Contratto di vendita di beni immobili

Andrea Penta
aggiornata da Nicola Rumìne

Inquadramento

Fra la vendita a misura e la vendita a corpo vi è in certo modo la stessa differenza che fra la vendita di genus non individuato e la vendita in massa di genus, vendita che è come una vendita di specie, essendo ben individuate le cose per la loro appartenenza alla massa. A rigore, perciò, nella vendita a corpo, diversamente che nella vendita a misura, la maggiore o minore estensione dell'immobile dovrebbe essere irrilevante. Tuttavia, il solo fatto dell'indicazione dell'estensione non è senza significato e non può considerarsi come meramente indicativa. Perciò si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo se la misura è inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto: il compratore che dovrebbe pagare un supplemento di prezzo ha la scelta fra il corrispondere il supplemento e il recedere dal contratto. Può recedere dal contratto nelle stesse circostanze della vendita a misura.

Formula

REPUBBLICA ITALIANA [1]

L'anno ... il giorno ... del mese di ... nel mio studio in ... alla via ... n. ... , avanti a me Dott. ... , Notaio in ... iscritto al Collegio Notarile del Distretto di ... , senza l'assistenza dei testimoni, previa espressa concorde rinuncia fattane dalle parti aventi i requisiti di legge e con il mio consenso, sono presenti:

- Sig. ... , nato a ... , il ... , c,f. ... , residente in ... , alla via ... , n. ... ,

- Sig. ... , nato a ... il ... , c.f. ... , residente in ... , alla via ... , n. ...

I comparenti, cittadini italiani, come dichiarano e della cui identità personale io Notaio sono certo, mi richiedono della stipula di questo atto in virtù del quale convengono e stipulano quanto segue:

- Il sig. ... vende al sig. ... , che in buona fede acquista, l'unità immobiliare ... , con destinazione d'uso ... , facente parte del fabbricato sito in ... alla via ... n. ... , distinta al Catasto Fabbricati del Comune di ... , al n. ... Foglio ... mappale ... ;

- L'immobile è così composto: ... ;

- L'unità immobiliare oggetto del presente contratto è venduta a corpo [2] con tutte le relative pertinenze, azioni e ragioni, usi e diritti, servitù attive e passive, se ed in quanto esistenti e con i relativi diritti condominiali determinati in ragione di millesimi ... [3] ;

- Il venditore garantisce che l'unità immobiliare oggetto del presente contratto è nella sua piena disponibilità e dichiara esserle pervenuta per giusti e legittimi titoli;

- Il venditore garantisce altresì che l'immobile è libero da trascrizioni pregiudizievoli, pignoramenti ed iscrizioni ipotecarie;

- Il venditore dichiara che il fabbricato di cui fa parte l'unità immobiliare alienata è stato realizzato con provvedimento autorizzativo rilasciato dal Comune di ... in data ... n. ... e che successivamente né in relazione all'unità immobiliare oggetto del presente contratto né in relazione alle parti comuni sono state eseguite opere che richiedessero il rilascio di un ulteriore provvedimento autorizzativo;

- Le parti contraenti, da me Notaio edotte sulle conseguenze penali derivanti da dichiarazioni mendaci e reticenti ai sensi degli artt. 3 e 76 del d.P.R. n. 445/2000, dell'art. 35, comma 22, del d.l. n. 223/2006, convertito in l. n. 248/2006, dichiarano quanto segue:

- Il prezzo convenuto della vendita è di € ... (€ ... / ... ) [4] ;

- La parte acquirente dichiara di aver già corrisposto al venditore la somma di € ... ( ... ) a titolo di caparra confirmatoria con le seguenti modalità: ... ;

- Il venditore dichiara di aver già ricevuto tali somme dal compratore, in favore del quale rilascia ampia e finale quietanza liberatoria di saldo, con rinunzia ad ogni iscrizione ipotecaria.

Richiesto, ho ricevuto quest'atto, del quale ho dato lettura ai comparenti, i quali l'approvano.

Consta di n. ... fogli dattiloscritti in parte da persona di mia fiducia e in parte da me Notaio per n. ... facciate fin qui.

