dottrina ha ritenuto legittima l'ipotesi in cui una società a responsabilità limitata incorpori una società che possiede una quota della predetta incorporante, anche tenendo conto che i benefici che alla stessa possono derivare dall'operazione appaiono idonei a superare i rischi per l'integrità del suo capitale (Salafia, 1060; Di Rienzo, 168; contra,Zanarone, 893).

Secondo una parte della giurisprudenza, la disposizione in esame non osta a che la società possa vendere le quote del socio quali beni altrui, ai sensi dell'art. 1478 c.c., ossia assumendo l'obbligo di procurarne l'acquisto al compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore stesso di dette quote evita, nel momento in cui siano conseguite dalla società, che questa divenga «partecipazione di se stessa», con pregiudizio della consistenza del capitale (Cass. n. 796/2000; Cass. n. 13123/1992; critico in ordine a tale giurisprudenza, Zanarone, 892, nt. 21; Tanzi, 1564, secondo il quale la violazione del divieto consegue all'acquisto indipendentemente dal tempo della sua permanenza nel portafoglio della società).

Tale principio è stato, recentemente, ripreso dalla giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 21 novembre 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it), secondo la quale la società può assumere l'obbligo di procurare l'acquisto al compratore, dato che l'automatismo e l'immediatezza del trasferimento al compratore stesso di dette quote evita, nel momento in cui esse siano conseguite dalla società, che quest'ultima divenga «partecipante di se stessa» con evidente pregiudizio della consistenza del capitale sociale. Di conseguenza, la vendita, in entrambe le forme di cui all'art. 1478 c.c. (o tramite acquisto della proprietà della cosa del terzo oppure mediante vendita diretta da parte del terzo quando tale trasferimento sia l'effetto dell'attività svolta dal venditore per adempiere al suo obbligo), delle quote appartenenti ai propri soci, da parte di una s.r.l., di per sé non viola il divieto previsto dall'art. 2474 c.c. ed è, pertanto, astrattamente valida, dovendosi verificare caso per caso se ed in quali termini il regolamento negoziale si ponga in effettivo e concreto contrasto con la ratio della suddetta norma imperativa.

Tuttavia, l'orientamento ora espresso si espone ad alcune perplessità in quanto – a fronte di una manovra strumentale degli amministratori della società – i soci potrebbero essere sostanzialmente stretti nella morsa dell'alternativa tra assecondare la cessione stipulata dalla società e, quindi, cedere la propria quota eventualmente a prezzo iniquo (o comunque inferiore all'effettivo valore) oppure non procedere alla vendita e vedersi ridotto il patrimonio sociale in ragione del pagamento del risarcimento o della caparra. Pertanto, la decisione del Tribunale capitolino opportunamente precisa che il regolamento negoziale di vendita di quote di s.r.l., da parte della società a responsabilità medesima, quale ipotesi di vendita di cosa altrui, si pone in violazione con il disposto dell'art. 2474 c.c., laddove contenga al suo interno la previsione di una caparra confirmatoria. Tale clausola, infatti, viola la citata norma la quale impone alla società di non compiere operazioni (acquisto, prestazione di garanzia, ecc.) che incidano – come per l'appunto accade nel caso della caparra confirmatoria – sulla integrità del capitale sociale. La previsione contrattuale della corresponsione di una somma a titolo di caparra confirmatoria e la previsione di legge della condanna al pagamento del doppio in caso di inadempimento possono, invero, comportare una incidenza negativa sul capitale sociale.

La concessione di garanzie.

La norma in commento fa divieto alla società di accettare in garanzia partecipazioni proprie ovvero di accordare o fornire garanzie per il loro acquisto o la loro sottoscrizione.

Attesa l'assolutezza del divieto, esso si applica a qualsiasi operazione, non solo finanziaria, e rispetto a qualsiasi tipo di accordo che abbia funzione di garanzia (Portale, Dolmetta, 705, che spiegano una simile conclusione con la ratio del divieto consistente nella tutela dell'integrità del patrimonio sociale). È stato osservato che (Cincotti, 1104) la portata del divieto, inteso nella sua accezione più ampia, comprende qualsiasi operazione posta in essere dalla società al fine di rendere meno oneroso, sotto il profilo finanziario, l'acquisto o la sottoscrizione di azioni o quote, mediante finanziamenti diretti, anticipazioni, ovvero garanzie. Dunque, rientrano nel perimetro di applicabilità della norma non solo i prestiti direttamente effettuati ai soci, ma anche qualsiasi pagamento da parte della società all'acquirente-sottoscrittore che, pur dovuto, non è ancora esigibile, ovvero la stipula di un negozio tra la società e l'acquirente-sottoscrittore che preveda un corrispettivo eccessivo, laddove il pagamento anticipato o eccessivo rappresentano appunto un'assistenza finanziaria (Partesotti, 474; Speranzin, Miotto, 543).

