Il licenziamento collettivo nel concordato in continuità indiretta

23 Gennaio 2019

Alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia UE del 22.06.2017, nella causa C-126/16, in merito alla conformità del diritto olandese con la direttiva 2001/23/CE, come si possono gestire i licenziamenti collettivi in Italia nell'ambito di una procedura di concordato preventivo in continuità indiretta?

Alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia UE del 22.06.2017, nella causa C-126/16, in merito alla conformità del diritto olandese con la direttiva 2001/23/CE, come si possono gestire i licenziamenti collettivi in Italia nell'ambito di una procedura di concordato preventivo in continuità indiretta? Sembrerebbe una procedura non più percorribile, in quanto normalmente un'azienda interessata all'acquisto gradisce ricevere il ramo d'azienda già “ristrutturato” almeno per quel che riguarda il costo del personale.

Il quesito solleva una pluralità di questioni che dipendono - per lo più - dal complesso coordinamento tra diritti dei lavoratori e “libertà” d'impresa nella fase di crisi della stessa, anche di fronte al crescente (ma generico) intervento dell'Unione Europea.

L'attuale quadro normativo di riferimento in ambito europeo è tracciato dalla direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001, “concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”. Come si evince sin dall'oggetto della direttiva, il principio generale inerente al fattore lavoro nel trasferimento d'azienda è il mantenimento dei diritti dei lavoratori, ossia il passaggio assieme all'azienda stessa dei diritti dei lavoratori e dei corrispondenti obblighi del datore di lavoro al cessionario. È espressamente specificato all'art. 4 che il trasferimento di un'impresa “non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario”. Ma come si coniuga tale forte tutela dei lavoratori con la crisi d'impresa, o meglio, con le necessità proprie di un imprenditore in difficoltà il cui obiettivo è massimizzare il profitto per soddisfare i creditori ed evitare così il default? Ferma la possibilità di porre in essere licenziamenti per motivi economici, tecnici o d'organizzazione, l'art. 5 della citata direttiva consente una deroga gradata al suddetto principio:

(i) la deroga è totale, con facoltà quindi di licenziamento di lavoratori a fronte del trasferimento dell'impresa, in ipotesi di apertura di una procedura fallimentare o analoga da svolgersi sotto il controllo di un'autorità pubblica competente con finalità di “liquidazione dei beni del cedente”;

(ii) la deroga è limitata a modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori e alla liberazione del cessionario dagli obblighi relativi ai rapporti di lavoro “pagabili” prima del trasferimento, in ipotesi di procedure pubbliche di crisi o insolvenza dell'impresa “indipendentemente” dalla finalità di “liquidazione dei beni” della procedura stessa.

Il discrimine tra i diversi gradi di deroga al mantenimento dei diritti dei lavoratori consiste essenzialmente nella finalità - liquidatoria o meno - della procedura in cui il trasferimento d'impresa si inserisce. La ricerca di una soluzione al quesito deve muovere pertanto dall'inquadramento della fattispecie concreta, i.e. il concordato preventivo in continuità indiretta, nell'una o nell'altra finalità.

Solitamente, con la locuzione “continuità indiretta” ci si riferisce a un'operazione di risanamento di un'impresa, inserita in tutto o in parte in una procedura di concordato preventivo, a struttura bifasica: l'azienda o rami di essa sono affittati a un soggetto (più o meno) terzo rispetto all'impresa in crisi al fine di conservarne il valore unitario e produttivo in vista della successiva cessione.

