Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 151 - Poteri.

Salvatore Providenti

Poteri.

Art. 151

1. I sindaci possono, anche individualmente, procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, nonché chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate1.

2. Il collegio sindacale può scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale. Può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione od il comitato esecutivo ed avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni. I poteri di convocazione e di richiesta di collaborazione possono essere esercitati anche individualmente da ciascun membro del collegio, ad eccezione del potere di convocare l'assemblea dei soci, che può essere esercitato da almeno due membri2.

3. Al fine di valutare l'adeguatezza e l'affidabilità del sistema amministrativo-contabile, i sindaci, sotto la propria responsabilità e a proprie spese, possono avvalersi, anche individualmente, di propri dipendenti e ausiliari che non si trovino in una delle condizioni previste dall'articolo 148, comma 3. La società può rifiutare agli ausiliari l'accesso a informazioni riservate.

4. Gli accertamenti eseguiti devono risultare dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale da tenersi, a cura del collegio, nella sede della società. Si applicano le disposizioni dell'articolo 2421, ultimo comma, del codice civile.

 

Inquadramento

Il testo unico dell'intermediazione finanziaria (di seguito TUF) disegna sin dalla sua emanazione nel 1998 un assetto normativo speciale degli organi di controllo delle società con azioni quotate. Dopo la riforma del diritto societario entrata in vigore nel 2004 la distanza tra disciplina del codice civile applicabile a tutte le società per azioni e disciplina speciale si è ridotta, ma sono rimaste profonde differenze, anche a seguito dell'ulteriore rafforzamento della rappresentanza delle minoranze nell'organo di controllo e dei relativi poteri operato dalla legislazione sul risparmio del 2005/2006.

Le principali caratteristiche speciali della disciplina sulle società quotate possono essere così enucleate: non è possibile che il controllo contabile torni al collegio sindacale, ma esso è affidato in via esclusiva e non revocabile al revisore esterno (anche per effetto della disciplina sugli Enti di Interesse Pubblico oggi dettata dal d.lgs. n. 39/2010 in attuazione delle norme europee sulla revisione dei conti); è obbligatorio per gli statuti prevedere il voto di lista e la rappresentanza delle minoranze (a cui spetta il presidente) ed adeguarsi alle disposizioni regolamentari Consob ispirate all'obiettivo di favorire il più possibile l'effettiva presenza delle minoranze nei collegi; è applicabile la disciplina sulle quote di genere; ai compiti di controllo sull'amministrazione (oggi maggiormente allineati con il codice civile rispetto al 1998) si aggiungono compiti maggiormente connessi con gli interessi del mercato, come quelli di vigilanza sull'effettivo rispetto dei codici di corporate governance a cui si è dichiarato di aderire o lo speciale obbligo di riferire alla Consob le irregolarità riscontrate (per non parlare della vigilanza sul rispetto delle norme in materia di operazioni con parti correlate espressamente prevista dall'art. 2391-bis c.c.); i poteri sono rafforzati anche con una maggiore capacità potenziale di influire sui lavori del consiglio di amministrazione e dell'assemblea nonché di interloquire, talvolta anche individualmente, con le strutture interne; il mancato rispetto dei doveri da parte di sindaci non è rilevante soltanto sul piano civilistico, come fonte di possibile responsabilità, ma anche come violazione che determina l'applicazione di sanzioni amministrative da parte della Consob o, nei casi più gravi, l'esercizio da parte di quest'ultima di un'azione di denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.

Dopo la riforma del diritto societario e l'adeguamento ad essa del TUF, avvenuto con il d.lgs. n. 37/2004, la disciplina speciale non riguarda più soltanto il collegio sindacale, ma anche l'organo di controllo nei modelli alternativi di governo societario. Con l'obiettivo di evitare che l'adozione di modelli alternativi potesse comportare nelle società con azioni quotate un venir meno di presidi ritenuti essenziali per la tutela del risparmio, è stata superata l'incertezza teorica sull'effettiva correttezza di una definizione come «organi di controllo» del consiglio di sorveglianza (che svolge in realtà funzioni di alta amministrazione o «supervisione strategica) o del comitato per il controllo sulla gestione (che potrebbe anche non essere considerato esattamente un «organo») e, almeno ai fini dell'applicazione della normativa in esame, li si è normativamente ricondotti a tale categoria.

L'operazione linguistico-giuridica, però, ovviamente non priva gli «organi» dei modelli alternativi delle loro specificità, con la conseguenza che l'adeguamento è talvolta parziale (ad esempio le norme sull'elezione della minoranza nel modello monistico rimangono quelle del consiglio di amministrazione, con minore incisività della normativa secondaria dettata dalla Consob) e talvolta determina soluzioni «originali» (come avviene negli artt. 151-bis e 151-ter sui poteri degli organi di controllo nei modelli dualistico e monistico, al cui commento si rinvia).

L'insieme di norme in esame (specialmente quelle sul collegio sindacale, vista la limitata esperienza di applicazione dei modelli alternativi) ha avuto un ruolo importante nell'evoluzione della governance delle società quotate italiane anche se alcune norme – specialmente quelle sui poteri maggiormente incisivi (ad esempio la convocazione i altri organi) – sono state applicate soltanto in pochi casi «pilota».

Un ruolo importante nell'enforcement del rispetto da parte dei sindaci dei loro doveri l'hanno avuto le sanzioni della Consob, che hanno, fra l'altro, dato luogo ad orientamenti tendenzialmente molto severi nei confronti dei componenti dell'organo, assunti dalla Corte di cassazione anche con decisioni molto recenti relative alla legittimità delle sanzioni.

Le speciali regole sulla composizione del collegio sindacale

La prima particolarità della disciplina sul collegio sindacale delle società con azioni quotate è rinvenibile nell'art. 148, secondo comma, del TUF che impone agli statuti di prevedere voto di lista e almeno un sindaco eletto dalle minoranze.

Il voto di lista e la rappresentanza delle minoranze

La norma, anche alla luce del ridotto livello di concreta elezione di sindaci di minoranza registrato dall'emanazione del TUF in poi, è stata profondamente rivista dalla legge sul risparmio (l. n. 262/2005) e dal successivo decreto correttivo (d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303) e prevede adesso che «La Consob stabilisce con regolamento modalità per l'elezione, con voto di lista, di un membro effettivo del collegio sindacale da parte dei soci di minoranza che non siano collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti».

La disciplina regolamentare Consob attuativa (artt. 144-ter e ss. del Regolamento Emittenti, in particolare gli articoli 144-quinquies e 144-sexies) ha stabilito in ordine alla legittimazione a presentare la lista un principio generale secondo cui (art. 144-sexies, comma 2) «ciascun socio può presentare una lista per la nomina di componenti del collegio sindacale». Fatta tale affermazione di principio (che non è presente nella disciplina delle liste per l'organo ammnistrativo), la norma però consente agli statuti di «richiedere che il socio o i soci che presentano una lista siano titolari al momento della presentazione della stessa di una quota di partecipazione non superiore a quella determinata ai sensi dell'articolo 147- ter , comma 1 del Testo unico», vale a dire le soglie, parametrate al livello di capitalizzazione e alla dimensione del flottante, che vanno dallo 0,5% al 4,5% stabilite dal precedente art. 144-quater del Regolamento Emittenti della Consob per le liste volte all'elezione del consiglio di amministrazione.

Vi è, però, una particolarità prevista dal regolamento Consob con l'obiettivo di favorire il più possibile l'effettiva presenza del sindaco di minoranza. Si tratta della previsione secondo cui se in prima battuta non vengano presentate liste di minoranza i termini per la presentazione sono riaperti per tre giorni e soprattutto le soglie eventualmente previste dallo statuto sono dimezzate (art. 144-sexies, comma 5).

Inoltre è previsto che gli statuti (a differenza di quanto avviene per gli amministratori ai sensi dell'art. 147-ter del TUF), non possono stabilire un numero minimo di voti che la lista deve ottenere per eleggere almeno un sindaco.

L'art. 144-quinquies del Regolamento Emittenti invece indica casi nei quali certamente si ritiene presente il «collegamento» con i «soci di riferimento» (definiti dal precedente art. 144-ter come «i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti») che non consente ad una lista di esprimere i rappresentanti della minoranza.

In via presuntiva assoluta ed esemplificativa («almeno nei seguenti casi» dice la norma) le ipotesi sono:

a) rapporti di parentela;

b) appartenenza al medesimo gruppo;

c) rapporti di controllo tra una società e coloro che la controllano congiuntamente;

d) rapporti di collegamento ai sensi dell'articolo 2359, comma 3 del codice civile, anche con soggetti appartenenti al medesimo gruppo;

e) svolgimento, da parte di un socio, di funzioni gestorie o direttive, con assunzione di responsabilità strategiche, nell'ambito di un gruppo di appartenenza di un altro socio;

f) adesione ad un medesimo patto parasociale previsto dall'articolo 122 del Testo unico avente ad oggetto azioni dell'emittente, di un controllante di quest'ultimo o di una sua controllata.

Anche le nozioni di «parentela» e «gruppo» sono definite dal precedente art. 144-ter.

Il collegamento sussiste quando vi sia fra i presentatori delle liste ed anche quando vi sia fra chi le ha votate, ma «soltanto se il voto sia stato determinante» (l'art. 144-quater, secondo comma, appunto prescrive che «Qualora un soggetto collegato ad un socio di riferimento abbia votato per una lista di minoranza l'esistenza di tale rapporto di collegamento assume rilievo soltanto se il voto sia stato determinante per l'elezione del sindaco»). Si ricorda che la noma regolamentare sui sindaci costituisce un punto di riferimento anche per valutare in che caso le liste relative alla nomina degli amministratori non siano collegate fra loro.

