Contratto di cessione di marchio

Nicola Rumine

Inquadramento

Con il contratto di cessione di marchio il titolare del marchio (c.d. cedente) si spoglia della titolarità sullo stesso e la trasferisce ad altro soggetto (c.d. cessionario), generalmente in cambio di un corrispettivo in denaro, così trasferendogli in via definitiva ogni diritto di sfruttamento economico derivante dal marchio medesimo.

La cessione di marchio si distingue dalla licenza di marchio in quanto, attraverso quest'ultima, il titolare del marchio (c.d. licenziante) non ne trasferisce la titolarità al licenziatario ma si limita ad autorizzarlo ad utilizzare il marchio stesso. Per tutelare il marchio è opportuno registrarlo - a livello nazionale, comunitario o internazionale - indicando quale tipo di utilizzo sarà fatto dello stesso. L'art. 7 d.lgs. n. 30/2005 chiarisce che possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese.

In ogni caso, il marchio deve possedere il carattere della novità (art. 12) e della capacità distintiva (art. 13).

Formula

contratto di cessione di marchio

Tra:

- Il Sig. ... , nato a ... il ... (c.f. ... ) residente a ... in via ... n. ... ,

- anche denominato “Cedente” -

e

- la Società ... , con sede legale in ... via ... n. ... , P.IVA n. ... , in persona del legale rappresentante, sig. ... , nato a ... , il ... residente in ... , via ... n. ... , c.f. ... ,

- anche denominata “Cessionaria” -

PREMESSO CHE

A) La parte Cedente ha la piena proprietà del marchio denominato ... con riferimento alle classi ... ed avente ad oggetto ... , registrato presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi di ... al n. ... , a seguito alla domanda presentata il ... (di seguito denominato “il Marchio”);

B) la parte Cessionaria è interessata ad acquistare il Marchio sopra identificato e meglio descritto nell'Allegato A del presente contratto;

C) la Cedente è disponibile a cedere il Marchio di cui sopra secondo le modalità e condizioni di seguito indicate.

Tanto premesso, che costituisce parte integrale e sostanziale del presente contratto, le parti

convengono e stipulano quanto segue

1. Oggetto del contratto

Il Cedente cede ad ogni effetto di legge il Marchio sopra identificato alla Cessionaria, che accetta, divenendo quest'ultima piena ed esclusiva proprietaria del Marchio sopra identificato e meglio descritto nell'Allegato A del presente contratto.

2. Prezzo e modalità di pagamento

Il prezzo della cessione è fissato in € ... da corrispondersi contestualmente alla sottoscrizione del presente contratto da parte di entrambe le parti e che costituisce altresì atto di quietanza.

3. Cessione totale del Marchio

La cessione del presente Brevetto comporta che il Cedente non avrà più nulla a pretendere dalla Cessionaria, la quale potrà farne qualsiasi utilizzo economico e commerciale, potendo altresì cedere a terzi il Marchio, ovvero modificarlo o perfezionarlo [1] .

4. Esonero di responsabilità

Il Cedente si impegna a manlevare la Cessionaria e a mantenerla indenne da ogni e qualsiasi perdita, danno, responsabilità, costo o spesa, ivi incluse le spese legali, derivanti da, o in qualsiasi modo collegati, a pretese o contestazioni di soggetti terzi relative alla titolarità di ogni diritti di sfruttamento economico del Marchio.

5. Costi di registrazione e trascrizione del contratto

Le spese di registrazione del contratto presso la competente Agenzia delle Entrate saranno a carico di ... .

Le spese di autentica delle firme e quelle necessarie ad ottenere la trascrizione del presente contratto presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi saranno a carico di ... .

6. Foro competente

Per tutte le controversie nascenti dal presente contratto, comprese quelle inerenti alla sua esistenza, validità, estinzione, interpretazione, esecuzione e risoluzione, sarà competente l'autorità giudiziaria del Foro di ... .

7. Tutela della privacy

Le parti si impegnano a trattare i rispettivi dati personali conformemente alla normativa vigente di tutela della privacy, in particolare al d.lgs. n. 196/2003 ed al Regolamento Europeo n. 679/2016 nonché ai conseguenti decreti ministeriali di attuazione, esclusivamente per finalità relative alla gestione del presente rapporto.

