Decreto legislativo - 3/07/2017 - n. 112 art. 8 - Ammissione ed esclusione

Loredana Nazzicone

Ammissione ed esclusione

1. Le modalita' di ammissione ed esclusione di soci o associati, nonche' il rapporto sociale, sono regolati dagli atti costitutivi o dagli statuti dell'impresa sociale secondo il principio di non discriminazione, tenendo conto delle peculiarita' della compagine sociale e della struttura associativa o societaria e compatibilmente con la forma giuridica in cui l'impresa sociale e' costituita.

2. Compatibilmente con la forma giuridica in cui l'impresa sociale e' costituita, gli atti costitutivi o gli statuti disciplinano la facolta' per l'istante di investire l'assemblea degli associati o dei soci, o un altro organo eletto dalla medesima, in relazione ai provvedimenti di diniego di ammissione o di esclusione di soci o associati.

Inquadramento

La norma, per ben due volte, ripete la locuzione secondo cui le sue prescrizioni devono essere applicate «compatibilmente con la forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita».

Invero, avendo essa contemplato sia l'ammissione, sia l'esclusione dalla società, era giocoforza, dopo avere proclamato all'art. 1 la libertà di scelta di ogni tipo societario, adattarsi alle regole proprie di esso, che dunque rimangono la disciplina inderogabile degli istituti.

Il principio di non discriminazione

Sia l'ammissione, sia l'esclusione di soci, sia lo svolgimento del rapporto sociale devono essere improntati al principio di non discriminazione, tenendo conto delle peculiarità della compagine sociale ed in modo compatibile con il tipo societario.

Esso viene ricondotto al rispetto dei principî di uguaglianza (Meruzzi, 142) e di parità di trattamento (Buonocore, 551; Alleva, 232; Schirò, 89).

Alcuni hanno, peraltro, ritenuto, nel vigore della precedente disciplina, che sia possibile nella società-impresa sociale, in virtù del principio di non discriminazione, prevedere sempre un sistema di voto coerente con la natura non speculativa di essa, permettendo il voto per teste e non per quote (La Sala, 40).

Ma non può sottacersi che il voto proporzionale adempie, nella struttura delle società, a funzioni organizzative e connotative. In verità, proprio questo è il punto: che il principio va contemperato con la particolare natura del tipo sociale prescelto.

Ed invero, nelle società la struttura capitalistica la partecipazione al capitale sociale mediante conferimento resta il carattere distintivo, e da esso dipende di regola il peso nelle decisioni interne. È fatto salvo, nelle società personali, il criterio del voto «per teste», ove la legge lo preveda, e le ipotesi di conferimenti d'opera o di servizi. Al di fuori di ciò, restano però in vigore le regole ordinarie di concorso alla determinazione della vita societaria.

Può dirsi, in sostanza, che la norma non faccia altro che applicare il principio generale di buona fede nei rapporti societari, che si declina, nell'impresa sociale, sotto il profilo del divieto di operare irrazionali ed ingiustificate disparità di trattamento tra i soci.

La giurisprudenza della Cassazione da tempo ritiene che l'art. 1175 e 1375 c.c. siano operanti, a vari fini, anche all'interno dei rapporti societari: si vedano fra le altre, quali applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo cui va improntata anche l'esecuzione del contratto di società, i precedenti in tema di diritto a richiedere il differimento dell'assemblea di una società per azioni (Cass. I, n. 29792/2017), di prestazioni lavorative al di fuori della società personale (Cass. I, n. 13642/2013), di intimazione di sfratto per morosità alla società e mancata approvazione del bilancio sociale (Cass. I, n. 29776/2008), di voto favorevole allo scioglimento dell'ente societario (Cass. I, n. 27387/2005), d'impugnazione avverso la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio da parte del socio che, quale amministratore, aveva già precedentemente approvato il relativo progetto (Cass. I, n. 15592/2000).

Anche i giudici del merito ne fanno ampia applicazione, come in ipotesi di rilevanza del dovere di buona fede in sede di deliberazione assembleare, quale atto esecutivo del contratto sociale (Trib. Milano 28 novembre 2014, in Giur. comm., 2016, II, 200, n. Toniolo); di abuso di maggioranza, ove fraudolentemente ed esclusivamente preordinata al perseguimento di una lesione degli interessi della minoranza (Trib. Palermo 15 ottobre 2015 e 5 novembre 2015, in Soc., 2016, 835, n. Zammitti); di reiterato e immotivato rifiuto di approvare il bilancio di esercizio (App. Catania 21 luglio 20143, in Riv. dir. comm., 2015, II, 329, n. Cian); si vedano pure i lodi arbitrali al riguardo (es. Arb. Torino 1° aprile 2014, in Giur. arb., 2016, 8, n. Riganti).