1. Il contratto deve essere redatto in forma scritta ad substantiam, ossia a pena di nullità, nonché essere trascritto negli appositi registri immobiliari (a titolo di pubblicità).

2. L'uso della clausola “a corpo”, in definitiva, può in qualche caso essere il frutto di un meccanico richiamo e, dunque, risultare improprio allorquando dall'analisi complessiva del testo contrattuale emerga un'intenzione dei contraenti diversa e inconciliabile con la disciplina di cui all'art. 1538 c.c.; situazione che si verifica inesorabilmente se alienante e acquirente nessun tipo collegamento abbiano inteso stabilire tra prezzo ed effettiva estensione del bene.

3. Nella vendita a corpo, per la determinazione del prezzo non si fa alcun riferimento all'unità di misura, bensì, solitamente, all'immobile nel suo complesso (ad esempio, con descrizione dei locali e delle pertinenze). Qualora, la misura venga indicata, la stessa, in tale ipotesi, non da luogo né a diminuzione né a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore ad un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto. In tal caso, laddove il compratore debba corrispondere un supplemento di prezzo ha facoltà di scelta, se recedere dal contratto o corrispondere il supplemento (art. 1538 c.c.).

4. Occorre indicare il prezzo proposto per la compravendita (ovvero i criteri proposti per determinarlo), con la precisazione dei termini e delle modalità di pagamento. Deve, inoltre, essere specificato se il prezzo proposto sia stato determinato “a corpo” (e cioè si tratti di un importo forfettario, stabilito con riferimento all'immobile visto nella sua interezza, a prescindere dalla sua estensione) oppure “a misura” (e cioè se si tratti di un prezzo calcolato sulla base delle dimensioni del bene compravenduto: ad esempio, cinquemila € per ogni metro quadrato di superficie dell'immobile) dovendosi presumere che, in mancanza di indici di segno contrario, si tratterà di un prezzo determinato “a corpo”.

Commento

La compravendita di bene immobile abusivo

A risoluzione di un contrasto, le Sezioni Unite hanno affermato che la nullità comminata dall'art. 46 d.P.R. n. 380/2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47/1985 va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418, comma 3 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendosi intendere, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell'immobile. In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (Cass., S.U. n. 8230/2019).

Sempre le Sezioni unite civili (Cass., S.U., n. 25021/2019), decidendo su una questione di massima di particolare importanza, hanno enunciati i seguenti importanti principi di diritto:

1) Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall'art. 46 d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, l. n. 47/1985, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell'azioneex art. 713 c.c., sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

2) Allorquando tra i beni costituenti l'asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi all'art. 713, comma 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della  comunione ereditaria per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti.

3) In forza delle disposizioni eccettuative di cui all'art. 46, comma 5 d.P.R. n. 380/2001 e all'art. 40, commi 5 e 6, l. n. 47/1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi (divisione cd. endoesecutiva) o nell'ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd. endoconcorsuale) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall'art. 46, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 40, comma 2, l. n. 47/1985.

L'individuazione del bene immobile alienato

In tema di compravendita immobiliare, ai fini dell'individuazione dell'immobile oggetto del contratto, i dati catastali non hanno valore determinante rispetto al contenuto descrittivo del titolo ed ai confini indicati nell'atto, ad eccezione solamente del caso in cui le parti ad essi abbiano fatto esclusivo riferimento per individuare l'immobile, e manchi un qualsiasi contrasto tra gli stessi ed i confini del bene (Cass. II, n. 9215/2004; conf. Cass. II, n. 9896/2010, e Cass. II, n. 3996/2017).

L'indicazione del bene alienato deve essere effettuata in base alla descrizione obiettiva ed alle indicazioni topografico-catastali e non già secondo riferimenti soggettivi o situazioni di mero fatto che possono essere rilevanti per particolari fini (come l'usucapione, la determinazione del prezzo, l'evizione), ma non quando si controverta sulla estensione e sui limiti dell'effetto traslativo, in ordine al quale l'eventuale contrasto tra i dati descrittivi e catastali con elementi estrinseci alla descrizione obiettiva del bene deve essere risolto dando rilievo alla individuazione tecnico topografica dell'immobile, salvo che altre clausole negoziali, ancorché relative alla disciplina di rapporti ed effetti accessori, non siano coerenti con tale accertamento (Cass. II, n. 19044/2010).