Letto, confermato e sottoscritto.

Luogo e data ...

Firma il Cedente ...

Firma la Cessionaria ...

Si approvano specificamente ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341, comma 2 c.c. le seguenti clausole: artt. 4 (Esonero di responsabilità); art. 6 (Foro competente).

Firma il Cedente ...

Firma la Cessionaria ...

1. La giurisprudenza ha rilevato in tema di cessione di marchio che un marchio patronimico anteriore, di norma forte, non può essere inserito in un marchio o in una denominazione sociale altrui successiva, anche se corrispondente al nome del titolare e con riferimento a settori merceologici identici o affini o per attività economiche o intellettuali parallele a quelle contraddistinte dal marchio anteriore, a meno che tale inserimento non risulti conforme al principio di correttezza professionale (Cass. I, n. 10826/2016).

Commento

Per proprietà industriale si intende l'insieme dei diritti esclusivi di cui sia titolare una persona fisica o giuridica rispetto ad invenzioni, marchi, disegni e modelli industriali e indicazioni geografiche.

Nonostante siano regolamentati dalle rispettive legislazioni nazionali, i diritti di proprietà industriale sono disciplinati anche dalla legislazione dell'Unione europea e da convenzioni internazionali.

I contratti tipici della proprietà industriale riguardano la cessione e la licenza di brevetti, di marchi e di know-how e talvolta essi sono preceduti da un accordo di riservatezza, a tutela del carattere segreto delle informazioni scambiate dalle parti durante le trattative.

Il marchio può essere costituito da tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese (v. art. 7 d.lgs. n. 30/2005).

La sua disciplina normativa è contenuta, a livello nazionale, negli artt. 98 ss. d.lgs. 30 del 2005, negli artt. 2569 ss. c.c.

In ogni caso, il marchio, per essere tale, deve possedere il carattere della novità (art. 12) e della capacità distintiva (art. 13).

A livello classificatorio è possibile distinguere:

1) il marchio di fabbrica e di commercio, a seconda dell'attività svolta;

2) i marchi generali o speciali, che vengono impiegati per differenziare i prodotti dell'impresa;

3) i marchi forti e i marchi deboli, a seconda della capacità distintiva e di una protezione molto intensa.

La differenza tra marchi forti e marchi deboli si fonda sulla loro maggiore o minore capacità distintiva.

La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sul punto, rilevando in sostanza “che il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dei quali dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (pur essendone, generalmente, la forza distintiva affidata all'elemento costituente il c.d. cuore del marchio), non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell'originalità e della fantasia nel relativo accostamento; quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest'ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest'ultimo sono privi di un'autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione. Ai marchi complessi si contrappongono i marchi d'insieme, nei quali la capacità distintiva ricorre non nei singoli, differenti elementi che li costituiscono, i quali singolarmente considerati non sono neppure idonei a distinguere, ma nella loro combinazione” (Cass. I, n. 9769/2018; in senso conforme v. Cass. n. 5099/2014; Cass. n. 1249/2013; Cass. n. 26420/2010; Cass. n. 10071/2008).

Non esiste un obbligo generale di registrazione del marchio, trattandosi di una scelta facoltativa dell'imprenditore che valuta tale opportunità.

A tal proposito l'art. 2569 c.c. illustra gli effetti della registrazione del marchio, stabilendo che colui che abbia registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio, idoneo a distinguere prodotti o servizi, ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, mentre chi ha fatto uso di un marchio non registrato (c.d. marchio di fatto), ai sensi del successivo art. 2571 c.c., ha soltanto la facoltà di continuare ad utilizzarlo, nonostante la registrazione da altri ottenuta e sempre nei limiti in cui anteriormente se ne è valso. 

La registrazione del marchio, ai sensi dell'art. 20CPI e dell'art. 2569 c.c., conferisce al titolare del marchio la facoltà di fare uso esclusivo del marchio e di vietare a terzi, salvo proprio consenso, di utilizzare nell'attività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi affini a quello per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; (in giurisprudenza, con riguardo all'apprezzamento del giudice sulla confondibilità dei segni, da ultimo Cass. I, n. 12570/2021 e Trib. Genova, n. 358/2022 ; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi (sul marchio rinomato si veda Cass. I, n. 27217/2021  e, più di recente, Cass. I, n. 21738/2023).).

