Legge - 6/06/2016 - n. 106 art. 9 - Misure fiscali e di sostegno economicoMisure fiscali e di sostegno economico 1. I decreti legislativi di cui all'articolo 1 disciplinano le misure agevolative e di sostegno economico in favore degli enti del Terzo settore e procedono anche al riordino e all'armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalita' di vantaggio, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e tenuto conto di quanto disposto ai sensi della legge 11 marzo 2014, n. 23, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalita' di interesse generale perseguite dall'ente e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalita' civiche, solidaristiche e di utilita' sociale dell'ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell'impatto sociale delle attivita' svolte dall'ente; b) razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilita' dal reddito complessivo e di detraibilita' dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura, disposte in favore degli enti di cui all'articolo 1, al fine di promuovere, anche attraverso iniziative di raccolta di fondi, i comportamenti donativi delle persone e degli enti; c) completamento della riforma strutturale dell'istituto della destinazione del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti in favore degli enti di cui all'articolo 1, razionalizzazione e revisione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l'accesso al beneficio nonche' semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l'erogazione dei contributi spettanti agli enti; d) introduzione, per i soggetti beneficiari di cui alla lettera c), di obblighi di pubblicita' delle risorse ad essi destinate, individuando un sistema improntato alla massima trasparenza, con la previsione delle conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto dei predetti obblighi di pubblicita', fermo restando quanto previsto dall'articolo 4, comma 1, lettera g); e) razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati in favore degli enti del Terzo settore di cui all'articolo 1, in relazione a parametri oggettivi da individuare con i decreti legislativi di cui al medesimo articolo 1; f) previsione, per le imprese sociali: 1) della possibilita' di accedere a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici, in analogia a quanto previsto per le start-up innovative; 2) di misure agevolative volte a favorire gli investimenti di capitale; g) istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un fondo destinato a sostenere lo svolgimento di attivita' di interesse generale di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), attraverso il finanziamento di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni comprese tra gli enti del Terzo settore di cui all'articolo 1, comma 1, disciplinandone altresi' le modalita' di funzionamento e di utilizzo delle risorse, anche attraverso forme di consultazione del Consiglio nazionale del Terzo settore. Il fondo di cui alla presente lettera e' articolato, solo per l'anno 2016, in due sezioni: la prima di carattere rotativo, con una dotazione di 10 milioni di euro; la seconda di carattere non rotativo, con una dotazione di 7,3 milioni di euro; h) introduzione di meccanismi volti alla diffusione dei titoli di solidarieta' e di altre forme di finanza sociale finalizzate a obiettivi di solidarieta' sociale; i) promozione dell'assegnazione in favore degli enti di cui all'articolo 1, anche in associazione tra loro, degli immobili pubblici inutilizzati, nonche', tenuto conto della disciplina in materia, dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalita' organizzata, secondo criteri di semplificazione e di economicita', anche al fine di valorizzare in modo adeguato i beni culturali e ambientali; l) previsione di agevolazioni volte a favorire il trasferimento di beni patrimoniali agli enti di cui alla presente legge; m) revisione della disciplina riguardante le organizzazioni non lucrative di utilita' sociale, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attivita' istituzionali e di quelle connesse, fermo restando il vincolo di non prevalenza delle attivita' connesse e il divieto di distribuzione, anche indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e fatte salve le condizioni di maggior favore relative alle organizzazioni di volontariato, alle cooperative sociali e alle organizzazioni non governative. 