Codice Civile art. 2479 - Decisioni dei soci 1 .Decisioni dei soci 1. [I]. I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione 2. [II]. In ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: 1) l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; 2) la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori; 3) la nomina nei casi previsti dall'articolo 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti 3; 4) le modificazioni dell'atto costitutivo; 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. [III]. L'atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In tal caso dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa. [IV]. Qualora nell'atto costitutivo non vi sia la previsione di cui al terzo comma e comunque4 con riferimento alle materie indicate nei numeri 4) e 5) del secondo comma del presente articolo nonché nel caso previsto dal quarto comma dell'articolo 2482-bis 5 oppure quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare ai sensi dell'articolo 2479-bis6. [V]. Ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione. [VI]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale 7.
[2] Il segno grafico «.» è stato sostituito al segno grafico «:» dall'art. 3 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 51ss)d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37. [3] Le parole «del revisore» sono state sostituite dalle parole «del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 28, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39. [4] La parola «comunque» è stata sostituita alle parole «in ogni caso» dall'art. 3 d.lg. n. 6, cit., come modificato dall'art. 51ss) d.lg. n. 37, cit. [5] Le parole «nonché nel caso previsto dal quarto comma dell'articolo 2482-bis» sono state aggiunte dall'art. 3 d.lg. n. 6, cit. [6] Con riferimento alle misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, v. art. 106, comma 3, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv., con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27, che prevede: «Le società a responsabilità limitata possono, inoltre, consentire, anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2479, quarto comma, del codice civile e alle diverse disposizioni statutarie, che l’espressione del voto avvenga mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto». Ai sensi del comma 7 dell’art. 106 cit., le disposizioni del presente articolo si applicano alle assemblee convocate entro il 31 luglio 2020 ovvero entro la data, se successiva, fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza della epidemia da COVID-19. InquadramentoLa legge delega per la riforma del diritto societario (l. 3 ottobre 2001, n. 366) indicava, quali principî generali della disciplina della società a responsabilità limitata, la rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci (art. 3 comma 1) e, per quanto riguarda gli assetti organizzativi, il riconoscimento di una ampia autonomia statutaria riguardo alle strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci. La norma in commento risponde ai principî generali ora indicati, in quanto, se pure pone una normativa di base, consente all'autonomia statutaria di derogarvi, espandendo il nucleo delle competenze riservate ai soci dal secondo comma dell'art. 2479 anche a tutte le decisioni che riguardano più propriamente la gestione della società (Zanarone, 1235). In altre parole, la norma in commento rappresenta uno dei cardini della nuova disciplina secondo un modello che è stato definito «organizzazione corporativa attenuata» (Spada, 489). Infatti, le competenze decisionali dei soci non attengono esclusivamente all'area «organizzativa» della società, ma anche, in via stabile, all'area della gestione imprenditoriale (Mirone, 2015, 742). Già a livello normativo, secondo lo schema delineato dal legislatore, i soci non sono qualificati come meri investitori, ma sono coinvolti direttamente nell'ambito più propriamente gestionale essendo loro riservata la decisione in ordine al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo ed essendo dotati del potere di avocazione (Mirone, 740; Lener, 789). In questa prospettiva, si pone il primo comma della disposizione in commento che consente all'atto costitutivo di devolvere alla competenza dei soci qualsiasi decisione e, dunque, anche quelle a contenuto più propriamente imprenditoriale o a carattere gestorio, facendo divenire la collettività dei soci l'organo sovrano della società con ampie possibilità di ingerenza rispetto all'organo amministrativo (Carbonara, 2015, 21). E tale spostamento dell'asse societario sui soci è confermato dall'ulteriore norma contenuta nel comma 1, secondo la quale tanto gli amministratori, quanto i soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale possono sottoporre alle decisioni dei soci qualsivoglia argomento. L'autonomia statutaria può accentuare il modello capitalistico strutturando la società secondo i principî propri delle società per azioni ovvero ampliare le competenze dei soci, accentuando il carattere personalistico. Secondo una parte della dottrina, poi, i soci potrebbero stabilire, nell'atto costitutivo, di prescindere del tutto da un autonomo organo di amministrazione (Lener, 789; ma si veda, per il contrasto della dottrina sul punto, sub art. 2475). Peraltro, l'accentuata competenza dei soci nell'ambito della gestione della società trova il proprio contrappeso nella responsabilità del socio prevista dall'art. 2476, comma 7 (v.) (Lener, 794). Le competenze dei soci.Con una previsione ritenuta inderogabile (Cian, 14; Lener, 790; Benazzo, 2032, che evidenzia come le materie qui elencate costituiscono momenti fondamentali dell'organizzazione societaria), il secondo comma dell'art. in commento riserva, «in ogni caso», alla competenza dei soci le decisioni su talune materie. Esse sono: 1) l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; 2) la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori; 3) la nomina dell'organo di controllo nei casi previsti dall'art. 2477; 4) le modificazioni dell'atto costitutivo; 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. La norma vieta, da una parte, l'attribuzione statutaria di tali competenze agli amministratori e, dall'altra, l'attribuzione di tali competenze, quale diritto particolare, ad un socio (Mirone, 2015, 743). Peraltro, altre norme prevedono la competenza esclusiva – e, quindi, altrettanto inderogabile – dei soci in ordine a particolari decisioni (Cian, 21): la rinunzia