Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 151 ter - Poteri del comitato per il controllo sulla gestione 1Poteri del comitato per il controllo sulla gestione 1 Art. 151-ter 1. I componenti del comitato per il controllo sulla gestione possono, anche individualmente, chiedere agli altri amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate. Le notizie sono fornite a tutti i componenti del comitato per il controllo sulla gestione2. 2. I componenti del comitato per il controllo sulla gestione possono, anche individualmente, chiedere al presidente la convocazione del comitato, indicando gli argomenti da trattare. La riunione deve essere convocata senza ritardo, salvo che vi ostino ragioni tempestivamente comunicate al richiedente ed illustrate al comitato alla prima riunione successiva. 3. Il comitato per il controllo sulla gestione può, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare il consiglio di amministrazione od il comitato esecutivo ed avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni. I poteri di convocazione e di richiesta di collaborazione possono essere esercitati anche individualmente da ciascun membro del comitato3. 4. Il comitato per il controllo sulla gestione, od un componente dello stesso appositamente delegato, può procedere in qualsiasi momento ad atti d'ispezione e di controllo nonché scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale. ( [1] Articolo inserito dall'articolo 9.81, comma 1, del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 3 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [2] Comma modificato dall'articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 262. [3] Comma modificato dall'articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 262. InquadramentoGli articoli in commento ridisegnano poteri degli organi di controllo nei modelli dualistico e monistico con l'obiettivo di salvaguardare l'essenziale funzione di supervisione sugli amministratori esecutivi e raccordo con l'autorità di vigilanza svolta nel modello tradizionale dal collegio sindacale. È un esercizio non facile in quanto oggettivamente il consiglio di sorveglianza ed il comitato per il controllo sulla gestione sono entità nettamente diverse dal collegio sindacale. Il primo è tendenzialmente più numeroso ed esercita poteri di supervisione strategica sull'attività d'impresa di grande rilievo (come la nomina dei gestori o l'approvazione del bilancio): il secondo è composto da amministratori che rimangono comunque titolari delle funzioni tipiche dell'amministrazione, seppure nella posizione di non esecutivi. Le soluzioni indicate dal legislatore della legge di coordinamento tra riforma del diritto societario e Testi Unici Bancario e Finanziario (d.lgs. n. 37/2004) appaiono comunque ragionevoli e coerenti con le particolarità dei modelli. Esse d'altra parte, come per la verità anche le norme sui poteri dei sindaci (che però hanno dato luogo a rilevanti pronunce giurisprudenziali), hanno avuto limitata applicazione finora. Il commento gli articoli in esame va letto in connessione con quello agli artt. da 148 a 154 relativi al collegio sindacale dove sono presenti osservazioni sull'estensione delle norme sui sindaci ai modelli alternativi. In ogni caso, posto che i poteri vanno esaminati in relazione alle caratteristiche e alle competenze dell'organo, nella presente sede si procederà prima a una sintesi di tali aspetti preliminari e poi ad un esame dei poteri previsti dagli articoli in commento. Le specificità del consiglio di sorveglianzaAlcune peculiarità, pertanto, possono essere in questa sede indicate con riguardo alle caratteristiche del consiglio di sorveglianza, proprio del sistema dualistico. I requisiti di indipendenza nel consiglio di sorveglianza e riflessi sulle funzioni Al fine di comprendere il contesto in cui si inseriscono i poteri che la norma in commento riconosce al consiglio di sorveglianza appare utile ricordare che, a differenza di quanto previsto dal codice civile, il d.lgs. n. 37/2004 ha esteso al consiglio di sorveglianza e a tutti i suoi componenti la disciplina dettata dal comma 3 dell'art. 148 TUF, relativo ai casi di incompatibilità dei sindaci. La scelta, che appare guidata dall'obiettivo della funzionalità del sistema dei controlli nelle società quotate, è solo parzialmente in linea con le caratteristiche proprie del sistema dualistico. È infatti in qualche misura inevitabile che nel consiglio di sorveglianza, che deve, fra l'altro, eleggere i gestori dell'impresa, siedano anche soggetti che abbiano un pieno rapporto di fiducia con i soci di controllo o che addirittura siano gli stessi soci di controllo (i quali ultimi è, però, difficile considerare privi di uno dei legami previsti dall'art. 148, comma 3, TUF). È non a caso connaturato alla struttura del consiglio di sorveglianza e alle sue competenze composite che lo stesso sia suddiviso in comitati che si specializzino nei diversi ruoli spettanti all'organo. Indicazioni in tal