Ammissione

Secondo l'articolo in commento, l'ammissione dei soci è retta dal principio di non discriminazione.

L'istituto dell'ammissione, quale autonomo procedimento di ingresso in società, è previsto (oltre che nelle associazioni) nelle cooperative, dove lo statuto deve prevedere i requisiti a tal fine necessari, a norma dell'art. 2521, comma 2, n. 6, c.c., e dove il capitale è espressamente definito variabile dall'art. 2524 c.c.; mentre la qualità di socio si acquista con il consenso degli altri soci nelle società personali, alla stregua dell'art. 2252 c.c., trattandosi di modificazione del contratto sociale, e con le ordinarie forme di cessione della partecipazione sociale nelle società di capitali.

Laddove, quindi, il tipo sociale prescelto non contempli la figura propria dell'ammissione in senso tecnico, sarà comunque possibile all'impresa sociale fissare i requisiti per l'ingresso in società. Infatti, la necessità di fissare dei requisiti si impone proprio al fine di perseguire gli scopi suoi propri, non esistendo una regola di obbligato diritto di accesso dei terzi. Dunque, non si prescrive affatto un generale principio di ingresso di qualunque estraneo all'interno dell'ente, sol perché appartenga ad una data categoria sociale o vanti un interesse coerente con i fini societari: salvo sempre il principio della non discriminazione.

Pertanto, non discriminazione non significa automatico diritto all'ingresso in società, ma requisiti e procedura predeterminati perché ciò avvenga.

Il criterio di ammissione si legge già nell'art. 2527 c.c., il quale prevede che l'atto costitutivo stabilisca i requisiti per l'ammissione dei nuovi soci e la relativa procedura, secondo criteri non discriminatori coerenti con lo scopo mutualistico e l'attività economica svolta. Onde varranno le interpretazioni avanzate per questa norma. Così, può affermarsi che sia vietato prevedere un ostacolo assoluto di ingresso ad altri soci, o rimettere la decisione al mero arbitrio degli amministratori, e naturalmente quei requisiti per definizione discriminatori per intere categorie di soggetti.

In sostanza, la struttura delle società, di persone e di capitali, non ha carattere aperto, né la norma arriva al punto di introdurlo nelle imprese sociali: dove, quando non siano cooperative, non esiste il principio della «porta aperta».

Dubbi sono stati espressi in dottrina con riguardo alla clausola di mero gradimento (Cian, 273): ma sembra che non vi siano ragioni per escluderla, in coerenza con il tipo sociale prescelto, fermo restando i presidio della clausola generale di buona fede, ove di fatto sia applicata a fini discriminatori.

A conferma di ciò e per evitare abusi, si deve allora pensare con favore all'espressa motivazione del diniego di ammissione. Laddove un soggetto richieda l'ingresso nella società, sarebbe necessario motivare il diniego, non perché esista il principio di «porta aperta», ma perché vi è la possibilità di aderire alla società alle stesse condizioni degli altri soci. Non adesione libera, ma comunque limitata.

Nel senso dell’ammissibilità della clausola di mero gradimento è anche maltoni, il quale evidenzia che questo tipo di clausola, se è destinata ad operare come regola anti-scalata o di protezione dell'investimento, secondo la funzione desumibile dall'art. 2355-bis c.c., non è incompatibile con la qualificazione di “impresa sociale” cui la società aspira e ciò perché il problema che la legge vuole risolvere con quest’ultima norma non è quello di consentire a taluno di investire al meglio, e quindi non è un problema di ammissione, ma quello, opposto, di evitare che a taluno possa essere impedito disinvestire.

Esclusione.

Dall'altro lato, il socio può essere escluso per grave inadempimento al contratto di società personale, ai sensi dell'art. 2286 c.c.; per giusta causa nelle s.r.l., ai sensi dell'art. 2473-bis c.c.; per le fattispecie di cui all'art. 2533 c.c., nelle società cooperative.

Le società per azioni non ammettono, invece, l'esclusione del socio, anche se taluno ha voluto ricondurre al medesimo effetto la fattispecie delle azioni riscattabili, previste dall'art. 2437-sexies c.c. Solo in tali limiti, pertanto, potrà prevedersi la possibilità di uscita del socio dalla società azionaria, sebbene rivesta la qualifica di impresa sociale.