Detta registrazione ha natura di accertamento costitutivo e dà luogo ad un regime speciale di nullità e decadenza (art. 2, comma 5 CPI).

Un marchio, infatti, è nullo quando manca di capacità distintiva (che, comunque, può essere acquisita in virtù dell'uso che sia stato fatto del segno prima della domanda di registrazione: art. 13, commi 2 e 3 CPI, su cui da ultimo Cass. I, n. 53/2022) e dei requisiti prescritti dalla legge per la sua registrabilità (in tal caso si parla di nullità assoluta, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse), ovvero perché confliggente con diritti anteriori di terzi (qui si parla invece di nullità relativa, la quale può essere fatta valere dai titolari dei diritti anteriori confliggenti).

Inoltre non può ottenere la registrazione chi abbia fatto la domanda in mala fede (art. 19, comma 2 CPI; sul punto anche Trib. Napoli sez. proprietà industriale e intellettuale, n. 7531/2019, Cass. I, n. 5866/2024).

A pronunciare della nullità del marchio è competente, in linea generale, l'EUIPO, ovvero l'Ufficio dell'Unione Europea per la proprietà intellettuale, ma la Corte di Giustizia UE X, n. 654/2021, ha affermato anche la competenza del tribunali dei marchi dell'Unione europea, dinanzi ai quali la domanda potrebbe essere proposta in via riconvenzionale.

Per quanto concerne, poi, il regime speciale di decadenza del marchio (art. 14 CPI), si prevede che il marchio può essere soggetto a decadenza per i seguenti motivi:

A) per volgarizzazione, ossia quando il marchio è divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio perdendo la sua capacità distintiva (per una applicazione si veda Cass. I, n. 20269/2022);

B) per illiceità sopravvenuta cioè:

- se sia divenuto idoneo a indurre in inganno il pubblico;

- se sia divenuto contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume

- per omissione da parte del titolare dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull'uso del marchio collettivo.

C) per non uso, cioè se il titolare del marchio registrato non ne fa uso entro cinque anni dalla registrazione (termine variabile a seconda del Paese in cui il marchio è registrato) o se ne sospende l'uso per un periodo ininterrotto di cinque anni (termine variabile a seconda dello Stato di registrazione del marchio), salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo.

Ai sensi dell'art. 15 CPI, la registrazione del marchio dura dieci anni a partire dalla data di deposito della domanda, salvo il caso di rinuncia del titolare e può essere rinnovata per altri dieci anni, restando inteso che essa vale soltanto per i prodotti ed i servizi indicati al momento della registrazione.

La registrazione del marchio può essere effettuata a livello nazionale, comunitario o internazionale e a seconda della registrazione effettuata muterà ovviamente la disciplina giuridiche applicabile.

Si osservi, infine, che la giurisprudenza di legittimità ha rilevato la sussistenza di un divieto di registrazione in mala fede, con conseguente nullità del marchio registrato, quando:

a) la registrazione è effettuata nella consapevolezza del fatto che altri erano in procinto di registrarlo, rilevando al riguardo, sotto il profilo probatorio, i rapporti privilegiati tra il registrante (ad es. lavoratore subordinato o agente) e il danneggiato, qualora il primo abbia approfittato delle conoscenze così acquisite;

b) si tratta di segno oggetto di preuso non puramente locale da parte di terzi, la cui notorietà sia in fieri;

c) la registrazione è effettuata al solo scopo di impedire che un terzo entri nel mercato;

d) si tratta di un marchio dismesso dal titolare originario, che però abbia conservato una residua notorietà, mentre di per sé non è in mala fede la nuova registrazione di un marchio di cui quella effettuata da terzi sia scaduta e non sia stata rinnovata (la Suprema corte ha ad esempio confermato la sentenza di merito che aveva escluso la nullità per registrazione in mala fede del marchio di un'emittente radiofonica, ormai scaduto, soltanto in ragione delle trattative intercorse tra il registrante originario e il concorrente che aveva effettuato la nuova registrazione: v. Cass. I, n. 10390/2018).