2. Le misure agevolative previste dal presente articolo tengono conto delle risorse del Fondo rotativo di cui all'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, gia' destinate alle imprese sociali di cui all'articolo 6 della presente legge secondo quanto previsto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 3 luglio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 26 settembre 2015. InquadramentoIl non profit è il settore in cui operano organizzazioni private che svolgono attività di utilità sociale, perseguendo obiettivi diversi dalla distribuzione del profitto, ma nondimeno potendo produrre profitti con l’impresa svolta. Da tempo, gli operatori e gli interpreti ne chiedevano una disciplina organica, essendo stato questo settore interessato da una legislazione frammentaria successiva al codice civile e con esso incoerente: nel corso degli ultimi decenni, la scelta di intervenire con leggi settoriali prive di disegno sistematico aveva portato al difficile coordinamento con le comuni regole del diritto commerciale. Pertanto, col d.lgs. n. 155/2006 fu introdotta, per la prima volta, l’impresa sociale, nei paesi anglosassoni denominata social business. Dieci anni dopo, la riforma della figura è stata delegata al Governo dalla legge delega n. 106/2016 di riforma del «Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale», al fine di sistematizzare l'intera materia sulla base di uno o più decreti legislativi. Per quanto qui interessa, l'art. 1, comma 2, lett. d), della delega chiedeva la revisione della disciplina sull'impresa sociale, lasciando al comma 7 la possibilità, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, di dettare disposizioni integrative e correttive. Il Governo ha, quindi, emanato il d.lgs. n. 112/2017, intitolato alla revisione della disciplina, abrogando altresì, con l'art. 19, la normativa del 2006. Il sistema si completa con il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, c.d. codice del terzo settore, il quale attua la medesima legge delega. Come spiega l'art. 1, secondo periodo, della legge delega n. 106/2016, il terzo settore è «il complesso» degli enti privati, senza scopo di lucro, che siano costituiti per perseguire «finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi». Tali locuzioni saranno più oltre analizzate. Si è così operata una revisione organica della legislazione riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l'associazionismo non profit, le fondazioni e le imprese sociali: cfr. l'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 117/2017: «Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore». La denominazione di «terzo settore» deriva dunque dall'intento di distinguere tali soggetti sia dallo Stato, posto che la pubblica amministrazione per definizione persegue fini pubblici generali, sia dal mercato, ovvero le società a scopo di lucro, operanti in primis mediante capitale di rischio. Si veda il parere, reso in sede consultiva dal Consiglio di Stato il 14 giugno 2017, n. 1405, il quale afferma trattarsi di un'area di ««economia sociale» in concomitanza con i fenomeni di government failure (inadeguatezza dell'intervento statale a cagione della crisi fiscale) e market failure (impossibilità per il mercato informato al sistema dei prezzi di soddisfare determinati interessi generali). L'art. 1 della legge delega esclude, però, espressamente che vi appartengano le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, nonché le fondazioni bancarie. Per quanto riguarda la disciplina dell'impresa sociale, dettata dal d.lgs. n. 112/2017, l'art. 1 del medesimo dispone che ad essa si applichino «in quanto compatibili» il codice del terzo settore, nonché «per gli aspetti non disciplinati» il codice civile e le relative disposizioni di attuazione, concernenti la forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita (comma 5); che la disciplina sull'impresa sociale si applichi, sempre nei limiti della compatibilità, alle società a partecipazione pubblica (comma 6), e che, invece, ne restino fuori le fondazioni bancarie (comma 7). Il decreto legislativo, in sostanza, rinvia alla disciplina comune delle società, per tutto quanto non è stato espressamente disposto nella normativa speciale. Essendo la riforma estesa a molti aspetti e completata, come esposto, dal codice del terzo settore, il quale è composto da 104 articoli contenuti in 12 titoli, è qui possibile operare solo un rapido esame dei principali caratteri, limitati alla forma societaria che questi enti possono assumere. Infine, tema al momento assai poco esplorato, e da approfondire nelle sedi idonee, è quello dell'adattamento, quando possibile, delle regole societarie al particolare oggetto sociale. La discontinua normativa fu, in passato, occasionata dall'intento di introdurre trattamenti di favore, con conseguente diffidenza verso le organizzazioni del terzo settore, viste ora come fornitrici di servizi «a basso costo» nel campo del welfare, ora come potenziali evasori fiscali (lo ricorda Bozzi, par. 1). Si