L'accesso civico generalizzato si applica anche agli atti delle procedure di evidenza pubblica
21 Gennaio 2019
La soluzione. Il Collegio ha evidenziato che il c.d. accesso civico si applica anche ai procedimenti di appalto di cui al nuovo codice dei contratti.
Del resto, la tesi contraria non trova fondamento nel co. 3 dell'art. 5 bis, d.lgs. 33/2013, secondo cui l'accesso civico è escluso «nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
Invero, tali “condizioni, modalità o limiti”, devono essere correlati sia al principio generale di trasparenza, affermato all'art. 1 del d.lgs. 50/2016, “sia al fatto che essi sono coordinati, nell'ambito della stessa previsione a “divieti d'accesso”, e non a restrizioni di minor rilievo: la disciplina di cui al citato d.lgs. 33/2013 costituisce insomma la regola generale e le eccezioni alla medesima devono essere interpretate restrittivamente, per evitare la sostanziale vanificazione dell'intendimento del legislatore di garantire l'accesso civico”.
In materia di appalti, l'accesso agli atti è disciplinato dall'art. 53 del codice dei contratti pubblici, che, però, al primo comma, richiama espressamente la l. n. 241/1990, salvo introdurre nei commi successivi una serie di prescrizioni riguardanti invero essenzialmente il differimento dell'accesso in corso di gara. Di conseguenza, tale disposizione non introduce una disciplina speciale, realmente derogatoria di quella prevista in via generale dalla l. n. 241/1990 e tale da escludere, definitivamente, l'accesso civico. Ciò comporta che, in caso di procedure di evidenza pubblica, il nuovo accesso generalizzato può essere vietato temporalmente, “negli stessi limiti in cui ciò avviene per i partecipanti alla gara e, dunque, fino a che questa non sarà terminata, ma non escluso definitivamente, se non per quanto stabilito da altre disposizioni, e così, prima di tutte, dalla chiara previsione dell'art. 5 comma 2, d.lgs. 33/2013”.
Secondo il Collegio, dunque, non è legittimo il diniego di accesso civico, fondato sul mero richiamo al citato comma 2 dell'art. 5-bis, considerato, altresì, che l'amministrazione non ha preventivamente interpellato le due imprese interessate alla domanda di ostensione, né ha valutato l'istanza proposta in via subordinata dal ricorrente, volta a ottenere anche soltanto un accesso parziale, ossia limitato alle parti delle offerte non concretamente coperte da segreto.
Al contempo, la motivazione del diniego è laconica e frettolosa anche nella parte in cui si limita ad affermare che la ricorrente “non ha presentato la propria offerta, pur essendo stata invitata…”, per trarre poi la conclusione che l'istanza di accesso non soddisfa i requisiti previsti dalla normativa applicabile. Tale motivazione è insufficiente, in quanto la mancata partecipazione alla procedura di evidenza pubblica non implica, di per sé, l'esclusione da ogni pretesa di accesso ai documenti.
Il Collegio, dunque, ha accolto il gravame, ma non ha ordinato l'esibizione dei documenti richiesti, “spettando viceversa all'Autorità che detiene la documentazione stabilire motivatamente se – e in che misura – vi ostino concretamente i vincoli posti dalla disciplina applicabile”. |