Il Consiglio di Stato sul diritto alla revisione dei prezzi
25 Gennaio 2019
Laddove ricorra l'ipotesi della rinegoziazione, il diritto alla revisione non può configurarsi, in quanto l'impresa che ha beneficiato di una speciale disposizione la quale preveda la possibilità di rinnovo del contratto senza gara a condizione di un prezzo concordato, non può poi anche pretendere di applicare allo stesso contratto il meccanismo della revisione dei prezzi (cfr. T.A.R. Venezia, sez. I, 2 gennaio 2017, n. 2; T.A.R. Lazio, sez. III, 30 maggio 2016, n.6252; Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2479 e 1 giugno 2010, n. 3474; Id., sez. VI, 25 luglio 2006, n. 4640).
Infatti, nel momento in cui le parti confermano il prezzo originario, ciò non può che significare che l'originario assetto di interessi ha conservato le originarie condizioni di equità e sostenibilità economica (su cui non incide, evidentemente, un maggiore o minore margine di lucro), secondo l'autonomo e libero apprezzamento degli stessi interessati.
Il diritto dell'appaltatore al "quantum" della revisione sorge soltanto dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell'amministrazione, per il tramite dell'organo dell'ente pubblico abilitato a manifestarne la volontà. Ne consegue che tale riconoscimento non può mai considerarsi pacifico tra le parti, e perciò non abbisognevole di prova, anche in mancanza di contestazione, atteso che non possono considerarsi pacifici tra le parti i fatti per i quali la legge richieda un atto scritto ad "substantiam" (o ad "probationem") (cfr. Cass. 12178/2000); e che sia l'espresso provvedimento attributivo, sia il comportamento implicito inequivocabilmente diretto a riconoscere tale diritto, che sia preceduto dal positivo esercizio del potere discrezionale in ordine alla concessione della revisione, devono provenire dall'organo deliberativo competente (da individuarsi nella specie esclusivamente nel Consiglio Comunale) (Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2016, n. 23071).
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