Nei contratti in cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile sulla base degli elementi risultanti dal contratto stesso, non potendo farsi ricorso ad elementi estranei ad esso. Ne consegue che se le parti di una compravendita immobiliare hanno fatto riferimento, per individuare il bene, ad una planimetria allegata all'atto, è necessario che essa non solo sia sottoscritta dai contraenti, ma anche espressamente indicata nel contratto come parte integrante del contenuto dello stesso (Cass. II, n. 21352/2014). Inoltre, Cass. II, n. 8804/2018, ha precisato che, in tema di prova della simulazione di contratti di compravendita di immobili, che esigono la forma scritta ad substantiam, è ammissibile l'interrogatorio formale tra le parti, in quanto sia diretto a provocare la confessione del soggetto cui è deferito e a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, poiché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza della compravendita.

Qualora le parti abbiano fatto riferimento, ad ulteriore e conclusiva precisazione rispetto alle altre indicazioni, al tipo di frazionamento allegato all'atto di vendita, detto frazionamento, quale elemento testuale della volontà negoziale, costituisce il dato primario per l'esatta identificazione del bene trasferito, in quanto la sua specificità non lascia margini di incertezza nella determinazione dei relativi confini (Cass. II, n. 3633/2004). Tuttavia, ai fini della determinazione dell'oggetto di una compravendita immobiliare, il tipo di frazionamento catastale – quand'anche sottoscritto dalle parti e richiamato nell'atto, come documento accessorio da allegare alla domanda di voltura catastale – non è idoneo a prelevare sulla difforme volontà chiaramente espressa dai contraenti nell'atto medesimo (Cass. II, n. 1385/1981).

Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto certificato costituisce un inadempimento del venditore che non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche prestazioni, sicché il successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di aliud pro alio (Cass. n. 17123/2020).

Le vendite “a misura” e “a corpo”: la disciplina in comune

La differenza tra vendita a corpo  ed  a misura attiene unicamente all'influenza dell'estensione del bene sul prezzo pattuito, mentre non produce effetti in ordine all'individuazione della cosa compravenduta, per la quale l'indicazione dei confini ha una funzione essenziale ove sia precisa e riscontrabile sul terreno; l'accertamento circa la ricorrenza dell'una ovvero dell'altra tipologia di vendita - rilevante allorché sia controversa tra le parti la prevalenza del criterio di riferimento costituito dalla indicazione di determinate particelle catastali ovvero di quello costituito dalla misura complessiva della superficie del fondo venduto - appartiene al giudice di merito ed è, pertanto, incensurabile in cassazione per violazione di norme di diritto. Il principio è stato enunciato da Cass. II, Ord. n. 14592/2021 in una fattispecie relativa  ad  un avviso d'asta in cui il bene era indicato, oltre che avuto riguardo alle particelle catastali di riferimento, anche con l'estensione in mq, risultata tuttavia diversa da quella derivante dalla somma delle superfici delle particelle medesime .

Le disposizioni degli artt. 1537 e 1538 c.c. sulla disciplina della vendita a corpo e della vendita a misura sono applicabili quando sorga contestazione sul prezzo del fondo in rapporto alla sua superficie e non anche quando, essendo stata alienata una parte certa e determinata del fondo stesso, occorre procedere alla sua identificazione per poi poter individuare materialmente detta parte sul terreno, in quelli che sono i suoi dati di riconoscimento e, cioè, nei suoi confini a norma dell'art. 950 c.c.; in tal caso, qualora le parti, nel contratto di compravendita, abbiano identificato la porzione di immobile che ne formava oggetto facendo specifico riferimento ai dati catastali e al tipo di frazionamento, il giudice deve tener conto necessariamente di tali elementi che, per espressa volontà delle parti, perdono l'ordinaria natura di elemento probatorio di carattere sussidiario per assurgere a elemento fondamentale per l'interpretazione dell'effettivo intento negoziale delle parti (Cass. II, n. 23668/2016 e, più di recente, Cass. VI, n. 27834/2022).

