Sui criteri e i limiti del risarcimento dei danni derivanti da responsabilità precontrattuale
01 Febbraio 2019
Il caso. La vicenda in esame prende le mosse dal ricorso proposto da una società risultata aggiudicataria di una gara indetta da una società pubblica per l'affidamento dei lavori di recupero architettonico e funzionale di un fabbricato avverso il provvedimento con cui si revocava in autotutela l'aggiudicazione. La revoca veniva motivata in ragione del fatto che, dopo essere tardivamente entrata in possesso dell'immobile, la Società appaltante ne aveva accertato lo stato di grave degrado, che ne rendeva necessaria la messa in sicurezza, prima della realizzazione dei lavori originariamente appaltati.
Il Tar accoglieva parzialmente il ricorso, condannando la società appaltante al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale.
Avverso tale sentenza, la società originariamente ricorrente propone appello, contestando la mancata declaratoria di illegittimità del provvedimento di revoca, nonché la liquidazione dei danni così come effettuata dal giudice di prime cure.
La legittimità della revoca e la responsabilità precontrattuale. Anzitutto, il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto legittima la decisione della società appaltante di disporre la revoca dell'aggiudicazione. Nello specifico, lo stato di gravissimo degrado in cui versava l'immobile oggetto degli interventi e la necessità di metterlo in sicurezza risultavano del tutto incompatibili con la realizzazione degli interventi di mera ristrutturazione edilizia che erano stati aggiudicati all'appellante. Siffatte circostanze, dunque, sono giudicate idonee a integrare quel radicale “mutamento della situazione di fatto” al ricorrere del quale l'articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990 legittima l'adozione di un provvedimento di revoca.
Ciò chiarito, i Giudici ribadiscono come sia ben possibile far derivare conseguenze risarcitorie in danno dell'amministrazione dalla (legittima) adozione di un provvedimento di revoca, così come è possibile che la revoca di un atto amministrativo possa risultare legittima e giustificata anche se sia stata la stessa amministrazione a dare luogo ai presupposti legali della revoca (e in disparte i connessi profili risarcitori che devono essere esaminati in base a coordinate normative in parte diverse da quelle di cui all'articolo 21-quinquies della l. 241 del 1990). Per quanto riguarda in particolare il primo dei citati aspetti, il Consiglio di Stato richiama l'orientamento per cui «è possibile configurare un'ipotesi di responsabilità precontrattuale a carico della stazione appaltante la quale, dopo aver indetto una gara ed essersi in seguito avveduta di motivi ostativi prosegua nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per poi revocare l'aggiudicazione». Il danno, in tal caso, non è causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela (annullamento ovvero revoca), ma trova la sua causa nella condotta omissiva tenuta dall'amministrazione nella gestione della complessiva serie amministrativa (in tal senso: Cons. Stato, IV, 20 febbraio 2014, n. 790).
In definitiva, dunque, l'eventuale concorso causale apportato dall'Amministrazione al realizzarsi di circostanze che possano giustificare l'adozione di un provvedimento di revoca non incide sulla legittimità di quest'ultimo.
Sulla quantificazione del danno da responsabilità precontrattuale. Anche su tale punto il Consiglio di Stato conferma le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di primo grado, laddove viene richiamato il più che consolidato orientamento secondo cui, mentre per i danni da mancata aggiudicazione essi sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell'utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all'immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (in tal senso – ex multis - Cons. Stato, V, 27 marzo 2017, n. 1364; id., IV, 20 febbraio 2014, n. 790; id., V, 6 marzo 2013, n. 1357).
La perdita di chance, il cui ristoro è stato ammesso in sede di responsabilità precontrattuale a partire dalla sentenza n. 6/2005 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, è rilevante solo limitatamente alle occasioni di guadagno alternative cui l'operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell'amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all'esecuzione del contratto non stipulato.
Infine, per ciò che concerne il ristoro dei benefìci connessi alle ulteriori e diverse occasioni di guadagno che la società appellante avrebbe potuto conseguire se non fosse stata impegnata nelle inutili trattative con la stazione appaltante, il Collegio rileva che di tale perdita di chance occorre fornire adeguata prova. Sul punto si ripercorre il consolidato orientamento secondo cui «il pregiudizio per perdita di chance di aggiudicazione di un appalto pubblico consiste in un danno patrimoniale relativo alla perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità. La perdita di chance si configura quindi come danno attuale e risarcibile, sempre che ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni». Ne consegue, altresì, che alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 cod. civ. diretta a fronteggiare l'impossibilità di provare non l'esistenza del danno risarcibile, bensì del suo esatto ammontare. In altri termini, la perdita di chance di rilievo risarcitorio, in quanto entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione e non mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro, deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile il calcolo percentuale di possibilità delle concrete occasioni di conseguire un determinato bene (in tal senso: Cons. Stato, III, 31 agosto 2011, n. 4892).
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