coglie, invero, il pericolo cui questo settore va incontro, concernente la possibilità che, pur fruendo di vantaggi, il perseguimento di finalità sociali in assenza di profitto finisca invece per costituire non solo mera apparenza, ma, altresì, una concorrenza sleale autorizzata nei confronti dei comuni imprenditori (analogamente a quanto è avvenuto per alcune società cooperative). Fondamento della disciplina.Il legislatore della delega esordisce declamando, nell'art. 1, il favor per «l'autonoma iniziativa» (dunque, privata) dei «cittadini» che «concorrono» (i fini sono, infatti, perseguiti nel contempo dallo Stato e da altri enti) «a perseguire il bene comune» (espressione alquanto vaga) e ad «elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale» (espressioni parimenti atecniche), «favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2,3,18 e 118, quarto comma, della Costituzione»: anche l'ultima parte dell'esordio dell'articolo appare un generico proclama politico, nonostante il richiamo ai valori costituzionali. Il richiamo ai medesimi enunciati costituzionali si trova già nell'art. 2 della legge delega, là dove, tra i principî e criteri direttivi generali, pone quello di favorire il diritto di associazione e il valore delle formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli, secondo i «principi di partecipazione democratica, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo». Ma dove la legge delega rivela ingenuità è nel richiamo normativo al criterio redazionale di semplificazione della legislazione previgente, secondo «coerenza giuridica, logica e sistematica»: è vero che la materia aveva visto il susseguirsi di leggi incoerenti, sotto tutti e tre i profili; ma, parimenti, non è compito della legge dettare il precetto che ordini alla futura disciplina di essere congruente e sistematicamente coerente. NozioneSi constata che un sintagma univoco come quello di «impresa sociale» – attività organizzata svolta da un soggetto societario – abbia assunto, perdendo univocità, il secondo significato ora all'esame, causa la provenienza dalla stessa radice. La consonante s indica invero, nelle lingue indoeuropee, il rapporto di vicinanza tra persone o tra cose, come contatto, unione, legame; in particolare, nella radice sac è unita con ac, «ciò che si muove intorno», onde assumerà in latino il senso di accompagnare, seguire, associare, da cui socius e societas, come pure il verbo sum/esse, dove sempre la s esprime il senso di unione nel predicato nominale (Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma, 2010). L'impresa sociale consiste nello svolgimento di attività economiche in settori di utilità sociale ed è definita come un'organizzazione privata, che svolge attività d'impresa per le finalità di interesse comune, destinando i propri utili prioritariamente al conseguimento dell'oggetto sociale (art. 6, comma 1, lett. a) l. n. 106/2016). Più specificamente, l'art. 1 d.lgs. n. 112/2017 qualifica l'impresa sociale come l'ente privato, ivi comprese le società, che: a) esercita in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, b) svolge tale attività senza scopo di lucro ed ha finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, c) adotta modalità di gestione responsabili e trasparenti, favorendo il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. Come si vede, la definizione mescola fattori che si pongono su piani diversi, riguardando la forma associativa, l'attività, lo scopo e la governance. In ordine ai singoli requisiti, si osserva: a) attività d'impresa di interesse generale: in conformità alla nozione di imprenditore di cui all'art. 2082 c.c., l'esercizio dell'attività economica deve essere professionale, ossia rivolto al mercato al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, che rivesta tuttavia necessariamente un interesse generale (come definito all'art. 2); si tratta dell'attività economica imprenditoriale, avendo il legislatore preso atto che gli enti non profit svolgono attività di impresa, sia pure con la fornitura di servizi di interesse generale; b) scopo sociale: la legge pone un duplice requisito richiedendo, in via negativa, che l'impresa sia priva dello scopo di lucro, ed, in via positiva, che abbia finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (v. sub commento art. 3); lo scopo di lucro, quindi, entra nella stessa definizione del c.d. terzo settore e degli enti che vi operano; anche se, poi, per il terzo settore il criterio è il divieto assoluto, laddove il divieto è solo relativo per le imprese sociali; c) gestione: quali indicazioni più stringenti sullo stile d'impresa, la legge pone l'obbligo generale di seguire modalità «responsabili e trasparenti» e quello più