all'azione di responsabilità (art. 2476 comma 5); la revoca dello stato di liquidazione (art. 2487-ter); la trasformazione, fusione e scissione (artt. 2500-sexies, 2502 e 2506-ter). Secondo una parte della dottrina, sarebbero rimesse alla decisione dei soci anche l'acquisto di partecipazioni in altre imprese, comportante l'assunzione di una responsabilità illimitata a carico della società in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 2361 (Cian, 22). Come esattamente sottolineato in dottrina (Lener, 789), una parte delle materie indicate dall'art. 2479, comma 2, come riservate ex lege alla competenza dei soci, non potrebbero comunque essere attribuite agli amministratori in quanto afferiscono al controllo sull'attività gestoria: si inseriscono, in tale categoria, l'approvazione del bilancio, la nomina dei sindaci o del revisore e le modificazioni formali e sostanziali dell'atto costitutivo. Quanto alla distribuzione degli utili, la norma, se pure impedisce che la decisione in ordine alla distribuzione sia presa da altri organi, non preclude l'attribuzione di un diritto particolare sugli utili medesimi (v. art. 2468) (Cian, 17) La riserva di cui all'art. in commento vale ad impedire che il relativo potere decisionale sia attribuito ad altri organi o a singoli soci (Benazzo, 2033; contra, Guerrieri, 2034 secondo il quale il diritto attribuito ex art. 2468, comma 3, può configurarsi non solo come privilegio nella ripartizione, ma anche nella assunzione della relativa decisione). Secondo una parte della dottrina, poi, la riserva non sarebbe di ostacolo all'attribuzione statutaria ai soci del diritto di percepire gli utili maturati dalla società indipendentemente da qualsivoglia deliberazione in merito da parte della collettività (Cian, 17). Quanto, poi, alla nomina degli amministratori, si rileva che l'inciso «se prevista nell'atto costitutivo» non deve essere letto nel senso che la competenza dei soci sussiste solo nel caso in cui l'atto costitutivo attribuisca ai consociati la competenza a deliberare: esso, invece, fa salva la possibilità che i soci, nell'atto costitutivo, prevedano clausole che consentano di individuare gli amministratori a prescindere da ogni loro successivo intervento, ad es., attribuendo, come diritto particolare, ad uno o più soci le funzioni gestorie ovvero la nomina stessa degli amministratori (Cian, 17; Zanarone, 1264; Nuzzo, 1625) ovvero ancora un potere di veto o di proposta (Vigo, 461). Appare, al contrario, illegittima l'attribuzione del potere di nomina dell'organo gestorio a terzi ovvero ad alcuni amministratori (Cian, 17, spec. nt. 60; Vigo, 461). Ancora, rimane prerogativa dei soci la revoca degli amministratori allorquando la nomina sia originariamente di spettanza della collettività dei soci (Mirone, 2015, 744, che trae questa conclusione dal principio di naturale corrispondenza dei due poteri; Vigo, 465). Parimenti, ove il potere di nomina dell'organo gestorio sia attribuito, a titolo di diritto particolare, ad un socio, a questi spetterà anche il potere di revoca. Al contrario, ove l'atto costitutivo attribuisca, sempre ai sensi dell'art. 2468, comma 3, ad un socio il diritto speciale di amministrare la società, la sua revoca potrà essere richiesta esclusivamente, in via cautelare, al tribunale ai sensi dell'art. 2476, comma 3. Secondo una parte della dottrina (Cian, 19), anche in tali casi rimarrebbe ineliminabile una competenza sussidiaria ed eventuale dei soci per l'ipotesi in cui venga meno l'amministratore indicato nello statuto (per dimissioni o revoca ex art. 2476, comma 3) o il socio titolare del diritto di designazione. Ove, peraltro, si ritenga che l'esperimento dell'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori debba essere preventivamente autorizzata (sul punto, v. art. 2476), l'assunzione della relativa delibera spetterà naturaliter ai soci (Vigo, 468 che precisa, inoltre, che a questa decisione dei soci si applica analogicamente il disposto di cui all'art. 2373, comma 2, onde i soci contro i quali la società intende agire non hanno diritto di voto; sul punto, v. anche sub art. 2479-ter). Secondo Trib. Napoli, 12 settembre 2011 (in Soc., 2012, 1294), la revoca dell'amministratore di una s.r.l. nominato con decisione dei soci è ammissibile, oltre che giudizialmente come previsto all'art. 2476, anche in via assembleare. Il n. 3 della norma in commento (nomina dell'organo di controllo e del revisore) si riferisce tanto all'ipotesi in cui la nomina di tali organi sia obbligatoria quanto all'ipotesi in cui lo statuto si sia avvalso della facoltà prevista dall'art. 2477, comma 1 (Cian, 21). In questa prospettiva, è fatto divieto di attribuire la nomina a singoli soci o a terzi (Zanarone, 1265). È, però, possibile che lo statuto attribuisca il compito di sindaco o di revisore ad un socio o a tutti i soci non amministratori (Vigo, 462). L'articolo in commento (n. 4) riserva alla competenza dei soci le modificazioni dell'atto costitutivo: tuttavia, altre norme attribuiscono ad altri soggetti la competenza in ordine ad alcune modifiche (ad es., l'art. 2482-bis comma 4, che attribuisce al tribunale la competenza sussidiaria in ordine alla riduzione obbligatoria del capitale per perdite) ovvero consentono che l'organo gestorio operi la modificazione stessa (cfr., artt. 2481, comma 1, 2482 bis u.c., 2505, comma 2, e 2505-bis, comma 2). Segue. Sostanziale modifica dell'oggetto sociale e rilevante modificazione dei diritti dei sociIl n. 5 riserva, impedendo riallocazioni ad altri organi del relativo potere, alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. Si tratta di operazioni che, pur non incidendo formalmente sullo statuto sociale modificandolo, sono idonee – per la loro «significatività» (ricavabile dalla «sostanziale» modificazione dell'oggetto e dalla «rilevanza» della modifica dei diritti dei soci) – ad incidere sull'assetto strutturale della società (Cian, 14). In altre parole, si tratta di operazioni che comportano la modificazione, incidendo quindi sull'oggetto sociale o sui diritti dei soci, non già direttamente, attraverso una variazione dello statuto, ma in via indiretta, attraverso il mutamento del contesto originario al cui interno quell'oggetto sociale veniva perseguito e quei diritti sociali esercitati (Zanarone, 1267). Iniziando l'esame dalla prima fattispecie delineata dal n. 5 (operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale), deve in primo luogo escludersi che vengano in rilievo modificazioni