Codice Civile art. 2476 - Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci 1 .Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci 1. [I]. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. [II]. I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. [III]. L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il provvedimento alla prestazione di apposita cauzione. [IV]. In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti. [V]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale. [VI]. Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi 2. [VII]. Le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. [VIII]. Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. [IX]. L'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale.
[2] Comma inserito dall'art. 378, comma 1, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14. Tale modifica, ai sensi dell'art. 389, comma 2, d.lgs. n. 14, cit., entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto (16 marzo 2019). InquadramentoLa riforma del diritto societario ha inteso dettare, per la società a responsabilità limitata, una disciplina autonoma in materia di responsabilità degli amministratori e, in particolare, in materia di esercizio dell'azione sociale di responsabilità. L'art. 2476 si presenta particolarmente innovativo in quanto attribuisce al singolo socio sia il diritto di controllo in ordine alla gestione della società consentendogli di ottenere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare la documentazione sociale sia il diritto di esercitare, in via concorrente con la società, l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori. Inoltre, in ragione del fatto che la nuova disciplina del tipo di società a responsabilità limitata consente ai singoli soci di ingerirsi nell'attività gestoria, la norma in commento tende ad un riequilibrio della posizione di potere di cui gode il socio con l'attribuzione di una responsabilità per gli atti dannosi che egli abbia intenzionalmente deciso o autorizzato. Il diritto di controllo dei soci.Il secondo comma della disposizione in argomento conferisce ai soci che non partecipano all'amministrazione il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. Tale diritto, che sembra ricalcare gli strumenti di controllo riconosciuti al socio di società di persone (Abriani, 603), rappresenta una delle più significative novità della riforma della società a responsabilità limitata e, per converso, di differenziazione rispetto alla società per azioni, in quanto, certamente, introduce un elemento di «personalizzazione» della società che pure rimane innestata su una struttura capitalistica. L'attribuzione del diritto di controllo in argomento rappresenta un bilanciamento dei rapporti tra soci e organo amministrativo diverso rispetto a quello che si rinviene nelle società azionarie. Infatti, la possibilità di essere pienamente informato sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i documenti attinenti alla gestione spiega una serie di peculiarità della s.r.l., quali ad es., la postergazione dei finanziamenti c.d. anomali (art. 2467), la non necessità di far conoscere al socio, in anticipo, la determinazione degli amministratori sul valore della partecipazione ai fini del recesso (art. 2473), la circostanza che il socio acquirente di titoli di debito non gode della responsabilità dell'investitore professionale (art. 2483) (Presti, 664). Più in generale, l'attribuzione di un simile diritto costituisce il portato della concezione del socio quale cointeressato alla gestione amministrativa ed imprenditoriale della società e, dunque, non indifferente rispetto all'attività degli amministratori. Peraltro, proprio l'introduzione di tale diritto giustifica il venire meno nel nuovo sistema della denunzia di fondato sospetto di gravi irregolarità ex art. 2409 (Presti, 651). Il diritto di controllo, che prescinde dalla presenza o meno dell'organo di controllo (Angelillis, Sandrelli, 695; Buta, 590), è esercitato dal socio nel suo esclusivo interesse non essendo previsto in funzione della tutela di interessi di terzi o della società (sul punto, Presti, 651 ss.; Zanarone, 1106; Abriani, 602 che precisa che la scelta legislativa si inquadra nella più generale scelta operata dalla riforma di privatizzare il controllo; così anche Paulucci, 474) potendo essere utilizzato anche strumentalmente rispetto all'esercizio esercizio consapevole dei diritti connessi alla quota (voto assemblea, partecipazione ad aumento di capitale, esercizio del diritto di opzione, impugnativa assemblea). Consegue che non è previsto un obbligo di motivazione della richiesta che possa consentire alla società di riconoscere i contingenti obiettivi dell'iniziativa adottata dal socio (Capelli, 162). La norma, infatti, configura un vero e proprio diritto soggettivo del socio in considerazione del fatto che al diritto corrisponde un dovere di comportamento da parte della società e, per essa, da parte dell'organo amministrativo (Guidotti, 351). In giurisprudenza, si è spesso utilizzata la categoria del diritto potestativo (Trib. Roma, 15 gennaio 2015, in IlSocietario.it; Trib. Roma, 16 gennaio 2008, in Riv. not., 2009, 668; Trib. Bologna, 12 ottobre 2017, in IlSocietario.it; Trib. Biella, 18 maggio 2005, in Soc., 2006, 50). Parte della dottrina critica questo inquadramento evidenziando come, nei diritti potestativi, alla situazione soggettiva del titolare fa riscontro una posizione di mera soggezione del soggetto passivo essendo sufficiente l'iniziativa del primo perché si abbia la realizzazione dell'interesse tutelato: tali presupposti non si rinvengono nella fattispecie in esame ove la società è tenuta a determinati comportamenti di cooperazione (fornire le informazioni, mettere a disposizione la documentazione) funzionali al soddisfacimento dell'interesse del socio (Guidotti, 351). Segue. La legittimazione attiva e passiva. L'esercizio del diritto nella s.r.l. in liquidazioneLa legittimazione ad esercitare il diritto di controllo spetta al socio che non partecipa all'amministrazione della società. È dubbio, invece, se il diritto di controllo previsto dall'art. 2476 co. 2 competa anche ai soci amministratori. Secondo un recente arresto della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 2038/2018), è evidente che il diritto amministrativo, concesso al socio di s.r.l., dà per scontata l'appartenenza in iure a chi amministra la società di simili, ed ancor più intensi, diritti, in quanto diretti artefici di quegli affari, nonché redattori e custodi di quei libri e documenti. Se dunque il legislatore ha sentito l'esigenza di attribuire espressamente al socio di s.r.l. (a differenza che a quello di s.p.a.) il diritto di ispezione e di informazione sulle vicende e sulla documentazione societaria, ciò ha fatto in vista della natura personalistica del tipo, nonché dell'automatica appartenenza di tali diritti ai soci che abbiano pure la gestione sociale. Ma ciò non esclude affatto, ed anzi conferma, che tanto meno potrà essere negato il diritto di ispezione e di informazione a questi ultimi, quale diritto-dovere costituente implicito portato delle prerogative della carica. Con la conseguenza che, qualora l'esercizio di tale diritto-dovere sia precluso da altri, in ispecie coamministratori o componenti del consiglio di amministrazione, essi potranno agire a loro tutela, facendo valere anche l'impossibilità di diligente adempimento dell'incarico gestorio, ove lasciati all'oscuro delle vicende sociali e, dunque, per la stessa esigenza di adempiervi fedelmente e non incorrere in responsabilità. Ad uguale conclusione è giunta la dottrina, la quale richiama, ai fini dell'attribuzione del diritto controllo anche agli amministratori che non abbiano partecipato ad un atto di gestione ovvero a quelli non operativi, l'obbligo di agire informato che grava su tutti gli amministratori (Capelli, 56 ss.; contra, Parrella, 124). Da tale principio discende che gli amministratori devono disporre degli strumenti istruttori che consentano loro di reperire le necessarie informazioni e di esaminare i documenti sociali (Presti, 652 secondo il quale, con riferimento ai soci amministratori, il controllo non è semplicemente un diritto, ma un potere-dovere, cioè una funzione derivante dalla carica). Lo stesso obbligo di redigere il progetto di bilancio, gravante su tutti gli amministratori (art. 2475 u.c.) implica che i componenti del c.d.a. devono essere in grado di conoscere gli atti posti in essere dagli altri amministratori e i fatti relativi alla gestione (Presti, 60). Ancora, in giurisprudenza, si evidenzia che la pregressa partecipazione all'organo amministrativo non può impedire o limitare il diritto di controllo da parte del socio, atteso che l'incompatibilità logico-giuridica fra diritto di accesso del socio e carica amministrativa viene meno con la cessazione dalla carica stessa. Più in generale, è irrilevante se ed in quale misura le pregresse vicende processuali possano aver consentito al socio di avere visione di documentazione sociale (Trib. Roma, 10 luglio 2017, in giurisprudenzadelleimprese.it). Si discute se possa esercitare il diritto il socio receduto: la soluzione della problematica passa dalla ricostruzione dell'operatività del recesso (amplius, Paolucci, 487 ss.). In particolare, l'orientamento secondo il quale la perdita dello status di socio si ricollega alla ricezione, da parte della società, della dichiarazione di recesso necessariamente conclude che il soggetto che ha esercitato il diritto di recesso non è più legittimato (in quanto non più socio) ad esercitare il diritto di controllo sull'attività amministrativa della società. In questa prospettiva, si evidenzia come, a differenza di quanto avviene nelle società personali, il socio che ha esercitato il diritto di recesso non resta responsabile per le obbligazioni sociali sorte nel periodo antecedente e che egli diviene creditore della società in ordine al valore della quota di liquidazione la cui determinazione trova la sua disciplina nella procedura di cui all'art. 2473. Al contrario, se si ritiene che il recedente perda lo status socii solo all'esito del rimborso della sua quota da parte della società (o, comunque, allo spirare del termine previsto dall'art. 2473, comma 4, e, quindi, centottanta giorni dopo la comunicazione del recesso) allora dovrà giocoforza concludersi per la legittimazione del socio receduto ad esercitare i diritti sociali anche successivamente alla ricezione della comunicazione del recesso da parte della società e, dunque, anche il diritto di accesso alla documentazione sociale (in questo ultimo senso, Guidotti, 210; Paolucci, 489; Presti, 653). Il medesimo contrasto si rinviene nella giurisprudenza. Una parte dei giudici, infatti, ha negato il diritto di accesso al socio receduto: tale diritto presuppone la qualità di socio in capo al richiedente, e non può essere azionato da colui che abbia esercitato il diritto di recesso, in quanto la manifestazione di volontà di recedere è produttiva di effetti immediati nel momento in cui entra nella sfera di conoscenza della società, trasformando il socio receduto in un mero creditore nei confronti della società per il rimborso della quota (Trib. Roma, 3 agosto 2016, in IlSocietario.it; Trib. Napoli, 22 luglio 2011, in Giur. mer. 2011, 2692). In senso contrario (Trib. Pavia, 5 agosto 2008) si afferma che, nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, il socio di s.r.l. recedente resta titolare dei diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l'esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l'effettivo rimborso della quota oggetto di recesso. In caso di pegno ed usufrutto si tende a riconoscere, in dottrina, la legittimazione concorrente del socio e del creditore pignoratizio e dell'usufruttuario (Abriani, 604; Buta, 600; Zanarone, 1116; Presti, 652). In caso di comproprietà sulla quota, il diritto potrà essere esercitato non già dai singoli comproprietari, ma soltanto dal rappresentante comune (Paolucci, 489; Presti, 653 che evidenzia come, diversamente, la società resterebbe esposta ad un plurimo esercizio del diritto). In giurisprudenza, si evidenzia che il diritto di controllo è attribuito esclusivamente ai soci: pertanto, in caso di contitolarità di quote sociali da parte di eredi di un defunto socio, gli eredi non sono assimilabili al socio, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le norme di legge. Ne consegue il diniego della richiesta (Trib. Tivoli, 3 luglio 2008). Quanto all'ipotesi di comproprietà della quota, una parte della giurisprudenza, evidenzia come la disciplina ex art. 2468, u.c., che prescrive, per il caso di comproprietà di una partecipazione, l'esercizio dei diritti dei comproprietari da parte del loro rappresentante comune, non contrasta con il diritto di controllo ex art. 2476, comma 2, c.c., che configura un diritto prettamente individuale e lo struttura in guisa di per sé incompatibile con una legittimazione esclusiva del rappresentante comune (Trib. Milano, 19 gennaio 2017). Legittimata passiva è la società e non gli amministratori (Presti, 653). Il diritto di accesso alla documentazione compete al socio anche nella fase di liquidazione della società (Trib. Roma, 7 ottobre 2016, in giurisprudenzadelleimprese.it; in dottrina, Zanarone, 1115). Segue. Il contenuto del diritto di controllo ed i suoi limiti.Con riguardo all'estensione del diritto di controllo, esso si articola in due species (Abriani, 605): il diritto di avere dagli amministratori informazioni sullo svolgimento degli affari sociali ed il diritto di consultare la documentazione sociale. Quanto al primo, l'informazione resa può essere verbale o scritta e non può essere generica, ma deve essere specifica e analitica con riferimento a quanto oggetto della richiesta (Abriani, ivi). Quanto al diritto di consultazione, esso si estende a qualsiasi documento riferibile alla società. Letteralmente, il diritto di informazione riguarda tout court gli affari sociali, mentre oggetto del diritto di consultazione sono soltanto i documenti relativi all'amministrazione (Presti, 657) e, dunque, solo quei documenti direttamente inerenti allo svolgimento dell'attività di impresa (Guidotti, 211) con esclusione dei documenti che costituiscono il risultato della gestione dell'impresa (Presti, ivi che fa l'esempio dei disegni e delle tavole predisposte per il cliente in una società di progettazione). È dubbio se la società possa opporre ragioni di segretezza o di riservatezza della documentazione. In senso negativo si esprime parte della dottrina (Abriani, 605 che evidenzia come il socio non sia un terzo rispetto alla società, Guidotti, 362 ss.; contra,Zanarone, 1112), che pure ritiene che la società possa opporre soltanto il carattere abusivo dell'istanza (cfr., infra). Si evidenzia, comunque, che sussiste l'obbligo di riservatezza del socio su quanto appreso in sede di controllo (Angelillis, Sandrelli, 707; Presti, 656). La giurisprudenza, invece, si è mostrata sensibile ad esigenze di riservatezza della società. Si è, quindi, osservato che il diritto del socio di s.r.l. di consultare la documentazione sociale deve essere contemperato con le esigenze della società meritevoli di tutela in ordine alla riservatezza dei dati sociali, alla stregua del principio di buona fede, la cui applicazione al rapporto sociale comporta che l'accesso del socio possa essere limitato ai soli documenti per i quali lo stesso dimostri uno specifico ed attuale interesse alla consultazione (Trib. Milano, 20 luglio 2017, in Soc., 2017, 1332). Quindi, il diritto di consultare i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione può trovare specifiche limitazioni, mediante opportuni accorgimenti (ad esempio il mascheramento preventivo, nelle fatture, sia dei nomi dei clienti e dei fornitori che dei prezzi), a fronte di non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società (Trib. Milano, 15 giugno 2015, in Giur. it. 2015, 2145; Trib. Milano, 29 settembre 2015, in IlSocietario.it; in dottrina, anche Presti, 657). Sempre in giurisprudenza, si evidenzia che il diritto del socio di accesso ai documenti sociali può venire subordinato alla sottoscrizione di un impegno alla riservatezza, o comunque a uno specifico impegno all'utilizzo esclusivamente endosocietario della documentazione acquisita, con esclusione di ogni divulgazione nei confronti di altri soggetti della copia della documentazione e del suo contenuto. Atteso, infatti, che il diritto di accesso alla documentazione sociale costituisce la manifestazione di un potere di controllo individuale del socio che non