Risarcimento del danno da perdita di chance nel caso di illegittimo affidamento diretto della commessa senza gara.
15 Gennaio 2018
1. Il Codice del processo amministrativo – che «assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo» (art. 1) – consente in via generale, con l'art. 30, comma 5, di proporre separatamente l'azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento. La Corte di giustizia con la sentenza del 26 novembre 2014, C-166/14 (MedEval), resa nell'ambito di un contenzioso in materia di pubblici appalti pubblici ha ribadito, in ossequio ai principi di autonomia “temperata” degli ordinamenti processuali nazionali, che «spetta agli Stati membri disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi per risarcimento danni», purché queste modalità non siano «meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall'ordinamento interno (principio di equivalenza)», ed inoltre tali da «rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività)» (§ 37). La Corte europea ha quindi sottolineato che «il grado di esigenza della certezza del diritto relativa alle condizioni della ricevibilità dei ricorsi non è identico a seconda che si tratti di ricorsi per risarcimento danni o di ricorsi diretti a privare un contratto dei suoi effetti» (§ 39). Con specifico riguardo ai rapporti tra reintegrazione in forma specifica – consistente appunto nella privazione degli effetti del contratto – e per equivalente, dopo avere evidenziato che il primo, cui è accordata preferenza ai fini di una tutela piena, può «comportare una notevole alterazione e perdite economiche non solo sul lato dell'aggiudicatario dell'appalto in questione, ma anche su quello dell'amministrazione aggiudicatrice e, di conseguenza, del pubblico, beneficiario finale della fornitura dei lavori o servizi oggetto dell'appalto pubblico di cui trattasi» (§ 41), il giudice europeo ha affermato il principio secondo cui porre l'esercizio dell'azione di annullamento come condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria potrebbe rendere non effettivo quest'ultimo rimedio, che pure è uno di quelli «garantiti dal diritto dell'Unione» (§ 43), a causa del peculiare regime cui il primo è soggetto (nel caso deciso: termine decadenziale decorrente a prescindere dalla conoscenza dell'atto lesivo). Se dunque in base al diritto eurounitario la domanda risarcitoria dovrebbe essere in linea di principio autonoma rispetto a quella di annullamento degli atti di gara e di privazione degli effetti del contratto, deve escludersi a maggior ragione che la prima debba necessariamente essere cumulata con la seconda. La Corte di giustizia della 30 settembre 2010, C- 314/09(Stadt Graz), ha affermato che l'alternativa tra privazione degli effetti del contratto e risarcimento per equivalente dell'utile da esso ritraibile comporta che non può essere attribuita alcuna rilevanza all'elemento soggettivo consistente nella colpa dell'amministrazione per le illegittimità commesse nella procedura di gara. Questo principio si fonda sulla premessa di carattere generale per cui nella materia degli appalti pubblici l'alternativa tra i due rimedi deve essere piena, nel senso che l'impossibilità di accedere al primo deve essere compensata dall'effettiva possibilità di ottenere il secondo.
2. La giurisprudenza amministrativa è costante nell'affermare che la domanda risarcitoria va respinta una volta accertata la legittimità dell'atto impugnato, perché diviene carente il requisito dell'ingiustizia del danno, essenziale per integrare la fattispecie di responsabilità ai sensi dell'art. 2043 (cfr. ex multis: Cons. Stato, IV, 25 gennaio 2017, n. 293, 27 aprile 2015, n. 2109, 6 agosto 2013, n. 4150; V, 9 maggio 2017, n. 2115, 13 febbraio 2017, n. 604, 21 giugno 2016, n. 2723, 22 marzo 2016, n. 1186, 1° ottobre 2015, n. 4588, 8 giugno 2015, n. 2807, 31 dicembre 2014, n. 6450). Se ne desume, a contrario, che una volta accertata l'illegittimità dell'atto, non resta possibile per l'amministrazione sottrarsi all'addebito di responsabilità civile invocando asserite alternative provvedimentali; tanto meno quando queste possano configurare ulteriori ragioni di illegittimità del medesimo atto. Infatti, in questa ipotesi si opererebbe una scissione nel rapporto di necessaria consequenzialità tra il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo oggetto della domanda di annullamento e il rimedio del risarcimento del danno «per lesione di interessi legittimi», la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo (art. 7, comma 4, c.p.a.).
3. Accertata in astratto la consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara vantata da un operatore che si sia lamentato dell'illegittimo affidamento diretto in favore di altro operatore, occorre verificare in concreto la sussistenza dei presupposti per la risarcibilità di tale posizione giuridica. Sul punto la sentenza in commento registra un contrasto di giurisprudenza che impone ai sensi dell'art. 99, comma 1, c.p.a. il deferimento all'Adunanza plenaria. Secondo alcuni indirizzi il risarcimento della chance è condizionato dalla prova di un rilevante grado di probabilità di conseguire il bene della vita negato dall'amministrazione per effetto di atti illegittimi, sualla base del principio per cui in caso di affidamento diretto di un appalto senza gara la tutela conseguibile per l'operatore del settore è quella in forma specifica consistente nella reintegrazione di tale chance per effetto della pronuncia di annullamento degli atti impugnati e nel conseguente effetto conformativo che impone all'Amministrazione di bandire una procedura aperta per l'affidamento dell'appalto. Nella diversa ipotesi in cui ciò non sia possibile, il ristoro per equivalente della chance di aggiudicazione resta precluso dall'assorbente rilievo che l'impresa asseritamente danneggiata non può certo dimostrare, per il solo fatto di operare nel settore dell'appalto illegittimamente sottratto al mercato, di aver perduto, quale diretta conseguenza dell'invalida assegnazione del contratto ad altra impresa, una occasione concreta di aggiudicarsi quell'appalto o, in altri, termini che, se l'Amministrazione lo avesse messo a gara, se lo sarebbe con elevata probabilità) aggiudicato. Per contro, secondo un diverso indirizzo, è stato riconosciuto in caso di mancata indizione della gara il risarcimento della chance vantata dall'impresa del settore sulla base del rilievo che in caso di mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica (o di pubblicità e trasparenza) non è possibile formulare una prognosi sull'esito di una procedura comparativa in effetti mai svolta e che tale impossibilità non può ridondare in danno del soggetto leso dall'altrui illegittimità, per cui la chance di cui lo stesso soggetto è portatore deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all'ipotetico esito della gara. Il contrasto di giurisprudenza si pone dunque tra pronunce aderenti alla teoria della chance ontologica e quelle che invece optano per la chance eziologica. In altri termini, nell'ambito della dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 c.c., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante. |