formali dell'oggetto sociale, in quanto, in tale ultimo caso, si ricadrebbe nella ipotesi contemplata dal n. 4 del medesimo comma (Lener, 791). Secondo l'indirizzo maggioritario, le operazioni ivi indicate consistono nelle operazioni gestionali di eccezionale rilievo (Mirone, 2015, 746) e, precisamente, nelle operazioni idonee ad incidere sulla struttura industriale e/o finanziaria della società e, dunque, sugli interessi primordiali dei soci (Abbadessa, 186; Zanarone, 1267; Lener, 791). Ad onta della lettera della norma, oggetto della «sostanziale modifica» non sarebbe l'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo, ma sarebbero «i tratti caratterizzanti e consolidati dell'impresa sociale» (Mirone, 2015, 747). In altre parole, la norma non prenderebbe a riferimento operazioni estranee all'oggetto sociale, ma avrebbe la funzione di limitare i poteri degli amministratori, rimettendo alla collettività dei soci la decisione sul compimento di atti altrimenti rientranti nelle prerogative dell'organo gestorio (Cian, 14, che precisa che, al contrario, le operazioni estranee all'oggetto statutario rimangono già di per sé sottratte alla loro competenza). L'alterazione, poi, per essere significativa, deve avere carattere di stabilità e permanenza (Lener, 791; Cian, 15). In questa prospettiva, rientrerebbero nella fattispecie in esame: la vendita dell'azienda che esaurisca il patrimonio e l'attività della società con conseguente abbandono delle prospettive imprenditoriali dell'ente; le operazioni che riducono l'attività della società al mero godimento di beni attraverso, ad es., l'affitto dell'azienda (Lener, 791); il radicale mutamento dell'attività sia pure intervenuto nell'ambito del medesimo oggetto sociale (Mirone, 2015, 747, che menziona il caso della vendita di un lido balneare ed al contemporaneo acquisto di un albergo in montagna in relazione ad una società che abbia un oggetto sociale riferito genericamente al settore turistico-recettivo); il cambiamento dell'oggetto sociale di società controllate nelle quali sia concentrata larga parte del patrimonio e delle prospettive reddituali della controllante (ancora Mirone, 2015, ivi); il passaggio della società dalla veste di ente operativo ad holding con conseguente cessazione dell'esercizio diretto dell'attività (Cian, 15). Secondo un diverso orientamento, l'art. 2479 n. 5 seguirebbe, parzialmente, il modello nell'art. 2361, laddove è previsto, per le società azionarie, che l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale determinato dallo statuto. A differenza dell'art. 2361, l'art. in commento non vieta l'operazione, ma attrae la relativa decisione alla competenza dei soci. Così, il n. 5 ha a riferimento tutte quelle operazioni estranee all'oggetto sociale e tanto rilevanti da essere idonee a modificarlo (Vigo, 458, che menziona le ipotesi dell'acquisto di una azienda relativa ad altro settore industriale ovvero il compimento di operazioni finanziarie di rilevante ammontare e non riferibili all'oggetto sociale dichiarato nello statuto). Secondo altro orientamento, seppure l'apparente significato della norma sembrerebbe quello di consentire il ricorso alla decisione (da adottarsi con il metodo assembleare) di compiere operazioni che comportano una modificazione sostanziale dell'oggetto sociale in luogo della normale decisione di cambiamento formale della clausola dell'oggetto sociale, una simile conclusione comporterebbe una alterazione delle regole organizzative della società con la conseguenza che la legittimità della decisione dei soci andrebbe esclusa allorché sia possibile deliberare una modifica formale della clausola statutaria: pertanto, sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 2479 n. 5 nell'ipotesi in cui l'atto (estraneo all'oggetto sociale formalmente inteso) il cui compimento si autorizza non è dotato del carattere della stabilità o della definitività sul piano dell'efficacia (Paolini, 299, spec. 302). Secondo Trib. Roma, 28 aprile 2011 (in Vita not., 2011, 2, 1016) rientra nella norma in esame l'ipotesi di cessione dell'azienda costituente la sola attività dell'impresa sociale non accompagnata dal contestuale riacquisto di altra azienda con la quale continuare l'attività d'impresa in precedenza esercitata. In materia di s.r.l., la cessione dell'azienda costituente attività esclusiva della società a responsabilità limitata e addirittura anche talora l'affitto di essa, trasformando l'attività sociale da produttiva a finanziaria, comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci a norma dell'art. 2479, comma 2, n. 5; le stesse pertanto non possono essere decise dagli amministratori, appartenendo alla competenza funzionale dell'assemblea dei soci. Tale riserva di competenza funzionale integra un limite legale ai poteri di rappresentanza degli amministratori, con la conseguenza che il difetto del potere rappresentativo, ai fini dell'annullamento dell'atto, è sempre opponibile ai terzi indipendentemente da qualsivoglia indagine in ordine al loro atteggiamento soggettivo (Trib. Piacenza, 14 marzo 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 377). Secondo Trib. Verona, 16 dicembre 2013 (in Soc., 2014, 234), è invalido un contratto di affitto di ramo d'azienda concluso da amministratore di s.r.l. privo di autorizzazione assembleare ex art. 2479, secondo comma, n. 5. Quanto alle operazioni che comportano una «rilevante modificazione dei diritti dei soci», secondo una parte della dottrina, la norma andrebbe letta insieme all'art. 2473, che attribuisce al socio il diritto di recesso in caso di compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, comma 4. In questa prospettiva, l'art. 2479 si ricollega a quest'ultima disposizione che, a sua volta, prevede che i diritti particolari, salvo diversa disposizione statutaria, possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci. Una lettura complessiva del sistema porterebbe, quindi, a ritenere che l'art. 2479 riserva ai soci il compito di deliberare non sulle operazioni che comportano una rilevante modificazione di tutti i soci, ma sulle operazioni che incidono sui «particolari diritti» che l'atto costitutivo attribuisce a singoli soci (Vigo, 459; Cian, 16). Così, vi sono operazioni gestionali il cui compimento viola o elude tali diritti particolari: assumere tali decisioni è vietato agli amministratori, ma non ai soci che potrebbero deliberare – risolvendo un conflitto tra amministratori e soci muniti di diritti particolari – una