Ciò ricordato, la sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea in data 22 giugno 2017 nella causa C126/16, citata nel quesito, ha ad oggetto un'operazione cd. pre-pack (“pre-packaged insolvency sale”), non dissimile nei suoi elementi essenziali da un'operazione in continuità indiretta secondo quanto sopra descritto; essa si è sostanziata, infatti, in un accordo tra la società debitrice e un terzo, finalizzato alla cessione a quest'ultimo dell'azienda a seguito della dichiarazione di fallimento. A tal proposito, in punto di distinguo tra procedura liquidatoria (la sola che legittimerebbe la deroga totale al mantenimento dei diritti dei lavoratori e quindi il licenziamento) e procedura non liquidatoria, la Corte europea ha specificato che la prima mira a “massimizzare la soddisfazione collettiva dei creditori”, mentre la seconda ha l'obiettivo principale di “salvaguardare l'operatività dell'impresa o delle sue unità economicamente sostenibili”. E, in tal senso, la “preparazione” della cessione di un'azienda sembra - sempre secondo i giudici europei - finalizzata prima di tutto alla prosecuzione, seppur in capo a un terzo, dell'attività dell'azienda stessa. Ciò conseguentemente non dovrebbe giustificare la privazione dei diritti dei lavoratori di cui agli artt. 3 e 4, dir. 2001/23/CE, in primis del mantenimento del rapporto di lavoro con il datore cessionario. Conclusione che pare doversi trarre pure con riguardo all'affitto e alla cessione predisposti nell'ambito di un'operazione in continuità indiretta, anche alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali e degli interventi legislativi volti a definire il nuovo “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza”. In linea con la distinzione operata dalla Corte di Giustizia, la Cassazione, nella sentenza 19 novembre 2018, n. 29742, ha adottato un metro di valutazione della continuità aziendale oggettivo, legando tale continuità al permanere di un'“azienda in esercizio, indipendentemente dalla circostanza che essa sia condotta dal debitore, o da soggetti diversi”. Laddove cioè l'attività aziendale dell'impresa in concordato prosegua (a prescindere da chi la prosegue) è configurabile una procedura in continuità, con esclusione pertanto di finalità liquidatorie. Tale arresto giurisprudenziale giunge in realtà solo dopo che il legislatore ha già posto le basi di un'espressa specificazione normativa in tal senso. La legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza (L. 19 ottobre 2017, n. 155) ha già previsto, in particolare all'art. 6, comma 1, lett. i), n. 3), l'estensione dell'applicazione della disciplina del concordato in continuità all'ipotesi di affitto d'azienda, anche anteriore al deposito della relativa domanda. Principio che risulta essere stato attuato nello “schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza” approvato dal Consiglio dei Ministri (peraltro con specifici riferimenti a un almeno parziale mantenimento della forza lavoro dell'azienda). Tanto dovrebbe bastare per escludere che il concordato preventivo in continuità indiretta possa giovarsi della deroga stabilita dall'art. 5, comma 1, dir. 2001/23/CE per le procedure dirette alla liquidazione dei beni, cosicché sembra doversi ritenere illegittimo il licenziamento disposto a motivo di un cd. affitto-ponte finalizzato alla cessione dell'azienda.

Ma vi è di più. È in dubbio anche la facoltà di avvalersi della più limitata deroga di cui all'art. 5, comma 2, della direttiva se si considerano - tra l'altro - le disposizioni italiane per l'adempimento agli obblighi derivanti dalla direttiva stessa, confluite nell'art. 47 riformato della legge comunitaria 29 dicembre 1990, n. 428. Difatti:

(i) se già il citato art. 5, comma 2, della direttiva sembra richiedere in ogni caso la sussistenza di una “procedura di insolvenza aperta”, l'art. 47, comma 4 bis, L. n. 428/1990 prevede la possibilità di una deroga limitata all'art. 2112 c.c. qualora “il trasferimento riguardi aziende […] per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo”. Il che significa, in virtù di un richiamo letterale all'art. 163 l. fall., che proposta e piano di concordato dovrebbero essere già stati sottoposti con esito positivo al vaglio del Tribunale per poter pensare di incidere - anche solo limitatamente - sui contratti di lavoro in essere. Da ciò dovrebbe conseguire l'esclusione dal novero dei trasferimenti che possono beneficiare della deroga in questione dell'affitto stipulato prima della presentazione della domanda di concordato o previa autorizzazione rilasciata dal Tribunale nel corso della fase “in bianco” del concordato stesso;

(ii) il suddetto art. 47 L. n. 428/1990 esordisce circoscrivendo la propria rilevanza ai trasferimenti d'azienda “in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori”. Le aziende (o i rami d'azienda) che non raggiungono tale soglia occupazionale sembrano pertanto destinate a rimanere soggette in ogni caso alla disciplina dell'art. 2112 c.c.