partecipa sulla gestione della società a responsabilità limitata, dal canone di buona fede (v. infra) che regola i rapporti in ambito sociale sembra derivare la liceità di un'utilizzazione dei dati di cui si viene a conoscenza solo per fini legati al controllo sulla gestione (Trib. Milano, 13 novembre 2013, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 24 dicembre 2013, in Soc., 2014, 483; Trib. Milano, 15 giugno 2015, in Giur. it., 2015, 2145). Si è, dunque, pervenuti a ravvisare un obbligo degli amministratori di rifiutare, sotto la propria responsabilità, l'accesso alle informazioni. Infatti, laddove sussista il rischio concreto che il socio di s.r.l., in violazione dei principî di buona fede e correttezza, si avvalga del diritto di informazione e consultazione dei documenti della società per cagionarle un pregiudizio, gli amministratori, nel perseguimento dell'interesse sociale, sono tenuti a opporsi alla richiesta di informazioni del socio (Trib. Roma, 9 luglio 2009, in Foro it., 2010, I, 1972). Altra giurisprudenza circoscrive in concreto il diritto di informativa del socio che abbia già posto in essere attività riconducibili a concorrenza sleale ex art. 2598 per contrarietà a correttezza professionale nei confronti della società, avvalendosi di dati e informazioni a cui poteva accedere nella sua veste precedente di dirigente e amministratore delegato della società, osservando che la disponibilità di ulteriori e più aggiornate informazioni gli consentirebbe di aggravare e continuare questa condotta, a danno della società di cui fa parte (Trib. Milano, 8 maggio 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it). Secondo altro orientamento, però, non si possono opporre, quali limiti al controllo concesso ai soci di s.r.l. sull'attività degli amministratori, ragioni di tutela della riservatezza aziendale o rispetto della privacy di terzi (Trib. Palermo, 9 agosto 2016, in IlSocietario.it il quale, tuttavia, precisa che tale diritto di controllo deve essere esercitato nel rispetto dei canoni della buona fede e della correttezza dovendosi considerare abuso di diritto una richiesta continua, tale da concretizzarsi in una condotta ostruzionistica). Si osserva, in giurisprudenza, che il diritto di controllo non ha ad oggetto soltanto i libri sociali, ma tutti i documenti e le scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti singoli affari, poiché il riferimento normativo ai «documenti relativi all'amministrazione» appare in sé idoneo a ricomprendere ogni documento concernente la gestione della società e non consente letture riduttive volte a distinguere, ad esempio, la documentazione amministrativo-contabile da quella più prettamente commerciale (Trib. Milano, 30 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 1245; Trib. Bologna, 6 dicembre 2006, in Giur. comm., 2008, II, 213; Trib. Napoli, 12 novembre 2015). Nel caso di s.r.l. la cui attività sia limitata alla gestione di una pluralità di partecipazioni, il diritto del socio di consultare la documentazione sociale, sancito dall'art. 2476, comma 2, c.c., si estende anche alle scritture ed ai documenti sociali e contabili della s.p.a. interamente controllata dalla S.r.l., dovendosi presumere la piena disponibilità ed il concreto utilizzo da parte dell'organo amministrativo della s.r.l. controllante della documentazione amministrativa e contabile della s.p.a. controllata (Trib. Milano, 27 settembre 2017, in Soc., 2018, 41, che precisa che deve escludersi l'esistenza di un generale e indiscriminato potere di ispezione del socio di s.r.l. su società solo indirettamente partecipate, in particolare laddove dette società siano costituite in forma di s.p.a., con esclusione di analogo potere degli azionisti). Si ritiene poi che il diritto ricomprenda anche il diritto di estrarre copia della documentazione, a spese del richiedente (Trib. Milano, 15 giugno 2015, in Giur. it., 2015, 2145; Trib. Napoli, 16 aprile 2013, in Corr. mer., 2013, 1148; Trib. Roma, 15 gennaio 2015, cit.; contra, Trib. Milano, 30 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 1246). Conforme, sulla possibilità di estrarre copie, l'orientamento della dottrina (Paolucci, 476; Angelillis, Sandrelli, 709; Abriani, 609, contra Guidotti, 365 ss. che argomenta dalla possibilità per il socio di esercitare il diritto attraverso professionisti di propria fiducia). Al socio, al contrario, non è consentito di procedere ad ispezione su beni o luoghi né quello di interrogare i dipendenti della società o i suoi collaboratori, salvo che non siano stati delegati dagli amministratori (Presti, 655). Il diritto del socio non soffre limiti rivenienti dalla qualità soggettiva del socio richiedente. Quanto ai limiti all'esercizio del diritto, in giurisprudenza si fa sovente riferimento ai principî di buona fede e correttezza. L'assenza di limiti esterni precisa il tribunale non toglie tuttavia che possano e debbano rinvenirsi nel sistema, limiti per così dire «interni» a tale potere, ed in particolare quello che postula un esercizio secondo buona fede e non abusivo del proprio diritto da parte del socio; scorrettezza e deviazione del potere dalla sua ratio normativa che possono appunto verificarsi allorché si deduca non solo e non tanto l'esistenza di un rapporto concorrenziale fra società e socio che richieda la disclosure documentale, quanto che la richiesta sia esclusivamente (e quindi dolosamente) finalizzata a danneggiare la società (Trib. Milano, 25 novembre 2015, in giurisprudedenzadelleimprese.it). Si afferma, in particolare, che il socio deve astenersi da un'ingerenza nell'attività degli amministratori per finalità di turbativa dell'operato di questi ultimi con la richiesta di informazioni di cui il socio non ha effettivamente necessità al solo scopo di ostacolare l'attività sociale; in tal caso infatti l'esercizio del diritto non potrebbe più ricevere tutela in quanto motivato da interessi ostruzionistisci tali da rendere più gravosa l'attività sociale, con conseguente legittimo rifiuto degli amministratori di fornire informazioni o consultare la documentazione (Trib. Roma, 9 luglio 2009, in Foro it., 2010, 1972). Il rifiuto di accesso opposto dagli amministratori configura una vera e propria eccezione di dolo, che impone agli amministratori di dimostrare la natura abusiva della richiesta (Trib. Torino, 3 luglio 2015, in Soc., 2016, 111). Anche in dottrina, i limiti generali sono rappresentati dalle clausole generali della correttezza e della buona fede nell'esecuzione del rapporto (Capelli, 162; Perrino, 660). In particolare, si evidenzia come, anche quando si fa riferimento alle categorie dell'abuso o dell'eccesso di potere per sanzionare l'esercizio di un diritto soggettivo che, rimanendo solo apparentemente nei limiti della legge, non si proponga altro scopo se non quello di nuocere ad altri, in realtà di una variante nominalistica del criterio di buona fede (Capelli, 164). In questo modo, il ricorso ai criteri di correttezza e buona fede consente di individuare i casi estremi che, secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, si manifestano come eccessivi e sproporzionati (Capelli, 168 che precisa che, al di fuori di tali cassi, i principî di correttezza e buona fede non permettono di imporre al socio di graduare il proprio diritto, privilegiando le modalità che risultino, in concreto, meno gravose per la società). I soci non possono esercitare il proprio diritto con modalità da recare inutilmente intralcio alla gestione sociale o da svantaggiare la società nei rapporti con la propria o altrui impresa concorrente, in quanto una scelta meramente emulativa o vessatoria di tempi o modi dell'esercizio farebbe esorbitare quest'ultimo dallo scopo per il quale esso è concesso (Zanarone, 1113). Segue. L'inderogabilità del diritto di controllo.Assai discussa è la derogabilità o meno della norma: l'interrogativo si pone non prevedendo espressamente la norma la nullità del patto contrario volto a limitare il potere di controllo. Secondo un primo orientamento, l'art. 2476 comma 2 non contiene alcun elemento che faccia propendere per l'inderogabilità della norma (Zanarone, 1119 ss.; Guidotti, 355 ss.; così anche Butturini, 105 ss. che reputa, spec., 109, che si possa ammettere una modifica in senso restrittivo del diritto di informazione anche in assenza di un organo di controllo). Altra parte della dottrina ritiene, invece, la nullità delle clausole che escludano o limitino il diritto di accesso alla documentazione sociale, in quanto si tratta di un diritto connesso alla partecipazione sociale completamente indipendente dai rapporti di maggioranza. In questa prospettiva, la maggioranza non potrebbe comunque limitare o escludere il diritto di informazione del singolo socio (Buta, 614; Benazzo, 1063). Si osserva che il diritto è strumentale all'esercizio dell'azione di responsabilità di cui al terzo comma (Paolucci, 491) e che trova collocazione nel sistema dei poteri individuali di controllo. Altra dottrina (Abriani, 609 ss.) distingue tra clausole «integrative» rispetto alla disciplina legale, volte a regolare le modalità di esercizio del diritto di controllo, e clausole statutarie «derogatorie» rispetto alla disciplina legale, dirette a incidere sul contenuto del diritto di controllo o sulla legittimazione al suo esercizio. Mentre per queste ultime si afferma un'assoluta indisponibilità del diritto di controllo, lo statuto potrebbe integrare la disciplina prevedendo una più dettagliata e articolata disciplina delle modalità di esercizio del diritto (Abriani, 613 che, ad esempio, evidenzia come lo statuto potrebbe prevedere un termine minimo di preavviso, la preventiva indicazione dei nominativi dei consulenti, l'assunzione di un impegno di riservatezza, etc.; sul punto, Zanarone, 1116). La norma di cui all'art. 2476, comma 2 c.c. – correlata all'obiettivo perseguito dalla legge nell'accordare ai singoli soci il potere di controllo anche ai fini di una corretta gestione della società – deve ritenersi inderogabile in peius, tanto più che nelle società a responsabilità limitata non si ritiene applicabile la disciplina prevista dall'art. 2409 c.c. con la conseguenza che un penetrante controllo da parte dei soci è funzionale al sistema (Trib. Venezia, 12 gennaio 2016, Trib. Bari, 10 maggio 2004, in Giur. it., 2005, 308 e in Riv. dir. comm., 2004, II, 209). Segue. Gli strumenti di tutelaIl diritto del socio non amministratore di avere notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite un professionista di fiducia, i libri ed i documenti relativi all'amministrazione, ed eventualmente estrarne copia, può essere oggetto di tutela tramite azione di merito specifica o in via d'urgenzaexart. 700 c.p.c. (Trib. Milano, 27 marzo 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Ivrea, 4 luglio 2005, in Giur. comm. 2007, II, 748; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 giugno 2011, in Soc. 2011, 1014). Per la tutela d'urgenza sarà necessaria la coesistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Mentre con riferimento al primo, il tribunale dovrà accertare l'esistenza dei presupposti che legittimano il socio ad esercitare il diritto di controllo, con riferimento al periculum in mora, occorre che il pregiudizio al diritto di controllo del socio si connota in termini di irreparabilità ed imminenza. Tuttavia, tale pregiudizio è, sostanzialmente, immanente nella impossibilità di esercitare, in modo correttamente informato e, dunque, pienamente consapevole, i diritti sociali conseguenti (espressione del voto in assemblea, proposizione dell'azione sociale di responsabilità, etc.). Si osserva, infatti, che dalla frustrazione del diritto di accesso alla documentazione deriva un pregiudizio patrimoniale difficilmente quantificabile nel relativo controvalore economico e, sotto altro profilo, che trattasi di diritto consustanziale allo status di socio, la cui lesione non è solo suscettibile di arrecare pregiudizio patrimoniale, ma si riverbera nelle stesse modalità di partecipazione del socio nella vita interna della società a responsabilità limitata e nella, conseguente, facoltà di reazione contro eventuali comportamenti illegittimi riferibili agli amministratori ed ai soci di maggioranza della società. Secondo un orientamento parzialmente diverso, è ammissibile e fondato il ricorso ex art. 700 c.p.c. del socio non amministratore di società a responsabilità limitata diretto a consentire al socio stesso di consultare i libri sociali e la documentazione relativa all'amministrazione della società e di estrarne copia, dovendosi, nella fattispecie, ravvisare il requisito del periculum nel comportamento della società che non fornisca un'adeguata collaborazione per l'attuazione del diritto del ricorrente (Trib. Milano, 8 ottobre 2015, in Soc. 2016, 699). Trattandosi di provvedimento giudiziale di condanna avente ad oggetto un obbligo di fare infungibile, al riguardo può trovare applicazione, quale mezzo di coercizione indiretta, l'astreinte di cui all'art. 614-bis c.p.c., applicabile anche ai provvedimenti cautelari (Trib. Milano, 12 gennaio 2013, in giurisprudenzadelleimprese.it. La responsabilità degli amministratoriL'articolo in commento pone una disciplina sintetica della responsabilità degli amministratori verso la società, i soci ed i terzi. Nonostante ciò, si osserva come, quanto ai presupposti generali della responsabilità ed alla natura delle diverse azioni, sussiste una quasi completa simmetria (Abriani, 615) rispetto alla disciplina prevista per le società azionarie così che è possibile rinviare al commento delle norme che regolano quest'ultima. Il comma 1 dell'art. in commento si limita ad affermare che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. Si ritiene che, nonostante la mancata riproduzione della formula contenuta nell'art. 2392, sia comunque richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze (Abriani, 616). In particolare, si ritiene dovuta la diligenza professionale di cui all'art. 1176 comma 2 di cui il riferimento alla natura dell'incarico (ex art. 2392) rappresenta evidente specificazione (Rescigno, 2012, 189; Mondini, 632 ss.; Teti, 639; Angelillis-Sandrelli, 687). La dottrina maggioritaria, poi, ritiene che l'adozione di un modello corporativo o personalistico della gestione della s.r.l. non dovrebbe incidere, di per sé, sulla individuazione dello standard di diligenza richiesto agli amministratori (Rescigno, 2012, 191). Anche in giurisprudenza, si afferma che, nell'adempimento dei propri compiti, all'amministratore di s.r.l. è richiesta la diligenza desumibile dalla natura dell'incarico e in relazione alle specifiche competenze, cioè quella speciale diligenza prevista dall'art. 1176, secondo comma, c.c., per il professionista (Trib. Roma, 19 ottobre 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 28 febbraio 2011, in Riv. dir. soc. 2011, 25; Trib. Santa Maria Capia Vetere, 15 novembre 2004, in Soc. 2005, 477). L'art. 2476 prevede una responsabilità di natura colposa (Rescigno, 2012, 205; Mondini, 637; Zanarone, 1052; Angelillis-Sandrelli, 677) ponendo quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità medesima, la diligenza del comportamento dell'amministratore, criterio ancor più pregnante ove riferito a obblighi definiti da clausole di carattere generale (Trib. Roma, 28 settembre 2015, in IlSocietario.it). Più nel particolare, la norma in tema di responsabilità dell'amministratore della società a responsabilità limitata, di cui all'art. 2476 c.c., pur non richiamando espressamente le più articolate norme interne di responsabilità degli amministratori delle società per azioni (artt. 2381 e 2392 ss. c.c.), ne riproduce in sostanza il contenuto, seppure con formula più sintetica. Pertanto se anche il legislatore ha omesso di disciplinare alcuni aspetti fondamentali relativi ai presupposti della responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, quali il grado di diligenza richiesta secondo la natura dell'affare e le loro specifiche competenze e l'obbligo di agire in modo informato, è la stessa natura dell'incarico a richiedere che per l'amministratore di società a responsabilità limitata, secondo lo schema delle obbligazioni di mezzi, venga adottato lo stesso approccio valutativo (Trib. Napoli, 5 agosto 2015). Quanto alla manifestazione del dissenso da parte del singolo amministratore rispetto ad una determinata scelta gestoria, si ritiene che essa debba intervenire in forma scritta ed in tempo utile per consentire agli altri amministratori e, eventualmente, all'organo di controllo di averne conoscenza: non è però richiesta una formale annotazione nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (Abriani, 616). Nella società per azioni il legislatore della riforma ha eliminato l'obbligo, gravante su tutti gli amministratori, di vigilare sul generale andamento della gestione sostituendolo con l'obbligo di agire informati (art. 2381, comma 6, c.c.). Tale dovere è, sostanzialmente, una specificazione del dovere di diligenza che, proprio in quanto connessa alla professionalità del gestore d'impresa, grava su tutti gli amministratori, tanto sugli amministratori esecutivi quanto su quelli privi di deleghe ed anche sull'amministratore unico, anch'egli, ovviamente, tenuto ad assumere decisioni gestionali sulla base di una istruttoria razionale e completa. Pertanto, l'obbligo di agire informati deve ritenersi applicabile anche nelle società a responsabilità limitata seppure gli artt. 2475 e 2476 c.c. non contengano una norma analoga a quella della disciplina della società azionaria (in questo senso, Zanarone, 970; Rescigno, 2012, 194; Teti, 642 il quale evidenzia come il problema sia piuttosto quello di stabilire il contenuto e, quindi, l'ampiezza di questo dovere: l'obbligo di tenersi informato non può avere la stessa ampiezza nell'ipotesi in cui l'amministratore sia «istituzionalmente» escluso dalla decisione in ordine a determinate funzioni gestorie (come avviene per gli amministratori deleganti) ed il caso, invece, in cui solo «occasionalmente» non partecipi alla decisione relativa a singoli atti che gli amministratori hanno posto in essere (come avviene nell'amministrazione disgiuntiva). Nella seconda ipotesi, all'amministratore diligente è richiesto di informarsi in maniera costante e puntuale sui singoli atti di gestione; mentre nella prima ipotesi, sarà sufficiente che si tenga informato sul generale andamento della società). Così, non potrà essere considerato diligente l'amministratore che, nel compiere atti di gestione, non acquisisca le conoscenze e le informazioni necessarie per operare una scelta consapevole (Rescigno, 2012, 195). Sempre il comma 1 dell'art. in commento prevede la non estensibilità della responsabilità agli amministratori che «dimostrino di essere esenti da colpa e essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso». Il tenore letterale della norma sembra richiedere, ai fini dell'esonero di responsabilità, tanto l'assenza di colpa quanto all'annotazione del dissenso (in questo senso, Zanarone, 1055; Angelillis-Sandrelli, 684). Tuttavia, il dissenso sembra necessario solo in caso di effettiva conoscenza del compimento dell'atto, mentre l'eventuale disinteresse dell'amministratore per la gestione societaria che cagiona la mancata conoscenza dell'atto gestorio rileva nel giudizio sull'assenza di colpa (così, Rescigno, 2012, 206 secondo il quale l'amministratore che, colpevolmente, si ponga nella condizione di non esercitare il dissenso non potrà comunque sottrarsi alla responsabilità solidale, dovendo egli dimostrare di essere stato impossibilitato, per la condotta altrui o per circostanze oggettive, di conoscere l'atto che stava per compiersi). Ove non sussista un sistema collegiale di decisione, il dissenso dovrà essere manifestato nelle forme di raccolta del consenso degli amministratori prevista statutariamente o, comunque, comunicato in forma scritta (Rescigno, 2012, 211). Qualora sia costituito un consiglio di amministrazione, l'amministratore, per andare esente da responsabilità, dovrà far constare il proprio dissenso nell'ambito della riunione consiliare facendolo trascrivere nel libro delle adunanze del consiglio di amministrazione. Non sembra necessaria una comunicazione espressa al collegio sindacale, ove esistente (in questo senso, Rescigno, 2012, 210; Angelillis-Sandrelli, 689; contra,Zanarone, 1054; Mondini, 638). In assenza dell'espressione del dissenso, il consigliere di amministrazione potrà, tuttavia, dimostrare che il proprio consenso sia stato conseguente ad una illegittima rappresentazione dei fatti da parte degli altri componenti del consiglio: si esclude, però, che possa dirsi esente da colpa colui che abbia fatto supino affidamento su relazioni o informazioni degli altri amministratori e che non abbia posto in essere tutte le domande necessarie per prestare un consenso pienamente consapevole all'operazione (Rescigno, 2012, 208). Si ritiene, peraltro, che sussista anche un dovere di intervento al fine di impedire l'esecuzione della scelta gestoria illegittima ovvero per attenuarne od eliminarne le conseguenze. In questa prospettiva, l'amministratore potrebbe: rimettere la scelta gestoria all'assemblea; impugnare la deliberazione consiliare; segnalare l'operazione all'organo di controllo (Rescigno, 2012, 209; Zanarone, 1056). Viene in rilievo, a questo punto, la tematica della delega gestoria e, più nel particolare, della responsabilità degli amministratori non esecutivi. Pur in assenza di una norma come quella ricavabile dall'art. 2392 sulla base del richiamo all'art. 2381, generalmente si ammette che l'atto costitutivo possa articolare l'organo gestorio attraverso una dialettica tra amministratori delegati e amministratori non esecutivi e che, comunque, sia possibile una articolazione delle funzioni interna al consiglio di amministrazione (si rinvia, sul punto, al commento all'art. 2475). Si precisa, peraltro, che, nella società a responsabilità limitata, la valutazione del comportamento degli amministratori privi di delega (e, quindi, la valutazione dell'adempimento dell'obbligo di agire informati) si sposta sul piano della valutazione dell'assenza di colpa e non dell'esercizio del dissenso. In questa prospettiva, l'esenzione da responsabilità solidale presuppone il rispetto da parte degli organi deleganti degli obblighi di informazione adeguata e costante e l'adozione di strumenti di intervento al fine di impedire l'atto dannoso (così, Rescigno, 2012, 214). Recentemente, la giurisprudenza di legittimità (Cass n. 2038/2018), dopo avere preso atto dell'assenza nella disciplina della società a responsabilità limitata di una articolazione formale del consiglio di amministrazione per come prevista dall'art. 2381, ha evidenziato che i principî enunziati con riguardo alla responsabilità degli amministratori privi di deleghe di società per azioni (Cass. n. 22848/2015; Cass. n. 17441/2016 secondo i quali gli amministratori privi di deleghe rispondono del compimento di un atto posto in essere dall'amministratore delegato solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di quest'ultimo in virtù della conoscenza o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati ex art. 2381 e sulla base delle informazioni ricevute ed eventualmente di quelle acquisite motu proprio in presenza di segnali di allarme tali da indurre a ricercare ulteriori dati informativi di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze) possono essere comunque estendersi all'amministrazione della società a responsabilità limitata. Infatti, nonostante alcune differenze letterali (il mancato riferimento alla delega gestoria ed alla circolazione dei flussi informativi all'interno del consiglio; la menzione di atti pregiudizievoli ancora da compiere e non degli atti pregressi) e nonostante una formula più sintetica, la disciplina della responsabilità di cui all'art. 2476 è, quanto a responsabilità solidale degli amministratori, sovrapponibile a quella dettata, per le società azionarie, dall'art. 2392. In particolare, si dà unicamente responsabilità colpevole, mai oggettiva, dovendo essa pur sempre essere ancorata almeno all'elemento soggettivo della colpa; alla “cognizione” del fatto altrui va equiparata la conoscibilità; la mera annotazione del “dissenso” non è sufficiente, non trattandosi di esenzione formale, ma di sostanziale assenza di colpa. Ciò posto, la regola della responsabilità solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori siano responsabili del danno cagionato alla società, in concreto la responsabilità residui solo a carico di uno o taluno di essi; e che, così come nell'illecito civile, la graduazione interna delle responsabilità si operi in relazione all'apporto effettivo di ciascuno alla causazione dell'evento, anche sino ad escluderne interamente quella di alcuno. Con riferimento agli amministratori, l'art. 2476 comma 1 configura un obbligo di vigilanza in capo agli amministratori non esecutivi sull'operato degli amministratori delegati. In particolare, il dovere informativo, rafforzato nella s.r.l. per il carattere marcatamente personalistico del tipo di società, è funzionale all'attività di vigilanza, anche di carattere contabile, sull'operato degli amministratori delegati. Detta attività concorre con quella dei sindaci (Trib. Verona, 31 ottobre 2013, in Soc. 2014, 99 che, in motivazione, evidenzia che con riferimento agli amministratori non esecutivi, il giudice motiva la propria decisione riconoscendo, anzitutto, la diversità del regime dettato nei loro confronti in tema di s.r.l. ovvero di s.p.a. Mentre per queste ultime, infatti, il legislatore ha inteso limitare la responsabilità all'esercizio delle funzioni proprie in concreto attribuite, nelle società a responsabilità limitata la novella del 2003 ha confermato i principî di responsabilità solidale a prescindere dalle eventuali articolazioni interne di compiti, configurando un obbligo di vigilanza in capo agli amministratori non esecutivi sull'operato dei delegati). L'azione sociale di responsabilità. La legittimazione attiva e passiva.La riforma del diritto societario ha inteso attribuire a ciascun socio di una società a responsabilità limitata la legittimazione ad esperire l'azione sociale di responsabilità (art. 2476, comma 3, c.c.). Omettendo la norma ogni richiamo espresso alla posizione della società, all'indomani della riforma, si era dubitato della legittimazione della società ad esperire tale azione. Secondo talune decisioni, che valorizzavano il dato testuale, intervenute a ridosso dell'introduzione della nuova normativa, il legislatore avrebbe inteso creare un sistema di legittimazione diffusa attribuendo a ciascun socio la legittimazione ad esperire l'azione sociale escludendo così, in radice, la legittimazione della società (Trib. Milano, 12 aprile 2006, in Giur. it., 2006, 2096; contra, in dottrina Cagnasso, ivi; Trib. Milano, 2 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 655; in dottrina, per la tesi che nega la legittimazione attiva della società, Ciampi, 286). In questa prospettiva, si evidenziava un certo parallelismo con le società di persone. Il conferimento a ciascun socio della legittimazione avrebbe avuto valenza di attribuzione ex lege ad ognuno dei componenti della compagine collettiva del potere di diretta gestione e di diretta rappresentanza, sostanziale e processuale, dell'impresa sociale: all'unico scopo della reintegrazione del patrimonio della società menomato dall'atto di mala gestio dell'amministratore in carica, la soluzione prescelta riprodurrebbe sul terreno della s.r.l. le opzioni positive di cui agli artt. 2257, comma 1, e 2266, comma 2, c.c. ovvero la regola per cui ciascun socio è amministratore e rappresentante della società (Trib. Napoli, 20 ottobre 2005, in Soc. 2006, 625). La dottrina assolutamente maggioritaria, tuttavia, è sempre stata favorevole ad individuare una legittimazione concorrente e disgiuntiva della società e dei suoi soci in ordine alla medesima azione (Scognamiglio, 296; Abriani, 619; Cagnasso, 2006, 2096; Zanarone, 1064; Mozzarelli, 641 ss.) sulla base della duplice argomentazione che la società è titolare del diritto al risarcimento del danno cagionato dall'amministratore al proprio patrimonio e che alla società, ai sensi dell'art. 2476 quinto comma c.c., è attribuito il potere di transigere o rinunziare all'azione con la conseguenza che può da ciò ricavarsi, in via sistematica, anche il diritto di agire (Scognamiglio, 291). In questo ordine di concetti, si evidenzia, inoltre, che la società, ai sensi del quarto comma dell'art. 2476 c.c., è tenuta al rimborso delle spese soltanto in caso di accoglimento della domanda (Paolucci, 500). D'altra parte, anche il prospettato parallelismo con le società personali appare problematico in quanto in queste ultime, mentre non si dubita della legittimazione della società (e, per essa, del socio amministratore) ad esercitare l'azione sociale (Cass. n. 16416/2007; Cass. n. 12772/1995), è ancora discusso se al singolo socio spetti la legittimazione ad esperire l'azione sociale di responsabilità (in senso favorevole alla legittimazione del socio, Trib. Milano, 11 settembre 2003, in Giur. comm., 2004, II, 434; Trib. Napoli, 3 marzo 2008, in Soc. 2009, 889; Trib. Alba, 10 febbraio 1995, in Soc. 1995, 828; in senso contrario, Trib. Milano, 2 febbraio 2006, in Soc. 2006, 1002 e, nella giurisprudenza di legittimità, in modo esplicito, Cass. n. 3719/1981 e, in maniera implicita, Cass. n. 16416/2007 cit., secondo la quale la facoltà della società di persone di agire contro gli amministratori, per rivalersi del danno subito a causa del loro inadempimento ai doveri fissati dalla legge o dall'atto costitutivo, non esclude il diritto di ciascun socio di pretendere il ristoro del pregiudizio direttamente ricevuto in dipendenza del comportamento doloso o colposo degli amministratori medesimi, in applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. e in base alle disposizioni generali dell'art. 2043 c.c.). In particolare, merita di essere evidenziato come, nella disciplina delle società di persone, manchi una norma che legittimi, in via straordinaria e sostitutiva, il socio ad esercitare una azione di cui è certamente titolare la società. Tornando ora al tema delle società a responsabilità limitata, anche la giurisprudenza di merito, superate le prime perplessità, si è univocamente orientata a riconoscere la legittimazione dell'ente sulla base della considerazione che la società è titolare del diritto al risarcimento del danno da essa stessa subito: una diversa opzione interpretativa, quindi, si mostrerebbe costituzionalmente illegittima in quanto priverebbe il soggetto, titolare del diritto, di agire in giudizio per farlo valere (sul punto, già, Trib. Napoli, 28 aprile 2004, in Soc., 2004, 1396; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it., 2008, I, 307; Trib. Roma, 19 ottobre 2015, in IlSocietario.it). D'altronde, anche il richiamo al dato testuale della norma appare argomento assai debole, atteso che lo stesso primo comma dell'art. 2476 c.c. fissa la regola generale della responsabilità degli amministratori «verso la società». Pertanto, del tutto correttamente, recente giurisprudenza di legittimità, cristallizzando l'orientamento da ultimo richiamato, evidenzia che, sebbene l'art. 2476 terzo comma abbia un indubbio contenuto ellittico, non contemplando espressamente l'azione sociale, né tanto meno il relativo procedimento autorizzativo, tale omissione (che, del resto, fa il paio con quella dell'azione dei creditori, parimenti omessa testualmente, sul punto, cfr., da ultimo, Cass. n. 17359/2016) non può considerarsi significativa di un'ontologica diversità di strutture delle due azioni parallele (quella della società e quella del socio, a pena di un vulnus alla coerenza sistematica (Cass. n. 10936/2016). Se pacifica appare, oggi, la legittimazione attiva della società, non altrettanto lo è la modalità con la quale l'azione sociale viene esercitata e, in particolare, se sia necessaria una preventiva una deliberazione o decisione dei soci al pari di quanto avviene, nelle società per azioni, sulla base del disposto di cui all'art. 2393, primo comma, c.c. Secondo una parte della dottrina, nel caso di azione proposta dalla società, sarebbe necessario un preventivo pronunciamento autorizzativo dei soci (sotto forma di deliberazione assembleare ovvero di decisione dei soci assunta mediante consultazione scritta ovvero sulla base del consenso espresso per iscritto), dal che deriverebbe la improcedibilità dell'azione proposta per conto della società dall'amministratore in difetto di tale deliberazione o decisione (così, Scognamiglio, 297; Paolucci, 504; Teti, 644 il quale osserva come la legge rimette ad una decisione dei soci la competenza a rinunziare o a transigere l'azione; Ambrosini, 1597 ss.). In realtà appare preferibile la diversa tesi secondo la quale l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità rientra nella generale competenza degli amministratori che si estende a tutti gli atti che non siano da norme legali o statutarie riservate ad i soci (in questo senso, G. Zanarone, 1067; Serafini, 109, nt. 71; Angelillis-Sandrelli, 735; Salanitro, 100 secondo il quale