Il ruolo del sindaco di minoranza e il presidente del collegio sindacale

Nel caso dei sindaci ha meno senso, rispetto a quanto avviene per gli amministratori, chiedersi se il sindaco di minoranza svolga una funzione particolare. I sindaci, infatti sono per definizione tutti indipendenti e tutti incaricati del controllo; nella logica presente nel TUF sin dalla sua prima emanazione l'indicazione da parte della minoranza era solo uno strumento volto a dirimere quel conflitto d'interessi endemico nella figura del sindaco (eletto dalla medesima maggioranza che ha eletto il consiglio e nello stesso tempo incaricato di funzioni di controllo sull'operato degli amministratori) e dunque essenzialmente a far svolgere meglio al sindaco i compiti ad esso originariamente spettanti e non a disegnare una figura «nuova» come l'amministratore di minoranza o quello indipendente.

Una funzione specifica al sindaco di minoranza è stata in realtà trovata con la legge sul risparmio del 2005 attraverso la previsione che il presidente del collegio sia il (o si scelto tra i) componente/i eletti dalla minoranza.

In proposito si ricorda che nelle società per azioni disciplinate dal codice civile l'art. 2398 c.c., riguardante la nomina del presidente del collegio sindacale, rimasto immutato dopo la riforma del diritto societario del 2003/2004, prevede la sua indicazione direttamente da parte dell'assemblea.

Posto che il presidente ha, quasi naturalmente, la delicata funzione di organizzare i lavori e convocare le riunioni dell'organo, il codice civile ha voluto che chi tira le fila, anche solo organizzative, dei controlli interni alla società abbia un rapporto fiduciario diretto con l'assemblea degli azionisti.

È interessante notare come fra i diversi poteri che il codice attribuisce ai sindaci, talvolta esercitabili individualmente, non vi è la possibilità di chiedere ed ottenere la convocazione dell'organo. Anche tale circostanza evidenzia l'importanza del ruolo del presidente che assume la funzione non solo di recettore ma anche di decisore su ogni eventuale richiesta di tenere una riunione che venga avanzata da singoli componenti.

Non è invece attribuita al presidente alcuna funzione speciale, né lo stesso, come avviene per alcuni organi sociali all'estero – ad esempio, il consiglio di amministrazione nel sistema francese monistico o il consiglio di sorveglianza nel sistema francese dualistico [cfr. rispettivamente gli artt. 225-37, quarto alinea, e 225-82, quarto alinea, del code de commerce francese (disponibile sul sito Legifrance), i quali dispongono entrambi che «salvo previsione contraria dello statuto il voto del presidente della riunione è preponderante in caso di parità» («Sauf disposition contraire des statuts, la voix du président de séance est prépondérante en cas de partage»)] – può avere un ruolo decisivo in caso di parità, visto che il problema dello stallo decisionale dovrebbe essere risolto tramite la composizione necessariamente dispari del collegio.

Muove da tali premesse la soluzione individuata per le società con azioni quotate (a cui, in forza di esplicita previsione dell'art. 154 TUF, l'art. 2398 c.c. non è applicabile), che pare rispondere alla medesima logica, con la differenza che il ruolo dal codice civile affidato all'assemblea è qui affidato a quei soci non titolari di posizione di controllo che vi partecipano e prendono l'iniziativa di presentare e votare una lista (in sintesi, agli investitori attivi).

Si ricorda che, fino alla legge n. 262 del 28 dicembre 2005 (la c.d. legge sul risparmio), l'art. 148, primo comma, lett. c), TUF lasciava allo statuto il compito di stabilire «criteri e modalità per la nomina del presidente». Sulla base di tale previsione le società quotate italiane si erano orientate per lo più verso tre soluzioni alternative: la conferma della nomina assembleare del presidente; l'elezione a maggioranza del presidente da parte dello stesso collegio fra i propri componenti; l'automatica assegnazione della presidenza al primo candidato della lista che ha ottenuto il maggior numero di voti. Quest'ultima soluzione conseguiva alla necessaria presenza negli statuti delle società con azioni quotate di clausole che consentissero la nomina di almeno un sindaco effettivo ed uno supplente (o d i due effettivi ed uno supplente se il consiglio è composto da cinque membri) da parte della minoranza e della generalizzata attuazione di tale obbligo attraverso un meccanismo di elezione dei sindaci con voto di lista. In quel contesto era stata da più parti suggerita l'assegnazione alle minoranze (e dunque non alla lista che ha avuto più voti ma, eventualmente, alla seconda) della presidenza del collegio sindacale, vale a dire della funzione di coordinamento dei lavori e di convocazione dell'organo di controllo, come strumento adatto ad una loro piena valorizzazione. Tale innovazione è stata realizzata con l'art. 2 della citata l. n. 262/2005, che ha abrogato la lett. c) del primo comma dell'art. 148 TUF, sostituendola con un comma 2-bis secondo cui «Il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea tra i sindaci eletti dalla minoranza». La norma, a differenza di altre relative alla rappresentanza delle minoranze negli organi sociali contenute nella legge sul risparmio, non ha richiesto interventi regolamentari attuativi ed è dunque divenuta operativa anche a prescindere da (comunque auspicabili) modifiche statutarie sin dal primo rinnovo dell'organo successivo all'entrata in vigore della legge nel gennaio 2006.

Le quote di genere

Il comma 2-bis dell'art. 148 prevede anche in materia di collegio sindacale la disciplina delle c.d. «quote di genere».

Si tratta di una disciplina introdotta con la l. n. 120/2011 sia per i consigli di amministrazione che per gli organi di controllo (in particolare collego sindacale, nel modello tradizionale o consiglio di sorveglianza, nel modello dualistico) che deve la sua ragion dì essere più a ragioni di ordine generale connesse alla piena realizzazione anche in ambito economico del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione che nelle esigenze tipiche del diritto societario e di quello del mercato finanziario. Ciò nonostante può dirsi che anche la norma sulle quote di genere appartiene a quella categorie di norme e di principî di corporate governance che mirano a far somigliare sempre meno i luoghi decisionali delle società e della finanza a un old boys club. In sostanza ogni apertura dei board a soggetti diversi da quelli tradizionalmente investiti di funzioni gestorie può costituire uno strumento utile a ridurre i rischi di non considerazione degli interessi generali o comunque di outsiders convolti nella gestione dell'impresa quotata.

Interessanti spunti sulla ratio sottostante la previsione obbligatoria delle quote di genere possono trovarsi fra gli altri in Vella, 21 e ss.

Si ricorda che costituisce oggetto della Relazione sul governo societario (art. 123-bis TUF, comma 2, lett. d-bis) anche «una descrizione delle politiche in materia di diversità applicate in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo relativamente ad aspetti quali l'età, la composizione di genere e il percorso formativo e professionale, nonché una descrizione degli obiettivi, delle modalità di attuazione e dei risultati di tali politiche. Nel caso in cui nessuna politica sia applicata, la società motiva in maniera chiara e articolata le ragioni di tale scelta».

In sintesi la disciplina, che ha natura provvisoria per un periodo in realtà molto lungo, impone che per tre mandati consecutivi sia garantita la presenza nel collegio di almeno un terzo di esponenti del «genere meno rappresentato». In base alla norma transitoria (art. 2 della l. n. 120/2011) l'obbligo sorge dal primo rinnovo successivo a un anno dall'entrata in vigore della legge (e dunque a partire dai rinnovi del 2013 per le società che chiudono il bilancio al 31 dicembre) ed in occasione del primo mandato la quota minima di rappresentanza può essere ridotta a un quinto.

Il sistema è completato da poteri Consob di intimazione e sanzione pecuniaria nel caso di mancato rispetto, che, in caso di inadempimento ad un doppio richiamo, possono persino condurre alla decadenza dell'intero consiglio (cfr. sia la norma di legge sia l'art. 144-undecies.1 del Regolamento Emittenti, attuativo della medesima). Di particolare interesse è che il l'art. 144-undecies.1, comma 3, del Regolamento Consob ai sensi del quale «Qualora dall'applicazione del criterio di riparto tra generi non risulti un numero intero di componenti degli organi di amministrazione o controllo appartenenti al genere meno rappresentato, tale numero è arrotondato per eccesso all'unità superiore

».

Proprio per il mancato rispetto di tale ultima norma regolamentare nell'ambito di un collegio sindacale vi è stata una diffida da parte della Consob nei confronti di una banca con azioni quotate con delibera n. 18570 del 5 giugno 2013.

Originale, rispetto alle altre parti del TUF, è che in questo caso la sanzione pecuniaria è prevista direttamente dalla norma che prescrive l'obbligo (lo stesso art. 148, comma 1-bis, in linea con l'art. 147-ter, comma 1-ter in materia di consiglio di amministrazione). Entrambi, obbligo e sanzione, incombono direttamente sulla società.

Le norme si applicano anche al consiglio di sorveglianza, nel modello dualistico in forza del richiamo operato dal comma 4-bis. Si veda pure la parte XII del Codice, sub “Società di imprenditoria femminile”.

I particolari requisiti di indipendenza

La norma sui «requisiti di indipendenza» applicabile alle società con azioni quotate, dettata dall'art. 148, comma 3, TUF, è dotata di una piena autosufficienza, essendo sostitutiva per i sindaci della norma del codice civile (resa inapplicabile ai sindaci, ai consiglieri di sorveglianza e ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione dall'art. 154 TUF); per tale ragione è stato necessario integrarla con alcune previsioni di maggiore severità che la riforma del 2003 aveva introdotto nella già riferita norma del codice civile.

In particolare, il d.lgs. n. 37/2004 ha esteso i rapporti di parentela e affinità rilevanti a quelli con gli amministratori delle società del gruppo ed ha attribuito rilievo ai rapporti con «società sottoposte a comune controllo» e a quelli «di natura patrimoniale» che compromettano l'indipendenza del sindaco.

Si ricorda che l'art. 2399 c.c. – che costituisce il termine di paragone sui requisiti di indipendenza per le società disciplinate soltanto dal codice civile – è stato significativamente rafforzato, pur rimanendo aperti alcuni problemi, dalla riforma del 2003 ed ha assunto la funzione di paradigma delle regole di indipendenza di soggetti che svolgono funzioni di controllo.