Invero, gli artt. 1537 e 1538 c.c. sono finalizzati a disciplinare la determinazione del prezzo del bene oggetto di vendita e la sua rettifica (qualora sussista una divergenza tra la misura reale dell'immobile e quella contrattualmente indicata) e non a disciplinare l'identificazione del bene effettivamente venduto, che va compiuta attraverso l'interpretazione della volontà contrattuale secondo i canoni legali (Cass. II, n. 19600/2004).

Le azioni previste dagli artt. 1537 e 1538 c.c., di natura per così dire "speciale', non escludano l'esperibilità della generale azione di risoluzione contrattuale, come pure quella di risarcimento per dolo o colpa del contraente inadempiente; mentre esclusivamente queste ultime presuppongono il dolo o la colpa della parte inadempiente, le prime presuppongono il solo fatto obiettivo che sia stata consegnata una quantità maggiore o minore della cosa rispetto a quella pattuita (Trib. Teramo 15 aprile 2010, n. 139).

Le disposizioni in esame regolano i rapporti tra alienante ed acquirente quando sorga contestazione sul prezzo del fondo in rapporto alla sua superficie e non anche quando occorra accertare nei confronti dei terzi che vantino diritti reali sull'immobile compravenduto l'effettiva superficie del fondo, dovendosi in tal caso avere riguardo esclusivamente all'individuazione del bene fatta dalle parti con il contratto di vendita che costituisce il titolo di proprietà dell'acquirente posto in discussione dai terzi (Cass. II, n. 8327/1997).

I criteri distintivi tra la vendita “a misura” e la vendita “a corpo”

Il criterio fondamentale di distinzione tra vendita a misura e vendita a corpo sta in ciò che nella prima la determinazione dei confini della cosa venduta è effettuata attraverso la misurazione, mentre la seconda è caratterizzata dalla determinazione e delimitazione del bene in modo che esso resti identificato indipendentemente dalla misura. Il relativo apprezzamento implicando valutazione della volontà contrattuale è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. II, n. 3503/1997; conf. Cass. II, n. 8793/2000).

La disciplina specifica della vendita “a misura”

Nel contratto di vendita a misura, in cui la determinazione dell'estensione dell'immobile non è in funzione dell'individuazione del bene, ma criterio di determinazione del prezzo complessivo, il promissario acquirente, qualora sussista contestazione in merito alla superficie complessiva indicata nel contratto preliminare, ha diritto di procedere alla misurazione del bene prima della stipulazione del contratto definitivo, e, conseguentemente, di accedere a tale immobile per il compimento delle relative operazioni, ma, salvo patto contrario, non può pretendere che a queste partecipi attivamente l'altra parte o un suo incaricato (Cass. II, n. 11279/1995).

Mentre nella vendita a misura, in cui il prezzo è determinato in base alle effettive dimensioni dell'immobile, il compratore ha diritto ad una riduzione di esso se la misura effettiva risulti inferiore a quella indicata nel contratto, nella vendita a corpo, il cui prezzo è stabilito in relazione all'entità globale del bene indipendentemente dalle sue dimensioni reali, non si procede a diminuzione, salvo che la misura reale sia inferiore di un ventesimo rispetto a quella precisata nel contratto. In entrambe le ipotesi, è presa in considerazione sempre e soltanto la misura concreta e reale del bene, cioè quella dell'estensione dei terreni e della superficie o cubatura dei fabbricati e non la misura della edificabilità, che è una qualità del suolo esulante dall'ambito del criterio quantitativo della misura cui si riferiscono le due menzionate norme, senza alcuna possibilità di una loro applicazione estensiva ed analogica (Cass. II, n. 12791/1993).