nella s.r.l. la maggioranza dei soci può, al pari della minoranza, esercitare l'azione sociale di responsabilità senza bisogno di una preventiva decisione formale). Depongono per una simile conclusione, oltre la evidenziata competenza generale degli amministratori, anche la duplice circostanza che, nella disciplina della società a responsabilità limitata non è riprodotta una norma di contenuto analogo a quella prevista dall'art. 2393 comma 1 e che l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità non rientra tra le materie riservate «in ogni caso», ai sensi dell'art. 2479 comma 2, alla competenza dei soci. Il medesimo contrasto si avverte in giurisprudenza. Infatti, a fronte di un orientamento secondo il quale non occorre una preventiva deliberazione assembleare (Trib. Roma, 19 ottobre 2015, in IlSocietario.it), è stata talvolta dichiarata improcedibilità dell'azione nel caso in cui non risulti essere mai stata né deliberata o comunque autorizzata dai soci (Trib. Milano, 13 gennaio 2005, in Giur. it., 2005, 523; Trib. Milano, 30 giugno 2008, in Giust. Milano, 2008, 53). Nella disciplina della s.r.l. non è prevista una norma come l'art. 2373, comma 2, a mente del quale gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. Ebbene, fermo restando che, secondo l'opinione preferibile, nella s.r.l. l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità non richiede necessariamente la previa deliberazione societaria, sembra potersi affermare che, ove la società deliberi l'esercizio dell'azione di responsabilità, trovi applicazione analogica l'art. 2373 comma 2 (Zanarone, 1414; DeLuca, 431). Conseguentemente, il socio-amministratore in conflitto di interessi non ha facoltà di astenersi, non spettando allo stesso votare ex lege: consegue ulteriormente che, in applicazione analogica dell'art. 2373, comma 2, e dell'art. 2368, comma 3, la partecipazione del socio amministratore deve computarsi nel quorum costitutivo e scomputarsi dal deliberativo (così, De Luca, 431; contra, Trib. Milano, 10 novembre 2017, cit.). Deve, però, darsi conto anche dell'opinione contraria secondo la quale il legislatore non ha ritenuto di escludere dal voto il socio-amministratore, non essendovi ragione di affidare alla minoranza il potere di vincolare la società su una decisione che ciascun socio può assumere individualmente ex art. 2476 comma 3 (Vigo, 847). Sempre con riferimento all'iniziativa della società è dubbia la possibilità di applicare alla società a responsabilità limitata la norma, prevista per le società azionarie, di cui all'art. 2393, comma 2 (v.) secondo la quale la deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere assunta in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell'elenco delle materie da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell'esercizio cui si riferisce il bilancio. In dottrina, si osserva che la norma in argomento si spiega con l'esigenza, propria delle società per azioni ove l'assemblea si riunisce in rare occasioni (tra cui, appunto, in occasione della discussione sul bilancio), di agevolare ed accelerare l'esercizio dell'azione, agevolazione cui corrisponde il sacrificio dell'interesse del singolo socio (e dello stesso amministratore) ad essere informato preventivamente attraverso l'ordine del giorno. Sulla base della così individuata ratio della norma richiamata, autorevole dottrina (Scognamiglio, 306) ha avuto modo di evidenziare che, atteso il diverso e più stretto rapporto tra soci ed amministratori che caratterizza la società a responsabilità limitata, l'esigenza ora esposta non merita di essere considerata preminente rispetto all'interesse del singolo all'informazione preventiva attraverso la comunicazione dell'elenco delle materie da trattare. Con la conseguenza che non vi è spazio per l'applicazione, nelle società a responsabilità limitata, del disposto di cui all'art. 2393. Conforme la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 30 maggio 2013, in IlSocietario.it). Nel caso in cui la società sia provvista, per legge, di collegio sindacale, l'iniziativa dell'azione di responsabilità potrebbe essere presa dal collegio sindacale (previa deliberazione di tale organo) ovvero dal sindaco unico: vi è, infatti, il richiamo dell'art. 2477, comma 5 alle norme sul collegio sindacale delle s.p.a. e, tra queste, vi è l'art. 2393 comma 3, che prevede che l'azione di responsabilità sia intrapresa dal collegio sindacale (con delibera presa con la maggioranza dei due terzi dei suoi membri) (Scognamiglio, 298 secondo la quale l'azione è espressione del controllo insito nell'istituto del collegio sindacale così che non è ragionevole distinguere tale potere tra società a responsabilità limitata e società per azioni). Quanto alla legittimazione passiva all'azione, essa spetta (sul punto, Scognamiglio, 279 ss.): 1) all'amministratore che esercita attività gestoria sulla base di un valido atto di nomina o di predisposizione all'ufficio; 2) all'amministratore di fatto; 3) al socio, in solido con gli amministratori, che abbia intenzionalmente autorizzato o deciso gli atti dannosi (Scognamiglio, 283 che precisa che si tratta di una responsabilità del socio con presupposti suoi propri, cfr. infra); 4) all'amministratore investito di un diritto particolare riguardante l'amministrazione; 5) ai liquidatori la cui responsabilità segue la disciplina della responsabilità degli amministratori. L'azione sociale di responsabilità esercitata dal socio e la sua natura.Oltre che alla società quale titolare del diritto al risarcimento del danno, la legittimazione ad agire per far valere la responsabilità dei componenti dell'organo gestorio spetta, in via concorrente (G. Zanarone, 1069; Mozzarelli, 645), a ciascun socio indipendentemente dalla consistenza della relativa partecipazione al capitale sociale, circostanza quest'ultima che rimarca la differenza con la disciplina delle società azionarie laddove il precetto contenuto nell'art. 2393-bis espressamente restringe la legittimazione ai soli soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (o la diversa aliquota prevista nello statuto). In altre parole, l'art. 2476 comma 3 attribuisce la legittimazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità ad un soggetto, quale il socio, diverso dal titolare del diritto medesimo, che in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione per legge e per statuto incombenti sull'amministratore (Nazzicone, 296). La norma si giustifica concettualmente sulla base della considerazione che il socio che assume l'iniziativa è titolare di un interesse giuridicamente apprezzabile costituito dalla volontà di preservare il valore della partecipazione sociale di cui è titolare, valore che è influenzato, da un lato, dal danno cagionato al patrimonio sociale dalle condotte dell'amministratore infedele e, dall'altro, dall'esito favorevole dell'azione che egli intenta (Fabiani, 182). È stata assai discussa la natura giuridica dell'azione esercitata dal socio. Non sono mancate posizioni che hanno evidenziato una certa affinità della legittimazione del socio ad esercitare l'azione sociale con l'azione surrogatoria (discorre di «una qualche affinità o contiguità funzionale», in dottrina, Scognamiglio, cit., 337; le affinità vengono colte anche da Cass. n. 10936/2016 che non manca di sottolineare che la legittimazione straordinaria del socio «pur se non necessariamente di natura surrogatoria» supplice, «nella normalità dei casi, all'inerzia dell'assemblea»). Tuttavia, l'accostamento tra le due azioni appare più il portato di una suggestione che non il frutto di un esame della diversità strutturale dei due fenomeni e della relativa disciplina positiva. Infatti, depongono in senso contrario alla considerazione della natura surrogatoria dell'azione, sia l'impossibilità di qualificare il socio in quanto tale come creditore della società sia la circostanza che l'attivazione del socio non è condizionata all'inerzia della società sia, infine, la non necessità per il socio di provare un effetto pregiudizievole derivante dall'inerzia della società (per le critiche alla natura surrogatoria dell'azione, Zanarone, 1064; Nazzicone, 297; Scognamiglio, 337; Fabiani, 183. In giurisprudenza, Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it., 2008, 1, I, 307; Trib. Napoli, 12 novembre 2013; Trib. Milano, 18 luglio 2013, in Soc., 2013, 1130; Trib. Napoli, 20 ottobre 2005, in Foro it., 2006, I, 1222). A ben vedere, l'azione esercitata dal socio ai sensi del terzo comma dell'art. 2476 c.c. non presenta caratteri ontologici difformi, ma costituisce la medesima azione di cui è titolare la società e precisamente l'azione volta a far valere la responsabilità degli amministratori nei confronti dell'ente: la legge si limita, in questa prospettiva, a delineare una legittimazione concorrente e disgiuntiva spettante, per un verso, alla società e, per altro, al singolo socio (così, Cass. n. 10936/2016; Trib. Roma, 22 maggio 2007, cit.; Abriani, 620; Ambrosini, 1595). Ciò porta a ritenere che il socio esercita l'azione sociale sulla base di una sostituzione processuale eccezionalmente ammessa dalla legge (art. 81 c.p.c.). Un simile inquadramento dell'azione ha importanti ricadute pratiche. In primo luogo, la sostituzione processuale importa che il socio è (in via straordinaria) legittimato unicamente a far valere il diritto al risarcimento del danno derivanti da atti di mala gestio, alle medesime condizioni sulla cui base avrebbe potuto agire la società (Fabiani, 187). Pertanto, qualora la società abbia esercitato l'azione sociale, l'autonoma legittimazione del singolo socio può essere riconosciuta soltanto con riguardo a profili di danno non contemplati dalla domanda del soggetto direttamente interessato all'azione, per il resto assumendo egli la posizione di interveniente adesivo dipendente (Nazzicone, 297; Trib. Milano, 1° settembre 2010). Inoltre, gli effetti positivi della sentenza (il risarcimento del danno) saranno imputabili direttamente al titolare del diritto fatto valere (la società in quanto titolare del patrimonio depauperato dal comportamento dell'amministratore) e non già al sostituto processuale (il socio) sebbene sia quest'ultimo ad avere intrapreso il giudizio volto alla tutela del diritto del primo. Ancora, gli amministratori potranno far valere tutte le eccezioni, di natura processuale o sostanziale, che avrebbero potuto opporre alla società (Zanarone, 1072; Fabiani, ivi; Mozzarelli, 645). Ad es., al socio attore potrebbe essere eccepita l'esistenza di una clausola compromissoria ovvero l'intervenuta rinunzia all'azione da parte della società (sul punto, Paolucci, 501). L'identità dell'azione, sia essa esercitata dalla società sia essa esercitata dal socio, consente poi di affermare che il giudicato formatosi sull'una impedirà al legittimato in via concorrente di far valere nuovamente i medesimi atti di mala gestio: sul punto, peraltro, è stato correttamente osservato che i limiti oggettivi del giudicato si arrestano ai fatti dedotti (e deducibili) della lite con la conseguenza che l'azione di responsabilità nella quale la causa petendi sia rappresentata da certi atti di mala gestio ai quali si associ una determinata quantificazione del danno, non preclude la proposizione di altra azione con riferimento ad ulteriori condotte da cui sia derivato un ulteriore danno (Fabiani, 188; Serafini, 96; Nazzicone, 297 che correttamente osserva come il giudicato ha effetto non solo nei confronti della società, ma anche nei confronti delle altre minoranze). La legittimazione all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità consente di affermare che il socio è legittimato a promuovere le iniziative cautelari, ulteriori rispetto alla revoca dell'amministratore, strumentali all'utile esperimento dell'azione medesima: il socio, dunque, potrà chiedere – ante causam ovvero in corso della intrapresa azione di responsabilità – il sequestro conservativo dei beni degli amministratori al fine di evitare che la garanzia patrimoniale del credito risarcitoria venga, medio tempore, dispersa. Si discute se la qualità di socio configuri una condizione dell'azione che deve permanere per tutta la durata del giudizio ovvero un presupposto processuale che deve sussistere solo al momento dell'instaurazione del giudizio (in quest'ultimo senso, Scognamiglio, 316 ss., spec. 319 secondo la quale il socio che, in corso di causa, alieni la propria quota può avere uno specifico interesse a restare parte del giudizio, nell'ipotesi in cui la società, nel costituirsi abbia aderito alle ragioni degli amministratori convenuti; ma anche nel caso in cui abbia pattuito con il cessionario un supplemento di prezzo condizionato all'esito positivo dell'azione di responsabilità intentata). Si ritiene che sia legittimato ad esperire l'azione anche il socio amministratore, ma si evidenzia come, in tal caso, il socio amministratore attore dovrà dimostrare di avere preventivamente dissociato il proprio operato da quello dell'amministratore ritenuto responsabile (Scognamiglio, 324). In caso di fallimento della società, il socio-attore perde la propria legittimazione a proseguire l'azione sociale di responsabilità, essendo il curatore legittimato in via esclusiva ai sensi dell'art. 2394-bis (Scognamiglio, 326 ss. che precisa che il socio può svolgere un intervento adesivo dipendente). Si ritiene, infine, che la legittimazione del singolo socio non possa essere esclusa o limitata (attraverso, ad es., la previsione della necessaria titolarità di una determinata aliquota del capitale sociale) dall'atto costitutivo, essendo la norma di cui all'art. 2476 inderogabile (così, Trib. Milano, 1 settembre 2010, cit.; in dottrina, Scognamiglio, 290; Abriani, 619; contra, però, Butturini, 114 ss., spec. 136, secondo il quale, se pure deve escludersi l'ammissibilità di una semplice elisione di tale facoltà, è fatta salva la possibilità di regolamentare tale prerogativa in modo tale da evitare possibili rischi di abusi commessi da soci con partecipazioni di entità minima). Il litisconsorzio della societàIl carattere sostitutivo della legittimazione del socio consente di affermare la necessità della partecipazione al giudizio della società. Infatti, se il socio non esercita una azione diversa da quella che spetterebbe, sulla base dei principî generali, alla società quale titolare del diritto al risarcimento; se corrisponde, dunque, al vero che il socio assume le vesti di un sostituto processuale; se, infine, l'esito favorevole del giudizio ridonda a favore della società, allora deve giocoforza concludersi che la società sia litisconsorte necessario nel giudizio di responsabilità intrapreso dal socio (Scognamiglio, 339; Abriani, 619; Zanarone, 1070; Paolucci, 504; Teti, 651; Bernabai, 227; Mozzarelli, 647). Sul punto, si osserva che, ogni qual volta il giudizio sia promosso da un soggetto investito di legittimazione straordinaria, è considerato litisconsorte necessario anche il soggetto titolare dal lato attivo del diritto dedotto in giudizio dal sostituto (Nazzicone, 297). Tale soluzione ha trovato conferma anche nella giurisprudenza sia di legittimità che di merito. Si afferma che nella società a responsabilità limitata, il singolo socio è legittimato, giusta l'art. 2476, comma 3, ad esercitare, come sostituto processuale, l'azione di responsabilità spettante alla società, nei cui confronti, pertanto, deve essere integrato il contraddittorio, quale litisconsorte necessaria (Cass. n. 10936/2016; Trib. Roma, 9 novembre 2012, in IlSocietario.it; Trib. Napoli, 12 novembre 2013, cit.; Trib. Napoli, 17 settembre 2008, in Soc., 2009, 1289; Trib. Napoli, 7 settembre 2007, in Foro it., 2008, I, 2060; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 4 gennaio 2005; Trib. Verona, 6 settembre 2011, ancorché tale pronunzia fondi la posizione di litisconsorte della società sul parallelismo con l'art. 2393-bis c.c.; contra, Tribunale Nola, 2 novembre 2010, in Giur. mer., 2011, 1834 che esclude la qualifica di litisconsorte necessaria da parte della società). Si tratta, precisamente, di un litisconsorzio necessario non già sostanziale, ma processuale derivante proprio dall'esercizio del diritto da parte di un soggetto a ciò legittimato in via straordinaria (G. Scognamiglio, 339 anche per i richiami alla dottrina processualcivilistica). D'altra parte, il litisconsorzio necessario della società era stato già riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità nella ipotesi, affine a quella in esame, di domanda, proposta dal socio, di revoca di liquidatore ai sensi dell'art. 2487 comma 4 (Cass. n. 1623/2015). Il curatore