specifico di coinvolgimento nella gestione di lavoratori, utenti ed altri stakeholders. Si noti che, secondo quanto afferma la giurisprudenza per le onlus, ma come è predicabile anche per l'impresa sociale, la finalità statutaria e la causa del contratto non riposano nel conseguimento di utili di esercizio, ma nell'erogare servizi, seppur di rilevanza economica, allo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale, secondo il modello dell'impresa sociale delineato sin dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155. Peraltro, ormai la nozione di impresa, interna e comunitaria, non presuppone finalità lucrative: al riguardo, si rinvia al commento all'art. 3, § 3, d.lgs. n. 112/2017. È stato osservato, in riferimento a tutto il c.d. terzo settore, che l'ampia descrizione non sembra però una definizione inutile, perché fornisce la precisazione importante che gli enti del terzo settore sono solo quelli che hanno le finalità di utilità sociale e d'interesse generale (BOZZI, par. 3). Si ricorda che è stato ritenuto legittimo il diniego opposto ad un'impresa sociale di iscrizione nel registro delle onlus, atteso che si tratta di categorie distinte e diversamente strutturate, tra loro incompatibili (Commiss. trib. reg. Toscana, 18 febbraio 2013, in Quaderni dir. e pol. eccl., 2014, 596). Per principio le imprese sociali possono essere ammesse alle gare pubbliche, avendo esse la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un'attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, anche se non lucrativa (cfr. Cons. St. III, n. 116/116, in Foro amm., 2016, 19; Cons. St. III, n. 2056/2013, in Foro amm.-Cons. St., 2013, 911; Cons. St. III, n. 5882/2012, in Giurisdiz. amm., 2012, I, 1609 e Riv. amm., 2013, 344; Cons. St. V, n. 1128/2009, in Giorn. dir. amm., 2009, 532). Infatti, la normativa vigente consente anche a soggetti senza scopo di lucro di partecipare alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici, alla condizione che esercitino anche attività d'impresa funzionale ai loro scopi ed in linea con la relativa disciplina statutaria, giacché l'assenza di fini di lucro non esclude che essi possano esercitare un'attività economica e che, dunque, siano ritenuti «operatori economici», potendo soddisfare i necessari requisiti per essere qualificati come «imprenditori», «fornitori» o «prestatori di servizi». La clausola di un bando che, nell'individuazione dei beneficiari di agevolazioni finanziarie in materia culturale, esclude le fondazioni, è illegittima per contrasto con la nozione di terzo settore indicata dalla l. n. 106/2016 che prevede una riforma organica e complessiva che non «discrimina» le diverse componenti in base alla «forma» rivestita (T.a.r. Lazio, II, 27 maggio 2020, n. 5646). Al riguardo, cfr. la delibera A.n.ac. del 20 gennaio 2016 n. 32, Linee giuda dell'A.n.ac. per l'affidamento dei servizi ad enti del terzo settore e alle cooperative sociali. Tipi socialiL'art. 1 d.lgs. n. 112/2017 (come già l'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 155/2006) prevede che possano rivestire la qualifica di impresa sociale enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile: dunque, per quanto qui interessa, tutte le società, comprese le società personali, di capitali e le cooperative. Tutto ciò al fine di attrarre capitali privati e permettere la partecipazione dei lavoratori non solo alla gestione, ma anche alla capitalizzazione societaria. Sono escluse, tuttavia, dal novero dell'impresa sociale: 1) le società unipersonali costituite da un unico socio persona fisica e 2) gli enti i cui atti costitutivi contemplino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci. La prima limitazione è riferita alle società che siano «costituite» da unico socio persona fisica: sono, dunque, ammesse le società partecipate da persona giuridica, mentre la locuzione della norma non sembra tecnicamente utilizzata per escludere quelle divenute unipersonali nel corso della loro vita. La seconda riguarda le società mutualistiche che operino esclusivamente in favore dei soci e non verso i terzi: l'esclusione è logica, attesi i generali da inserire nello scopo sociale. Viceversa, in osservanza dell'art. 6, lett. c), della legge delega n. 106/2016, il comma 4 d.lgs. n. 112/2017 ha disposto che le cooperative sociali exl. n. 381/1991, ed i loro consorzi, sono di diritto imprese sociali, pur permanendo sia la disciplina specifica delle cooperative, sia l'ambito di attività di cui all'art. 1 della citata legge n. 381, come modificato ai sensi dell'art. 17, comma 1. Si è così osservato che – nel c.d. terzo settore in generale e nell'impresa sociale in particolare – si assiste al «declino delle forme» (Bozzi, par. 3), come