In particolare, rispetto al testo precedente, il nuovo art. 2399 considera causa di ineleggibilità anche:

- il rapporto di parentela o affinità entro il quarto grado con gli amministratori delle società controllate, controllanti, sottoposte a comune controllo;

- i rapporti di lavoro con le società controllate, controllanti, sottoposte a comune controllo; inoltre i rapporti di lavoro, a differenza di quanto avveniva per la «prestazione d'opera retribuita» nella vecchia norma, non sono qualificati dall'essere continuativi;

- i rapporti continuativi di consulenza o prestazione d'opera retribuita con la società e con le altre società del medesimo gruppo sopra indicate;

- gli altri rapporti di natura patrimoniale con i medesimi soggetti che ne compromettano l'indipendenza.

Sulla nozione di nuovo inserimento del «rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita» è da segnalare una sentenza della Cassazione (Cass. I, n. 11554/2008) che, sebbene riguardi una vicenda occorsa sotto il regime della norma previgente, affronta diversi aspetti relativi all'interpretazione dell'art. 2399 c.c. tuttora validi. Con riguardo al citato rapporto di prestazione d'opera il principio affermato è che «non si identifica necessariamente solo con un rapporto contrattuale di durata, in tal senso formalmente stipulato tra il professionista e la società. Esso ricorre anche in presenza di una pluralità di incarichi formalmente distinti e, tuttavia, tali da configurare uno stabile legame di clientela. Se così non fosse, risulterebbe sin troppo agevole aggirare la norma e ne verrebbe comunque palesemente tradita la ratio, che risiede nell'esigenza di garantire l'indipendenza di chi è incaricato di delicate funzioni di controllo, in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza quando il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe in seguito esercitare dette funzioni di controllo».

Il caso, come evincibile dal testo della sentenza, era quello di un sindaco che svolgeva contestualmente attività di consulenza per la società, relativa, fra l'altro, alla redazione dei bilanci.

Sullo stesso punto, sul più limitato aspetto, della rilevanza (sempre alla luce della formulazione della norma pre-riforma) non solo di rapporti di lavoro dipendente ma anche di rapporti di lavoro autonomo si è pronunciata la Cassazione con sentenza n. 19235/2008 dell'11 giugno 2008, precisando che «l'art. 2399 c.c. è suscettibile di concedere qualsiasi legame che abbia ad oggetto attività professionali, rese anche nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, quando la prestazione a titolo oneroso abbia carattere continuativo».

Successivamente, la nozione applicabile alle quotate è stata ulteriormente rafforzata con la legislazione sul risparmio del 2005/2006, che ha inserito nella lett. c) del terzo comma la rilevanza anche dei rapporti (di lavoro, patrimoniali, professionali) con gli amministratori o con i parenti degli amministratori (della società e del gruppo, come deve ritenersi nonostante qualche ambiguità testuale) ed ha attribuito rilievo, sempre nell'ambito della medesima lett. c) anche ai «rapporti di natura professionale» che compromettano l'indipendenza del sindaco. Fra tali ultimi rapporti, come chiarito dalla Comunicazione Consob del luglio 2008 su cui si torna oltre, rientrano non soltanto quelli in cui una delle due parti sia professionista e l'altra cliente ma anche i rapporti di collaborazione professionale.

La categoria degli «altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza» presente sia nella norma civilistica che in quella del TUF – è parzialmente ispirata alla previsione del Codice di autodisciplina delle società quotate di Borsa Italiana s.p.a. che, fra i requisiti di indipendenza degli amministratori, indicava, nella versione vigente al momento della riforma del 2003, l'assenza di relazioni economiche con la società o con il gruppo «di rilevanza tale da condizionarne l'autonomia di giudizio» (paragrafo 3.1).

La versione attuale del codice, successiva all'ampia rielaborazione conclusa nel marzo 2006 e agli ulteriori aggiustamenti portati a termine nel novembre 2011 e nel luglio 2015, stabilisce, sempre con riguardo agli amministratori, un principio generale più ampio precisando (Principio 3.P.1.) che sono indipendenti coloro che «non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l'emittente o con soggetti legati all'emittente, relazioni tali da condizionarne attualmente l'autonomia di giudizio». A tale enunciazione fanno poi seguito una serie di criteri applicativi che danno rilievo, a titolo esemplificativo, ad una serie di ipotesi concrete comprensive di rapporti familiari, patrimoniali, e professionali.

Tale previsione può essere utilizzata per considerare fonte di incompatibilità anche prestazioni d'opera non continuative ma di significative dimensioni o rapporti finanziari non connessi ad attività professionali. Inoltre, l'esplicito riferimento all'indipendenza come bene da perseguire consente di fornire una chiave interpretativa all'intera disposizione che può contribuire a risolvere i casi dubbi sulla base di un criterio teleologico.

Non facile è, peraltro, individuare i casi in cui, oltre ad esservi un rapporto di natura patrimoniale, esso comprometta effettivamente l'indipendenza del sindaco, anche se deve ritenersi che tale attività, per essere praticabile, non possa che realizzarsi per il tramite di indici presuntivi fondati su situazioni oggettive di connessione fra soggetti.

Un utile indice interpretativo in tal senso può venire dalla posizione assunta dalla Consob in un documento (disponibile sul sito dell'Autorità) del 17 luglio 2008 di esito di consultazioni svolte tra febbraio e luglio 2008 sul diverso tema (posto della disciplina sulle quotate dopo le modifiche operate alla legge sul risparmio) dei rapporti professionali con l'amministratore che compromettano l'indipendenza del sindaco: il caso è parzialmente diverso ma l'espressione normativa («che ne compromettano l'indipendenza») è identica.

In proposito, la Consob, pur muovendo dalla consapevolezza della necessità di una valutazione caso per caso, ha precisato che «d'altra parte, è evidente che la valutazione circa l'effettiva compromissione dell'indipendenza non possa che fermarsi a considerazioni di natura probabilistica/previsionale; se così non fosse la norma diverrebbe sostanzialmente inapplicabile. Infatti, essendo l'indipendenza uno stato essenzialmente soggettivo ... è difficile stabilire con certezza se un soggetto agisca effettivamente in modo indipendente, ma è solo possibile pervenire a valutazioni circa l'esistenza di oggettive condizioni che creino una dipendenza da altri soggetti. Ciò è ancor più vero se la valutazione, come nel caso di specie, va operata ex ante, vale a dire al momento in cui il componente dell'organo di controllo assume la carica, posto che in tale momento la compromissione dell'indipendenza non può ancora dirsi concretizzata».

La norma sulle incompatibilità/requisiti di indipendenza si applica sia al consiglio di sorveglianza sia al contato per il controllo sulla gestione (in forza dei commi 4-bis e 4-ter); ciò significa che nei modelli alternativi vi sono componenti di organi ammnistrativi che devono avere i requisiti di indipendenza previsti dalla legge.

I requisiti di professionalità e onorabilità dei sindaci

L'esclusione (senza possibilità di ritorno in sede statutaria) del controllo contabile dalle competenze del collego sindacale nelle le società con azioni quotate comporta che l'organo non debba più necessariamente essere composto da revisori contabili ma possa essere costituito anche da soggetti in possesso di professionalità diverse.

Tale esclusione è oggi confermata ed estesa agli altri Enti d'Interesse Pubblico (EIP) e ai c.d. Enti sottoposti a regime intermedio dall'art. 16 e dell'art. 19-bis del d.lgs. n. 39/2010 (come da ultimo modificato dal d.lgs. 17 luglio 2016, n. 135).

Sono EIP: le società italiane emittenti valori mobiliari (dunque non solo azioni) ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell'Unione europea; le banche; le imprese di assicurazione e di riassicurazione. Sono Enti sottoposti a regime intermedio: le società con strumenti finanziari diffusi fra il pubblico; le società di gestione dei mercati regolamentati; le società che gestiscono i sistemi di compensazione e di garanzia; le società di gestione accentrata di strumenti finanziari; le società di intermediazione mobiliare; le società di gestione del risparmio ed i relativi fondi comuni gestiti; le società di investimento a capitale variabile e le società di investimento a capitale fisso; gli istituti di pagamento di cui alla Direttiva 2009/64/CE; gli istituti di moneta elettronica; gli intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del TUB.

In base al comma 2 degli artt. 16 e 19-bis citati, in tutte tali società e quelle appartenenti al medesimo gruppo (controllate, controllanti, sottoposte a comune controllo), «la revisione legale non può essere esercitata dal collegio sindacale».

Tale scelta consente, fra l'altro, di superare definitivamente problemi di duplicazione di ruoli nelle società sottoposte a revisione contabile obbligatoria, come ad esempio quelle appartenenti a gruppi al cui vertice siano società con azioni quotate, le società con strumenti finanziari diffusi, le società di gestione del risparmio, le società d'intermediazione mobiliare.

L'art. 148, comma 4, però, che rinvia la fissazione dei requisiti a un Regolamento adottato dal Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero dell'Economia, sentite Banca d'Italia, Consob e IVASS, senza indicare vincoli di alcun tipo, è applicabile soltanto alle società con azioni quotate. Per i collegi sindacali di tutte le altre si applicano le norme del codice civile (art. 2397) e dello specifico Regolamento attuativo ivi previsto.

L'unica norma sui requisiti professionali dei sindaci comune a tutti gli EIP è rappresentata dal comma 3 dell'art. 16 del d.lgs. n. 39/2010 che, in attuazione della disciplina europea, riguarda il comitato per il controllo interno e la revisione contabile che deve essere obbligatoriamente istituito da tutti gli EIP europei e che nel nostro ordinamento di identifica normativamente con il collegio sindacale, nel modello tradizionale, con il consiglio di sorveglianza, nel modello dualistico, il comitato per il controllo sulla gestione, nel modello monistico. La norma prevede che «I membri del comitato per il controllo interno e la revisione contabile, nel loro complesso, sono competenti nel settore in cui opera l'ente sottoposto a revisione.».