speciale della societàSe la società è litisconsorte necessaria nel processo instaurato dal socio nei confronti dell'amministratore, occorre ora individuare il soggetto attraverso il quale la società partecipa al giudizio. Nessun problema si pone allorquando il socio eserciti l'azione nei confronti di un amministratore cessato (oppure, ipotesi piuttosto rara, nei confronti di un amministratore in carica ma diverso dal legale rappresentante della società): in tali casi, la società sarà evocata in persona dell'amministratore munito dei poteri di rappresentanza legale della società. Diversamente, nel caso in cui al momento dell'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, la persona fisica che il socio assume abbia cagionato pregiudizio al patrimonio sociale per violazione dei doveri ad essa incombenti, sia ancora titolare (in base alla specifica regola statutaria) del potere di rappresentanza sostanziale della società (artt. 2475 e 2475-bis), da esercitarsi anche nel processo relativo a tale azione, è necessario, in funzione della valida instaurazione del rapporto processuale anche nei confronti della società, che prima dell'inizio del processo ovvero nel corso di esso alla persona giuridica venga nominato un curatore speciale ai sensi dell'art. 78, comma 2, c.p.c.: e ciò in ragione dell'evidente ed attuale conflitto di interessi fra rappresentante (l'amministratore che sia anche dotato del potere di rappresentanza della società) e rappresentato (la società). Sul punto, la dottrina e giurisprudenza sono assolutamente concordi (Nazzicone, 297; Scognamiglio, 342; Paolucci, 504). In giurisprudenza, Cass. n. 10936/2016; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it., 2008, 1, I, 307; Trib. Roma, 9 novembre 2012, in IlSocietario.it; Trib. Piacenza, 23 agosto 2004, in Corr. mer., 2005, 25). Come poi osservato da Cass. n. 10936/2016, l'omessa nomina del curatore, in presenza dei presupposti di legge, costituisce, quindi, un vizio insanabile della costituzione del rapporto processuale, tale da comportare la nullità dell'intero procedimento, per violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., rilevabile in qualsiasi stato e grado del giudizio ed anche in sede di legittimità (Cass., n. 14866/2000; Cass., n. 13507/2002; Cass. n. 8803/2003). La giurisprudenza di merito, poi, ha cercato di non assecondare manovre elusive della disciplina in commento: è stato così stabilito che l'amministratore persona fisica legato da vincoli di parentela e di interesse all'amministratore dimissionario convenuto in giudizio di responsabilità ex art. 2476 comma 3 c.c., che sia stato eletto al fine di revocare la nomina del curatore speciale che avrebbe dovuto rappresentare la società in tale giudizio, e perciò illegittimamente, è privo dei requisiti di terzietà e di imparzialità necessari per il perseguimento dell'interesse sociale a tutela di tutti i soci e dei terzi (Trib. Roma, 10 ottobre 2008, in Riv. dir. comm. 2009, II, 1). Le difese della società e quelle del curatore speciale.Come appena evidenziato, la società, eventualmente per mezzo del curatore speciale appositamente costituito, partecipa al giudizio di responsabilità instaurato dal socio. Ovviamente, la società potrebbe aderire alla domanda ovvero, per contro, anche assumere posizioni antagonistiche rispetto a quelle del socio, qualora non ravvisi i presupposti, in concreto, per esercitare tale azione (così, in motivazione, Cass. n. 10936/2016). Parimenti, la società potrebbe proporre una domanda autonoma che si differenzia da quella del socio ovvero chiedere una riduzione del risarcimento oppure proporre una domanda riconvenzionale nei confronti anche dell'attore come co-amministratore ovvero come socio che si è ingerito nella gestione sociale (Scognamiglio, 342). Si evidenzia, però, che la scelta di contrastare la domanda ovvero quella di chiedere un risarcimento di minore importo potrebbe essere valutata alla stregua di un atto di rinunzia all'azione sociale e che, dunque, essa sia possibile solo ove supportata dal consenso della maggioranza dei soci secondo il quorum previsto dall'art. 2476 comma 5 e senza essere contrastata dall'opposizione di tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale (Scognamiglio, 343). Quanto alle scelte defensionali che il curatore speciale deve assumere si osserva che questi non ha solo la funzione di ricevere l'atto di citazione con il quale il socio ha introdotto l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, potendo egli scegliere di rimanere contumace ovvero di costituirsi in giudizio e, in tale secondo caso, di svolgere argomentazioni, produrre documenti, articolare prove (Nazzicone, 301; Mozzarelli, 648). Inoltre, egli può aderire alla domanda proposta dal socio, insistendo per far ottenere alla società il risarcimento del danno cagionato dall'amministratore ovvero contrastare la domanda medesima evidenziandone l'infondatezza (Fabiani, 196 il quale osserva che l'effetto paradossale di una simile posizione è che se la società «vince» la lite, diviene titolare del credito risarcitorio di cui nel giudizio aveva disconosciuto l'esistenza; Teti, 651 secondo il quale la società ha la più ampia autonomia, potendo anche sostenere le ragioni degli amministratori; Mozzarelli, 647). Correttamente, è stato osservato come, avendo egli soltanto la rappresentanza processuale, il curatore speciale non è legittimato ad estendere la domanda oltre i limiti tracciati dall'attore esercitando così, con riferimento ad ulteriori fatti di mala gestio, l'azione di responsabilità in nome e per conto della società (Nazzicone, 301), non essendo conferitogli il potere di operare autonome valutazioni sostanziali e di merito con riguardo a fatti estranei al perimetro della controversia. Chi nomina il curatore speciale?L'art. 80 c.p.c. prevede che l'istanza per la nomina del curatore speciale si propone al giudice di pace o al presidente dell'ufficio giudiziario davanti al quale si intende proporre la causa. Va subito evidenziato che il riferimento al presidente del tribunale deve intendersi riferito al presidente della sezione specializzata in materia di impresa, in quanto l'art. 5 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168 (come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1) prevede che, nelle materie devolute alla cognizione del c.d. Tribunale delle imprese, le competenze riservate dalla legge al presidente del tribunale e al presidente della corte d'appello spettano al presidente delle rispettive sezioni specializzate. Ciò posto, la norma non disciplina espressamente l'ipotesi in cui la parte abbia omesso di chiedere la nomina in una fase antecedente il giudizio e, dunque, sia il giudice a disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti della società in persona del curatore speciale. A tale aporia ha dato risposta la giurisprudenza di legittimità precisando che, allorquando l'esigenza della nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. si manifesti nel corso del giudizio ed in relazione ad esso, la corrispondente istanza deve essere proposta al giudice (monocratico o collegiale nelle ipotesi di cui all'art. 50-bis c.p.c.) della causa pendente, a tanto non ostando la riconducibilità alla giurisdizione volontaria del provvedimento di cui all'art. 80 c.p.c. (Cass. n. 7362/2015). È inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. contro il decreto di nomina di curatore speciale ex art. 78 c.p.c., perché tale provvedimento non attribuisce o nega un bene della vita, ma assicura la rappresentanza processuale all'incapace che ne sia privo o al rappresentato che sia in conflitto d'interessi con il rappresentante, ha una funzione strumentale al singolo processo, destinata ad esaurirsi nell'ambito del processo medesimo, ed è sempre revocabile o modificabile ad opera del giudice che l'ha pronunciato, anche d'ufficio in primo grado e, successivamente, su gravame di parte, ad opera dei giudici di merito e di legittimità (Cass. n. 22566/2015: nella specie, era stato nominato un curatore speciale alla società costituita in giudizio in persona del suo amministratore unico, a sua volta convenuto da un socio per danni procurati anche alla medesima società). La rinunzia e la transazione.Il comma 5 dell'art. in commento dispone che salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale. In altre parole, tre sono i presupposti per la rinunzia o la transazione dell'azione sociale di responsabilità (Scognamiglio, 347): 1) che la decisione di rinunziare o transigere sia assunta dai soci; 2) che tale decisione sia supportata da un quorum deliberativo pari ad almeno i due terzi del capitale sociale; 3) che avverso tale decisioni non prendano posizione tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale. La giurisprudenza di legittimità ha, in passato, avuto modo di precisare, ancorché con riferimento alle società azionarie, che la rinuncia o la transazione relative all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori di società per azioni senza la preventiva deliberazione assembleare sono affette non da mera inefficacia, secondo la disciplina dell'atto posto in essere dal rappresentante senza poteri, ovvero da mera annullabilità, in base alle regole sul difetto di capacità a contrattare, ma da nullità assoluta e insanabile, deducibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d'ufficio. La delibera assembleare costituisce modo formale e inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti (Cass. n. 9901/2007; ma già Cass. n. 10869/1999). Non constano precedenti giurisprudenziali con riferimento alla società a responsabilità limitata, ma la dottrina – che pure evidenzia come, nella s.r.l., non sia necessaria la preventiva deliberazione da parte dell'assemblea – ritiene che detti principî siano estensibili anche a tale tipo societario allorquando la rinunzia o la transazione non siano sorrette dal consenso dei soci secondo i quorum indicati dall'art. 2476 comma 5 (così, esattamente, Scognamiglio, 348). Si osserva che la decisione di transigere o rinunziare, da un lato, potrebbe essere, a sua volta, impugnata dai soci attori (ad es., per conflitto di interessi o per violazione del principio di correttezza) e, dall'altro, potrebbe essere fonte di responsabilità, ai sensi del comma 7 dell'articolo in commento, per i soci che abbiano intenzionalmente deciso una rinunzia o una transazione che abbia precluso attendibili prospettive di reintegrazione del patrimonio sociale (così, Abriani, 622). La disciplina della rinunzia e della transazione è, peraltro, applicabile non solo all'azione sociale di responsabilità intrapresa dalla società, ma anche a quella proposta dal socio ai sensi dell'art. 2476 comma 3 (Scognamiglio, 350; Abriani, 622). Conseguentemente, per neutralizzare l'intento abdicativo della maggioranza, occorre che il socio attore abbia la proprietà (ovvero riesca a coagulare intorno alla propria iniziativa) di una quota pari almeno al 10% del capitale sociale (Scognamiglio, 349). Il socio che abbia intrapreso l'azione sociale di responsabilità, poi, può certamente rinunziare agli atti del giudizio (art. 306 c.p.c.), ma tale rinunzia non ha effetto estintivo del diritto di credito della società verso gli amministratori, il quale potrà essere fatto valere in seguito dalla società o da altri soci legittimati (Scognamiglio, 350 che precisa che «altrimenti detto, perché la rinunzia o la transazione spieghino un effetto preclusivo “collettivo” è necessario che i suddetti atti negoziali si realizzino sulla base dei presupposti delineati nel comma 5 dell'art. 2476»; così, anche, Pinto, 689 che precisa che solo allorquando la rinunzia e la transazione promanino dalla società sono potenzialmente idonee a tradursi in un atto di disposizione del diritto sostanziale destinato ad imporsi nei confronti di tutti i soggetti legittimati a esercitare l'azione, ivi compreso, in caso di sopravvenuto fallimento, il curatore che agisca ai sensi dell'art. 146 l.fall.; Zanarone, 1072 ss.). Si precisa, poi, che ogni corrispettivo per la rinunzia o la transazione deve andare a beneficio esclusivo della società (Pinto, 690; Abriani, 622) La revoca cautelare degli amministratori.Il comma 3 dell'art. commento, dopo avere attribuito al singolo socio la legittimazione ad esperire l'azione sociale di responsabilità, prevede che questi può «altresì» chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato «provvedimento cautelare di revoca» degli amministratori medesimi che il giudice può subordinare alla prestazione di apposita cauzione. In ragione del tenore letterale della norma non si dubita della natura cautelare del rimedio (contra, però, Consolo, 274; Bartalena, 179 secondo il quale si tratterebbe di una misura sommaria non autenticamente cautelare) dalla quale discende che il giudice dovrà vagliare l'esistenza dei presupposti tipici delle misure cautelari vale a dire il fumus boni iuris ed il periculum in mora (Abriani, 625). La tipicità del rimedio cautelare importa, poi, l'inammissibilità della domanda di invocare la tutela atipica di cui all'art. 700 c.p.c. (Scognamiglio, 375). Il primo quesito che si è posto sulla base della disposizione introdotta dalla riforma riguarda la possibilità di chiedere l'adozione del provvedimento cautelare di revoca ante causam. Sebbene talune decisioni della giurisprudenza di merito abbiano ritenuto che la norma configuri una misura cautelare necessariamente incidentale rispetto al giudizio di merito con la conseguenza che essa potrebbe essere proposta solo nell'ambito del giudizio di merito volto all'accertamento della responsabilità degli amministratori (Trib. Vercelli 28 settembre 2005, in Soc. 2006, 885; Trib. Brescia, 8 marzo 2005, in Soc. 2005, 1254; Trib. Treviso 7 febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 2107 e, più di recente, Trib. Torino 27 febbraio 2012), l'orientamento del tutto maggioritario ritiene che non vi siano ragioni, in difetto di espressa indicazione in senso contrario da parte della norma, per escludere l'operatività della norma di cui all'art. 669-ter c.p.c. anche in ragione del fatto che, pur a volere ritenere la strumentalità della domanda cautelare di revoca rispetto a quella di merito risarcitoria, non è richiesto dall'art. 2476 che la prima trovi la medesima sede della seconda (Trib. Roma, 1 luglio 2014, in Soc., 2014, 1273; Trib. Milano, 17 maggio 2017, in Soc., 2017, 1143; Trib. Roma, 30 luglio 2004, in Giur. it., 2005, 309; Trib. Milano, 23 gennaio 2014, in Giur. it., 2014, 1940; Trib. Torino 16 dicembre 2013, in Giur. it. 2014, 1941; Trib. Torino, 11 marzo 2011; Trib. Salerno, 29 settembre 2007; Trib. Napoli 5 maggio 2008, in Soc. 2009, 1525). Con riguardo alla legittimazione attiva e passiva può rinviarsi alle considerazioni svolte in generale con riguardo all'azione sociale di responsabilità. Si deve, tuttavia, precisare in questa sede che non è necessario che il socio (ricorrente) fosse già tale al momento del compimento, da parte dell'amministratore, dell'atto di mala gestio che ne giustifica la revoca. Con riguardo alla legittimazione passiva, può essere revocato anche il socio-amministratore che eserciti i poteri gestori in quanto titolare di diritti particolari riguardanti l'amministrazione della società (art. 2468, comma 3) (in questo senso, Weigmann, 549; Ambrosini, 1570; Nazzicone, 295): infatti, il consenso di tutti i soci (necessario per la modifica dei diritti particolari) serve per modificare la clausola che quel diritto conferisce, ma non riguarda i rimedi esperibili in caso di gravi irregolarità commesse dall'amministratore (Nazzicone, 296 che precisa che la rilevanza dei rapporti contrattuali tra i soci porta con sé la necessità di applicare la regola fondamentale di buona fede che presidia ogni rapporto contrattuale e che ipotizzare che l'attribuzione di particolari diritti amministrativi ad un socio equivalga ad assicurargli l'irremovibilità anche in caso di gestione gravemente irregolare è incompatibile con il rispetto del richiamato principio di buona fede). Ovviamente, in caso di revoca del socio-amministratore titolare di un diritto particolare avente ad oggetto l'amministrazione della società, i soci dovrebbero, all'unanimità, deliberare la soppressione del diritto particolare e nominare un nuovo amministratore (eventualmente anche un diverso socio cui attribuire il diritto particolare amministrativo); diversamente la società dovrebbe avviarsi allo scioglimento. Si ritiene, poi, che la norma non attribuisca al giudice anche la competenza alla nomina di un amministratore giudiziario in sostituzione di quello revocato in