sospensione (e non già una modifica definitiva) della clausola dell'atto costitutivo sulla quale poggia il diritto particolare (Vigo, 460). In definitiva, è attratta all'area delle competenze necessarie dei soci ogni operazione che comporti una alterazione dei diritti dei soci stessi ai sensi dell'art. 2468, comma 3, e, dunque, ogni forma di compressione dei diritti corporativi o patrimoniali di singoli soci (ad es., la cessione di cespiti o la dismissione di particolari settori di attività cui siano collegati privilegi patrimoniali o poteri particolari di determinati soci) (Lener, 791). Una simile ricostruzione è stata sottoposta a critica da parte di altro orientamento che ha, a nostro avviso correttamente, evidenziato come l'art. 2479 non contiene alcun riferimento ai diritti speciali, riferendosi a tutti i soci, indistintamente (Mirone, 2015, 754, il quale rileva, peraltro, che ad un collegamento sistematico tra art. 2479 e art. 2473 osta anche la circostanza che quest'ultima disposizione sembra fare riferimento alla modifica dei diritti particolari avente carattere formale e non meramente sostanziale, ancorchè anch'essa rilevante). Al contrario, la «rilevante modificazione dei diritti dei soci» andrebbe letta insieme alla prima parte della norma (concernente la modificazione sostanziale dell'oggetto sociale) in quanto estende la competenza dei soci anche per quelle operazioni che possono determinare l'assunzione di un rischio tanto anomalo da pregiudicare il diritto agli utili dei soci ovvero da determinare una rilevante compressione di fatto dei diritti partecipativi dei soci, quali, ad es., i diritti di controllo ex art. 2476, comma 2, o il diritto di esercitare l'azione sociale di responsabilità e di chiedere la revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 2476, comma 3 (Mirone, 2015, 753; Paolini, 195). Rientrerebbero nel perimetro di operatività della norma: il mutamento significativo della strategia imprenditoriale o il brusco abbandono di mercati consolidati; il conferimento dell'azienda in società partecipate e la trasformazione della società da operativa in holding (gli esempi sono ripresi da Mirone, 2015, 753). I problemi posti dalla norma in commento sono stati recentemente affrontati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone. È stato affermato che la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell'art. 2361, comma 2, c.c., dettato per le società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede – almeno allorché l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale – la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell'art. 2479, comma 2, n. 5 (Cass. n. 1095/2016). L'assunzione di una tale partecipazione, secondo tale decisione, non costituisce operazione idonea a comportare una «rilevante modificazione dei diritti dei soci», quale attribuzione riservata alla competenza dei soci stessi, in quanto la partecipazione di una società di capitali in una società di persone non tanto comporta una modificazione dei diritti dei soci, quanto della società partecipante stessa, che diviene illimitatamente responsabile, restando i soci di questa vincolati nei limiti del conferimento. Ciò che muta è l'intensità del rischio che quel conferimento corre in dipendenza dell'assunta responsabilità illimitata per le obbligazioni della società personale in capo alla società partecipante. Semmai, l'assunzione di tale partecipazione potrebbe comportare una «sostanziale modificazione dell'oggetto sociale», ma una simile conclusione dovrebbe essere giustificata dall'accertamento che la partecipazione in società personale sia così eterogenea rispetto ai fini sociali da modificare l'oggetto in concreto. Pertanto, accertata l'esistenza di una società di fatto insolvente della quale uno o più soci illimitatamente responsabili siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime costituisce una conseguenza ex lege prevista dall'art. 147, comma 1, l. fall., senza necessità dell'accertamento della loro specifica insolvenza (si vedano, oltre alla già menzionata Cass. n. 1095/2016; altresì, Cass. n. 10507/2016; Cass. n. 12120/2016). Il potere di avocazione e rimessione.Qualunque sia il riparto delle competenze stabilito nell'atto costitutivo, i soci, titolari di un terzo del capitale sociale, e uno o più amministratori possono sottoporre alle valutazioni dei soci qualsivoglia argomento. È stato affermato che la norma riguarda non già il procedimento, ma la competenza del gruppo: essa accorda alla minoranza dei soci ed ai singoli gestori non (solo) il diritto di chiedere o di provvedere direttamente alla convocazione dei soci su argomenti già di loro pertinenza, ma il diritto di devolvere ai soci direttamente la decisione su quel determinato argomento di per sé estraneo alle materie ordinariamente riservate alla compagine dei consociati (Cian, 23), fatto salvo il caso di decisioni che siano riservate da altre norme alla competenza esclusiva di altri organi. Infatti, l'ambito di intervento da parte dei soci è da circoscrivere all'area della gestione imprenditoriale, non potendo certo essere avocate ai soci le funzioni di vigilanza spettanti al collegio sindacale ove presente (Cian, 24; Guerrieri, 2027). La facoltà di estensione delle competenze (gestionali) dei soci è potenzialmente assoluta potendo vertere sia su specifici atti da compiere o iniziative da intraprendere sia sulla definizione dei piani strategici generali (Demuro, 49). In giurisprudenza, è stato affermato che, a norma dell'art. 2479, i soci decidono, oltre che sulle materie riservate alla loro competenza, anche sugli argomenti che «uno o più amministratori» sottopongono alla loro approvazione, dal che deriva la legittimità dell'azione proveniente dall'iniziativa del singolo amministratore pur nel caso di gestione congiunta, non potendo diversamente interpretarsi l'inciso di cui al comma primo dell'art. 2479. Ciò posto, l'iniziativa proveniente dal singolo amministratore può esplicare i suoi effetti non solo sulle materie specificamente assegnate alla competenza dei soci, ma anche su materie ad essi non riservate, tale che legittimamente possono essere rimessi alla statuizione dei soci argomenti che concretino tipica attività gestionale, quale nella specie l'adozione di decisioni relative a crediti verso terzi da tempo iscritti nel bilancio sociale (Trib. Chieti, 20 agosto 2008). La richiesta di intervento dei soci implica una compressione del potere degli amministratori che, fino