Con particolare riguardo al contratto di cessione di marchio, oggetto della formula che precede, detto contratto implica che il titolare del marchio (c.d. cedente) si spogli della titolarità sullo stesso e lo trasferisca ad un altro soggetto (c.d. cessionario), generalmente in cambio di un corrispettivo in denaro, così trasferendogli in via definitiva ogni diritto di sfruttamento economico del marchio stesso. Per un caso giurisprudenziale recente si veda Cass. I, n. 5866/2024.

La cessione di marchio si distingue dalla licenza di marchio in quanto, attraverso quest'ultima, il titolare del marchio (c.d. licenziante) non ne trasferisce la titolarità al licenziatario, ma si limita ad autorizzarlo ad utilizzare il marchio medesimo.

Nell'ordinamento giuridico italiano il contratto di cessione di marchio non richiede una forma particolare, per cui l'accordo può essere concluso anche soltanto verbalmente, ma ai sensi dell'art. 138 CPI, la forma richiesta per la trascrizione è la scrittura privata autenticata o l'atto pubblico. L'art. 196 CPI prevede però che è possibile produrre, ai fini della trascrizione, una dichiarazione di cessione o di avvenuta cessione sotto forma di scrittura privata semplice.

Con riferimento alle condizioni di esercizio del marchio in caso di contitolarità, di recente la Corte di Giustizia, sez. X, con la pronuncia n. 686/2023, ha chiarito che il regolamento n. 40/94/CE, pur riconoscendo la comproprietà di un marchio dell'Unione europea, non contiene alcuna disposizione circa le condizioni di esercizio dei diritti relativi al marchio. Dall'art. 16, par. 1, regolamento n. 40/1994 si evince però che il marchio dell'Unione europea, in quanto oggetto di proprietà, è assimilato a un marchio nazionale registrato nello Stato membro secondo le norme stabilite in detto articolo. Ne consegue che, in assenza di disposizioni di tale regolamento che disciplinino le modalità di adozione, da parte dei contitolari di un marchio dell'Unione europea, della decisione di concedere una licenza d'uso di quest'ultimo o di recedere dal relativo contratto, dette modalità sono disciplinate dal diritto di tale Stato membro.

Nella prassi è poi ricorrente che le parti pattuiscano una clausola secondo cui il cedente si impegni a tenerla indenne dalle pretese avanzate da terzi rispetto alla titolarità del marchio.

La giurisprudenza di legittimità, in tema di cessione del marchio (ha rilevato che “un segno distintivo costituito da un certo nome anagrafico e validamente registrato come marchio denominativo (...), non può essere di regola adottato, in settori merceologici identici o affini, come marchio (oltre che come denominazione sociale), salvo il suo impiego limitato secondo il principio di correttezza professionale, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, atteso che il diritto al nome trova, se non una vera e propria elisione, una sicura compressione nell'ambito dell'attività economica e commerciale, ove esso sia divenuto oggetto di registrazione, prima, e di notorietà, poi, ad opera dello stesso creativo che poi l'abbia ceduto ad altri” (v. Cass. I, n. 10826/2016; in senso conforme Cass. I, n. 3806/2015; Cass. I, n. 29879/2011; Cass. I, n. 3806/2015).

Profili fiscali

Il contratto di cessione di marchio è assoggettato ad imposta di registro in misura proporzionale e non ad IVA.

L'opzione per l'agevolazione secondo il meccanismo del patent box prevede, inoltre, l'esclusione dalla formazione del reddito imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali in oggetto, a condizione che almeno il 90% del corrispettivo derivante dalla cessione sia reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali, prima della chiusura del secondo periodo d'imposta successivo alla vendita. 

Per l'impresa cessionaria del marchio le somme corrisposte per acquisire tale “immobilizzazione immateriale” rilevano come costi, la cui deducibilità deve avvenire, secondo quanto previsto dall'art. 103 d.P.R. n. 917/1986, per ogni esercizio, entro un limite massimo di 1/18 del costo, ferma la possibilità, quindi, di un ammortamento in un periodo più lungo. 

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