quanto l'attribuzione al giudice di un così penetrante potere, di natura costitutiva ed incidente sulla sfera di autonomia della società, necessito di una specifica previsione normativa (Scognamiglio, 376; Tedeschi, 1271). Su tale conclusione è concorde la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 30 luglio 2004, in Giur. it., 2005, 309; Trib. Catania, 14 ottobre 2004, in Dir. Fall., 2005, II, 277). Al fine di evitare vuoti, si osserva, in giurisprudenza, che l'istituto della prorogatio dei poteri, che risponde al principio generale di conservazione e continuità dell'attività amministrativa, trova applicazione anche nei confronti dell'amministratore revocato giudizialmente ai sensi dell'art. 2476 comma 3, il quale, non ancora sostituito dai soci, ha il potere-dovere di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione fra cui, in particolare, quelli inerenti alla convocazione dell'assemblea per la sua sostituzione, nonché quelli urgenti per la salvaguardia dell'interesse sociale (Trib. Roma, 25 settembre 2007, in Riv. dir. comm., 2008, 1). L'amministratore ingiustamente revocato ha il diritto al risarcimento del danno secondo il principio applicabile alla ingiustificata revoca di amministratori di società a responsabilità limitata, dovendo anch'egli provare l'ingiustizia della revoca ed il danno direttamente derivatogli dall'illegittimo provvedimento giudiziale (Tedeschi, 1273). La revoca cautelare può essere richiesta, infine, anche in pendenza di giudizio arbitrale tendente all'accertamento della responsabilità dell'amministratore (Trib. Bologna, 12 giugno 2015, in Soc. 2015, 1173). Segue. La natura strumentale o anticipatoria del provvedimento di revocaLa questione principale che si è posta all'attenzione in sede di interpretazione della norma riguarda l'ascrivibilità della revoca ai provvedimenti cautelari conservativi o a quelli anticipatori degli effetti della sentenza di merito. Si contendono il campo sostanzialmente due diverse ricostruzioni (per una recente ricostruzione dei due orientamenti, Spadaro, 1152 ss.). Secondo un primo orientamento, l'azione intrapresa dal socio sarebbe avvinta da un nesso di strumentalità rispetto all'azione di responsabilità prevista dalla stessa norma, avendo la funzione di impedire l'aggravamento del danno di cui si intende richiedere il risarcimento nel giudizio di merito e non essendo ipotizzabile un nesso di strumentalità rispetto a un'azione di revoca nel merito (non prevista dall'ordinamento), di cui l'azione cautelare anticiperebbe gli effetti (in dottrina, Cagnasso, 2007, 260; Comastri-Valerini, 453; Arieta-Gasperini, 267; Tedeschi, 1271; Nazzicone, 292). L'impostazione descritta trova il proprio fondamento nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ove evidenzia il potere di ciascun socio di promuovere l'azione di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale, nonché laddove si giustifica la soppressione, per la s.r.l., di particolari forme di intervento del giudice (quali quelle previste dall'art. 2409) con l'introdotta legittimazione alla proposizione dell'azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori. Secondo tale orientamento, in particolare, il provvedimento in argomento deve ascriversi alla categoria dei provvedimenti cautelari conservativi e che esso sia strumentale, in senso pieno, al giudizio risarcitorio, instaurato o instaurando dal socio (Tedeschi, 1271 secondo il quale tale provvedimento non ha natura anticipatoria, bensì conservativa essendo inidoneo ad assicurare gli stessi effetti della sentenza che accerti la responsabilità dell'organo amministrativo e lo condanni al risarcimento del danno, essendo essenzialmente volto ad evitare, nel corso dell'azione di merito, la progressione della condotta pregiudizievole e quindi l'aggravarsi della situazione determinata dalle irregolarità gestionali). Si osserva, poi, che nessuna norma conferisce al giudice il potere di revoca l'amministratore all'esito del giudizio di merito con la conseguente impossibilità di inquadrare il rimedio cautelare tra quelli anticipatori: si evidenzia, in questa prospettiva, il disposto di cui all'art. 2908 secondo il quale i provvedimenti giurisdizionali possono produrre effetti costitutivi o estintivi di rapporti giuridici solo nei casi previsti dalla legge. Così, il procedimento cautelare ex art. 2476, comma 3 instaurato contro gli amministratori richiede, ai fini della verifica del fumus boni iuris la ricorrenza di due requisiti: l'accertamento sommario della probabile sussistenza di un danno e la violazione da parte degli amministratori di obblighi statutari o di legge. Il periculum in mora deriverebbe, invece, dalla possibile reiterazione di tali condotte pregiudizievoli per la società durante la permanenza in carica dell'amministratore (Nazzicone, 292). Una simile ricostruzione ha evidenti implicazioni sul lato pratico: ai fini della valutazione dell'esistenza del presupposto del fumus boni iuris, occorre che, sia pure entro i limiti della cognizione necessariamente sommaria, i comportamenti imputati all'amministratore di cui si chiede la revoca abbiano comportato per la società un danno attuale e potenzialmente suscettibile di aggravamento con la permanenza in carica dell'amministratore stesso. In altre parole, siffatta particolare tutela può essere accordata solo ove il socio dimostri: 1) la probabile verificazione dei comportamenti di cattiva gestione imputabili agli amministratori; 2) l'esistenza e la consistenza del possibile pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società in conseguenza diretta di tali comportamenti; 3) l'esistenza di un periculum in mora costituito dalla possibile reiterazione delle condotte inadempiente aggravando così il danno a tal punto da renderlo non più risarcibile o da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della società (Trib. Roma 24 agosto 2016, in IlSocietario.it; Trib. Roma, 9 novembre 2012, in IlSocietario.it; Trib. Santa Maria C.V. 8 maggio 2007, in Soc. 2009, 1146; Trib. Roma 12 novembre 2004, Giur. it. 2005, 309; Trib. Roma, 22 maggio 2007, in Foro it., 2008, I, 307; Trib. Genova 6 settembre 2005, in Soc. 2007, 77; Trib. Napoli 20 ottobre 2005, in Soc. 2006, 625; Trib. Torino 20 maggio 2010, in Soc. 2010, 1381; Trib. Torino 16 dicembre 2013, in Giur. it. 2014, 1941 quest'ultimo dubbioso quest'ultima sulla esistenza della azione di revoca nel merito; Trib. Venezia, 24 novembre 2015 secondo il quale il rimedio cautelare della revoca dell'amministratore, in quanto collocato nel contesto della disciplina della responsabilità degli amministratori verso la società, ha come suo imprescindibile presupposto la circostanza che vengano addebitati all'amministratore fatti di responsabilità gestoria idonei a arrecare possibile danno all'impresa collettiva; Trib. Catanzaro, 30 maggio 2017 e Trib. Catanzaro, 21 dicembre 2017). Secondo diverso orientamento che evidenzia, da un lato, come la ritenuta strumentalità dell'azione cautelare di revoca all'azione risarcitoria di responsabilità mal si concili con la disomogeneità dei presupposti delle due azioni, la diversità dei petita e i differenti interessi che rispettivamente le sorreggono e, dall'altro, se si accedesse alla tesi sopra esposta la tutela cautelare non potrebbe essere richiesta e accordata quando il patrimonio sociale fosse sottoposto, per effetto delle gravi irregolarità, al concreto rischio di un pregiudizio imminente, ma non ancora verificatosi con conseguente frustrazione delle esigenze di tutela preventiva (sul punto, Spadaro, 1158) il legislatore avrebbe inteso configurare una misura anticipatoria della sentenza di merito che ha per oggetto la definitiva revoca dell'amministratore. Si osserva che la norma subordina la concessione del provvedimento cautelare di revoca alla mera sussistenza delle gravi irregolarità nella gestione senza fare riferimento all'attualità del danno (Zanarone, 1085) così concependo la richiesta in modo del tutto svincolato dall'azione sociale di responsabilità e, comunque, funzionale ad altra diversa domanda di merito (la revoca, appunto). In questa prospettiva, l'azione di merito avente per oggetto la revoca definitiva dell'amministratore, sottostante all'azione cautelare prevista dall'art. 2476, comma 3, è, sebbene implicitamente, inequivocamente prevista dalla legge (Abriani, 626; Weigmann, 545 ss; Rossi, 213 ss.; Scognamiglio, 384 secondo la quale l'argomento contrario fondato sull'art. 2908 prova troppo: al giudice munito del potere cautelare di emettere un provvedimento costitutivo deve essere comunque riconosciuto che analogo potere venga esercitato all'esito del giudizio di merito). Così, il provvedimento cautelare di cui all'art. 2476 comma 3 diverrebbe pienamente anticipatorio della sentenza di merito. Anche una simile ricostruzione ha importanti ricadute pratiche in quanto, ai fini dell'accoglimento della domanda, non dovrebbe dimostrarsi l'esistenza in atto di un danno risarcibile conseguente alla condotta inadempiente dell'amministratore, ma solo il compimento da parte di questi di gravi irregolarità nella gestione. In questa prospettiva, la revoca cautelare dell'amministratore sarebbe sostanzialmente speculare alla denunzia al tribunale prevista, per le società azionarie, dall'art. 2409. Tale orientamento – che trova il proprio antecedente nella motivazione della decisione del giudice delle leggi (Corte cost. n. 481/2005) ove si evidenziava come l'art. 2476 comma 3 realizza «per altra via la medesima intensità di tutela garantita dall'art. 2409» – è seguito anche da una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Milano 23 gennaio 2014 in Giur. it., 2014, 1940 secondo il quale se il legislatore ha concesso la tutela cautelare, ha anche implicitamente ma chiaramente previsto ed ammesso la corrispondente azione di merito; Trib. Milano, 17 maggio 2017, in Soc., 2017, 1143; Trib. Lucca, 13 settembre 2007, in Giur. comm. 2009, II, 216; Trib. Napoli, 20 ottobre 2005, in Foro it., 2006, I, 1222; Trib. Milano, 12 gennaio 2006, in Soc. 2007, 1010; Tribunale di Bologna, 18 aprile 2017, in IlSocietario.it). Recentemente, è stato affermato che ai fini dell'accoglimento della domanda di revoca cautelare degli amministratori, è necessario che la misura, in considerazione del fumus boni iuris e del periculum in mora, risulti indispensabile per la tutela dell'interesse sociale. In particolare, è richiesta la dimostrazione, sebbene nell'ambito di un accertamento solo sommario, di fatti specifici che siano di gravità tale da non configurare una semplice perdita di fiducia nei confronti degli amministratori convenuti bensì la possibilità di un rilevante pregiudizio dalla loro permanenza in carica (Trib. Milano, 15 febbraio 2017, in Soc., 2017, 1124). Indipendentemente dalla soluzione prescelta, vale la pena di evidenziare che la revoca cautelare dell'amministratore è stata concessa nelle situazioni più disparate (si veda, ulteriori approfondimenti, la Rassegna di giurisprudenza sulla società a responsabilità limitata in Giur. comm., 2017, 1, a cura di Loffredo e Racugno). Si è affermato che integra l'ipotesi di gravi irregolarità ex art. 2476 co. 3 la condotta dell'amministratore che proceda autonomamente alla determinazione del compenso ad esso spettante, non potendo tale condotta essere giustifica dal fatto che l'andamento economico della società sia stato migliore rispetto alle precedenti gestioni e che, in mancanza dell'autoattribuzione, del compenso sarebbe in ogni caso stata superiore (Trib. Bologna, 12 giugno 2015, in Soc. 2015, 1173). Sussistono i presupposti per la revoca cautelare, potenzialmente produttiva di grave danno per la società in termini di sviamento di clientela, in presenza di una condotta dell'amministratore riconducibile a violazione del divieto di concorrenza ex art. 2390 (Trib. Torino, 31 marzo 2014 che ha ritenuto sanzionabile l'esercizio di attività personale e parallela nel medesimo settore professionale e di mercato, con i medesimi clienti, mediante società avente denominazione tale da creare confusione tra i due soggetti). Parimenti sussistono i presupposti per la revoca nella gestione, da parte dell'amministratore, del principale affare della società in conflitto di interessi non dichiarato (Trib. Milano, 22 maggio 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it); nonché nelle disposizioni arbitrarie di denaro da parte dell'amministratore a danno della società e degli altri creditori, anche in conflitto di interessi (Trib. Catania, 28 ottobre 2015. È stato, poi, precisato che in assenza di un danno «potenziale» derivante alla società dalla permanenza in carica dell'amministratore non potrebbe nemmeno dirsi sussistente il requisito del periculum; in assenza di riscontri sul carattere anche potenzialmente pregiudizievole della condotta gestoria per gli interessi sociali la revoca dell'amministratore non può perciò essere disposta. Per altro verso, il giudice afferma che la mancanza di preventiva informazione dei soci non gestori non connota l'attività gestoria come arbitraria, in quanto l'art. 2476 c.c. non impone agli amministratori di s.r.l. alcun dovere di informazione in merito ad ogni affare sociale preventivamente e indipendentemente da una specifica richiesta dei medesimi soci (Trib. Milano, 4 dicembre 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it). La responsabilità verso i creditori sociali.Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (art. 378, co. 1) ha precisato che gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e che l'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La nuova formulazione della norma ha inteso chiarire definitivamente l’esperibilità, anche nelle società a responsabilità limitata, dell’azione dei creditori sociali.La medesima nuova norma ha anche precisato che la rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali e che la transazione puo' essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi È comunque utile dare conto del dibattito, giurisprudenziale e dottrinario, antecedente alla riforma operata dal codice della crisi di impresa. Infatti, in precedenza, l'art. 2476 non prevedeva (espressamente) la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali come invece avveniva ed avviene, nell'ambito delle società azionarie, con il disposto di cui all'art. 2394 (sulla problematica, in generale, Rescigno, 2011, 707 ss.; Scognamiglio, 389). Tale omissione ha, quindi, spinto una parte della dottrina e della giurisprudenza a negare tale legittimazione (concludeva per la negativa, Libonati, 630). Si è, infatti, affermato che poiché l'art. 2476, al suo comma 3, legittima il socio, in via esclusiva, all'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l., ne deriva che non può ritenersi legittimato alla proposizione di tale azione, avente natura contrattuale, il creditore della società, non socio (Trib. Milano, 21 aprile 2005, in Corr. mer., 2005, 882). In altre parole, il venire meno del richiamo all'art. 2394 sarebbe frutto di una precisa scelta del legislatore di escludere la possibilità per i creditori sociali di esercitare l'azione prevista dall'art. 2394 (da ultimo, Trib. Torino, 8 giugno 2011, in Giur. it., 2012, 332; Trib. Milano, 25 gennaio 2006, in Soc. 2007, 320). Tuttavia, successivamente, è stato osservato (da ultimo, Abriani, 629) come la legittimazione dei creditori sociali ad esercitare tale azioni sia prevista per la società a responsabilità limitata in fase di liquidazione (artt. 2485, 2486 e 2491) e per le società, qualunque sia il tipo adottato, soggette a direzione e coordinamento (art. 2497). Inoltre, i creditori sociali possono esperire, in virtù del richiamo operato dall'art. 2477 u.c., l'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci. Una ricostruzione sistematica di tali norme consente di affermare l'attuale sussistenza della legittimazione dei creditori sociali ad esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, esponendosi, peraltro, una diversa soluzione a fondati dubbi di legittimità costituzionale. La conclusione ora esposta è stata spiegata, da taluni autori, in ragione dell'applicazione analogica della norma di cui all'art. 2394 alla società a responsabilità limitata (Zanarone, 1099; Rescigno, 2011, 708), da altri, sulla base della norma generale di cui all'art. 2043 (Scognamiglio, 411 ss; Angelillis-Sandrelli, 780 ss.). In giurisprudenza, si è affermato che l'azione a tutela dei creditori sociali è esercitabile anche con riferimento alle s.r.l., pur non essendo espressamente menzionata dall'art. 2476 c.c.: le norme dettate per le società per azioni (2394 e 2394-bis) devono