alla decisione dei soci, hanno l'obbligo di astenersi dal compimento dell'operazione in questione, salva l'ipotesi in cui ricorra una particolare ragione d'urgenza (Cian, 25). In ragione dell'ampiezza del disposto normativo, la decisione dei soci può avere ad oggetto direttive generali ovvero decisioni gestorie puntuali inerenti a specifiche iniziative o operazioni. È discusso, però, il grado di vincolatività delle decisioni così assunte da parte dei consociati. Secondo l'orientamento maggioritario, la decisione dei soci può assumere valore vincolante rispetto all'operato degli amministratori (Guerrieri, 2027; Cian, 29, che sottolinea come resti estraneo alla disciplina della s.r.l. il disposto dell'art. 2364, comma 1, che assegna un valore meramente autorizzatorio agli atti di ingerenza dei soci), i quali saranno obbligati a conformarvisi, salvo il caso in cui l'esecuzione della decisione dei soci non li esponga a responsabilità nei confronti dei creditori o dei terzi (in questo senso, anche Benazzo, 2038; Zanarone, 1255; Abbadessa, 189; Demuro, 43). È rimasto isolato, invece, l'orientamento secondo il quale le decisioni dei soci ex art. 2479 co. 1 avrebbero soltanto effetto autorizzativo (Leozzappa, 288). Il codice non prevede che l'esercizio del potere di avocazione sia sottoposto a vincoli procedurali. Si ritiene che l'esaurimento della potestà decisionale da parte degli amministratori su una specifica operazione segni il limite temporale ultimo entro il quale deve attivarsi la minoranza del capitale sociale, non potendo i soci travolgere ex post l'eventuale decisione già assunta dall'organo gestorio (così, Benazzo, 2040). È stato poi evidenziato che il diritto di avocazione attribuito ai soci di minoranza (qualificata) possa tradursi nella possibilità di innescare il procedimento deliberativo: sul potere di convocazione dell'assemblea da parte dei soci titolari di un terzo del capitale sociale, cfr. art. 2479-bis. È dubbio se la norma che consente la devoluzione delle competenze ai soci sia derogabile o meno ed in che direzione. L'atto costitutivo può ridurre l'aliquota di capitale prevista dal comma 1, riconoscendo il relativo potere a ciascun socio indipendentemente dalla sua partecipazione al capitale sociale (Cian, 28; Abbadessa, 191; contra, Guerrieri, 2026). Secondo una parte della dottrina, poi, potrebbe ammettersi anche l'innalzamento del quorum legale, in quanto la ratio della norma non risiederebbe nella tutela della minoranza: tuttavia, la cancellazione di tale diritto sarebbe possibile solo ove ciò avvenisse in ragione dell'attribuzione di un diritto particolare ad uno o più determinati soci (Cian, 28). Secondo altro orientamento, se va negata la incompatibilità tra riserva gestionale (anche su specifiche materie) in capo a singoli soci ed il potere di avocazione da parte della minoranza, è anche vero che l'uso pervasivo di tale strumento potrebbe giungere a neutralizzare o pregiudicare i diritti speciali stabiliti nell'atto costitutivo: in questa ottica, si spiega la validità di clausole che prevedano la soppressione integrale del potere di avocazione da parte dei soci (Mirone, 2015, 762 ss., spec. 767). Anche ai singoli amministratori spetta un potere di devoluzione potendo essi rimettere alla decisione dei soci argomenti attinenti all'area gestionale ed anche di originaria competenza dei soci e da questi già delegati agli amministratori mediante apposita previsione statutaria (Mirone, 2015, 757; Zanarone, 1253). La dottrina concorda nel ritenere che il potere di devoluzione spettante agli amministratori possa essere del tutto escluso ovvero limitato attraverso la fissazione di un quorum più elevato (Mirone, 2015, 758; Abbadessa, 193) oppure l'indicazione di specifiche materie. L'affidamento di competenze gestorie ai soci.Il comma 1 dell'art. 2479, poi, consente che ai soci sia riservata – in modo permanente – la competenza su talune materie. La dizione utilizzata («materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo») lascia pensare che l'attribuzione statutaria non subisca alcuna delimitazione né sul piano dimensionale né su quello del valore della decisione (Cian, 32). In particolare, l'intervento dei soci potrebbe essere dall'atto costitutivo limitato all'interno dell'iter decisorio come momento consultivo (ferma la spettanza del potere decisionale agli amministratori) oppure esteso fino ad arrivare all'attribuzione diretta di una decisione imprenditoriale, alla possibilità di impartire direttive, anche vincolanti, ed all'approvazione dei piani strategici. Peraltro, non vi è dubbio che la compressione delle funzioni gestorie degli amministratori possa avvenire non già in favore della collettività dei soci (come indicato dalla norma in commento), ma direttamente in favore di uno o più soci specificatamente indicati, a titolo di diritto particolare (art. 2468, comma 3) concernente l'amministrazione della società. Sulla possibilità che l'attribuzione di competenze gestorie direttamente ai soci possa spingersi fino alla soppressione dell'organo amministrativo, cfr. art. 2475. Il metodo non assembleare.Fatta eccezione per le materie di cui ai nn. 4 e 5 del secondo comma della norma in commento, l'atto costitutivo può stabilire che tutte o alcune fra le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. Anche in tal caso, però, la decisione su tali materie potrebbe essere riallocata nell'ambito della decisione assembleare quando la convocazione dell'organo collegiale sia richiesta dagli amministratori o dai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale. La norma prevede che, nei casi di decisione extrassembleare, dai documenti sottoscritti dai soci devono risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa; la decisione deve, poi, essere riportata nel libro delle decisioni dei soci di cui all'art. 2478 n. 2 c.c. e la relativa documentazione deve essere conservata dalla società. Come si vede, la disciplina dettata dall'art. in commento si presenta assai scarna, limitandosi il comma 3 ad «alludere laconicamente, senza fornire definizioni né indicazioni procedurali, a forme decisionali extra-assembleari connotate dall'assenza (o rectius dall'attenuazione) del metodo collegiale e della correlata contestualità nell'adozione della decisione» (Carbonara, 2017, 993). L'istituto in esame – la cui ratio deve essere individuata in esigenze di semplificazione del procedimenti decisionale nell'ambito delle s.r.l. (Mirone, 2015, 782; Iermano, 807) – delinea