Tale previsione è espressione di un principio generale di buona corporate governance – accolto a livello di Unione europea – secondo cui i soggetti incaricati del controllo sull'amministrazione più che esperti contabili devono essere conoscitori del business dell'impresa.

Il regolamento ministeriale del 2000 attuativo dell'art. 148, comma 4, del TUF, peraltro, pur avendo un ampio margine discrezionale, si era mosso in una direzione solo particolarmente innovativa rispetto alla tradizione italiana. Esso, infatti (art. 1 Regolamento del Ministro della giustizia n. 162 del 30 marzo 2000), prescrive (art. 2, secondo comma) che almeno uno dei sindaci effettivi ed uno supplente (o due effettivi ed uno supplente se il collegio è composto da cinque membri) siano revisori contabili «che abbiano esercitato l'attività di controllo legale dei conti per un periodo non inferiore a tre anni».

Un po' più avanzata la scelta per gli altri sindaci, che richiede essenzialmente requisiti di esperienza. Infatti essi dovranno aver «maturato un'esperienza complessiva di almeno un triennio nell'esercizio di: a) attività di amministrazione o di controllo ovvero compiti direttivi presso società di capitali che abbiano un capitale sociale non inferiore a due milioni di euro, ovvero b) attività professionali o di insegnamento universitario di ruolo in materie giuridiche, economiche, finanziarie e tecnico-scientifiche, strettamente attinenti all'attività dell'impresa, ovvero c) funzioni dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni operanti nei settori creditizio, finanziario e assicurativo o comunque in settori strettamente attinenti a quello di attività dell'impresa». L'indicazione delle materie e dei settori di attività «strettamente attinenti a quello dell'impresa» è rimessa all'autonomia statutaria.

Anche la disciplina generale dettata dall'art. 2397, comma 2, c.c., è stata modificata dopo la riforma del diritto societario del 2003, in ragione della non appartenenza del controllo contabile al nucleo originario delle competenze del collegio sindacale ma tra le due norme (quella del codice e quella speciale per le società quotate), rimangono differenze di fondo. In base alla norma civilistica: «Almeno un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro. I restanti membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati con decreto del Ministro della giustizia, o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche».

In sede di emanazione del regolamento ministeriale attuativo di tale articolo (n. 320 del 29 dicembre 2004) è stato chiarito nelle premesse che si è «ritenuto di dover procedere alla individuazione degli albi professionali, vigilati dal Ministero della giustizia, nel cui ambito possono essere scelti i membri del collegio sindacale»: è stata dunque ritenuta non praticabile un'interpretazione della delega nel senso di consentire di affiancare all'individuazione degli albi anche altri requisiti, ad esempio di esperienza. Una tale lettura della delega ha reso l'elenco degli albi rilevanti difficilmente estensibile oltre le professioni comunque attinenti al diritto o all'economia (e infatti sono stati indicati: avvocati, commercialisti, ragionieri consulenti del lavoro).

Si ricorda che invece, anche dopo la riforma, il collegio sindacale dovrà essere necessariamente costituito da soli revisori contabili, nel caso in cui gli venga statutariamente affidato il controllo contabile in forza dell'art. 2409-bis, ultimo comma.

Quanto ai requisiti di onorabilità, l'art. 2 del regolamento ministeriale prescrive che la carica di sindaco non possa essere ricoperta, salvi gli effetti della riabilitazione, oltre cha da coloro che siano stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall'autorità giudiziaria ai sensi della legislazione antimafia, da chi sia stato condannato con sentenza irrevocabile:

- ad una pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria e assicurativa e dalle norme in materia di mercati e strumenti finanziari, in materia tributaria e di strumenti di pagamento;

- alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile o in materia di fallimento

- alla reclusione per un tempo non inferiore a sei mesi per un delitto contro la pubblica amministrazione la fede pubblica, il patrimonio, l'ordine pubblico e l'economia pubblica;

- alla reclusione per un tempo non inferiore ad un anno per un qualunque delitto non colposo.

La mancanza del requisito si verifica anche in caso di condanna successiva al patteggiamento, salvo il caso dell'estinzione del reato.

Pur non essendo mai stato aggiornato il Regolamento ministeriale, la norma si applica – come espressamente previsto dallo steso comma 4 come riscritto dopo la riforma del diritto societario – anche al consiglio di sorveglianza (modello dualistico) e al comitato per il controllo sulla gestione (modello monistico).

Le ipotesi di decadenza

La presenza obbligatoria del genere meno rappresentato ed il possesso dei requisiti di indipendenza, professionalità d onorabilità sono previsti a pena di decadenza.

Nel caso delle quote di genere la decadenza è – come già accennato – una sorta di automatismo conseguente all'attività di controllo operata dalla Consob e riguarda l'intero collegio, che è integralmente viziato dal mancato rispetto della proporzione di genere. Infatti, ai sensi del comma 1-bis dell'art. 148, «qualora la composizione del collegio sindacale risultante dall'elezione non rispetti il criterio di riparto previsto dal presente comma, la Consob diffida la società interessata affinché si adegui a tale criterio entro il termine massimo di quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza alla diffida, la Consob applica una sanzione .... e fissa un nuovo termine di tre mesi ad adempiere. In caso di ulteriore inottemperanza rispetto a tale nuova diffida, i componenti eletti decadono dalla carica».

Nel caso della mancanza dei requisiti di indipendenza, professionalità e onorabilità (comma 4-ter), invece, vi è una procedura che prevede come prima fase l'intervento degli organi interni alla società. Tali organi sono il consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale, l'assemblea negli altri due. La ragione della competenza dell'assemblea può essere rinvenuta per entrambi i sistemi in una ratio comune: in entrambi i casi qualora si fosse attribuito alla parte «gestionale» del consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione la competenza a decidere sulla decadenza si sarebbe assegnata tale funzione a soggetti strutturalmente privi della competenza in materia di controlli sull'amministrazione o quanto meno di supervisione strategica necessaria per poter intervenire su un problema del genere. In sintesi la (forse discutibile) attribuzione al consiglio di amministrazione di tale funzione nel sistema tradizionale si giustifica proprio in ragione dei compiti ormai ampiamente di controllo sull'operato degli esecutivi e di supervisione strategica che il plenum del consiglio ed i suoi comitati svolgono in tale modello.

Particolare rilievo ha che il sistema si chiuda con la possibilità per la Consob di dichiarare la decadenza dei sindaci (consiglieri di sorveglianza/componenti del comitato per il controllo sulla gestione) incompatibili. Presupposto della possibilità di intervento dell'Autorità è che vi sia stata «inerzia» da parte dell'organo sociale titolare del potere e che vi sia stata una «richiesta» da parte di un soggetto interessato o l'Autorità sia comunque venuta a conoscenza della «causa di decadenza» (ad esempio per una segnalazione dello stesso collegio sindacale o del revisore o ancor di un socio).

La previsione di tale potere costituisce una delle ragioni degli interventi interpretativi in materia di indipendenza che la Consob ha compiuto negli anni.

I limiti al cumulo degli incarichi

La disciplina sul limite al cumulo degli incarichi è stata prevista dalla legge sul risparmio n. 262/2005 per i sindaci delle le società con azioni quotate. Tale disciplina limita gli incarichi di amministrazione e controllo che componenti di organi di controllo di società con azioni quotate possono avere in società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile. Essa è dettata dall'art. 148-bis TUF e dagli artt. da 144-duodecies a 144-quinquiesdecies del regolamento Emittenti della Consob, e statuisce un complesso meccanismo di calcolo, che prevede, fra l'altro, il limite massimo di cinque incarichi di controllo in società quotate e un punteggio non superiore a 6 di incarichi complessivi, calcolato secondo pesi previsti da una tabella allegata al regolamento Consob (ma è fatto salvo il caso che si abbia un solo incarico in società con azioni quotate). La disciplina è stata semplificata dalla Consob con in intervento regolamentare del 2010”.

Il mancato rispetto del limite può condurre – anche in tal caso – a una dichiarazione di decadenza da parte della Consob dagli incarichi assunti dopo il raggiungimento del limite massimo (art. 148-bis, comma 2, ultimo periodo).

È interessante che la medesima legge sul risparmio ha operato nel codice civile un'integrazione della disciplina riguardante la trasparenza al momento della nomina, funzionale alla disciplina sul cumolo degli incarichi applicabile ai sindaci delle quotate. L'integrazione è avvenuta aggiungendo all'art. 2400 c.c., un quarto comma che prevede l'informazione all'assemblea da parte dei sindaci eletti (o, potrebbe ritenersi, da parte di chi li ha proposti) sugli incarichi di amministrazione e controllo rivestiti in altre società.

La norma è stata inserita dalla legge sul risparmio insieme all'analogo comma 3 dell'art. 2409-septiesdecies, applicabile al sistema monistico e ad un richiamo al comma 4 dell'art. 2400 da parte dell'art. 2409-quaterdecies nel sistema dualistico.

Può apparire curioso che un meccanismo informativo utile a far funzionare una disciplina prevista dalle norme speciali sulle società quotate sia dettato dal codice civile. Può ritenersi che si tratti di un invito del legislatore alle società non quotate a dotarsi anch'esse, in via statutaria, indipendentemente dal modello di governance adottato, di previsioni sul limite al cumulo di incarichi dei componenti di organi di controllo.

Una previsione esplicita in tal senso è, fra l'altro, presente in materia di collegio sindacale (art. 2399, terzo comma, c.c.).

Le funzioni del collegio sindacale nelle società con azioni quotate

Le funzioni dei collegio sindacale nelle società con azioni quotate sono stabilite principalmente dall'art. 149, comma 1, del TUF.

La norma sui compiti dei sindaci nelle società con azioni quotate (art. 149) conteneva alcune rilevanti innovazioni rispetto a quella generale sulle società per azioni dettata dall'art. 2403 c.c., prima della riforma del 2003/2004, essenzialmente incentrate su una maggior enfatizzazione ma anche delimitazione del controllo sull'amministrazione, pur presente anche nella norma civilistica; tale intervento chiarificatore delle funzioni del collegio veniva considerato conseguenza necessaria della definitiva fuoriuscita del controllo contabile dell'area di competenza dell'organo.