ritenersi applicabili anche alle società a responsabilità limitata, essendo autorizzata la loro applicazione analogica dall'art. 12 disp. prel. c.c. La responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali trova la stessa ratio nella s.p.a. come nella s.r.l. (Trib. Roma, 8 giugno 2015, in IlSocietario.it; Trib. Roma, 7 aprile 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 18 gennaio 2012, in Giur. comm., 2012, II, 391; Trib. Pescara, 15 novembre 2006, in Foro it., 2007, I, 2262). La legittimazione dei creditori sociali a promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una s.r.l. per i danni derivanti dalla mancata conservazione del patrimonio sociale, avente natura extracontrattuale, permane anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, di riforma del diritto societario, discendendo dall'applicazione della norma generale di cui all'art. 2043 (Trib. Napoli, 12 maggio 2004, in Soc., 2005, 1013; Trib. Napoli, 9 aprile 2008, in Dir. fall., 2009, II, 235). È stato, poi, affermato che: (i) spetta al singolo creditore sociale la legittimazione all'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. contro amministratori e sindaci di una società sottoposta a concordato preventivo, non rientrando questa procedura nelle fattispecie disciplinate dall'art. 2394-bis c.c.; (ii) l'azione di responsabilità promossa dal creditore, ai sensi dell'art. 2394 c.c., nei confronti degli amministratori della società in concordato preventivo è ammissibile, in quanto essa ha natura autonoma e non surrogatoria rispetto all'azione prevista dagli artt. 2392 e 2393 c.c., atteso che l'eventuale vantaggio consiste in un ristoro diretto del creditore che non comporta un'alterazione della par condicio creditorum; (iii) l'effetto di cui all'art. 184 l.fall. non determina improcedibilità o inammissibilità dell'azione di cui all'art. 2394 c.c. promossa dal singolo creditore contro gli organi della società in concordato preventivo. L'azione di responsabilità verso i creditori, infatti, non altera la par condicio creditorum, avendo finalità risarcitorie solo verso il singolo amministratore, soggetto diverso dalla società e privo di poteri di rivalsa nei confronti della stessa (Trib. Piacenza, 12 febbraio 2015, in Soc., 2015, 505 ed in Dir. fall., 2015, II, 577). Queste conclusioni hanno trovato conferma anche nella giurisprudenza di legittimità. È stato affermato che la riforma del diritto societario non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della s.r.l. che sia fallita, all'esercizio della predetta azione ai sensi dell'art. 146 l.fall., in quanto per tale disposizione, riformulata dall'art. 130 d.lgs. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, così confermandosi l'interpretazione per cui, anche nel testo originario, si riconosceva la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c. Sicché, anche se si ritenesse che i creditori di srl non abbiano più l'azione ex art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori, rimarrebbe comunque esercitabile dal curatore fallimentare l'azione di responsabilità ex art. 2043 c.c. (Cass.S.U., n. 1641/2017; Cass. n. 17359/2016; Cass. n. 17121/2010) . Chiarita l'ammissibilità dell'azione dei creditori sociali ad esperire l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, può rinviarsi al commento degli artt. 2394 e 2394-bis per quanto riguarda alla natura dell'azione ed alla sua disciplina. La responsabilità verso i singoli soci ed i terzi.Il sesto comma dell'articolo in commento prevede che le disposizioni dei precedenti commi non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. L'azione in argomento, di natura extracontrattuale (Paolucci, 512; Abriani, 627; Rimini, 700 ss.), presuppone che l'atto doloso o colposo realizzato dagli amministratori abbia arrecato al patrimonio del socio o del terzo un danno diretto (Abriani, 628; Zanarone, 1089 ss). Nel silenzio della disposizione (che non riproduce una norma di contenuto analogo al secondo comma dell'art. 2395), la dottrina evidenzia come il termine prescrizionale sia comunque pari a cinque anni: tuttavia, la decorrenza del termine va individuata non nel compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo (come avviene nell'ambito delle società azionarie con una norma, come l'art. 2395, comma 2, ritenuta eccezionale rispetto al principio dell'art. 2947; sul punto, Zanarone, 1094), ma nel momento in cui si è verificato l'evento dannoso oppure nel momento in cui il danneggiato ne ha avuto effettiva conoscenza (Zanarone, 1094, Abriani, 628; Paolucci, 513; Rimini, 706). Rinviando al commento dell'art. 2395, si evidenzia che la giurisprudenza richiede, per l'utile esercizio dell'azione che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma sia direttamente cagionato al socio come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori. Ne consegue che non integrano, di per sé, i presupposti della disposizione né l'inattività dell'assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l'inadempimento contrattuale posto in essere dall' amministratore, poiché la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, l'inadempimento contrattuale può comportare la responsabilità dell'amministratore soltanto quando derivi da un fatto illecito imputabile in via immediata al comportamento colposo o doloso di quest'ultimo (Trib. Roma, 21 novembre 2013, in Riv dir. soc. 2014, 309; Cass. n. 8458/2014). Sul punto, sono anche intervenute le sezioni unite della Corte di cassazione le quali hanno avuto modo di precisare che, qualora una società di capitali subisca, per effetto dell'illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché esso possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non anche a ciascuno dei soci, in quanto l'illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio, obbligando il responsabile al relativo risarcimento, mentre l'incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce soltanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell'illecito (Cass.S.U., n. 27346/2009). A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell'art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. Ne consegue che, nel caso di bilancio contenente indicazioni non veritiere, che si assumano avere causato l'affidamento incolpevole del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la sua decisione di contrattare con essa, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l'amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso ha l'onere di provare non solo tale falsità, ma anche, con qualsiasi mezzo, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno in ragione dell'inadempimento della società alle proprie obbligazioni (Cass. n. 17794/2015). L'azione risarcitoria spettante al singolo socio o al terzo direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori prescinde dalla circostanza che il pregiudizio sia stato arrecato dagli amministratori nell'esercizio, o non, delle loro incombenze e sia riconducibile a inadempimento della società o ad atto compiuto dagli amministratori nell'interesse della società stessa (Cass. n. 14121/2014). L'azione individuale del socio nei confronti dell'amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. (sostanzialmente richiamato per le s.r.l. dall'art. 2476, sesto comma, c.c.) esige che il singolo socio sia stato danneggiato «direttamente» dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. Ragion per cui l'ambito di esperibilità di tale azione deve limitarsi solo ai pregiudizi che si verifichino nel patrimonio del socio quale conseguenza immediata e diretta (non riflessa) del comportamento colposo o doloso dell'amministratore (Trib. Napoli, 7 novembre 2013, in Nuovo dir. soc., 2014, 46). Attesa la natura indubbiamente aquiliana dell'azione di cui all'art. 2395 c.c. ovvero, quanto alle società a responsabilità limitata, di cui all'art. 2476, sesto comma, c.c. – connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell'art. 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e della qualità del soggetto danneggiante – grava sull'attore fornire rigorosa prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell'amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguente riflessa del danno patito dalla società concretamente si esce dalla previsione richiamata (Trib. Piacenza, 25 maggio 2015, in Nuovo dir. soc., 2015, 103). Si ritiene, poi, che, a fianco della responsabilità degli amministratori nei confronti del socio o del terzo, sussista una responsabilità concorrente della società in nome della quale gli amministratori hanno agito, con la conseguenza che gli attori potranno convenire in giudizio per sentirla condannare al relativo risarcimento anche la società stessa la quale avrà diritto di rivalsa nei confronti degli amministratori (Abriani, 628; Rimini, 705). Si rinvia, per altri profili, al commento dell'art. 2395. La responsabilità gestoria dei soci.Il settimo comma della disposizione in argomento prevede, con una norma di significativo valore sistematico (Rordorf, 1181), la responsabilità solidale con gli amministratori dei soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi. La responsabilità dei soci costituisce, sostanzialmente, un contrappeso rispetto alla apertura della disciplina della società a responsabilità limitata nei confronti di una visione prettamente personalistica dei rapporti interni alla società (Abriani, 630; Paolucci, 516; Piccinini, 107). Nella società a responsabilità limitata, infatti, è fisiologico che i soci concretamente operino a stretto contatto con gli amministratori nelle scelte amministrative e gestionali, pur se non formalmente investiti di alcun potere gestorio (Santosuosso, 549). Infatti, come è stato correttamente affermato (Rordorf, 1182), nella società a responsabilità limitata risulta assai meno netta, rispetto a quanto accade nella società per azioni, la distinzione tra competenze degli amministratori e competenze dei soci, anche quando costoro operano in forma assembleare (si veda in proposito il disposto dell'art. 2479 e lo si ponga a raffronto con quanto prevede, in tema di competenze assembleari della società azionaria, l'art. 2364), pur dovendosi ritenere imprescindibile la nomina di un organo amministrativo anche in questo tipo di società e non essendo quindi la veste di amministratore mai del tutto sovrapponibile a quella di socio, benché sia eventualmente lo stesso socio a ricoprire la carica amministrativa. Inoltre, l'atto costitutivo potrebbe prevedere l'attribuzione di determinati diritti riguardanti l'amministrazione a singoli soci, i quali non per questo necessariamente assumono la veste formale di amministratori. In definitiva, nella società a responsabilità limitata, è del tutto fisiologico che il socio, pur senza rivestire egli stesso la carica di amministratore, assuma un ruolo attivo nell'amministrazione della società, come, ad es., avviene quando partecipa alle decisioni amministrative riservate alla competenza della compagine sociale (nella forma della deliberazione assembleare o nelle eventuali altre forme di decisione non assembleare previste dall'atto costitutivo) oppure quando esercita di persona gli speciali diritti di amministrazione che l'atto costitutivo gli abbia eventualmente attribuito (Rordorf, ivi). Ebbene, la norma in commento delinea l'equilibrio del sistema che necessariamente richiede che all'attribuzione di un potere corrisponda una proporzionale responsabilità. La responsabilità del socio ai sensi dell'art. 2476 comma 7 non è sussumibile in quella dell'amministratore di fatto (così la dottrina del tutto maggioritaria, Abriani, 632 ss., Santosuosso, 551 ss.; Tombari, 722; Paolucci, 516; Meli, 676 ss.). In particolare, si osserva, sul punto, che la norma in commento: 1) fa riferimento alla posizione del socio, mentre amministratore di fatto può essere anche un terzo; 2) prevede una responsabilità del socio accessoria a quella dell'amministratore, mentre la responsabilità dell'amministratore di fatto prescinde dalla configurabilità di quest'ultima; 3) prevede la responsabilità del socio anche con riferimento ad un occasionale atto gestorio che abbia egli intenzionalmente deciso o autorizzato, mentre è amministratore di fatto soltanto colui che svolge le funzioni gestorie con carattere di sistematicità che non si esauriscano nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale (Abriani, 634). La legittimazione attiva ad esperire l'azione di responsabilità nei confronti del socio appartiene alla società, al socio che eserciti l'azione sociale di responsabilità, al socio o al terzo direttamente danneggiato dall'atto deciso o autorizzato dal socio; al curatore fallimentare ai sensi dell'art. 146 l.fall. (Abriani, 635; Rordorf, 1189). Presupposti per l'applicazione della suddetta normativa sono l'alterità soggettiva del socio rispetto agli amministratori (se tutti i soci fossero amministratori, si applicherebbero direttamente i commi 1 e 3) (Zanarone, 1123); il compimento da parte dell'amministratore di un atto dannoso (si evidenzia in dottrina che la responsabilità del socio sussiste anche quando l'atto sia stato non già deciso dall'amministratore, ma soltanto eseguito da questi, Santosuosso, 552); la qualità di socio del soggetto che decide od autorizza (intenzionalmente) il compimento dell'atto dannoso. Con riferimento al rapporto tra la responsabilità degli amministratori e quella dei soci, è stato osservato (Santosuosso, 551) che la responsabilità viene in rilievo non già per una semplice assenza di controllo e neppure, in ipotesi di effettiva esistenza dell'atto dannoso, per la mera riconducibilità di tale atto al socio, ma solo in caso di intenzionale decisione o autorizzazione, da parte del socio, di quegli specifici atti dannosi. Per tale ragione, la responsabilità del socio è solidale con quella degli amministratori, affiancandosi la prima a quella dei secondi (Zanarone, 1124). In altre parole, il socio non amministratore il quale si sia ingerito nell'amministrazione sociale può essere chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell'amministratore, giacché la norma postula tra loro un legame di solidarietà passiva (Rordorf, 1183 che precisa che la responsabilità del socio deriva dalla decisione o dall'autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, quella dell'amministratore dall'effettivo compimento del medesimo atto, che si colloca su di un piano logicamente e cronologicamente distinto). Sussiste tra la responsabilità del socio e quella dell'amministratore un rapporto di accessorietà (Rordorf, ivi), nel senso che la seconda sussiste indipendentemente dalla prima, ma la prima non è configurabile senza la seconda (Meli, 672; Zanarone, 1128). Dalla alterità soggettiva tra amministratori e soci responsabilità ex art. 2476 comma 7, deriva (Santosuosso, 553) che: 1) l'atto gestorio deve essere imputato formalmente all'amministratore in carica; 2) la responsabilità del socio presuppone l'accertamento giudiziale della scorrettezza amministrativa dell'atto dannoso; 3) non vi è responsabilità per gli atti (non gestori) che rientrano inderogabilmente nella competenza decisoria dei soci (in questo senso, anche Zanarone, 1125; Rordorf, 1184 secondo il quale si deve escludere la possibilità di applicare la norma in esame in caso di atti di gestione dannosi posti in essere dal socio, in forza degli speciali diritti di amministrazione conferitigli dall'atto costitutivo, senza la necessaria cooperazione esecutiva dell'amministratore). Sotto altro profilo, la responsabilità del socio per atti gestori può discendere sia dal fatto che quegli atti siano stati autorizzati o decisi dal socio medesimo (o con il suo concorso) nell'esercizio di diritti o facoltà che statutariamente gli competono, sia dal fatto che il socio si sia ingerito nell'amministrazione al di fuori di ogni previsione legale o statutaria. Ci si è chiesti, infatti, se vengono in rilievo solo gli atti autorizzati o decisi dal socio nell'ambito dei poteri attribuiti al socio dalla legge o dall'atto costitutivo o se viceversa possono acquistare rilievo, secondo un'interpretazione estensiva, anche l'impulso all'attività gestoria che il socio avesse comunque dato a livello decisionale sia pure al di fuori di formali procedimenti di decisione e/o di autorizzazione (su tale problematica, Zanarone, 1126; Bonora, 163). Escluso che la norma prenda a riferimento il socio che eserciti in modo continuativo e significativo attività gestoria (rispondendo, in tal caso, come amministratore di fatto) ed escluso che la responsabilità si configuri quando l'intervento del socio si risolva