Sono ricomprese nel divieto la costituzione di pegno e di ipoteca, la fideiussione, l'accollo, l'avallo (Portale-Dolmetta, 705) e gli altri atti che comportano un sostanziale effetto di garanzia (riporto, girata in garanzia) (De Sandoli, 1943).

In giurisprudenza, è stato affermato che il divieto di accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di proprie partecipazioni non trova applicazione nell'ipotesi in cui la società, nell'ambito di un accordo transattivo, rinunci a perseguire ulteriormente una pretesa creditoria litigiosa nei confronti dell'acquirente o del sottoscrittore a fronte dell'impegno assunto da questi di sottoscrivere un aumento di capitale della medesima società: in tale ipotesi, infatti, diversamente da quanto accade in caso di rinuncia ad un credito certo, l'aumento di capitale non si concretizza in un apporto proveniente in sostanza dal patrimonio della società stessa, senza immissione di ricchezza nuova da parte del sottoscrittore, non potendosi porre la rinuncia ad una mera possibilità (l'esito vittorioso della lite) sullo stesso piano della mancata acquisizione di un valore patrimoniale sicuramente esistente (Cass. n. 17936/2009).

In caso di cessione delle quote di una società a responsabilità limitata, la società medesima, che è estranea rispetto al debito del socio acquirente per il pagamento del prezzo della cessione, non può validamente assumere garanzia fideiussoria per tale obbligazione, alla stregua del divieto di acquistare o ricevere in pegno le proprie quote, fissato dall'art. 2483 c.c. (Cass. n. 4540/1981). Inoltre, sempre in caso di cessione di quote di s.r.l., la società non può validamente accollarsi il pagamento dovuto da chi ha acquistato le quote della stessa (Cass. n. 4916/1984; Cass. n. 9194/2004).

Infine, dubbi sono in passato sorti con riferimento alle operazioni di merger leveraged buy-out laddove il patrimonio della società acquisita può rappresentare una garanzia generica per la restituzione dei debiti contratti per l'acquisizione, così violando il divieto posto dalla norma in esame, per il tramite della frode alla legge. Tuttavia, già la legge delega per la riforma del diritto societario (art. 7 l. 3 ottobre 2001, n. 366) stabiliva «le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, non comportano violazione del divieto di acquisto e di sottoscrizione di azioni proprie, di cui, rispettivamente, agli artt. 2357 e 2357-quater del codice civile, e del divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile» (norma ritenuta applicabile anche all'art. 2474 sebbene non direttamente richiamato). Oggi, l'art. 2501-bis disciplina espressamente, ammettendolo, il caso di fusione tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra, quando per effetto della fusione il patrimonio di quest'ultima viene a costituire garanzia generica o fonte di rimborso di detti debiti (sull'argomento, diffusamente, De Sandoli, 1945).

L'assunzione solidale di una obbligazione, commisurata all'ammontare del rideterminato debito dell'acquirente di quote sociali, derivante da un ampio accordo di transazione e riguardante una pluralità di rapporti contrattuali e di soggetti, tra cui anche la società le cui partecipazioni erano oggetto del contratto di cessione, non può essere considerata come mera prestazione di garanzia o di accollo del debito derivante dalla vendita delle quote, come tale vietata dal disposto dell'art. 2474 c.c. (Trib. Roma, 20 marzo 2013, in giurisprudenzadelleimprese.it.; il medesimo arresto precisa che l'accordo di transazione che coinvolge più società, tutte legate da rapporti contrattuali con il cedente della partecipazione sociale, ha, infatti, certamente efficacia novativa rispetto ad essi; pertanto, ai debiti derivanti dalla transazione stessa non può attribuirsi la funzione di mero accollo della originaria obbligazione relativa al pagamento del prezzo della cessione delle quote sociali, rideterminato nel suo ammontare).

Perché nel negozio transattivo, con cui una società di capitali rinuncia ad una pretesa creditoria nei confronti di un'altra e questa sottoscrive un aumento di capitale della prima, si possa configurare uno dei negozi vietati dall'art. 2483 c.c. prev. (oggi, art. 2474 c.c.) e si possa, quindi, applicare coerentemente la sanzione di nullità per frode alla legge, occorre dimostrare l'esistenza del credito rinunciato e la contestualità dell'operazione di finanziamento (strumentale alla sottoscrizione dell'aumento, di capitale), effettuata in funzione di scambio con la rinuncia medesima (App. Milano, 18 giugno 2004, in Soc., 2004, 1259).

