La risoluzione contrattuale giudizialmente contestata rientra nell’obbligo dichiarativo rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), c.c.p.

Alessandra Coiante
29 Ottobre 2018

L'art. 80, comma 5, lett. c) c.c.p, non preclude la possibilità di valutare l'affidabilità del concorrente in ragione di una risoluzione contestata giudizialmente. E' infatti rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione della portata di pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto effetti definitivi; in tale eventualità, , i correlati oneri di prova e di motivazione sono più rigorosi rispetto alle ipotesi esemplificate nel Codice e nelle linee guida dell'ANAC.

Il caso. La questione posta all'attenzione del Collegio concerne la valutazione circa la legittimità o meno

del provvedimento con cui l'Amministrazione aveva escluso la società ricorrente dalla procedura di affidamento, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c) e lett. f-bis) del d.lgs 50/2016 s.m.i. nonché dell'art. 75 del D.P.R. 445/2000 per la non veridicità di quanto prodotto in sede di gara. In particolare, in sede di verifica sul possesso dei requisiti, emergeva che la società concorrente non aveva dichiarato una precedente risoluzione contrattuale intervenuta con altra p.A.. A seguito di contraddittorio con la partecipante, quest'ultima precisava che la risoluzione di cui trattasi era stata contestata giudizialmente e, per tale ragione, non poteva comportare l'automatica esclusione della società in quanto, ai sensi dell'art. 80 del d.lgs 50/2016, non poteva essere ritenuta oggetto di obbligatoria dichiarazione. Inoltre, a detta della società esclusa, l'omessa indicazione della risoluzione intervenuta era, in ogni caso, frutto di un mero errore materiale dal momento che, in ogni altra procedura (anche con la medesima pubblica amministrazione), era sempre stata correttamente dichiarata. Nonostante le suddette precisazioni, l'Amministrazione comunicava alla società l'esclusione dalla procedura, decisione che ribadiva anche a seguito della successiva richiesta di riammissione alla gara. Il provvedimento di esclusione – insieme ad ogni atto e provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale – veniva impugnato dalla società ricorrente.

La questione controversa. In primo luogo, il TAR sottolinea che l'omessa dichiarazione dell'iscrizione presente nel casellario ANAC e, conseguentemente, della disposta risoluzione contrattuale, non può essere ritenuta un mero errore materiale (per tale intendendosi una semplice una semplice svista, disattenzione), data proprio la rilevanza dell'omessa dichiarazione. Quest'ultima, infatti, sarebbe avvenuta nonostante le molteplici e univoche prescrizioni previste dalla legge di gara relativamente alle dichiarazioni poste a carico dei soggetti partecipanti. L'errore commesso dalla ricorrente acquisirebbe, dunque, particolare rilevanza in forza del principio di auto-responsabilità (cui i concorrenti devono uniformarsi nelle procedure ad evidenza pubblica) e, alla luce di quanto previsto dall'art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs n. 50/2016.

Tale conclusione non muta neanche in considerazione del fatto, dedotto dalla ricorrente, che la risoluzione contrattuale fosse stata giudizialmente contestata. Tale condizione, a detta del Collegio, non è idonea ad esonerare l'interessato dall'onere di dichiarare la presenza di una precedente risoluzione contrattuale al fine di consentire alla Stazione Appaltante di effettuare le verifiche relative alle cause di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs n. 50/2016.

Infatti, secondo quanto stabilito in precedenza dal medesimo TAR (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 18 giugno 2018, n. 591): l'obbligo dichiarativo in questione deve riguardare indistintamente tutte le vicende pregresse concernente fatti risolutivi, errori o altre negligenze comunque rilevanti ai fini della formazione del giudizio di affidabilità, costituisce espressione dei generali principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale, posti a presidio dell'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali facenti capo alla pubblica amministrazione.

Sulla base di tale premessa, dunque, viene rilevato che, ai partecipanti alle procedure di gara, non è consentito scegliere quali vicende sia necessario dichiarare in quanto il giudizio di gravità (il c.d. filtro valutativo) compete solamente alla Stazione Appaltante, che è chiamata a valutare, discrezionalmente, in che termini eventuali precedenti vicende professionali negative possano incidere sull'affidabilità dell'aspirante aggiudicatario e tale valutazione può essere correttamente compiuta solamente se l'Amministrazione può disporre di tutti gli elementi necessari a garantire una compiuta formazione della volontà (Consiglio di Stato, sez. V, 15 dicembre 2016, n. 5290; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 14 febbraio 2018, n. 956 che richiama Consiglio di Stato, sez. V, 15 dicembre 2016, n. 5290; 4 ottobre 2016, n. 4108; 26 luglio 2016, n. 3375; 19 maggio 2016, n. 2106; 18 gennaio 2016, n. 122; 25 febbraio 2015, n. 943; 11 dicembre 2014, n. 6105; 14 maggio 2013, n. 2610; Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4455; Sez. III, 5 maggio 2014, n. 2289).

Il Collegio - pur ricordando il diverso orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2018, n. 2063) secondo cui non sussiste un onere di segnalazione relativamente ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice, non possiede ancora i connotati della definitività - ha fatto proprio l'orientamento opposto secondo il quale “il pregresso inadempimento rileva a fini escludenti, qualora assurga al rango di grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l'integrità e l'affidabilità dell'operatore economico, anche se non abbia prodotto gli effetti risolutivi, risarcitori o sanzionatori tipizzati. Pertanto, è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione della portata di pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto questi effetti specifici; in tale eventualità, però, i correlati oneri di prova e di motivazione sono ben più rigorosi ed impegnativi rispetto alle ipotesi esemplificate nel testo di legge e nelle linee guida” (Consiglio di Stato, sez. V, 3 marzo 2018, n. 1299).

Alla luce di tali premesse - e aderendo all'orientamento che sostiene la natura meramente esemplificativa dell'elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti, contenuta nella lettera c) del comma 5 dell'art. 80 – la sentenza conclude che tale disposizione non preclude alla S.A. la possibilità di valutare l'affidabilità del concorrente in ragione di una risoluzione giudizialmente contestata (TAR Brescia, sez. II, n. 591/2018).

In conclusione: la soluzione raggiunta dal TAR. Per le ragioni suesposte il TAR ha respinto il ricorso affermando la legittimità dell'esclusione del concorrente.

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