nel compimento diretto ma occasionale di singole operazioni di gestione, deve concludersi che la norma si riferisca all'ipotesi del socio che, pur non esercitando in modo esclusivo, continuativamente o occasionalmente, poteri tipici degli amministratori, orienti di fatto l'attività di questi ultimi inducendoli al compimento di atti dannosi (Zanarone, 1128). Così, l'espressione «deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi» abbia una valenza assai ampia, ed in un certo senso forse persino atecnica (Rordorf, 1185). In questa prospettiva, risponderebbe ex art. 2476, comma 7, il socio il quale, pur senza essere investito né per legge né per statuto, della facoltà di interferire sull'operato degli amministratori, adotti, continuativamente o occasionalmente, comportamenti rientranti nelle facoltà gestorie quali appunto le autorizzazioni o le decisioni (Zanarone, 1129; Tombari, 721). Il comportamento, decisorio o autorizzativo, deve aver avuto un'effettiva influenza causale sull'atto di gestione – o eventualmente sull'omissione di un atto di gestione che sarebbe stato necessario compiere in determinate circostanze – dal quale sia scaturito un danno alla società, all'altro socio o al terzo che agisce in giudizio per far valere la conseguente responsabilità (Rordorf, 1186). Dovendo essere un comportamento che abbia avuto una qualche incidenza sulla gestione societaria, i soci, al contrario, non possono essere ritenuti responsabili solo per non avere adeguatamente vigilato sull'attività di gestione posta in essere dall'amministratore (Tombari, 721). La giurisprudenza di merito ha aderito alla interpretazione più estensiva evidenziando come possa venire in rilievo tanto il voto espresso nell'assemblea ovvero nel consenso manifestato alle decisioni assunte mediante consultazione scritta quanto tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali in ogni caso da evidenziare l'ingerenza o anche l'influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori (Trib. Roma, 19 novembre 2014, in ilSocietario.it che precisa che non viene in tale contesto posto in crisi il generale principio della non responsabilità del socio per le obbligazioni sociali, in quanto tale responsabilità serve a garantire la necessaria correlazione tra l'attribuzione di un potere e la responsabilità di chi ne sia investito). I maggiori problemi interpretativi della norma in argomento afferiscono al requisito soggettivo della «intenzionalità» (su tale problematica, in generale, Bonora, 217 ss.; Ferraro, 249; Meli, 691 ss.; Rescigno, 2012, 219 ss.) che, peraltro, figura in posizione tale da integrare gli estremi di un elemento costitutivo dell'azione di responsabilità che il danneggiato intenda esperire nei confronti del socio (Rordorf, 1186 il quale precisa che l'onere di provare l'esistenza di un tale requisito soggettivo grava quindi sull'attore anche se, trattandosi di circostanze inerenti all'interiorità soggettiva, lo si potrà assolvere ricorrendo ad elementi indiziari ed a presunzioni logiche; Meli, 697). Secondo altra parte della dottrina (Tombari, 724), l'avverbio «intenzionalmente» sarebbe del tutto pleonastico nell'identificazione del presupposto della fattispecie (essendo una decisione o una autorizzazione sempre intenzionale): esso starebbe a significare, quindi, che la responsabilità dei soci non discende da una mera conoscenza o approvazione degli atti degli amministratori, ma richiede una consapevole compartecipazione alla scelta gestoria senza però essere necessario che vi sia intenzione di arrecare un danno (Tombari, 724). Sono state prospettate almeno tre possibili soluzioni diverse: 1) si può riferire l'intenzionalità all'evento di danno (Zanarone, 1130; Irace, 187; Benazzo, 1073); 2) si può riferirla al solo comportamento del socio, in quanto volto ad influire sull'operato degli amministratori (Rescigno, 2012, 219, 3) si può riferirlo all'antigiuridicità di tale comportamento (Meli, 691 ss. secondo il quale il requisito dell'intenzionalità avrebbe una duplice implicazione: occorre che il socio sappia che la sua manifestazione di volontà è idonea ad orientare il comportamento dell'amministratore verso quell'atto, e che questa sia la sua intenzione; ed occorre altresì che egli sia perfettamente in grado di valutare, nel momento in cui lo decide, l'illegittimità dell'atto indotto). Secondo l'orientamento maggioritario, l'intenzionalità deve consistere nella piena coscienza di compiere quell'atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e perciò deve indicare la riferibilità psicologica dell'atto al socio (Santosuosso, 554; Meli, 692; Rordorf, 1187 secondo il quale sussisterebbe la responsabilità del socio quando egli abbia deciso o autorizzato un atto di gestione con la consapevole intenzione della sua non conformità ai canoni prescritti in proposito dalla legge o dall'atto costitutivo della società; Piccinini, 115; in giurisprudenza, Trib. Roma, 6 luglio 2010, in Riv. dir. soc., 2011, 412). Una tale soluzione consente di non esporre il socio al rischio di una responsabilità troppo dilatata, senza imporgli un onere d'informazione e di diligenza irragionevolmente pari a quello gravante su un vero e proprio amministratore. Infatti, in tal modo il socio è chiamato a rispondere dei suoi atti consapevolmente illegittimi, anche se non diretti volutamente ad arrecare danno: viene, dunque, assicurato lo scopo di deterrenza sotteso alla disposizione in esame, scoraggiando comportamenti moralmente azzardati di chi saprebbe, altrimenti, di potersi ingerire nella gestione sociale rischiando assai poco (Rordorf, 1187). In giurisprudenza, si osserva che deve trattarsi di atti o comportamenti tali da supportare intenzionalmente l'azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori: è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell'antigiuridicità dell'atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell'atto da parte dell'amministratore. L'intenzionalità, in questa prospettiva, è costituita dalla piena coscienza di compiere quell'atto decisionale o autorizzatorio potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell'atto al socio (Trib. Roma, 19 novembre 2014, cit. che precisa che l'antigiuridicità dell'atto viene a configurarsi non solo quando l'atto deciso è contrario alla legge o all'atto costitutivo della società, ma anche quando l'atto, pur se di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, cioè con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale). Ancora, si evidenzia (Trib. Roma, 1 giugno 2016, in Soc., 2017, 41) come, ai fini dell'affermazione della responsabilità del socio, non rilevano solo gli atti decisi o autorizzati dal socio nell'ambito dei poteri attribuitigli dalla legge o dall'atto costitutivo, ma assume rilievo ogni forma di impulso all'attività gestoria che il socio avesse comunque dato a livello decisionale sia pure al di fuori di formali procedimenti di decisione e/o di autorizzazione. Vi rientrano, quindi, tutte quelle manifestazioni di volontà espresse dai soci anche in forme non istituzionali e meramente ufficiose, ma tali da manifestare l'ingerenza o anche l'influenza effettiva spiegata da costoro sugli amministratori. Per ciò che concerne l'elemento psicologico, atteso che per l'insorgere di tale responsabilità la legge richiede l'intenzionalità nel decidere o autorizzare il compimento di atti dannosi, il tribunale si orienta per la tesi secondo la quale l'intenzionalità non va riferita al danno, ma all'atto compiuto. Essa è costituita dalla piena coscienza di compiere quell'atto decisionale o autorizzazione potenzialmente dannoso e, in definitiva, dalla riferibilità psicologica dell'atto al socio». Deve dunque trattarsi di atti o comportamenti posti in essere dai soci nella fase decisionale anche fuori dalle incombenze formalmente previste per legge o per statuto e tali da supportare intenzionalmente l'azione illegittima e dannosa poi posta in essere dagli amministratori; inoltre è sufficiente che vi sia la consapevolezza, frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità, da parte del socio dell'antigiuridicità dell'atto e che, nonostante ciò, costui partecipi alla fase decisionale finalizzata al successivo compimento di quell'atto da parte dell'amministratore. Altra parte della giurisprudenza ha osservato che l'avverbio intenzionalmente esprime la volontà di supportare un'operazione illecita: tuttavia l'elemento psicologico richiesto dalla norma risulta pleonastico ove si sia in presenza di un procedimento formale di deliberazione, mentre rispetto ad atti informali, occorre provare che il socio si sia rappresentato ed abbia voluto influire, mediante l'atto posto in essere, sull'atto gestorio poi compiuto dall'amministratore (Trib. Milano, 9 luglio 2009, in Giur. comm., 2011, II, 147). Le condotte decisorie ed autorizzatorie devono essere compiute «intenzionalmente», cioè devono esprimere o denotare la volontà di supportare un'operazione illecita, però se il socio chiamato a rispondere non è una persona fisica ma un ente dotato di personalità giuridica, quale una società commerciale, è escluso che all'ente sia imputabile un qualsiasi stato psicologico, anzi la presenza di tale elemento deve essere accertato e imputato all'amministratore del socio, come soggetto attraverso cui, in forza del principio di immedesimazione organica e dell'istituto della rappresentanza legale, il socio agisce e pone in essere rapporti giuridici (Trib. Milano, 8 ottobre 2009). Quanto alla natura della responsabilità, una parte della dottrina evidenzia che la responsabilità dei soci verso la società condivide la natura contrattuale della concorrente responsabilità degli amministratori, pur essendo diverso il rapporto contrattuale di riferimento: rapporto di amministrazione, nell'un caso, e rapporto di società nell'altro (Rordorf, 1187 secondo il quale la partecipazione al contratto sociale comporti per ciascun socio un dovere generale di diligenza e correttezza da cui discende l'obbligo di astenersi dal compiere o dal concorrere a compiere intenzionalmente atti gestori dannosi per la società; così anche Meli, 696; Zanarone, 1135). Quanto alla responsabilità per i danni cagionati non alla società, ma direttamente ad altri soci o a terzi, muovendo dalla considerazione della configurabilità di un concorso causale del socio nel compimento dell'atto illegittimo dell'amministratore, la responsabilità del primo sarà da considerare contrattuale, se ad essere danneggiato da quell'atto sia stato un altro socio (stante l'esistenza del rapporto contrattuale che lega i soci tra loro e l'obbligo di esecuzione secondo correttezza e buona fede del patto sociale); sarà da considerarsi responsabilità extracontrattuale (a prescindere dalla natura aquiliana o contrattuale che si voglia attribuire alla concorrente responsabilità dell'amministratore) per i danni arrecati a terzi estranei alla compagine sociale (così, testualmente, Rordorf, 1188; Piccinini, 117). BibliografiaAbriani, Sub art. 2476, Delle società. Dell'azienda. Della concorrenza, a cura di D.U. Santosuosso, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Milano, 2015; Angelillis, Sandrelli, Sub art. 2476, in Società a responsabilità limitata, Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, a cura di Bianchi, Milano, 2008, 665; Ambrosini, Sub art. 2476, in Commentario Niccolini Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004; Arieta, Gasperini, La revoca cautelare ante causam degli amministratori di s.r.l., in Corr. giur. 2005, 261; Bartalena, La revoca degli amministratori di s.r.l., in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Piras, Torino, 2010, Benazzo, L'organizzazione della nuova S.r.l. fra modelli legali e statutari, in Soc. 2003, 1062; Bernabai, Profili processuali delle azioni di responsabilità, in Soc. 2005, 227; Bonora, La responsabilità del socio «gestore» di società a responsabilità limitata, Milano, 2013; Buta, Il diritto di controllo del socio di S.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa e Portale, III, Torino, 2006; Butturini, I diritti del socio di s.r.l. e l'autonomia statutaria, Milano, 2017; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale diretto da Cottino, 2007; Cagnasso, Azione di responsabilità e S.r.l.: a legittimazione (anch'essa) limitata?, in Giur. it. 2006, 2096; Capelli, Il controllo individuale del socio di s.r.l. Il modello legale, Milano, 2017; Ciampi, Novità della novella per le azioni di responsabilità nelle S.r.l., in Soc. 2006, 286; Comastri, Valerini, Natura conservativa e funzione inibitoria della revoca cautelare dell'amministratore di S.r.l., in Riv. dir. civ. 2007, I, 453; Consolo, Note sul potere di revoca è vera misura cautelare? in Corr. giur. 2005, 272; De Luca, Azione di responsabilità e astensione per conflitto di interesse nelle s.r.l., in Soc. 2018, 427; Fabiani, L'azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, Milano, 2015; Ferraro, Le situazioni soggettive del socio di società a responsabilità limitata, Milano, 2012; Irace, La responsabilità per atti di eterogestione, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003; Libonati, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, III, Torino, 2007; Meli, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, III, Torino, 2007; Mondini, La responsabilità degli amministratori nei confronti della società: profili sostanziali, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 629; Mozzarelli, La legittimazione ad agire, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 640; Nazzicone, La revoca dell'amministratore nelle società a responsabilità limitata, in Codice delle misure cautelari societarie, a cura di Nazzicone, Torino, 2012; Paolucci, Sub art. 2476, in Della società a responsabilità limitata, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2014; Parrella, Sub art. 2475, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), III, Torino, 2003; Perrino, Il controllo individuale del socio di società di capitali: fra funzione e diritto, in Giur. comm. 2006, I, 639; Picciau, Appunti in tema di amministrazione e rappresentanza, in La nuova S.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di Farina, Ibba, Racugno e Serra, Milano, 2004; Piccinini, La responsabilità del socio, in Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, a cura di L. Balestra, Milano, 2016, 104; Pinto, Gli atti di disposizione dell'azione di responsabilità, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 686; Presti, Il diritto di controllo dei soci non amministratori, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 650; Rescigno, La responsabilità per la gestioni: profili generali, in Trattato delle società a responsabilità limitata, a cura di Ibba e Marasà, V, Padova, 2012; Rescigno, Il problema dell'azione dei creditori, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 707; Rimini, La responsabilità nei confronti dei soci e dei terzi direttamente danneggiati, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta, Presti, Milano, 2011, 699; Rordorf, La responsabilità gestoria dei soci di S.r.l., in Soc. 2014, 1181; Rossi, La revoca degli amministratori di S.r.l., Milano, 2012; Salanitro, Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano, 2005; Santosuosso, Responsabilità del socio di società a responsabilità limitata per gli atti di influenza amministrativa (art. 2476, comma 7, c.c.), in Le società commerciali: organizzazione, responsabilità e controlli, a cura di Vietti, Torino, 2014; Scognamiglio, L'azione sociale di responsabilità, in Trattato delle società a responsabilità limitata, a cura di Ibba, Marasà, V, L'amministrazione. La responsabilità gestoria, Padova, 2012; Serafini, Responsabilità degli amministratori e interessi protetti, Milano, 2013; Spadaro, Ancora sulla revoca cautelare dell'amministratore di s.r.l.: gli orientamenti del tribunale di Milano e la strumentalità al merito di rimozione giudiziale, in Soc. 2017, 1143; Tedeschi, Responsabilità e revoca degli amministratori di s.r.l., in Contr. Impr. 2008, 1265 Tombari, La responsabilità dei soci, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta, Presti, Milano, 2011, 717; Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2007; Vigo, Le decisioni non conformi alla legge o all'atto costitutivo, in S.r.l. Commentario, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011; Weigmann, La revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa, Portale, III, Torino, 2006; Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il codice civile commentato, fondato da Schlesinger e continuato da Busnelli, Milano, 2010. |