Le conseguenze della violazione del divieto.

Secondo la dottrina nettamente prevalente, in ragione della contrarietà a norme imperative del contratto di acquisto o della costituzione in garanzia, la violazione del divieto viene sanzionata con la nullità – assoluta ed insanabile – dell'atto compiuto (Speranzin,Miotto, 545): dalla nullità conseguirebbe poi la sopravvivenza del rapporto sociale e l'obbligo delle reciproche, eventuali, restituzioni (Santini, 435; Partesotti, 478; Zanarone, 908).

Non è, infatti, ammissibile che l'art. 2474 ponga soltanto un limite al potere degli amministratori o alla capacità dell'ente (Santini, 436; Patroni Griffi, 521). Si evidenzia (Speranzin, Miotto, 545), poi, che le quote acquistate da società controllate in violazione della norma devono essere alienate entro un anno (se si ritiene applicabile l'art. 2359-bis) ovvero annullate e rimborsate (ai sensi dell'art. 2473).

Deve, poi, ritenersi nulla per impossibilità dell'oggetto una clausola statutaria che consenta l'esecuzione di operazioni sulle proprie quote (D'Agostino, 1209; Speranzin, Miotto, 545; Zanarone, 907).

Anche in giurisprudenza, si afferma che l'inderogabilità del principio espresso dall'art. 2474 c.c. comporta l'invalidità di ogni operazione che, comunque eseguita, tenda a conseguire risultati analoghi. Inoltre, la vendita da parte di una società a responsabilità limitata di quote di proprietà dei soci, nella forma di vendita di cosa altrui, pur se eseguita a norma dell'art. 1478, comma 2, c.c., non confligge con il divieto di acquisto di proprie quote ex art. 2483 c.c., oggi 2474 c.c. (Cass. n. 13123/1992).

Ove una società a responsabilità limitata, in violazione dell'art. 2483 c.c. (ora 2474 c.c.), si sia accollata il pagamento dovuto dall'acquirente in caso di cessione di quote, il negozio di finanziamento posto in essere dalla stessa è inficiato di nullità da cui discende un'azione di ripetizione di indebito (Trib. Salerno, 27 aprile 2010, in Vita not., 2010, I, 1423).

Deroghe al divieto.

Recentemente, il legislatore ha introdotto alcune deroghe all'assolutezza del divieto previsto dalla norma in commento. In particolare, l'art. 26 del d.l. 19 gennaio 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha stabilito – con riferimento alle PMI disciplinate dal precedente art. 25 e costituite in forma di società a responsabilità limitata – che il divieto di operazioni sulle proprie partecipazioni, previsto dall'art. 2474, non trovi applicazione qualora l'operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l'assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell'organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali.

Bibliografia

Cincotti, Sulla ratio del divieto di assistenza finanziaria, in Giur. comm. 2010, II, 1104; D'Agostino, Clausola di gradimento e acquisto di quote proprie nella s.r.l.: analisi di un caso concreto, in Soc. 2004, 1202; D'Alessandro, Rapporti di scambio tra una società ed i suoi azionisti e divieto di assistenza finanziaria per l'acquisto delle proprie azioni, in Contr. impr. 1993, 1020; Di Rienzo, Il divieto di operazioni sulle proprie quote nella società a responsabilità limitata, in Riv. soc. 1992,168; De Sandoli, Sub art. 2474, in Codice delle società, a cura di Abriani, Torino, 2016; Patroni Griffi, Le operazioni sulle proprie partecipazioni, inS.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011; Partesotti, Le operazioni sulle azioni, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 1991; Piccinini, Sub art. 2474, in Codice commentato delle s.r.l., a cura di Benazzo, Patriarca, Torino, 2006;

Portale-Dolmetta, Divieto di accettare azioni proprie o quote proprie in garanzia e casse di risparmio riformate, in Banca, borsa, tit. cred. 1989, I, 706; Salafia, Acquisto da parte di S.r.l. di quote proprie, in Soc. 1992, 1059; Santini, Sub art. 2474, in Santini, Salvatore, Benatti, Paolucci, Società a responsabilità limitata, in Comm. S.B., Bologna, 2014; Speranzin, Miotto, Sub art. 2474, Della Società - Dell'Azienda - Della Concorrenza, a cura di Santosuosso, III, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Tanzi, Sub art. 2474, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004.

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