La differenza tra le due norme si è significativamente ridimensionata con la riforma del diritto societario del 2003/2004 che ha eliminato il controllo contabile dai compiti spettanti ordinariamente al collegio sindacale ed ha molto avvicinato la norma civilistica a quella sulle quotate, ferme differenze che appaiono ormai dovute ad elementi oggettivi, come la tendenziale (ed ipotetica) maggior dimensione delle società quotate o l'importanza del ruolo del mercato dell'informazione in queste ultime.

Si veda di seguito nella tabella un confronto tra i commi 1 dei due articoli che rende in modo evidente testimonianza di quanto ora detto.

Art. 2403 c.c. (Doveri del collegio sindacale) Art. 149 TUF (Doveri)
Il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Il collegio sindacale vigila:
a) sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo;
b) sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
c) sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione;
c-bis) sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi;
d) sull'adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate ai sensi dell'articolo 114, comma 2.

Il controllo di legittimità

Le norme presentano molti punti in comune ma anche alcune differenze. Il primo punto in comune è la presenza in entrambi del riferimento al controllo sul rispetto della legge e dello statuto (o atto costitutivo che sia).

Come noto non è semplice individuare con esattezza l'ambito delle norme coinvolte dal controllo di legittimità di competenza dei sindaci, anche per la difficoltà di delimitare le materie regolate dalla legge potenzialmente interessate dall'attività dell'impresa. Il limite più importante che può circoscrivere i compiti affidati ai sindaci e la loro conseguente responsabilità è in realtà rappresentato dalla conoscibilità da parte loro dell'eventuale irregolarità compiuta dagli amministratori o da altri soggetti operanti per conto della società.

La violazione di legge, per essere individuata, o anche solo sospettata, dai sindaci deve riguardare attività che rientrano nell'ambito del patrimonio informativo a loro disposizione. Tale patrimonio è formato in primo luogo da quanto ricavabile dalle relazioni degli amministratori ad essi rivolte e dalla partecipazione alle riunioni (prevista dal comma 2 dell'art. 149 e ora anche dall'art. 2405 c.c.) non solo dell'assemblea e del consiglio di amministrazione ma anche del comitato esecutivo. In secondo luogo è costituto dalle informazioni che i sindaci sono in grado di acquisire esercitando correttamente i poteri di cui sono provvisti.

La violazione deve comunque realizzarsi ad un livello conoscibile da chi non partecipa direttamente alla gestione dell'impresa e pertanto difficilmente potrà essere imputata al sindaco la violazione di legge compiuta in atti di gestione che non corrispondano a quanto dichiarato dagli amministratori o a quanto risultante dalla documentazione da essi predisposta.

È ovvio peraltro che la conoscibilità delle operazioni, e il loro eventuale contrasto, da parte del collegio e dei sindaci presuppone l'esercizio da parte loro delle prerogative e dei poteri, anche informativi, di cui sono titolari (nelle società quotate previsti dagli artt. 150, 151, 152; in quelle non quotate dagli artt. 2403-bis, 2405, 2406, 2409: si noti che, mentre i primi due di tali articoli sono dichiarati non applicabili alle società con azioni quotate dall'art. 154 TUF, i secondi due – 2406 e 2409 – non lo sono, presumibilmente in quanto forniscono indicazioni procedurali; anche se i poteri in esse previsti sono assorbiti dalle specifiche previsioni degli artt. 151 e 152).

Tali prerogative possono mettere in qualche caso i sindaci in una posizione, specialmente conoscitiva, più forte di quella normalmente riconosciuta agli amministratori non esecutivi (anche solo perché partecipano al comitato esecutivo). L'esercizio dei poteri non può d'altra parte pretendersi che avvenga «alla cieca» bensì sulla base di una programmata attività di controllo che consenta di essere informati sullo svolgimento dell'amministrazione e di verificare la presenza di spunti («indici di rischio», come affermato in dottrina e giurisprudenza) che richiedano l'attivazione di poteri specifici.

Di notevole aiuto in tale attività è lo stadio a cui è arrivata la giurisprudenza della Cassazione, prima sulla base del vecchio testo della norma civilistica, che comunque prevedeva anche il controllo sull'amministrazione, e più di recente, oltre che sul nuovo testo, nel valutare la legittimità di sanzioni amministrative adottate dalla Consob per violazioni dei doveri di controllo da parte dei sindaci (su tale potere si torna oltre). Si preferisce, peraltro, per comodità espositiva procedere ad una sintetica rassegna di giurisprudenza al termine del presente paragrafo sulle funzioni dei sindaci, dopo aver esposto i contenuti di fondo delle altre componenti presenti nel controllo sull'amministrazione, rappresentate dal controllo sui principî di corretta amministrazione e dal c.d. «controllo organizzativo».

Il controllo sui principî di corretta amministrazione

Altro punto in comune tra la norma generale e la norma sulle quotate è ora la previsione del controllo sui «principî di corretta amministrazione» in luogo del più generico controllo sull'amministrazione, il che in qualche misura chiarisce che ai sindaci non è richiesto di controllare sistematicamente ogni atto ma di verificare, tramite ad esempio controlli a campione o periodici o in presenza dei già citati «indici di rischio», che la gestione sia compiuta in base a principî rispondenti al canone di correttezza o che siano stati predisposti strumenti atti a far sì che tali principî informino l'amministrazione.

Nell'ambito della vigilanza sui principî di corretta amministrazione la Consob fa, ad esempio, rientrare (cfr. la Comunicazione n. DEM/1025564 del 6 aprile 2001) un'attività sulle «operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale effettuate dalla società» volta verificare se esse siano «manifestamente imprudenti o azzardate, in potenziale conflitto di interessi, in contrasto con le delibere assunte dall'assemblea o tali da compromettere l'integrità del patrimonio aziendale».

È peraltro da notare come, almeno per alcuni aspetti, i confini dei controlli sull'amministrazione affidati al collegio sindacale erano già stati intesi in senso conforme alla successiva riscrittura delle competenze operata con il TUF proprio dalla Consob, in occasione della Comunicazione n. DAC/RM/97001574 del 20 febbraio 1997, contenente raccomandazioni sui controlli societari, sulla base del vecchio testo dell'art. 2403 c.c. ed ancora applicabile ai compiti dei sindaci risultanti dall'art. 149 del TUF.

In essa può, fra l'altro, leggersi che «i sindaci verificano che le scelte degli amministratori siano conformi ai canoni di una buona amministrazione e compatibili con i fini propri della società. L'ambito di intervento dei sindaci si distingue da quello degli amministratori, i quali, in ragione delle attribuzioni loro conferite effettuano valutazioni in ordine all'utilità ed alla convenienza economica degli atti di gestione compiuti dagli amministratori delegati o dal comitato esecutivo e, quindi, procedono anche ad una valutazione comparata dei benefici derivanti da operazioni alternative».

Il collegio sindacale doveva invece verificare, sempre secondo l'interpretazione data dalla citata Comunicazione al precedente testo dell'art. 2403 c.c., «che non siano compiute operazioni non giustificabili in relazione all'oggetto sociale o comunque tali da arrecare pregiudizio alla situazione economica e patrimoniale della società e del gruppo ad essa facente capo. In particolare, dovranno essere accertate le modalità di realizzazione delle operazioni richiamate nel par. 1.1. (si tratta di: operazioni con “incidenza rilevante sulla situazione economico-patrimoniale della società e del gruppo ad essa facente capo”; operazioni che “possano presentare elementi di criticità,... operazioni infragruppo..., operazioni con parti correlate e... operazioni atipiche o inusuali rispetto alla normale gestione d'impresa poste in essere dalla società o da società appartenenti al gruppo”)». Inoltre «nel caso in cui una società sia situata al vertice di un gruppo, il Collegio sindacale deve ... acquisire la conoscenza sull'attività complessivamente svolta dalla società, nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate».

I citati passaggi della Comunicazione Consob del 1997 fanno implicitamente riferimento alle conclusioni a cui sui compiti dei sindaci era già pervenuta la dottrina prevalente, dopo un annoso dibattito sulla natura di merito o di legittimità dei controlli del collegio. Cfr. fra gli altri Domenichini, Il collegio sindacale nelle società per azioni, in Tr. Res., XVI, t. II, 1985, 578; Cavalli, I sindaci, in Trattato delle società per azioni, cit., 168; cfr. anche gli autori citati nel commento di Lucantoni alla sentenza Cass. n. 5263/1993, in Foro it., 1994, I, 130.

Il dibattito dottrinale e l'orientamento giurisprudenziale (su cui si torna oltre) appaiono solidamente attestati sul superamento della disputa tra merito e legittimità e la considerazione del controllo sindacale come di un controllo, che la maggior parte definisce di legittimità (o legalità) sostanziale, altri rientrante nel merito anche se solo su alcuni aspetti, caratterizzato dalla non limitazione a una mera verifica formale e dalla possibilità che vi rientrino anche accertamenti sul merito degli atti di gestione, non finalizzati ad esprimere giudizi di secondo grado sulla convenienza dell'atto compiuto rispetto ad altre possibili scelte imprenditoriali, ma ad esprimere giudizi circa la prudenza gestionale degli amministratori e circa l'eventuale assunzione da parte loro di rischi ingiustificatamente superiori a quelli insiti nell'attività d'impresa.

L'eventuale accertamento di situazioni anomale, inoltre, non comporta necessariamente l'adozione di interventi drastici, ma può anche semplicemente richiedere un incremento della vigilanza o una maggior diffusione del collegio nella informazione da rendere ai soci. In ogni caso l'attività di vigilanza non può comportare un controllo analitico sui singoli atti di gestione che avrebbe conseguenze devastanti per l'organo di vigilanza e rischierebbe di bloccare l'operatività della società ma piuttosto un controllo su quegli atti che caratterizzano l'indirizzo di fondo della gestione o che presentano caratteristiche anomale, che diverrà più attento ed eventualmente esteso in presenza di rilevanti anomalie o di situazioni di crisi.