senso possono trovarsi sia nel codice di autodisciplina delle società quotate sia nelle «Disposizioni in materia di organizzazione e governo societario delle banche» emanate da Banca d'Italia nel marzo 2008. Nel primo può leggersi che «Può risultare opportuno applicare le raccomandazioni del presente Codice, in particolare in tema di composizione dell'organo di amministrazione e di comitati, non al consiglio di gestione, ma – in quanto compatibili – al consiglio di sorveglianza, secondo quanto suggerito dal criterio applicativo 12.C.1, lettera b). Si precisa che, in tale evenienza, in considerazione della composizione e della natura del consiglio di sorveglianza, tale organo può anche stabilire che le funzioni assegnate ai comitati previsti dal Codice siano svolte dallo stesso consiglio di sorveglianza nel suo complesso, a condizione che le dimensioni dell'organo consentano lo svolgimento efficiente di tali funzioni e che siano fornite adeguate informazioni al riguardo». Nelle seconde viene imposto alle banche che adottano il modello dualistico e che attribuiscono statutariamente al consiglio di sorveglianza la funzione di deliberare in ordine ad operazioni strategiche (art. 2409-terdecies, lett. f-bis, su cui si torna oltre) di prevedere all'interno del consiglio di sorveglianza un «comitato per il controllo interno». Più esattamente si prevede che «Nei modelli dualistico e monistico le banche devono adottare idonee cautele – statutarie, regolamentari e organizzative – volte a prevenire i possibili effetti pregiudizievoli per l'efficacia e l'efficienza dei controlli derivanti dalla compresenza nello stesso organo di funzioni di amministrazione e controllo. Nel modello dualistico, ove la funzione di supervisione strategica sia assegnata al consiglio di sorveglianza o quest'ultimo abbia un numero elevato di componenti, detti obiettivi vanno assicurati attraverso la costituzione di un apposito comitato (comitato per il controllo interno), punto di riferimento per le funzioni e le strutture aziendali di controllo interno». Molto in sintesi, può dirsi che la disciplina delle cause di incompatibilità applicabile al consiglio di sorveglianza delle società con azioni quotate fa assumere allo stesso caratteristiche strutturali che lo rendono un organo molto diverso da quello che è nelle società non quotate o, comunque, un organo particolarmente complesso in cui convivono più anime e «missioni». Le funzioni del consiglio di sorveglianza Il più volte citato decreto di coordinamento n. 37/2004 ha reso applicabili al consiglio di sorveglianza, in primo luogo, i doveri di vigilanza dei sindaci nelle società con azioni quotate; pertanto in forza del richiamo operato dal comma 4-bis dell'art. 149 TUF, il consiglio di sorveglianza vigila: a) sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo; b) sul rispetto dei principî di corretta amministrazione; c) sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione; c-bis) sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi; d) sull'adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate ai sensi dell'articolo 114, comma 2. Sul consiglio grava, inoltre, l'obbligo di comunicare le irregolarità riscontrate alla Consob di cui all'art. 149, comma 3, TUF, al cui commento si rinvia, anche con riguardo alla sua rigorosa interpretazione da parte della giurisprudenza della Cassazione. Non applicabili, invece, sono, coerentemente con l'assetto codicistico, le norme che impongono la partecipazione ad altri organi, anche se, ad integrazione di quanto previsto dal codice, è richiesto che «almeno un componente del consiglio di sorveglianza partecipi alle riunioni del consiglio di gestione». Come visto in sede di commento all'art. 150, sono, inoltre, previste norme che rendono applicabili nei confronti del consiglio di sorveglianza gli obblighi informativi che gli amministratori hanno nei confronti dei sindaci nel modello tradizionale (art. 150, comma 2, TUF) e norme speciali sui poteri, su cui si torna nel commento all'articolo successivo. I poteri del consiglio di sorveglianza e dei suoi componenti Le norme del codice civile sul consiglio di sorveglianza limitano drasticamente i poteri dei singoli consiglieri e danno complessivamente un minor rilievo alla funzione ispettiva del consiglio sulle strutture dell'impresa e sulla gestione. Tale (almeno nella forma) riduzione di poteri è in parte giustificata dalla circostanza che si tratta di un organo che dispone nei confronti dei gestori del potere più importante: quello di nominarli o revocarli. In ogni caso, in sede di coordinamento tra riforma del diritto societario e TUF (operato con il d.lgs. n. 37/2004) è stata compiuta una scelta meno drastica; infatti l'art. 151-bis del TUF prevede che «Il consiglio di sorveglianza, od un componente dello stesso appositamente delegato, può procedere in qualsiasi momento ad atti d'ispezione e di controllo». In sostanza, il potere ispettivo è attribuito all'organo nel suo complesso, anche