Insomma, il tipo sociale determina i casi e la disciplina dell'ammissione ed esclusione dei soci.

Onde il portato proprio della norma è l'affermazione del principio di non discriminazione, che presidia l'intero svolgimento del rapporto sociale, per il quale si rimanda al § 2. Ciò vuol dire che non sono permessi trattamenti differenziati per i partecipanti.

Il ricorso all'organo interno

È ammesso il ricorso interno all'assemblea o ad altro organo contro il diniego di ammissione, avendo la norma avuto presente la tradizione del «collegio dei probiviri» delle cooperative.

Questo è tradizionalmente reputato dalla giurisprudenza di legittimità quale organo societario interlocutorio, onde qualora lo statuto di società cooperativa preveda la facoltà del socio escluso di ricorrervi, si tratterà di un sistema di tutela non arbitrale, ma endosocietario, cioè diretto non a decidere la controversia, ma a prevenirla: essa, pertanto, ha ritenuto che in tal caso il procedimento di esclusione si perfeziona solo con la determinazione del collegio dei probiviri, restando sospesa la decorrenza del termine per impugnare ex art. 2527 (ora 2533) c.c., senza che gli sia tuttavia preclusa l'impugnazione giudiziale nelle more del predetto procedimento endosocietario (Cass. I, n. 8429/2012; Cass. I, n. 17337/2008; v. pure Cass. I, n. 7262/2008).

Ove, poi, il collegio dei probiviri fosse indicato dallo statuto quale collegio arbitrale, a norma dell'art. 34 d.lgs. n. 6/2003 sarebbe invalida la relativa clausola statutaria: in passato, in quanto preveda il deferimento delle controversie al collegio dei probiviri che sia nominato a maggioranza e non all'unanimità dei consensi (Cass. I, n. 16390/2007); oggi, perché l'art. 34 cit. impone la nomina da parte di terzo estraneo (cfr. il commento alla detta norma, nella parte dedicata ai profili processuali di questo Codice).

Curioso è l'avere previsto il ricorso all'organo sociale anche per il caso di «diniego di esclusione»: com'è noto, la deliberazione di esclusione è di competenza, di regola, dell'assemblea nelle società personali e degli amministratori, con possibile conferimento statutario del potere dell'assemblea, nelle cooperative; la legge non dispone espressamente al riguardo per le società a responsabilità limitata.

Solo, dunque, ove la competenza all'esclusione sia degli amministratori, potrà essere osservata la norma, mediante una clausola statutaria che legittimi il socio escluso anzitutto ad interessare l'intera assemblea sociale, o altro organo apposito, in merito alla decisione assunta dall'organo gestorio.

In ogni caso vale quanto si è detto in tema di probiviri e di rapporti con l'impugnazione giudiziale della deliberazione di diniego di ammissione o di esclusione.

Bibliografia

Alleva, Sub art. 9, in Aa.Vv., La nuova disciplina dell'impresa sociale. Commentario al d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155, a cura di De Giorgi, Padova, 2007; Arrigo, Uguaglianza, parità e non discriminazione nel diritto dell'Unione europea, in Riv. giur. lav. 2016, I, 457 e 885; Buonocore, Principio di uguaglianza e diritto commerciale, in Giur. comm. 2008, 551; Checchini, Eguaglianza, non discriminazione e limiti dell'autonomia privata: spunti per una riflessione, in Nuova giur. civ. comm., 2012, II, 186; Cian, L'impresa sociale, in Aa.Vv., Società e Terzo settore. La via italiana, a cura di Silvano G., Bologna, 2011; Gentili, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, in Riv. crit. dir. priv. 2009, 207; La Sala, Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per azioni, Torino, 2011; Maltoni, Organizzazione delle partecipazioni nell'impresa sociale in forma di società e l'art. 8 del d.lgs. 112/2017 in Riv. Not. 2, 2019, 315 ss.; Mantello, Autonomia dei privati e principio di non discriminazione, Napoli, 2008; Meruzzi, Sub art. 9, in Aa.Vv., Commentario al decreto sull'impresa sociale (d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155), a cura di Fici, Galletti, Torino, 2007; Navarretta, Principio di uguaglianza, principio di non discriminazione e contratto, in Riv. dir. civ. 2014, 547; Piccone, Il principio di non discriminazione nella giurisprudenza sovranazionale, in Riv. crit. dir. lav. 2009, 9; Schirò, Sub art. 2527, in Aa.Vv., La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, X, Milano, 2003, 85.

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