Il c.d. «controllo organizzativo»

Vi sono d'altra parte due differenze letterali evidenti tra la norma sulle quotate e quella generale del codice, entrambe relative al c.d. «controllo organizzativo». Si tratta: 1) della circostanza che mentre nella prima il riferimento al c.d. «controllo organizzativo» appare formalmente aggiuntivo rispetto al controllo di legittimità e a quello sui principî di corretta amministrazione, nella norma generale del codice civile esso ne diventa, attraverso la locuzione «in particolare», una componente; 2) dal riferimento nella norma sulle quotate a «sistemi» invece che ad «assetti» di controllo interno e amministrativo-contabile.

Con riguardo alla prima differenza, va considerato che, se anche nella norma sulle non quotate il dato letterale è più esplicito, è per entrambe corretto ritenere che il richiamo agli aspetti organizzativi svolge il ruolo di orientare il controllo di legittimità e sull'amministrazione del collegio sindacale su aspetti di carattere generale a cui dovrà essere prestata particolare attenzione. Al collegio spetta quindi vigilare in primo luogo l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ed il suo corretto funzionamento.

L'adeguatezza ed il concreto funzionamento di un assetto organizzativo dal punto di vista di un organo che deve vigilare sul rispetto della legge, dello statuto e dei principî di corretta amministrazione sarà essenzialmente l'idoneità in concreto di tale assetto a far rispettare la legge, lo statuto e i suddetti principî e pertanto, fra l'altro, attento a prevenire il compimento di operazioni che possono «arrecare pregiudizio alla situazione economica e patrimoniale della società e del gruppo ad essa facente capo», secondo la formulazione usata dalla Consob. Nello svolgimento di tale attività riguardante aspetti organizzativi potranno fra l'altro risultare utili professionalità provenienti dal mondo del management e dell'impresa, anche diverse da quella puramente “contabile”.

Se l'aspetto organizzativo è teoricamente adeguato ad evitare illegittimità o allontanamenti da una corretta amministrazione, i sindaci (salva l'esistenza di «macroscopiche irregolarità») potrebbero non essere considerati responsabili per singoli atti degli amministratori che, per ragioni estranee all'«assetto», si pongano in contrasto con la legge o con l'interesse dei soci.

D'altra parte, la sola locuzione «in particolare», che introduce la previsione sul controllo organizzativo nelle non quotate, non pare sufficiente ad escludere la responsabilità nel caso in cui risulti il compimento da parte degli amministratori di operazioni che possano arrecare pregiudizio alla società o all'impresa ad essa facente capo. Tale considerazione varrà a maggior ragione se l'atto in questione non è occasionale e rappresenta (presumibilmente insieme ad altri) l'indice di un non funzionamento in concreto dell'assetto organizzativo; i sindaci, tramite la conoscenza diretta delle principali operazioni realizzate dagli amministratori o da loro delegati possono essere in grado di rilevare il «fallimento» organizzativo ed agire di conseguenza. Del resto, la norma non fa riferimento soltanto al controllo sull'assetto ma anche a quello su suo concreto funzionamento.

Quanto finora detto vale anche per la vigilanza sugli assetti amministrativo e contabile, per i quali assume però particolare rilievo, in ordine al loro funzionamento, proprio quella idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione, che la norma sulle quotate indica esplicitamente.

Specialmente l'assetto contabile rappresenta quell'insieme di procedure e accorgimenti che possono consentire di fornire ai soci e al mercato bilanci e situazioni contabili credibili e chiare. Assume rilievo con riferimento a tale aspetto l'importanza della presenza di professionalità contabili all'interno del collegio sindacale, anche nel caso in cui all'organo non siano demandati i compiti di controllo sulla regolarità del bilancio; del resto anche per non allontanare eccessivamente dalla materia contabile e dalla propria tradizione (anche in termini di professionalità esistenti in concreto sul mercato) il collegio sindacale l'art. 149, comma 1, lett. c), TUF aveva previsto la competenza sull'adeguatezza del sistema amministrativo-contabile.

Con riguardo al riferimento a «sistemi» solo da parte della norma sulle quotate (peraltro presente anche nella norma generale del codice civile relativa alle competenze assegnate al comitato per il controllo sulla gestione nel modello monistico) essa muove dalla convinzione che una presenza necessaria del «sistema di controllo interno» o del «sistema amministrativo-contabile» fosse possibile soltanto in società di grandi dimensioni come le quotate, mentre per le società per azioni in generale potesse parlarsi più genericamente di assetti.

In particolare la predisposizione di un sistema di controllo interno sembra richiedere un impegno in termini di risorse umane e procedure che può non essere compatibile con le strutture delle piccole imprese.

In ogni caso l'attenzione verso l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile è ormai una costante all'interno dell'intera disciplina su amministrazione e controllo del codice civile, in gran parte applicabile alle quotate. In particolare l'art. 2381, al comma 3, prevede che «Il consiglio di amministrazione, sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società» e che (quinto comma) «gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa».

In sostanza anche nelle società quotate può dirsi che quello che i sindaci vigilano, gli amministratori in via generale valutano, e quelli delegati curano. Mentre evidente è la distinzione tra chi cura, e dunque pone in essere, realizza, un assetto e chi lo vigila e valuta, meno evidente è però la distinzione tra tali due ultime attività.

Quello che può dirsi è che, sulla base dei diversi ruoli che i due organi hanno, la valutazione dei consiglieri attiene anche ad aspetti maggiormente di merito circa gli obiettivi economici della gestione e può anche condurre all'esercizio da parte del consiglio dei poteri di ritiro delle deleghe e modifica di decisioni assunte dagli organi delegati che l'art. 2381, terzo comma, espressamente gli attribuisce; la vigilanza del collegio sindacale è invece, come detto, essenzialmente volta a verificare l'idoneità dell'assetto nei confronti dei principî di legittimità, rispetto dello statuto e corretta amministrazione e, comunque, non può sfociare in un'iniziativa sostitutiva o decisionale.

Gli orientamenti giurisprudenziali

In giurisprudenza si parla orma chiaramente di controllo dei sindaci come di «legalità sostanziale» (così fra le prime Cass. I, n. 2538/2005) e di «criteri minimi di prudenza» come indici della buona amministrazione (così Cass. I, n. 18728/2007; in linea Cass. I, n. 19235/2008).

I sindaci, poi, nell'ambito del controllo di legittimità e sull'amministrazione, devono prestare particolare attenzione a tutte le attività gestionali che coinvolgano meccanismi societari, come ad esempio l'approvazione dell'assemblea. Inoltre, l'attività di controllo dei sindaci deve tenere in particolare considerazione l'«attività specificamente svolta da quell'impresa» (su entrambi i punti cfr. ancora la citata sentenza del 2005), da cui può derivare la necessità di rispettare norme speciali e di rispettare un codice di buona amministrazione diverso da quello ordinario.

È allora richiesto ai sindaci di prestare particolare attenzione al rispetto delle normative di settore, sia che dettino requisiti di stabilità patrimoniale, ad esempio nei settori bancario o assicurativo (la già citata sentenza del 2005 si occupa del settore assicurativo; con riguardo agli intermediari finanziari, di particolare interesse è Cass. I, n. 1534/2006, in cui viene specificato che il rispetto dalla loro competenza sulla regolare tenuta della contabilità), sia che richiedano il rispetto di particolari regole di amministrazione, ad esempio riguardanti la necessità di dotarsi di procedure per la prevenzione e gestione di conflitti d'interesse o per il rispetto di determinati canoni di correttezza e trasparenza nei rapporti con la clientela, nel settore bancario o dell'intermediazione finanziaria (emblematica in proposito è, fra le altre sentenze riguardanti il coinvolgimento dei sindaci in violazioni degli amministratori punite con sanzioni amministrative pecuniarie, Cass. V, n. 5239/2008).

Sempre in materia di sanzioni ammnistrative Consob si segnala Cass. n. 1293/2010 secondo cui «essendo obbligo dei sindaci vigilare sulla prudente e corretta gestione della società, l'eventuale mancata conoscenza di un'operazione di acquisizione azionaria, destinata a concludersi con la promozione obbligatoria di OPA, ed omesso controllo che la stessa avvenisse nel rispetto dei parametri procedimentali previsti dalla legge, erano in ogni caso riconducibili ad una loro inescusabile negligenza».

Altra area rilevata come di particolare interesse dei sindaci è quella della capacità della società di dotarsi di strumenti per curare adempimenti obbligatori, come quelli previdenziali o fiscali (così Cass. I, n. 19235/2008).

In ogni caso, indice che deve certamente muovere i sindaci ad esercitare poteri di reazione ad essi spettanti è la presenza di «macroscopiche irregolarità» (cfr., fra le altre, Cass. I, n. 18728/2007).

Cfr. più recentemente Cass. I, n. 13517/2014, con particolare enfasi sul tema del concorso omissivo colposo. Secondo tale sentenza: «Ai fini della configurabilità della violazione del dovere di vigilanza imposto ai sindaci, non è necessaria l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo invece sufficiente che i componenti dell'organo di controllo non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, e non abbiano quindi posto in essere quanto necessario per assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità riscontrate, ovvero denunziando i fatti al P.M. per consentire l'adozione delle iniziative previste dall'art. 2409 c.c.».

Un'ulteriore sintesi sistematica recente della posizione della Suprema Corte si trova nella sentenza Cass. II, n. 20437/2017 riguardante sanzioni comminate dalla Consob per violazione dell'art. 149 (sulla stessa lunghezza d'onda le sentenze Cass.n. 20438/2017 e Cass. n.18883/2017), che assegna particolare rilievo agli speciali poteri che i sindaci hanno nelle società quotate. La particolarità di tale decisione è che, mentre quelle già citate estendevano ai sindaci responsabilità degli amministratori, questa riguarda sanzioni comminate soltanto ai sindaci per mancato adempimento ai loro doveri di controllo di cui all'art. 149, comma 1, del TUF, trattandosi di area (quella delle operazioni con parti correlate) su cui la Consob non ha poteri sanzionatori nei confronti degli amministratori.