attraverso un meccanismo di delega, e non ad ogni componente. Inoltre, sempre nelle società quotate l'assenza del potere individuale di ispezione è compensata dall'attribuzione ai singoli componenti di altri poteri, anch'essi previsti dall'art. 151-bis TUF, in parte corrispondenti ai poteri individuali di cui, nelle sole società quotate, dispongono i sindaci ed, in un caso, specifici del modello dualistico. In particolare, tenuto conto anche delle modifiche che al TUF ha operato la legge sul risparmio del 2005, analogamente ai sindaci, i consiglieri di sorveglianza possono, anche individualmente: chiedere notizie ai consiglieri di gestione, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate; previa comunicazione al presidente del consiglio di gestione, convocare il consiglio di gestione ed avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni. Sempre in forza dell'art. 151-bis TUF, almeno due consiglieri possono convocare l'assemblea. Inoltre, al consiglio nel suo complesso, anche in tal caso con possibilità di delega ad un componente, è consentito «scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale». Si tratta della conferma nel sistema dualistico di poteri spettanti ai sindaci delle quotate nel modello tradizionale. Aggiuntiva rispetto ai poteri spettanti ai sindaci è invece la possibilità, prevista dal 2° comma dell'art. 151-bis di chiedere al presidente la convocazione dell'organo, indicando gli argomenti da trattare, con la conseguenza che «la riunione deve essere convocata senza ritardo, salvo che vi ostino ragioni tempestivamente comunicate al richiedente ed illustrate al consiglio alla prima riunione successiva». Si tratta di un'attribuzione che ha un forte legame sia con l'assenza di un potere ispettivo individuale, visto che la convocazione dell'organo può essere finalizzata alla richiesta dell'adozione di un intervento ispettivo o di controllo, sia con le altre specificità del sistema, visto che all'ordine del giorno del consiglio di sorveglianza può essere messa anche la revoca dei gestori. Le specificità del comitato per il controllo sulla gestioneAl sua volta, alcune caratteristiche peculiari connotano il comitato per il controllo sulla gestione, proprio del sistema monistico. Particolarità sulla composizione La disciplina del sistema monistico nelle società con azioni quotate è l'effetto del doppio intervento del decreto di coordinamento (d.lgs. n. 37/2004) e della legge sul risparmio (l. n. 252/2005). Per quanto riguarda la nozione di indipendenza è a prima vista applicabile anche alle società con azioni quotate la nozione di indipendenza degli amministratori nel modello monistico dettata dal codice civile. Infatti, per il terzo di amministratori che deve comunque essere indipendente nel modello in questione non vi è una norma nel TUF, visto che l'art. 147-ter, comma 4, TUF, non è applicabile alle società che abbiano adottato il modello monistico. D'altra parte, il successivo art. 148, comma 4-ter, TUF prescrive che al comitato per il controllo sulla gestione si applicano i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci dal precedente comma 3. Dunque soltanto agli amministratori indipendenti che non entrano a far parte del comitato per il controllo sulla gestione è applicabile la norma del codice civile, mentre per chi ne entra a far parte (vale a dire per almeno tre amministratori) è richiesto il rispetto della norma sui sindaci del TUF. Inoltre, in forza del secondo periodo dell'art. 147-ter, quarto comma, anche l'amministratore eletto in rappresentanza delle minoranze deve possedere i requisiti di cui all'art. 148, comma 3, oltre che quelli di onorabilità e professionalità di cui all'art. 148, quarto comma; esso, d'altra parte, entra a far parte «di diritto» del comitato per il controllo sulla gestione (e ne diviene presidente), ai sensi del già citato comma 4-ter dell'art. 148; nel modello monistico vi sono in più altri amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza previsti per i sindaci delle non quotate, fino ad arrivare ad un terzo del consiglio. Per altro verso, il rappresentante delle minoranze imposto dalla legge è solo uno, mentre nel modello tradizionale ce n'è uno nel consiglio di amministrazione e uno nel collegio sindacale. Per quanto tale soluzione appaia in linea con le specificità del modello, va segnalato che ad essa consegue la non applicabilità all'elezione del rappresentante di minoranza nel comitato per il controllo sulla gestione delle speciali regole di protezione, anche procedurale, delle minoranze dettate dal Regolamento Emittenti della Consob in sede di attuazione della delega (ad essa affidata dal comma 2 del medesimo art. 148) a stabilire le modalità di elezione del rappresentante delle minoranze nel collegio sindacale e nel consiglio di sorveglianza. In particolare, risultano non applicabili all'elezione dei rappresentanti delle minoranze nel modello monistico due regole particolarmente stringenti rappresentate dal dimezzamento