Ravvedimento tributario ad ampio raggio nel concordato preventivo
26 Marzo 2019
Tra le tante novità che i fallimentaristi (o come si chiameranno gli operatori del diritto della crisi e dell'insolvenza) attendono dai vari decreti che dovrebbero essere emanati in applicazione della riforma appena varata dal Paramento, dovrebbe trovare spazio un'attenuazione del peso specifico delle sanzioni accessorie al debito tributario accumulato durate la crisi. L'art. 4 lettera h) della legge delega infatti, nel disciplinare i principi ai quali avrebbe dovuto attenersi il legislatore delegato per favorire l'ingresso tempestivo alle varie procedure concorsuali, ha individuato tra le misure premiali per l'imprenditore una congrua riduzione degli interessi e della sanzioni tributarie. A ciò ha provveduto il Codice della crisi.
Si aggiunga che dalla rimodulazione dei privilegi mobiliari, preannunciata dall'art. 10 della Legge 155 del 19 ottobre 2017, ci si sarebbe aspettato un ripensamento sull'infelice espansione del privilegio a favore del debito tributario ai suoi accessori diretti, introdotta dall'art. 23 del D.L. 98/2011 convertito con Legge n. 111/2011, che - come sanno gli operatori del diritto concorsuale - nel concreto non ha certo giovato alla ricerca di soluzioni delle crisi aziendali che volevano tentare la via della composizione in una prospettiva di continuità. Il peso, infatti, del carico tributario sui piani concordatari si è spesso rilevato insuperabile per quelle realtà economiche investite dalla più difficile crisi degli ultimi decenni, che gli imprenditori hanno sovente tentato di superare con strategie finanziarie attuate con l'obiettivo di sostenere i rapporti commerciali di tipo strategico (fornitori, dipendenti, banche) mettendo in coda i creditori involontari, ma dalle quali si è prodotto, inevitabilmente, un innalzamento delle sanzioni correlare. Nell'auspicio che la programmata revisione dei privilegi si traduca prima o poi in norme cogenti, è interessate segnalare un provvedimento rilasciato, nell'ambito di una procedura di concordato preventivo, da un ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate in tema di sanzioni fiscali collegate all'ipotesi di omessi versamenti in materia di imposta sul valore aggiunto. Il caso può essere cosi riassunto: dopo aver avuto accesso alla fase prenotativa, aperta a novembre 2016, la società debitrice presentava, nel 2017, il piano concordatario nel quale si prevedeva di pagare gli omessi versamenti dell'IVA 2016 attraverso l'accesso al c.d ravvedimento operoso - anche in ragione della liquidità nel frattempo acquisita - con l'applicazione delle sanzioni ridotte previste dalla lettera b) dell'art. 13 del D.Lgs 472/1997, pari a 1/8 del minimo e degli interessi nella misura del tasso legale (ricordiamo che, nel caso di omessi versamenti d'imposta, la sanzione ordinaria è pari al 30% del tributo omesso). Dopo l'invio ai creditori della comunicazione dei commissari ex art. 171, l'Agenzia delle Entrate locale, sebbene il piano non prevedesse alcun accordo sui debiti tributari, applicava autonomamente la procedura di cui all'art. 182-ter e inviava, poco prima dell'adunanza dei creditori, la comunicazione di irregolarità ex art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972 (c.d. avviso bonario) con invito a versate l'imposta omessa, le sanzioni pari ad 1/3 del minimo e gli interessi calcolati al tasso previsto dalle norme tributarie (significativamente superiori al tasso legale), con un rilevante aggravio dei crediti privilegiati rispetto alla previsioni del piano. Detta comunicazione, come noto, una volta giunta a destinazione, preclude l'accesso all'istituto del ravvedimento in virtù del citato art. 13 D.Lgs 472/1997. E' stata quindi avanzata all'Agenzia istanza in autotutela per la sospensione dell'avviso bonario allo scopo di consentire alla società debitrice di ottenere l'autorizzazione ex art. 167 l.fall. per il pagamento anticipato dell'iva omessa applicando le sanzioni e gli interessi come indicati nel piano, poggiando la richiesta sul principio formulato in alcune pronunce (Cass. 8118/2001; Cass. 4234/2006; Cass. 24427/2008), in base a cui i debiti sorti prima dell'apertura della procedura di concordato preventivo non sono mai esigibili al di fuori del concorso, sicché al mancato pagamento di essi non possono conseguire effetti di tipo sanzionatorio. La condotta del debitore che, entrato in concordato, non esegue il pagamento delle imposte scaturenti da rapporti commerciali sorti prima, difetterebbe del requisito della consapevolezza, necessario per far scattare la sanzione tributaria.
L'Agenzia, con una decisione assai travagliata, accoglieva l'autotutela ed emetteva un avviso di recupero dell'imposta in cui disponeva la sospensione dell'avviso bonario per 60 giorni e la contestuale concessione dello stesso termine per consentire il pagamento dell'iva omessa secondo quanto riportato nel piano, quindi con l'applicazione della sanzione minima da ravvedimento operoso (ossia quella che si sarebbe applicata al momento dell'apertura del concorso) e degli interessi al tasso legale. L'Ufficio Tributario, nell'aderire al senso delle pronunce su indicate, dunque, ha ritenuto applicabile al caso concreto l'art. 10 dello Statuto del contribuente che tutela l'affidamento e la buona fede del contribuente nei suoi rapporti con l'Amministrazione finanziaria. Va detto che il provvedimento sembra configgere con una decisione quasi contestuale in ordine di tempo, pronunciata dalla Commissione tributaria Provinciale di Modena il 20 settembre 2017, n. 656 , che, invece, nega qualsiasi riduzione delle sanzioni tributarie se il fatto omissivo sia anteriore all'apertura della procedura. In tal caso, secondo i giudici emiliani, non avrebbe rilevanza, nelle fase successiva, la valutazione dell'elemento soggettivo (mancanza di colpa), poiché il suo presupposto si radicherebbe al momento delle violazione. Se, quindi, il fatto omissivo fosse commesso dall'imprenditore ancora in bonis, il perdurare del mancato versamento dopo l'ammissione non sarebbe che la naturale conseguenza e le eventuali riduzioni non godute nei tempi stabiliti non potrebbero essere considerate un impedimento non colposo. Tale postulato, tuttavia, non tiene conto che la modulazione delle sanzioni per favorire l'adempimento del contribuente, anche dopo l'omissione primaria, è ormai parte integrante del sistema tributario. L'adempimento graduato entro un tempo prestabilito rappresenta un'opzione per il contribuente a tutti gli effetti, soprattutto dopo che, con la riforma della disciplina dell'istituto del ravvedimento operoso (art. 1, comma 637, lett. b) n. 2 delle Legge 190 del 23 dicembre 2014), sono stati limitati al massimo i fatti che ne precludono l'accesso. Disconoscere il sistema cosi disegnato nel caso di ingresso alla procedura avrebbe il sapore di una ingiusta penalizzazione che si ripercuote, tra l'altro, sui creditori e non più sul debitore. |