era emerso da tempo nella pur disorganica legislazione di settore: gli enti del c.d. terzo settore si caratterizzano, ormai, esclusivamente in ragione delle finalità perseguite e dell'attività svolta; e come per gli operatori del c.d. terzo settore – i quali possono avere forma giuridica di associazione, fondazione, onlus, comitato, società – anche all'interno della categoria della impresa sociale si ammette ogni tipo societario. Quando, nel 2006, introdusse l'impresa sociale, il legislatore non mostrò di porsi o di cogliere i particolari problemi sistematici che creava, permettendo a tutte le organizzazioni private di assumere la qualifica stessa, purché imprese collettive, dove l'attività è svolta per realizzare una finalità esplicitamente dichiarata ed è quindi possibile verificare la mancanza di lucro e gli altri requisiti legali (Mosco, par. 4; Marasà, Impresa, scopo di lucro ed economicità, 39). Nella pratica prevale nettamente la società cooperativa, peraltro anch'essa quanto meno «anomala», perché non può destinare l'erogazione dei beni e servizi esclusivamente a favore dei soli soci, associati o partecipi (Mosco, par. 4). Una valutazione del fenomenoSi è soliti ricondurre la diffusione e il favor per l'impresa sociale, come per il terzo settore in generale, ai c.d. fallimenti di Stato e mercato. Le cause di ciò si rinvengono, quanto al primo, nell'insufficienza di risorse e, quanto al secondo, nella insufficienza di produttività/redditività. Si osserva che lo Stato incontra difficoltà a fornire servizi sociali in ragione dell'aumento esponenziale della richiesta, tipico delle cosiddette «società avanzate», cui corrisponde la difficoltà o l'impossibilità di aumentare la pressione fiscale; mentre è naturale il disinteresse del mercato verso talune attività che non comportano adeguata redditività (Bozzi, par. 5). Quanto al plus offerto dal terzo settore, i vantaggi sono dovuti alla capacità, specie rispetto allo Stato, di offrire un servizio meno standardizzato e più individualizzato sul territorio, o comunque servizi non erogati né dallo Stato, né dal mercato, in una sorta di «esternalizzazione» di essi. E l'attenzione dell'impresa lucrativa ai benefici di carattere generale è da guardare positivamente: anzitutto, essa presenta vantaggi organizzativi e genera circuiti di valore; inoltre, la «contaminazione» con il sociale può dare una spinta importante all'«abbandono di una deriva del capitalismo» (Mosco, par. 8). Il rischio sono servizi a basso costo e di livello qualitativamente basso. Si sottolinea, infatti, che «[l]avoro volontario non significa solo prestazione effettuata per finalità superetiche e quindi generalmente di livello qualitativamente più elevato per il fruitore, ma significa anche lavoro non retribuito, con conseguente riduzione di costi e rischio (non irrilevante) di elusioni e abusi» (Bozzi, par. 5). Negli enti non profit sono frequenti, inoltre, le criticità di ordine gestionale, avendo essi un management fatalmente meno soggetto a controlli, posto che non vi sono soci che si attendono una valorizzazione della quota, mentre i donatori sono sovente numerosi e dispersi fra loro, ed i fruitori ricevono beni e servizi gratuitamente o pagando prezzi irrisori, dunque sono disposti a prendere ciò che viene loro offerto, senza particolare spirito critico. Pertanto, sussiste forse una «sovrastruttura retorica» nel sostegno alla figura e nell'affermazione secondo cui il terzo settore saprebbe rispondere meglio di Stato e mercato nella erogazione di servizi alla persona e similari (Bozzi, par. 5). 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Profili civilistici e tributari, Torino, 2017; Mazzullo, Impresa sociale «3.0», in Cooperative ed enti non profit, 2013, 34; Mazzullo, La rivoluzione delle società sportive dilettantistiche «con scopo di lucro», in Il fisco, n. 45/2017, 4326; Moro, Contro il non profit, Bari, 2014; Moro, In 12 articoli le regole per smascherare la falsa solidarietà, in VDossier, 2016, n. 1, 15; Mosco, L'impresa non speculativa, in Giur. comm. 2017, 216; Santuari, Via libera alla definizione che identifica il Terzo settore in base al fine sociale, in VDossier, 2016, n. 1, 27; Segre, Il profitto capovolto: epistemologia del non profit, in Riv. dir. fin. 2006, II, 638; Senato della Repubblica, Note sul disegno di legge A.S. n. 1870 - Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, Servizio Studi del Senato della Repubblica, maggio 2012; Toffoletto, Note minime a margine di Laudato sì, in Soc. 2015, 1203; Venturi, Zandonai (a cura di), L'impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma, in Rapporto Iris Network Istituti di Ricerca sull'Impresa Sociale, Trento, Altreconomia, 2014, 67. |