della partecipazione minima per presentare la lista nel caso in cui non sia stata presentata una lista di minoranza entro un primo termine di quindici prima dell'assemblea e, soprattutto, dal divieto per gli statuti di prevedere voti minimi che le liste devono conseguire Su tale ultimo aspetto sarà applicabile al modello monistico la disposizione di cui all'art. 147-ter, secondo comma, in base alla quale gli statuti possono prevedere un minimo di voti che le liste possono conseguire, purché in misura non superiore alla metà del quorum necessario per la presentazione. È invece applicabile al modello monistico, riguardando l'elezione del consiglio di amministrazione, l'individuazione operata dalla Consob in via regolamentare delle soglie massime che le società possono prevedere come quota minima per presentare la lista (variabili da un minimo dello 0,5% ad un massimo del 4,5%, con una forte concentrazione intorno alla soglia inizialmente individuata dalla legge del 2,5% o un quarantesimo). Utilizzabile in via interpretativa per la nomina di rappresentanti delle minoranze nel consiglio di amministrazione in tutti i sistemi di governance appare, poi, l'art. 144-quinquies del Regolamento Emittenti Consob, riguardante i rapporti di collegamento con il socio di controllo o maggioranza che impediscono di considerare «minoranza» il presentatore (o i presentatori) della lista. Infatti, l'art. 147-ter TUF, comma 3, impone che la lista da cui viene tratto l'amministratore di minoranza non sia collegata in alcun modo, «neppure indirettamente» con i soci che abbiano presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti. Le principali funzioni del comitato Nelle società con azioni quotate l'art. 149, comma 4-ter, nel rendere applicabili al comitato in esame alcuni degli specifici compiti del collegio sindacale fa una scelta (confermata dalle inapplicabilità chirurgicamente previste dal successivo art. 154) di conferma delle competenze previste dall'art. 2409-octiesdeciesc.c. (del resto in parte letteralmente identiche a quelle dei sindaci delle quotate) ed aggiunge soltanto la specifica competenza relativa al controllo dell'effettivo rispetto dei principî di codici di autodisciplina che la società abbia dichiarato di adottare e al controllo sull'efficacia delle disposizioni date alle controllate per assicurare il pieno rispetto degli obblighi di informazione societaria. Del resto l'applicabilità di gran parte delle norme che disciplinano tale organo nel codice civile costituisce una particolarità del comitato per il controllo sulla gestione nel modello monistico adottato da società con azioni quotate. Fra tali regole vi è quella di cui all'art. 2409-octiesdecies, primo comma, che prevede il numero minimo di 3 componenti in tutte le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La vera norma aggiuntiva (più che sostitutiva, come avviene invece per i poteri dei sindaci previsti dall'art. 151 TUF) è rappresentata proprio all'art. 151-terTUF. Per quanto riguarda le competenze, il comitato, in primo luogo, ai sensi del codice civile, «vigila» anche nelle società con azioni quotate sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione. A differenza di quanto avviene per i sindaci nelle norme del codice civile ed in linea con quanto avviene sempre per i sindaci nelle norme speciali sulle quotate (in particolare l'art. 149) la vigilanza è sui «sistemi» di controllo interno e amministrativo contabile, che dunque si presume che le società debbano avere. In secondo luogo, il comitato «svolge gli ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione con particolare riguardo ai rapporti con il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti». Questa previsione contenuta nel codice civile trova una piena realizzazione nelle società quotate (nella loro qualità di Enti d'Interesse Pubblico) attraverso l'attribuzione al Comitato in questione, ad opera dell'art. 16 del d.lgs. n. 39/2010, delle funzioni del comitato per il controllo interno e la revisione contabile previsto dalla disciplina europea in materia di audit. Il Comitato, invece, non svolge formalmente le funzioni di controllo sull'amministrazione – sia esso di legittimità o sul rispetto dei principî di buona amministrazione – in quanto si tratta pur sempre di un organo (o quasi-organo) composto da amministratori, dunque da soggetti che devono comunque comportarsi nel rispetto della legge e dello statuto e secondo i canoni della buona amministrazione e fare tutto il possibile – nell'ambito delle loro prerogative – perché l'intero consiglio lo faccia. A tali competenze si aggiungono come detto quelle di cui all'art. 149, lett. c-bis) (che prescrive di vigilare «sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, cui la società, mediante informativa al pubblico, dichiara di attenersi») e d) (che prescrive di vigilare «sull'adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate ai sensi dell'articolo 114, comma 2»). Inoltre si applica il comma 