La decisione sottolinea che «ai sensi dell'art. 151,10 comma, TUF “i sindaci possono, anche individualmente, procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, nonché chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate”. Ai sensi del 2° co. del medesimo articolo “il collegio sindacale può (...) avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni. I poteri di convocazione e di richiesta di collaborazione possono essere esercitati anche individualmente da ciascun membro del collegio, ad eccezione del potere di convocare l'assemblea dei soci, che può essere esercitato da almeno due membri”. Ai sensi del quarto co. dell'art. 150 TUF “coloro che sono preposti al controllo interno riferiscono anche al collegio sindacale di propria iniziativa o su richiesta anche di uno solo dei sindaci”.

Alla luce delle prerogative anzidette (che evidentemente danno ragione sul terreno della disciplina delle società quotate della significativa dilatazione dei poteri che la normativa codicistica, segnatamente l'art. 2403-bis c.c., accorda al collegio sindacale e simultaneamente dell'impossibilità di assimilazione dei sindaci ai consiglieri privi di delega, per i quali ultimi, nonostante l'obbligo ex art. 2381, u.c., prima parte, c.c., di “agire in modo informato”, si è in dottrina correttamente disconosciuta la possibilità di “indagini dirette o acquisizioni di documenti ... su singoli atti”) ed in particolar modo alla luce del potere di ciascun sindaco di procedere anche individualmente in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo e di richiedere agli amministratori notizie su determinati affari, ... si legittima la reiterazione dell'insegnamento di questa Corte alla cui stregua, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l'esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione, gravando sui sindaci, da un lato, l'obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell'adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori – e, dall'altro lato, l'obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d'Italia ed alla Consob (cfr. Cass. n. 6037/2016; Cass. S.U., n. 20934/2009)».

I compiti «speciali» connessi alla quotazione

Le lett. c-bis) (aggiunta nel 2005) e d) dell'art. 149, comma 1, TUF disegnano compiti maggiormente connessi alla quotazione su un mercato regolamentato della azioni.

Da tale condizione deriva infatti che costituisca ormai un fenomeno tipico delle società quotate l'adesione a codici di corporate governance, come quello adottato da Borsa Italiana, e che le società siano tenute a fornire al mercato un'informazione societaria continua relativa anche al gruppo sottostante (l'art. 114, comma 2, riguarda appunto le istruzioni alle controllate sulle informazioni da rendere al mercato in sede consolidata).

Il dovere di vigilanza sulle «modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario» adottate rende la Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari prevista dall'art. 123-bis del TUF come uno degli oggetti centrali di attenzione da parte dei sindaci.

Un'ulteriore previsione «speciale» su compiti dei collegio sindacale (e degli altri organi di controllo) nelle società con azioni quotate è contenuta nell'art. 2391-bis, secondo comma, c.c. (al cui commento si rinvia), in ordine al controllo sul rispetto delle procedure interne (conformi ai «principî» dettati con Regolamento Consob) in materia di operazioni con parti correlate. La centralità delle operazioni con parti correlate nelle attività di controllo dei sindaci è peraltro direttamente ricavabile anche da una corretta interpretazione dei compiti di controllo sull'amministrazione previsti in via generale.

L'obbligo di riferire alla Consob le irregolarità riscontrate

Un punto centrale conformativo delle funzioni dei sindaci nelle società con azioni quotate è l'obbligo di riferire alla Consob le irregolarità riscontrate di cui all'art. 149, comma 3, del TUF. Si tratta di una norma – presente nel TUF sin dalla sua origine con previsione di una specifica sanzione amministrativa pecuniaria, mentre le sanzioni per mancato rispetto degli obblighi di cui al comma 1 dell'art. 149 sono state inserite nel 2005/2006 – che ha valenza sistematica, in quanto indice dello speciale rapporto esistente tra sindaci e Autorità con l'obiettivo per favorire la «buona» informazione societaria delle società con azioni quotate.

L'obbligo è esteso al consiglio di sorveglianza nel modello dualistico e al comitato per il controllo sulla gestione nel modello monistico.

La norma ha dato luogo a pronunce della Suprema Corte che hanno confermato un'impostazione interpretativa particolarmente rigorosa, incentrata sull'importanza di tale norma come strumento di informazione dell'autorità in presenza di semplici irregolarità, da non confondere con accertamenti di vere e proprie violazioni di norme in tutte le loro caratteristiche soggettive ed oggettive.

Di particolare interesse è in proposito la sentenza della Cass. II, n. 3251/2009, dove può leggersi una vera e propria ricostruzione di sistema:

«Il d.lgs. n. 58/1998, ribadendo la funzione di controllo sulla legittimità della gestione delle società per azioni quotate in borsa, già attribuita in via principale al collegio sindacale dal d.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, ha sostituito all'art. 149, l'espressione “deve controllare”, originariamente contenuta nell'art. 2403 c.c., con quella “vigila” (sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo; sul rispetto dei principî di corretta amministrazione; sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile, nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione) ed ha ridisegnato i doveri informativi dei sindaci nei confronti della Consob ad essa connessi, sanzionando civilmente la complessiva inosservanza dei loro doveri (art. 152, secondo comma), amministrativamente l'omessa comunicazione senza indugio delle irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza (art. 193, terzo comma) e penalmente le false comunicazioni e l'ostacolo eventualmente frapposto all'esercizio delle funzioni dell'ente di controllo (art. 174, abr. dal d.lgs. n. 61/2002). In particolare, quanto alla comunicazione dei fatti rilevati nell'esercizio dell'attività di vigilanza, fa richiamo all'art. 149, terzo comma, d.lgs. n. 58/1998, il quale, limitandosi a richiedere il riscontro della loro irregolarità, da un lato non subordina il sorgere dell'obbligo di comunicazione ad una valutazione discrezionale dei sindaci ed all'accertamento da parte di essi dei requisiti oggettivi e soggettivi di una violazione della legge o dell'atto costitutivo ovvero del mancato rispetto da parte degli organi sociali dei principî di corretta amministrazione o dell'adeguatezza della struttura organizzativa della società, dei quali l'irregolarità rappresenta un sintomo; dall'altro, configurando l'obbligo come un corollario del dovere di vigilanza, esclude che l'omissione della comunicazione possa ritenersi non punibile ove i sindaci non provino che la loro inosservanza dell'obbligo di comunicazione sia dovuta ad un'impossibilità di riscontrare l'irregolarità conseguente a caso fortuito o forza maggiore, giacché l'art. 3, l. n. 689/1981, pone una presunzione (sia pure relativa) di colpevolezza della condotta».

Il principio così affermato viene poi qualificato come «di rigorosa applicazione in quanto funzionale alla tutela del risparmio e del mercato garantita dalla Consob».

Tale impostazione è stata confermata da Cass. n. 12110/2018 depositata il 17 marzo 2018 e, da ultimo, da Cass. n. 25336/2023.

Con tale sentenza, la Cassazione ha confermato la propria impostazione in merito all’interpretazione dell’art. 149, comma 3, TUF ed ha escluso che possa darsi luogo ad un test di rilevanza delle irregolarità da comunicare. Si riporta di seguito il principio espresso dalla Corte.

“La comunicazione che il collegio sindacale deve fare senza indugio alla CONSOB, ai sensi dell'art. 149, comma 3, T.U.F., riguarda tutte le irregolarità che tale collegio riscontri nell'esercizio della sua attività di vigilanza perché la legge non demanda ai sindaci alcuna funzione di filtro preventivo sulla rilevanza delle irregolarità da loro riscontrate, al fine di selezionare quali debbano essere comunicate alla CONSOB e quali non debbano formare oggetto di tale comunicazione; l'assolutezza del comando normativo emerge, oltre che dalla lettera dell'art. 149, comma 3, T.U.F. - in cui il sostantivo "irregolarità" non è accompagnato da alcun aggettivo qualificativo - anche dall'evidente ratio legis di evitare che i collegi sindacali debbano misurarsi con parametri di rilevanza/gravità delle irregolarità da segnalare alla CONSOB la cui concreta applicazione dipenderebbe da valutazioni inevitabilmente opinabili, così da risultare foriera di gravi incertezze operative e, in ultima analisi, da rischiare di pregiudicare proprio lo scopo della disposizione in esame, evidentemente volta a garantire alla CONSOB una completa e tempestiva informazione sull'andamento delle società sottoposte alla sua vigilanza”.

Su tali basi, sembrerebbe che il margine che rimane all’organo di controllo sia quello di valutare se l’irregolarità effettivamente vi sia stata.

Fra i commenti alla sentenza: Bruno, Sindaci di società quotate e obbligo di comunicazione alla Consob, in Giur. comm. 2010, I, 445; Parmeggiani, I sindaci e la Consob, in Giur. comm. 2010, I, 1076.

La relazione all'assemblea

L'art. 153 del TUF, rubricato «Obbligo di riferire all'assemblea», prevede come contenuto della relazione dei sindaci l'«attività di vigilanza svolta» e le «omissioni e ... fatti censurabili rilevati» precisando, al 2° comma, che «Il collegio sindacale può fare proposte all'assemblea in ordine al bilancio e alla sua approvazione nonché alle materie di propria competenza».

D'altra parte, l'art. 153, a differenza dell'art. 2429, secondo comma, c.c., non fa riferimento ad «osservazioni» al bilancio e della necessità di riferire sui «risultati dell'esercizio».

È invece presente nella sola norma sulle quotate la possibilità di far proposte sulle «materie di propria competenza»; si tratta di una norma finora poco applicata che potrebbe consentire ai sindaci quanto meno di suggerire ai soci interventi utili al miglior funzionamento dei controlli societari.