un procedimento decisionale interno alla società che si discosta dal procedimento assembleare, dal quale ontologicamente si distingue, in quanto non consente alcuna discussione simultanea sui punti oggetto delle decisioni e non richiede la simultanea espressione o raccolta dei voti da parte dei soci nell'ambito di una contestuale procedimentalizzazione della decisione. La diversità ora indicata implica l'impossibilità di applicazione diretta a tale procedimento delle norme dettate per l'assemblea (Notari, 101, il quale precisa che è salva la possibilità di farvi ricorso, quando vi siano lacune da colmare e purché sussistano i presupposti dell'applicazione analogica; contra, Mirone, 2015, 781, ove si precisa che l'identità tra decisione e deliberazione non importa l'applicabilità analogica delle norme sul procedimento assembleare, in quanto, in caso di decisioni scritte, gli unici oneri posti dall'art. in commento sono la sottoscrizione da parte dei soci dei documenti da cui risulti l'argomento della decisione ed il consenso prestato ed il diritto di partecipare di ciascun socio con voto proporzionale alla propria partecipazione). Sul piano organizzativo, tuttavia, il valore di tali decisioni è identico a quello delle deliberazioni assembleari, costituendo entrambe forme mediante le quali si adottano le decisioni imputabili alla collettività organizzata (Mirone, 2015, 781; Mirone, 2007, 478; Notari, 102). In ragione della difficoltà di cogliere una differenza tra la consultazione scritta ed il consenso espresso per iscritto, la dottrina ha evidenziato l'inutilità di ogni sforzo concettuale di distinzione, includendo entrambe nella medesima ed unitaria fattispecie delle decisioni non assembleari (Notari, 105; Mirone, 2015, 785, secondo il quale ciò si spiega in ragione della effettiva assenza di una concreta tipologia empirica alla quale il legislatore possa avere fatto riferimento; Benazzo, 2046, secondo il quale l'endiadi si riferirebbe a tutti i meccanismi di formazione del consenso nei quali la raccolta documentale del voto dei socio tiene luogo di una riunione, contraddistinta dall'unità di spazio e di tempo, dei soci stessi). Secondo altra dottrina, un elemento di distinzione, sia pure assai parziale, potrebbe essere rinvenuto nell'impulso da cui parte la decisione: il concetto di «consultazione» parrebbe implicare che i soggetti legittimati a sottoporre un argomento alla decisione dei soci predispongano di propria iniziativa un testo scritto di decisione da trasmettere ai soci i quali prestano il proprio consenso per iscritto, sottoscrivendo il testo già predisposto; al contrario, nel «consenso espresso per iscritto», ciascun socio presta il proprio consenso sottoscrivendo un separato documento, in assenza di una formale interpellanza da parte degli amministratori o dei soci di minoranza (Carbonara, 2017, 998; Carbonara, 2015, 42 ss.; sul punto, anche Rainelli, 77). Il procedimento decisionale extra assembleare è caratterizzato, in negativo, dalla mancanza di collegialità e, in positivo, dal consenso manifestato per iscritto dalla maggioranza con la partecipazione necessaria di ciascuno dei soci, mentre divengono irrilevanti le modalità con cui si raccolgono i consensi o le manifestazioni di voto che convergono su una determinata decisione (Notari, 106). Così, gli elementi minimi per la validità delle decisioni assunte con tale metodo sono costituti dalla necessaria partecipazione di tutti i soci e la forma scritta della manifestazione del consenso da parte di essi. La possibilità di ricorrere a tale procedimento decisionale è prevista a condizione che: a) l'atto costitutivo lo preveda; b) non si tratti delle materie di cui all'art. 2479 comma 2 nn. 4 e 5; ovvero della decisione prevista dall'art. 2482-bis comma 4; c) uno o più amministratori ovvero i soci titolari di un terzo del capitale sociale non chiedano l'intervento dell'assemblea (Carbonara, 2015, 39; Carbonara, 2017, 993). Sotto il primo aspetto, la presenza della clausola statutaria che ne autorizza il ricorso si pone come presupposto di applicabilità del procedimento decisionale in esame (Notari, 109; Carbonara, 2015, 39). Secondo una parte della dottrina, lo statuto dovrebbe necessariamente indicare i soggetti legittimati a sollecitare l'avvio del procedimento, il termine entro il quale i soci devono manifestare la propria volontà ed il termine complessivo entro il quale il procedimento deve concludersi (Nuzzo, 1627). Secondo altra dottrina, sul piano della validità della clausola, il contenuto minimo di essa può risolversi esclusivamente nellaopt in e, quindi, nella mera attivazione della facoltà di avvalersi del procedimento in questione (Notari, 110): così la clausola statutaria potrà regolare il procedimento ovvero limitarsi a consentire l'attivazione di un tale procedimento senza disciplinare, nel dettaglio, gli aspetti procedurali (per questa seconda ricostruzione, Mirone, 2015, 784; Mirone, 2007, 482). Nel caso in cui la clausola si limiti esclusivamente ad autorizzare il ricorso alla modalità decisionale in argomento dovrà poi essere l'interprete a ricostruire la disciplina concretamente applicabile. È, però, certo che l'atto costitutivo possa prevedere criteri più stringenti per il ricorso a tale modello decisionale. L'articolo in commento non disciplina l'iniziativa al procedimento decisionale, non essendo prevista una convocazione iniziale (Notari, 112; Mirone, 2015, 786): l'atto costitutivo potrà attribuire liberamente il potere di iniziativa (Carbonara, 2015, 64) in via esclusiva o concorrente ad uno o più soci o agli amministratori. Secondo una parte della dottrina, infatti, trattandosi di forme procedimentali eventuali, sarebbe lecita ogni restrizione statutaria, anche se più severa rispetto alla corrispondente disciplina del procedimento assembleare (Mirone, 2015, 787; Carbonara, 2017, 1003; secondo Rainelli, 77, invece, occorrerebbe distinguere tra consultazione scritta e consenso scritto: nel primo caso sarebbero applicabili le regole in materia di legittimazione del procedimento assembleare, mentre nel secondo, mancando una proposta formale, lo statuto potrebbe regolare liberamente l'iniziativa). Qualora lo statuto nulla preveda sul punto, parte della dottrina ritiene esclusiva la competenza dell'organo amministrativo (Guizzi, 1011), altri la estendono a ciascun socio o amministratore (Notari, 113), altri ancora applicano l'art. 2479, comma 1, e ritengono legittimati ciascun amministratore e la