3 dell'art. 149, in base al quale il comitato «comunica senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza e trasmette i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti e ogni altra utile documentazione». Su tale comma, di particolare interesse è la sentenza della Cass. II, n. 3251/2009, che considera obbligati i sindaci alla segnalazione in presenza di indizi di violazioni di legge (cfr. per un maggior dettaglio il commento sub art. 149). I poteri del comitato per il controllo sulla gestione Nelle società non quotate, disciplinate dal codice civile, il legislatore ha ritenuto sufficiente all'espletamento delle funzioni del comitato le informazioni di cui gli amministratori dispongono in forza del loro ruolo, solo in parte disciplinate ex lege, ed in particolare dall'art. 2381 c.c., ed i poteri in qualche misura impliciti nella posizione di amministratore. Gli amministratori, d'altra parte, dispongono, a differenza dei membri del consiglio di sorveglianza o del collegio sindacale del potere di impugnativa individuale delle deliberazioni del consiglio di amministrazione assunte in violazione della disciplina sugli interessi dettata dall'art. 2391 c.c. o in violazione della legge o dello statuto ai sensi dell'art. 2388, comma 4, c.c. Nelle società con azioni quotate (fermi restando i poteri degli amministratori sopra indicati) sono invece presenti norme che riconoscono al comitato e ai suoi componenti poteri più vicini a quelli dei sindaci. In particolare, l'art. 151-ter TUF, nel testo risultante dall'intervento prima del d.lgs. n. 37/2004 e poi della legge sul risparmio, riconosce sia all'organo sia a ciascun componete individualmente i seguenti poteri, ripresi da quelli spettanti ai sindaci: - chiedere agli altri amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, ovvero rivolgere le medesime richieste di informazione direttamente agli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate (comma 1); in tal caso le informazioni vengono poi fornite a tutti i componenti del comitato; - previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione convocare il comitato esecutivo o il consiglio di amministrazione ed avvalersi di dipendenti della società per l'espletamento delle proprie funzioni (comma 3); si noti che tramite il richiamo all'art. 2405, comma 1, c.c., operato dall'art. 2409-octiesdecies c.c., i componenti del comitato sono tenuti ad assistere alle riunioni del comitato esecutivo. È invece attribuita esclusivamente al comitato nel suo complesso o ad un componente appositamente delegato la facoltà di procedere ad atti di ispezione e controllo (comma 4 dell'art. 151-ter, mentre il comma 1 dell'art. 151 attribuisce tale possibilità ai sindaci anche individualmente). È però previsto, analogamente a quanto stabilito per il consiglio di sorveglianza nel modello dualistico, che ciascun componente possa chiedere, ed ottenere, «salvo che vi ostino ragioni tempestivamente comunicate al richiedente ed illustrate al comitato alla prima riunione successiva», la convocazione del comitato. Non previsto è il potere di convocare l'assemblea, attribuito dagli artt. 151 e 151-bis al collegio sindacale, al consiglio di sorveglianza o a due componenti degli stessi. Si è evidentemente ritenuto tale potere (specialmente se attribuito soltanto a due componenti) non compatibile con la posizione di amministratori. D'altra parte, come si è avuto modo di segnalare anche nel commento sub art. 154, rimane fermo che l'art. 2408 c.c. (insieme alle regole di funzionamento di cui all'art. 2404 c.c. e al potere di denuncia di cui all'ultimo comma dell'art. 2409) assume rilievo centrale nell'ambito del funzionamento del sistema dei controlli societari interni in tutti i tre modelli di amministrazione e controllo che è possibile adottare. Esso è infatti applicabile, «in quanto compatibile», sia al consiglio di sorveglianza (art. 2409-quaterdecies), sia al comitato per il controllo sulla gestione (art. 2409-octiesdecies, ultimo comma). Nei limiti previsti da tale norma, anche attraverso il rinvio all'art. 2406 comma 2 c.c. (potere di convocare l'assemblea in caso di necessità di deliberare su fatti censurabili di rilevante gravità) può quindi ipotizzarsi una possibilità per il Comitato di convocare l'assemblea. Il quadro informativo a disposizione del comitato è poi completato dalla previsione risultante dal combinato disposto dei commi primo e secondo dell'art. 150 TUF, secondo cui gli amministratori delegati «riferiscono tempestivamente, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale», al comitato per il controllo sulla gestione «sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate; in particolare, riferiscono sulle operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento». BibliografiaAbbadessa, Ginevra, art. 2325-bis, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, I, Napoli, 2004, 15; Abriani, Sistema monistico, in Il Diritto. 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