Codice Civile art. 2622 - False comunicazioni sociali delle società quotate (1) (2).False comunicazioni sociali delle società quotate (1) (2). [I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni. [II]. Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate: 1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea; 2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano; 3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea; 4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono. [III]. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. (1) V. nota al Titolo XI. (2) Articolo sostituito dall'art. 11 l. 27 maggio 2015, n. 69. Il testo recitava: «False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori [I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. [III]. Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. [IV]. La pena è da due a sei anni se, nelle ipotesi di cui al terzo comma, il fatto cagiona un grave nocumento ai risparmiatori. [V]. Il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo. [VI]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. [VII]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento. [VIII]. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.[IX]. Nei casi previsti dai commi settimo e ottavo, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall'esercizio dell'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'impresa». L'articolo era già stato sostituito dall'art. 30, comma 2, l. 28 dicembre 2005, n. 262. Il testo era il seguente: «False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori. [I]. Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. - Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d'ufficio. [III]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. [IV]. La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento.[V]. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta». InquadramentoPer mil commento v. sub art. 2621. Applicabilità ai componenti del collegio sindacaleIl delitto di false comunicazioni sociali è configurabile nei confronti dei componenti del collegio sindacale di una società quotata in borsa, allorché non provvedano a segnalare la non veritiera rappresentazione in bilancio di elementi informativi sulle operazioni di maggior rilievo economico dell'ente (nella specie false iscrizioni in bilancio di informazioni inerenti operazioni infragruppo di cessione di licenze, a società controllate o collegate, non coerenti con la natura del controllo o della partecipazione prevalente), riscontrati nell'esercizio della propria attività di controllo sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sulla adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili (Cass. pen. V, n. 19091/2020). Invero, se nelle società quotate, il ruolo del collegio sindacale differisce da quello espletato da tale organo negli enti non quotati, attesa la sottrazione al medesimo dei compiti, anche strumentali, di controllo contabile, attribuiti, invece, al revisore esterno (al quale spettano, a norma dell'art. 14 d.lgs. n. 39/2010, la predisposizione di una relazione contenente il giudizio sul bilancio di esercizio e consolidato, ove redatto, nonché la verifica nel corso dell'esercizio della regolare tenuta della contabilità e della corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili), tuttavia non possono escludersi dal novero delle competenze dell'organo sindacale lo svolgimento di approfondimenti in caso di rilevazione di indici di sospetto emersi in sede di verifica dell'adeguatezza e del funzionamento dell'assetto contabile; inoltre, l'art. 150, comma 3, t.u.f. dispone lo scambio tempestivo tra il collegio sindacale ed il revisore esterno di dati e informazioni utili all'espletamento dei rispettivi compiti, così come non si esclude la possibilità che il collegio sottoponga all'assemblea osservazioni e proposte sul bilancio e la sua approvazione. Un simile ruolo del collegio sindacale delle società quotate trova espressione altresì nelle “norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate”, elaborate dal Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili. Infatti, nel riconoscere la natura sostanzialmente procedurale della vigilanza operata dai sindaci in tale ambito, la norma Q.3.7 colloca in ogni caso nei compiti dello stesso, tra gli altri, la «vigilanza sulla rispondenza del bilancio ai fatti e alle informazioni di cui il collegio sindacale è a conoscenza a seguito della partecipazione alle riunioni degli organi sociali o dell'esercizio dei suoi doveri di vigilanza e dei suoi poteri di ispezione e controllo». Si prevede peraltro che, «qualora il collegio sindacale sia in possesso, in virtù della propria attività di vigilanza ovvero di altre fonti comunque disponibili, di notizie su determinati fatti o situazioni che incidono sulla rappresentazione in bilancio di operazioni sociali, o comunque nutra dubbi sulla rappresentazione delle poste di bilancio richiede ulteriori informazioni e/o chiarimenti all'organo amministrativo (...), al revisore legale o alla società di revisione legale (...) e al preposto alla redazione dei documenti contabili (...)». Secondo la norma Q.3.8, analogo controllo è espletato con riguardo al bilancio consolidato, disponendosi inoltre il conseguimento dall'organo amministrativo, nello svolgimento dell'attività di vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, di tempestive informazioni sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale effettuate nell'ambito dei rapporti di gruppo. La norma Q.7 attribuisce, poi, al collegio il potere di formulare osservazioni e proposte all'assemblea sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato. Dal complesso delle fonti sopra indicate si desume come, pur non competendo ai sindaci delle società quotate un puntuale controllo di corretta rilevazione dei fatti di gestione all'interno delle scritture contabili, non può tuttavia escludersi la verifica in ordine alla rappresentazione nei bilanci dei fatti di cui l'organo sia venuto a conoscenza nell'espletamento delle attività di controllo sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, e sull'adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili (Cass. pen. V, n. 19091/2020). |