minoranza qualificata ivi indicata (Carbonara, 2015, 66). Il co. 5 dell'art. in commento prevede che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione. Il procedimento deliberativo, dunque, non potrà dirsi concluso fino a quando tutti i soci non siano stati posti nelle condizioni di intervenire e di esprimere la propria posizione ed il proprio voto (Mirone, 2015, 787; Mirone, 2007, 501; Notari, 115; Rainelli, 87). Oltre a tutti soci, devono essere destinatari della proposta anche tutti gli amministratori (Iermano, 814; Mirone, 2015, 788; Carbonara, 2017, 1007) ed i membri del collegio sindacale. La comunicazione ad amministratori e sindaci deve essere comunque preventiva, non potendo avvenire a decisione dei soci assunta in ragione della necessità di consentire a questi di esercitare il diritto di rimessione all'assemblea (così, Iermano, 815; contra,Mirone, 2007, 492). Secondo un orientamento, il procedimento decisionale potrebbe dirsi concluso e la decisione formalmente adottata a seguito del semplice raggiungimento della maggioranza dei voti favorevoli e, dunque, anche prima dell'esercizio del diritto di voto dei soci di minoranza ovvero addirittura prima che questi siano stati consultati (Iermano, 817; Guizzi, 1018; Maglulo, 273; Notari, 133) similmente a come avviene nelle società di persone. In senso contrario, però, si è correttamente osservato che non sussistono ragioni per comprimere il diritto di partecipazione dei soci, il quale non è funzionale soltanto all'espressione del voto, ma anche alla partecipazione attiva di questi nel corso del procedimento (Mirone, 2015, 788; Zanarone, 1275, secondo il quale sarebbe illegittima una clausola statutaria che autorizzasse la raccolta del consenso all'interno, anziché della intera compagine sociale, della sola maggioranza, con il conseguente perfezionamento della decisione al mero raggiungimento di quest'ultima). Osta ad una simile ricostruzione, poi, il disposto di cui all'art. 2479-ter che prevede la nullità delle decisioni assunte in carenza assoluta di informazione (Zanarone, 1292; Mirone, 2015, 789). Il quarto comma, poi, attribuisce ad «uno o più amministratori» o ad «un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale» il diritto di opposizione all'assunzione della decisione con il metodo in argomento: detti soggetti, infatti, possono chiedere che la decisione sia essere adottata mediante deliberazione assembleare. Secondo la dottrina, la norma che prevede il diritto di opzione sarebbe inderogabile in peius mediante l'innalzamento del quorum previsto dal legislatore ovvero mediante la sua radicale esclusione (Mirone, 2015, 784; Benazzo, 2045; Zanarone, 1297; secondo Rainelli, 116, la norma sarebbe inderogabile anche in melius; parz. difforme, Cian, 56, che evidenzia l'inderogabilità in peius con riguardo i soci, ma, almeno dubitativamente, la derogabilità nei confronti dei gestori) in quanto teso a garantire il contraddittorio tra i soci e tra questi ed amministratori che solo in assemblea si realizza. Lo statuto potrebbe, invece, favorire il diritto di opposizione, attribuendolo, ad es., anche a singoli soci a prescindere dalla aliquota di capitale detenuta (Zanarone, 1297). L'esercizio del diritto di opposizione non richiede particolari formalità (non deve essere motivato ed è insindacabile, Cian, 57), ma deve intervenire prima che il procedimento decisionale sia completamente definito (Mirone, 2015, 790; Notari, 120; Cian, 58): esso è, comunque, idoneo a precludere automaticamente la prosecuzione dell'iter non collegiale (Cian, 57). A seguito dell'esercizio del diritto di opposizione sorge l'obbligo – certamente per gli amministratori – di convocare l'assemblea per deliberare sulle medesime materie: deve, peraltro, ritenersi che l'iniziativa per la convocazione dell'assemblea possa essere assunta anche dagli altri soggetti legittimati ai sensi dell'art. 2479-bis (primi tra tutti, i soci titolari di un terzo del capitale sociale). Secondo alcuni, è da escludere che la richiesta di ritorno al metodo assembleare possa essere formulata dal socio che abbia già espresso una dichiarazione di voto favorevole alla proposta, dovendo essere interpretata tale dichiarazione come implicita accettazione del metodo alternativo (Iermano, 812). La legge non disciplina specificatamente le modalità di espressione del consenso da parte del socio. Si ritiene che esso possa legittimamente intervenire solo in forma scritta, mentre restano indifferenti le modalità di trasmissione di esso (fax, mail, raccomandata etc.) (Mirone, 2015, 790; Mirone, 2007, 502; Notari, 122; Rainelli, 107). Parimenti, non viene individuato il soggetto legittimato a ricevere le manifestazioni di voto (ed a gestire il procedimento). Si afferma sul punto, che la votazione, intesa come atto recettizio, deve avere come destinatario la società (Rainelli, 85), con la conseguenza che la manifestazione del voto andrebbe indirizzata agli amministratori (Carbonara, 2017, 1006). Si evidenzia che dalla dichiarazione dovranno quindi trasparire elementi che consentano di correlare il consenso (o il dissenso) a specifici argomenti, adeguatamente delineati essendo inammissibili forme di consenso tacito o per fatti concludenti (Carbonara, 2017, 1008). È discusso se il voto espresso sia revocabile fino al momento in cui il procedimento non abbia avuto esito. Secondo l'orientamento maggioritario, la conclusione che ammette la revocabilità costituirebbe un corollario del diritto di partecipazione del socio: da esso discenderebbe che il socio potrebbe sempre aderire a controproposte formulate successivamente o modificare la propria posizione a seguito dei rilievi da altri formulati (Mirone, 2015, 791; Notari, 126, secondo il quale in tal modo sarebbe soddisfatto quello stesso interesse sociale che nel procedimento assembleare è perseguito mediante la preventiva discussione tra i soci che consente la ponderazione delle decisioni da assumere; contra, Iermano, 817, e Guizzi, 1007, nt. 18, secondo i quali la natura procedimentale della decisione implica l'estinzione del diritto alla partecipazione al procedimento al momento dell'espressione del consenso). Il voto vale in misura proporzionale alla partecipazione. Si ritiene che tale norma abbia valore per tutte le decisioni dei soci anche quelle assunte in sede assembleare (Mirone, 2015, 793). Secondo una parte della dottrina, tale norma sarebbe derogabile dallo statuto che potrebbe prevedere forme di voto plurimo o maggiorato quale diritto