In ogni caso, il contenuto della relazione dei sindaci all'assemblea non può che essere fortemente correlato ai doveri di vigilanza spettanti ai sindaci. È in proposito significativo che proprio un intervento di moral suasion sul contenuto minimo della relazione ha costituito per la Consob un'occasione di chiarimento sui doveri di controllo sull'amministrazione spettanti ai sindaci nelle quotate. Si tratta della Comunicazione n. 1025564 del 6 aprile 2001, successivamente confermata, con alcune integrazioni (riguardanti anche i modelli alternativi di amministrazione e controllo), dalle Comunicazioni n. 3021582 del 4 aprile 2003 e n. 6031329 del 7 aprile 2006.

Secondo tale comunicazione, fra l'altro: «Le valutazioni dei sindaci contenute nella relazione (ex art. 153, comma 1, TUF) dovrebbero consentire all'assemblea una corretta percezione della situazione economico-finanziaria dell'emittente, anche in virtù della costante collaborazione con i revisori, che costituisce uno dei principali presupposti per il corretto funzionamento del sistema dei controlli societari.

D'altronde, il momento assembleare della discussione sul bilancio di esercizio continua ad essere, anche dopo l'emanazione del TUF, l'occasione in cui l'organo sindacale, nel riferire sulla propria attività, esprime le valutazioni anche sull'operato degli amministratori. Tale sede appare quindi la più idonea per illustrare soprattutto quelle operazioni che, più di altre, impongono di verificare la sussistenza di un effettivo interesse della società al loro compimento, con particolare riferimento alle operazioni in cui il rischio di conflitto di interesse esige una specifica attenzione e per le quali la qualità dell'informazione resa al mercato è risultata finora non sempre soddisfacente».

I poteri dei sindaci e le loro prerogative informative

Come già accennato e come ampiamente argomentato nel passaggio sopra riportato della sentenza della Cass. n. 20437/2017 i sindaci delle società con azioni quotate godono di poteri – anche individuali – molto rilevanti.

A ben vedere, peraltro, se si confronta il testo dell'art. 151, commi 1, 2 e 3, del TUF con il testo dell'art. 2403-bis c.c., come riformulato a seguito della riforma del diritto societario, ci si può rendere conto che le differenze principali sono rappresentate dal potere di convocazione di altri organi e dalla possibilità di avvalersi di dipendenti della società, previsti dal secondo periodo del secondo comma dell'art. 151, in forza del quale il collegio «Può altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea dei soci, il consiglio di amministrazione od il comitato esecutivo ed avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni. I poteri di convocazione e di richiesta di collaborazione possono essere esercitati anche individualmente da ciascun membro del collegio, ad eccezione del potere di convocare l'assemblea dei soci, che può essere esercitato da almeno due membri».

Altre prerogative speciali, non previste (almeno non in questi termini) dal codice civile sono:

- l'essere destinatari degli obblighi informativi gravanti sugli amministratori previsti dall'art. 150, comma 1, TUF («gli amministratori riferiscono tempestivamente, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale, al collegio sindacale sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate; in particolare, riferiscono sulle operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento»);

- il riconoscimento di uno speciale rapporto con i soggetti preposti al controllo interno, in base al comma 4 del medesimo art. 150 («Coloro che sono preposti al controllo interno riferiscono anche al collegio sindacale di propria iniziativa o su richiesta anche di uno solo dei sindaci»).

Altro potere di grande rilievo dei sindaci, ormai riconosciuto anche dal codice civile, è quello di effettuare la denuncia in caso di gravi irregolarità di gestione la denuncia ex art. 2409 c.c. nei confronti degli amministratori. Il potere è previsto dall'art. 152, primo comma, che ripete quanto già dettato (dopo la riforma del 2003/2004) dal combinato disposto tra primo e ultimo comma dell'art. 2409 c.c., con la sola precisazione (ma si tratta di previsione che si sarebbe comunque potuto ricavare dal sistema) che in caso di azioni avviate su denuncia dell'organo di controllo possono essere revocati anche i soli amministratori.

I poteri di denuncia di gravi irregolarità e sanzionatori della Consob

Nelle sole società con azioni quotate, ex art. 152, comma 2, TUF sussiste la potestà della Consob di denunciare al tribunaleexart. 2409 c.c. gravi irregolarità dei sindaci (o di chi ne svolge, almeno in parte, le funzioni nei modelli dualistico e monistico) nell'adempimento dei loro doveri. Pur essendo il presupposto di tale azione connesso all'operato dei «controllori» e non a quello degli amministratori è chiaro che di solito si ha evidenza di gravi irregolarità dei sindaci in presenza di gravi irregolarità di gestione da loro non intercettate.

Un esempio di applicazione della disposizione è nella seguente massima del Trib. Milano, 28 aprile 2000, conseguente a una denuncia ex art. 152 TUF nei confronti dei sindaci Fempar, in Giur. it. 2001, 101: «Il T.U. della finanza conferisce penetranti poteri ai sindaci delle società quotate, abilitandoli a chiedere, anche individualmente, notizie agli amministratori sull'andamento delle operazioni sociali, nonché a procedere ad atti d'ispezione e controllo, per cui è ravvisabile una grave irregolarità rilevante ai sensi dell'art. 2409 c.c. nel comportamento dei sindaci, anche se di recente nomina, che omettano di esercitare tali poteri ove la società versi in una situazione di incertezza tale da indurre l'organo di vigilanza sul mercato a sospendere il titolo sociale dalle negoziazioni».

È rimasta, peraltro, nei presupposti delle due azioni (quella dei sindaci contro gli amministratori e quella della Consob contro i sindaci: basta confrontare i due commi dell'art. 152 TUF) una differenza, non essendo richiesto per l'azione della Consob anche che le violazioni dei doveri dei controllori possano arrecare danno alla società o a sue controllate. Tale differenza potrebbe non avere grande rilievo in concreto, posto che la potenziale dannosità delle irregolarità era comunque un requisito per l'avvio della procedura che la giurisprudenza aveva individuato durante la vigenza del vecchio testo dell'art. 2409 c.c., che non vi faceva esplicita menzione. D'altra parte la «semplificazione» dei presupposti dell'azione nei confronti dei sindaci può apparire necessaria, in considerazione della minore vicinanza di questi ultimi alla gestione della società e dunque a quegli atti che possono direttamente arrecare il danno.

I sindaci delle società con azioni quotate sono più in generale sottoposti, anche se non ad una vigilanza in senso proprio, a significativi poteri di controllo e sanzione ad opera della Consob. Infatti, alla possibilità di promuovere il procedimentoex art. 2409 c.c. in presenza di gravi irregolarità dei sindaci, si aggiungono la già menzionata sanzione pecuniaria in caso di mancata comunicazione delle irregolarità, nonché, grazie all'integrazione operata dalla legge sul risparmio n. 262 del 28 dicembre 2005, la possibilità di applicare sanzioni amministrative pecuniarie in caso di mancata osservanza dei loro doveri di vigilanza.

Dopo vari interventi la sanzione, prevista dall'art. 193, comma 3, TUF, applicabile «ai componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione che commettono irregolarità nell'adempimento dei doveri previsti dall'articolo 149, commi 1, 4-bis, primo periodo, e 4-ter, ovvero omettono le comunicazioni previste dall'articolo 149, comma 3», va da Euro diecimila a Euro 1 milione cinquecentomila (prima era da 25.000 a 250.000 euro).

Si è già riportata supra giurisprudenza della Suprema Corte riguardante casi di applicazione delle suddette sanzioni.

Le esclusioni operate dall'art. 154 e le principali norme del codice civile applicabili

L'art. 154 TUF, essenzialmente al fine di evitare confu-sione, disegna chirurgicamente l'insieme delle norme applicabili ai sindaci delle quotate, escludendo gran parte delle norme civilistiche sui sindaci ma salvandone alcune. Gli articoli di maggior rilievo che sono applicabili anche si sindaci delle quotate sono l'art. 2404 c.c. relativo al funzionamento dell'organo, l'art. 2406 c.c., relativo alla convocazione dell'assemblea – in parte assorbito dal potere previsto dall'art. 151, comma 2, – e l'art. 2408 c.c in materia di rapporti con le minoranze.

Si noti che proprio l'art. 2408 c.c. (insieme all'art. 2404, commi primo, terzo e quarto, e all'ultimo comma dell'art. 2409 c.c.) assume rilievo centrale nell'ambito del funzionamento del sistema dei controlli societari interni in tutti i tre modelli di amministrazione e controllo che è possibile adottare. Esso è infatti applicabile sia al consiglio di sorveglianza (art. 2409-quaterdecies c.c.), sia al comitato per il controllo sulla gestione (art. 2409-octiesdecies, ultimo comma, c.c.).

In tal modo viene individuata nel costituire punto di riferimento per le minoranze azionarie (siano esse costituite dal singolo socio o da una minoranza qualificata) una delle fondamentali caratteristiche di ogni organo incaricato dei controlli nei diversi modelli.

La minoranza qualificata, che può attivare il 2° comma dell'art. 2408, rimane immutata al 5% del capitale nelle società che non hanno azioni quotate o diffuse; è invece fissata al 2% per le altre. Inoltre è prevista, per tutte le società, la possibilità statutaria di stabilire una percentuale più bassa È in tal modo interamente incorporata nel codice civile la previsione dell'art. 128, primo e terzo comma, TUF («L'articolo 2408, secondo comma, del codice civile si applica quando la denuncia è fatta da tanti soci che rappresentano almeno il due per cento del capitale sociale. ... L'atto costitutivo può stabilire percentuali di capitale inferiori») già applicabile alle società con azioni quotate, con la significativa estensione dell'applicabilità della percentuale più bassa anche alle società con azioni diffuse. La norma speciale sulle quotate è stata, conseguentemente, abrogata con il decreto di coordinamento tra riforma del diritto societario e Testi Unici bancario e finanziario (cfr. art. 9 d.lgs. n. 37/2004).

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