Incarico di vendita della quota del socio moroso di s.r.l. ad un istituto di credito

Marco Nagar

Inquadramento

La posizione del socio moroso di s.r.l. è specificamente disciplinata dall'art. 2466 c.c., la cui disciplina è applicabile non solo ai casi in cui il socio conferente abbia versato presso una banca il venticinque per cento dei conferimenti in denaro e l'intero sovrapprezzo (ovvero l'intero ammontare se si tratta di società unipersonale) ma anche quando siano scadute o divengano inefficaci la polizza assicurativa o la fideiussione bancaria presentata dal socio a garanzia dei conferimenti, salvo che il socio non le sostituisca con il versamento del corrispondente importo in denaro.

Dunque, decorso inutilmente il termine di trenta giorni dalla diffida ad adempiere (obbligatoria) da parte degli amministratori, il socio moroso non può più partecipare ai procedimenti di adozione delle decisioni sociali. Rispetto all'analoga disciplina prevista per la S.p.a. (art. 2344 c.c.), rimane ferma, alternativamente alla proposizione di normale azione giudiziaria, la facoltà per la società di vendere in maniera coattiva le quote del socio moroso. Tuttavia, la quota del socio moroso, a norma dell'art. 2466 c.c., deve essere preventivamente offerta in opzione agli altri soci, proporzionalmente alla loro partecipazione e per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato. Inoltre, se mancano offerte di acquisto da parte dei soci, è possibile procedere alla vendita all'incanto solo se l'atto costitutivo lo consente. Da ciò emerge chiaramente il carattere (maggiormente) personalistico della società a responsabilità limitata. Nei casi in cui non avvenga la vendita a causa della mancanza di compratori, gli amministratori escludono dalla compagine sociale il socio moroso, trattenendo le somme riscosse: in tal caso, il capitale sociale deve essere senza indugio ridotto, proprio perché la società a responsabilità limitata non può mai (a differenza della s.p.a.) possedere quote proprie.

Formula

Spett.le Banca ....

Via ....

[CAP e città]

Il sottoscritto ...., in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione (oppure di Amministratore Unico) della Società .... s.r.l., con sede legale in ...., alla via ...., n. ....

PREMESSO

- che il socio .... non ha eseguito il versamento dei .... decimi da lui ancora dovuti sulle quote da lui sottoscritte per un totale di Euro .... / non ha adempiuto agli obblighi assunti con la società in data ....;

- che, ai sensi dell'art. 2466 c.c., gli amministratori hanno predisposto apposita diffida ad eseguire gli anzidetti obblighi assunti nei confronti del socio moroso, sig. ....;

- che è infruttuosamente decorso il termine di trenta giorni ai fini dell'adempimento spontaneo da parte del Sig. .... delle proprie obbligazioni nei confronti della società .... s.r.l.;

- che nessun socio della società .... s.r.l. si è dimostrato disponibile ad acquistare, in proporzione alla propria quota partecipativa, la quota del Sig. ....

Tutto ciò premesso

INCARICA

codesto istituto di credito a vendere, a rischio e per conto del socio ...., per il valore risultante dall'ultimo bilancio approvato dalla società ...., in mora nei versamenti, la quota di cui in premessa.

Luogo ...., data ....

Firma ....

Commento

Diversamente dalla normativa previgente (art. 2477 c.c.), il tenore letterale dell'art. 2466 c.c. lascia chiaramente intendere che la diffida rappresenta oggi un passaggio obbligatorio, a prescindere dal mezzo di tutela che sarà poi esperito dagli amministratori, vendita in danno ovvero azione di adempimento. Peraltro, dato che nella vendita in danno vi è una fattispecie di “sostituzione legale” nella quale il potere di vendere è attribuito all'esito di un procedimento, si ritiene che la mancanza di diffida invalidi il procedimento, e, pertanto, l'eventuale compiuta vendita (cfr. Cass. n. 1874/1995, secondo cui “La diffida degli amministratori di società a responsabilità limitata al socio moroso, ad eseguire, nel termine di trenta giorni, il pagamento della quota di capitale sottoscritta, [ ....] ha l'unico fine di dare inizio alla procedura di vendita il suo danno della quota da lui sottoscritta, vendita della quale costituisce il presupposto indispensabile”. Si ritiene inoltre che il termine di trenta giorni possa essere ampliato ma non ridotto. Una volta scaduto tale termine, al socio moroso è inibito il diritto di concorrere all'assunzione delle decisioni assembleari. La giurisprudenza ha affermato che il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci anche nel caso in cui non sia destinatario di uno specifico atto di costituzione in mora o della diffida ad eseguire il pagamento entro trenta giorni (cfr. Cass. n. 585/2015). Se gli amministratori decidono per la vendita della quota, quest'ultima deve essere offerta preventivamente a tutti gli altri soci in proporzione alle singole partecipazioni; ora, qualora uno o più soci non accettino e non vi sia nessuna previsione in merito da parte dell'atto costitutivo, l'inoptato, anche se è permessa la vendita al pubblico incanto, si ritiene debba essere in primo luogo offerto ai soci che abbiano accettato l'offerta. Inoltre, l'atto costitutivo può prevedere che l'offerta sia rivolta nei confronti di terzi in luogo dei soci, ovvero a questi ultimi ma in maniera non proporzionale rispetto all'entità delle rispettive partecipazioni al capitale.

Il riferimento all'“ultimo bilancio” approvato, quale criterio di determinazione del valore fisso a cui la quota va (prima offerta ai soci e poi) venduta all'incanto, e non a quello dell'ultimo esercizio, concede la possibilità di redigere un apposito bilancio infrannuale.

Non essendoci una regolamentazione specifica, si ritiene inoltre che l'(eventuale) esclusione del socio moroso produca gli effetti ordinari degli atti recettizi e che contro di essa il socio possa agire in giudizio attraverso l'ordinaria azione di accertamento di carenza dei presupposti di legge ai fini dell'assunzione della delibera di esclusione e, pertanto, chiederne l'annullamento. Ad essa accompagnandosi altresì, in via preliminare, la richiesta di sospensione di efficacia della medesima, salva la possibilità di agire immediatamente in sede cautelare ai fini di ottenere un provvedimento inibitorio della predetta efficacia ex art. 700 c.p.c.

Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che In tema di società, nel caso di mora del socio nell'esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale deliberato dall'assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l'assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l'indivisibilità della quota (Cass. I, n. 1185/2020).

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