particolare attribuito ad uno o più soci ai sensi dell'art. 2468, comma 3: si precisa che tale maggiorazione potrebbe rientrare tra «i diritti riguardanti l'amministrazione della società» (Zanarone, 1302; Mirone, 2015, 793 ss.; Nuzzo, 1629). Ove si accolga tale tesi, sarebbe legittima anche una clausola che preveda il voto per teste (che potrebbe assolvere alla funzione, all'interno della s.r.l., di mantenere l'equilibrio dei diritti corporativi, quale che sia la distribuzione dei diritti patrimoniali) e che attribuisca, in caso di parità dei voti espressi in assemblea, prevalenza al voto espresso dal presidente o da un socio (Zanarone, 1302, nt. 116). In senso contrario, però, si osserva che l'art. 2479, comma 5, che sancisce il criterio della proporzionalità del voto rispetto alla partecipazione, non esprime alcuna riserva in favore dell'autonomia privata; che simili soluzioni si pongono in contrasto con la struttura capitalistica della s.r.l.; che esse sono incompatibili con la compagine sociale tendenzialmente ristretta (Cian, 85 ss.; Salvatore, 627). L'inderogabilità del principio di proporzionalità è stata talvolta affermata in giurisprudenza. È stata, infatti, ritenuta illegittima la clausola che, attribuiti i due terzi dei voti a due soci titolari, congiuntamente, della corrispondente frazione del capitale sociale, prevedeva il mantenimento del diritto di voto anche nel caso in cui tali soci avessero ridotto le proprie partecipazioni al di sotto di quella percentuale (Giur. registro Perugia, 2 aprile 2004, in Riv. not., 2004, 1542). Quanto alle modalità di raccolta dei consensi, essa deve intervenire entro un termine massimo funzionale alle imprescindibili esigenze di certezza delle situazioni giuridiche (Iermano, 815, il quale evidenzia come possa essere dato ai soci anche un termine minimo dal quale il voto può essere espresso finalizzato a consentire l'acquisizione di quel bagaglio di informazioni sufficiente alla formazione della determinazione al voto ed il diritto di confronto con gli altri soci). Non è indicato dalla norma, come detto, il soggetto deputato a raccogliere i consensi. Ferma la possibilità per l'atto costitutivo di regolare la materia, il soggetto che abbia assunto l'iniziativa può determinare anche le modalità e le condizioni di validità della proposta e stabilire il termine entro il quale deve pervenire l'espressione del consenso (Mirone, 2015, 792; Notari, 129). Questi, poi, sarà legittimato a raccogliere i consensi. L'u.c. dell'articolo in commento specifica che salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, le decisioni dei soci sono prese con il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale. La norma si riferisce esclusivamente alle decisioni non assembleari in quanto, per quelle assembleari, è prevista la norma specifica di cui all'art. 2479-bis, comma 3. La disposizione in esame non distingue traquorumcostitutivo equorumdeliberativo (dovendo tutti i soci essere posti nelle condizioni di partecipare) con la conseguenza che l'unica maggioranza che rappresenta «almeno la metà» del capitale è quella costituita dai soci che detengano più della metà del capitale sociale (così, testualmente, Notari, 128). Diversamente, si è evidenziato che la norma contiene un criterio di doppio calcolo del quorum deliberativo secondo il quale il riferimento alla maggioranza deve intendersi rispetto al computo dei soli soci che abbiano effettivamente preso parte al procedimento esprimendo un voto favorevole o contrario oppure astenendosi (espressamente, il che vale come voto contrario): il riferimento alla metà del capitale sociale, a sua volta, ad istituire un quorum minimo di partecipanti al procedimento scritto (Mirone, 2015, 796; Zanarone, 1306; Rainelli, 115; Carbonara, 2017, 1002, secondo il quale i voti favorevoli, anche se rappresentino solo la metà del capitale sociale, devono configurare una maggioranza con la conseguenza che il voto favorevole della sola metà del capitale sociale determina l'assunzione della decisione solo ove non consti l'espressa volontà contraria dei soci rappresentanti la residua metà del capitale; La Sala, 803, che precisa che la necessaria prevalenza dei voti favorevoli, qualunque sia il quorum deliberativo, deve considerarsi non derogabile dall'autonomia privata). Secondo la prassi notarile, sono conformi alla legge le clausole statutarie che nella s.r.l. richiedano l'unanimità dei soci per l'adozione di decisioni assembleari ed extraassembleari. Sono altresì conformi alla legge le clausole statutarie che stabiliscano quorumdiversi (più alti o più bassi) di quelli previsti dagli artt. 2479, comma 6, e 2479-bis, comma 3 (Consiglio notarile Milano, massima n. 42). Pur non essendo prevista una fase di accertamento delle votazioni e di proclamazione dei risultati di essa, rimane l'obbligo per gli amministratori di procedere alla trascrizione della decisione nel libro delle decisioni dei soci. Tuttavia, il perfezionamento della decisione prescinde dalla trascrizione (Notari, 129; parz. diverso Rainelli, 126, secondo cui la trascrizione non sarebbe condizione necessaria per l'esistenza della decisione, ma per l'efficacia e per l'opponibilità ai soci) e si realizzerà al momento della scadenza del termine fissato da chi ha formulato la proposta. Ed infatti, è ben possibile che (non solo gli amministratori, ma anche) i soci che abbiano assunto l'iniziativa procedano al perfezionamento della decisione. La dottrina esclude, però, l'esistenza di un obbligo di redigere in forma scritta un atto di natura ricognitiva riportante il resoconto delle fasi del procedimento dalla proposta fino alla verifica dei voti espressi (Notari, 135). Secondo Trib. Roma, 3 maggio 2013 (in Soc., 2014, 361): (i) nel caso in cui lo statuto ammetta che una determinata decisione possa essere assunta mediante consultazione scritta dei soci, senza altresì prevedere alcunché in ordine alla competenza, ciascun socio ha il diritto di dare impulso al procedimento, senza che sia necessaria un'iniziativa in tal senso dell'argano amministrativo; (ii) nel caso in cui lo statuto non preveda il termine entro cui i soci possano esprimere il proprio consenso nella consultazione scritta, questo può essere stabilito dal socio che assuma l'iniziativa, non essendo applicabile analogicamente l'art. 2479-bis c.c., purché esso sia congruo, secondo il principio di buona fede, rispetto all'oggetto concreto della decisione. 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