Non sono invece pregiudicati, come già accennato, per espressa previsione della direttiva 2001/23/CE, i “licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione”. Espressione che, tuttavia, per la sua indeterminatezza comporta innegabili difficoltà in punto di discrimine tra il licenziamento “economico” e l'illegittimo licenziamento “per trasferimento”. La stessa Corte di Giustizia dell'Unione Europea, di recente, ha ritenuto di poter ricondurre un licenziamento ai predetti motivi economici, tecnici o d'organizzazione a condizione che il licenziamento medesimo non costituisca “una misura deliberata volta a privare i lavoratori interessati dei diritti loro conferiti dalla direttiva 2001/23”, demandando al giudice del rinvio l'arduo compito di operare tale verifica.

Si può pertanto concludere sulla base del quadro sopra delineato che, alle valutazioni più strettamente imprenditoriali esposte in modo puntuale nel quesito, si affiancano non meno rilevanti implicazioni giuridiche da verificarsi in un continuo e complesso coordinamento tra profili di diritto nazionale e diritto europeo. Coordinamento i cui elementi essenziali - salvo modifiche a venire - non dovrebbero peraltro essere oggetto di revisione: la Proposta di direttiva europea in materia di procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti si limita a lasciare “impregiudicati i diritti dei lavoratori”garantiti, tra le altre, dalla direttiva 2001/23/CE; così come, a fronte della necessità di armonizzare il diritto interno con la stessa “direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea” espressa dalla citata L. n. 155/2017, la bozza del nuovo codice della crisi di impresa e dell'insolvenza si limita a precisare che al trasferimento d'azienda nell'ambito anche del concordato preventivo si applica l'art. 47 L. n. 428/1990.

Riferimenti normativiArtt. 3, 4 e 5 dir. 2001/23/CE e art. 47 L. 29 dicembre 1990, n. 428.

Riferimenti giurisprudenziali – Corte UE 22 giugno 2017, C126/16, in www.eur-lex.europa.eu, 2017. Sempre in ambito europeo, Corte UE 7 agosto 2018, C472/16, in www.eur-lex.europa.eu, 2018, ove è precisato che “Lo scopo della direttiva 2001/23 è di assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell'ambito di un'entità economica, a prescindere da un cambiamento del proprietario”. In Italia, Cass. 19 novembre 2018, n. 29742, in questo portale, 2018. Sull'applicazione dell'art. 47, comma 4 bis, lett. b-bis), L. n. 428/1990 all'affitto d'azienda, Trib. Udine 27 marzo 2018, in Leggi d'Italia, 2018, che richiama Cass. 16 maggio 2002, n. 7120. In tema di licenziamento per motivi economici, tecnici o d'organizzazione, v. ancora Corte UE 7 agosto 2018, C472/16, cit. e Trib. Milano 20 ottobre 2015, in Argomenti, 2016, 2, 358, con nota di S. Brun, Trasferimento d'azienda e licenziamento collettivo: la tutela dell'occupazione e lo spirito “disatteso” delle recenti riforme.

Riferimenti dottrinali – Bellè, Strumenti giuridici di gestione del personale nell'azienda in procedura concorsuale, in Fallimento, 2018, 10, 1159 ss.; Gaudio, Trasferimento d'azienda e crisi d'impresa: una eterogenesi dei fini da parte del legislatore italiano?, in Arg. dir. lav., 2018, 1, 210 ss.; Lambertucci, Circolazione d'impresa e rapporti di lavoro, ivi, 2018, 1, 25 ss.; Patti, Rapporto di lavoro e trasferimento d'azienda nelle procedure concorsuali, in Fallimento, 2018, 10, 1148 ss.; Vidiri, Il trasferimento d'azienda: un istituto sempre in bilico tra libertà d'impresa (art. 41 Cost.) e diritto al lavoro (artt. 1 e 4 Cost.), in Corr. giur., 2018, 7, 965 ss.; Braico, I diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di impresa nelle sentenze della Corte di Giustizia, in Lav. giur., 2017, 7, 712 ss.; Marazza-Garofalo, Insolvenza del datore di lavoro e tutele del lavoratore, Torino, 2015, 30.

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