Poiché l'oggetto della vendita a misura è costituito da un'unica entità economica, il calcolo del prezzo in rapporto alla quantità del venduto non ne comporta una differenziazione in rapporto alle unità in eccesso o in difetto, sicché il patto limitativo della rivalutazione del prezzo va inteso come riferito anche alla eventuale maggiore somma dovuta al venditore in corrispettivo della maggiore entità rispetto a quella indicata in contratto (Cass. II, n. 7711/1990).

La disciplina specifica della vendita “a corpo”

In tema di compravendita di immobili, la pattuizione di una vendita a corpo, con la conseguente fruibilità dei rimedi speciali di cui all'art. 1538 c.c., non esclude l'esperibilità della generale azione di risoluzione contrattuale, né di quella di risarcimento per colpa o dolo del contraente inadempiente, di cui all'art. 1218 c.c.. In applicazione di tale principio, Cass. II, n. 25250/2007, ha confermato la sentenza di merito che, in relazione alla vendita di un appartamento con prezzo determinato a corpo, aveva pronunciato la risoluzione contrattuale per colpa del venditore, in quanto la superficie dell'immobile indicata nel contratto era considerevolmente superiore a quella reale.

In caso di vendita immobiliare a corpo, l'individuazione del bene alienato va compiuta in base alla complessiva ed oggettiva descrizione fattane dai contraenti, ivi compresa la misura del fondo che – essendo, ai sensi dell'art. 1538 c.c., irrilevante esclusivamente in riferimento alla determinazione del prezzo – costituisce un elemento idoneo a concorrere, con gli elementi topografico-catastali e con i confini menzionati dalle parti, nella identificazione dell'immobile; pertanto, pur se la misura e le risultanze catastali non possono avere valore prevalente rispetto ai confini, con cui le parti abbiano inteso ulteriormente specificare il bene venduto, deve costituire oggetto di un rigoroso accertamento l'identificazione dei confini, quando sulla base di questi si riscontri una concreta divergenza dell'estensione del fondo rispetto alla misura e ai dati catastali, ai quali le stesse parti hanno fatto riferimento. Ne consegue che in tal caso occorre verificare, sul piano storico, lo stato dei luoghi esistenti e conosciuti dalle parti al momento della stipula dell'atto, giacché, mentre costituisce un valido criterio di indagine la presunzione di conformità di tale stato a quello anteriore, non altrettanto può dirsi della presunzione di una conformità del medesimo a quello successivo, dovendosi in quest'ultima ipotesi accertare quando si sia verificata la divergenza fra i confini risultanti dalle mappe catastali e quelli successivamente individuati (Cass. II, n. 22038/2004).

Ai sensi dell'art. 1538 c.c. nella vendita a corpo – a differenza di quella a misura disciplinata dall'art. 1537 c.c. – il prezzo pattuito è determinato con riguardo all'immobile nella sua entità globale indipendentemente dalle effettive dimensioni, salvo che la sua misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo a quella indicata in contratto, sicché l'estensione del fondo, ancorché sia stata dalle parti indicata in contratto, assume rilevanza soltanto ai fini della identificazione del bene effettivamente venduto, che va compiuta attraverso l'interpretazione secondo i canoni legali della volontà negoziale (Cass. II, n. 19600/2004). L'art. 1538 c.c., secondo cui, nel caso di vendita a corpo, si fa luogo a diminuzione o supplemento del prezzo quando la misura reale dell'immobile sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto, postula che il prezzo medesimo sia stato determinato anche in relazione all'estensione del bene, e, pertanto, non trova applicazione quando il corrispettivo non risulti in alcun modo collegato a tale estensione (Cass. II, n. 422/1984).

Anche nella vendita immobiliare "a corpo", la menzione nel contratto della misura dell'immobile costituisce, nella previsione dell'art. 1538 c.c., un elemento cui la norma stessa, ricorrendo determinati presupposti di carattere oggettivo (misura reale del bene inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto), attribuisce importanza al fine della possibilità di chiedere la rettifica del prezzo, che può essere ritenuta esclusa solo nel caso in cui, dalla interpretazione del contratto, risulti che le parti abbiano inteso derogare alla norma medesima, escludendone l'applicabilità, per avere esse considerato irrilevante del tutto l'effettiva estensione dell'immobile, quale che essa sia (Cass. II, n. 11793/2006; Cass. II, n. 7238/1995).

Ancorché la misura reale del fondo sia inferiore di almeno un ventesimo a quella indicata nel contratto non si fa luogo a diminuzione di prezzo, ove risulti che l'estensione dell'immobile indicata nel contratto non abbia concorso a determinare il regolamento d'interessi relativamente all'ammontare del prezzo (Cass. II, n. 1196/1982).

Nella vendita "a corpo”, pertanto, l'irrilevanza della estensione del fondo vale soltanto in relazione alla determinazione del prezzo ex art. 1537 c.c. (ma nei limiti dello stesso art. 1538, comma 1, c.c.), non ai fini della identificazione del bene (Cass. II, n. 7720/2000).

Costituisce vendita a corpo e non a misura quella in cui il prezzo pattuito non abbia alcuna stretta relazione con l'estensione dell'immobile, ancorché essa sia stata indicata tra le parti nel contratto soltanto ai fini di una migliore identificazione dell'immobile (Cass. II, n. 3985/1998).

In caso di contratto preliminare di vendita a corpo di un immobile, qualora la misura reale di questo risulti superiore di un ventesimo rispetto a quella in tale negozio indicata, il promittente acquirente (sul punto vedasi postea), che non abbia esercitato il diritto di recesso ex art. 1538 c.c. è inadempiente all'obbligazione assunta ove rifiuti il pagamento del supplemento di prezzo in sede di stipulazione definitiva, potendo il promittente venditore pretendere in sede di stipulazione del contratto definito il pagamento di tale supplemento, senza essere costretto a stipulare il contratto per il minor prezzo pattuito per poi agire per ottenere il supplemento di esso (Cass. III, n. 3721/1981).

Nella vendita "a corpo" il prezzo è stabilito in relazione all'entità globale del bene indipendentemente dalle sue dimensioni reali, sicché non si procede a diminuzione salvo che la misura reale sia inferiore di un ventesimo rispetto a quella precisata nel contratto, che determina il venir meno della presunzione di indifferenza delle parti rispetto al minor valore dell'immobile e l'applicazione delle ordinarie regole di riduzione del corrispettivo in caso di non corrispondenza tra qualità promesse e cosa trasferita (Cass. II, n. 18263/2015).

Il supplemento di prezzo, previsto dall'art. 1538 c.c. in tema di vendita a corpo, è applicabile ai sensi dell'art. 1555 c.c. anche alla permuta, trattandosi di norma compatibile atteso che, pur facendo riferimento al prezzo, ne considera la sua funzione contrattuale di scambio, quale corrispettivo della prestazione, e non il carattere pecuniario (Cass. II, n. 24172/2013).

Nell'ipotesi di vendita " a corpo " si può far luogo alla revisione del prezzo, ai sensi dell'art. 1538 c.c., solo quando la considerazione dell'estensione dell'immobile così come enunciata in contratto abbia concorso a determinare il regolamento d'interessi relativamente all'ammontare del prezzo stesso, mentre se i contraenti hanno indicato la misura come ulteriore elemento concorrente ai fini della descrizione e dell'identificazione dell'immobile (o, anche, per un diverso fine), nessuna conseguenza può derivare dall'errore su tale indicazione. In questa ipotesi, infatti, poiché l'ammontare del prezzo non risulta collegato all'estensione dell'immobile, la indicazione di questa, esatta o erronea che sia, assume il valore di una circostanza accidentale, non produttiva degli effetti considerati dall'art. 1538 c.c. (Cass. II, n. 827/1983). L'art. 1538, comma 1, c.c. risponde alla necessità di ripristinare l'equilibrio delle prestazioni quale in concreto fissato dalle parti e, tuttavia, pregiudicato dalla sperequazione emersa dopo la stipula. Pertanto, la revisione del prezzo non deve seguire il criterio del valore di mercato (che si sovrapporrebbe all'equilibrio contrattuale raggiunto dai contraenti), né il criterio proporzionale "secco" (che cancellerebbe la volontà delle parti di vendere "a corpo", anziché "a misura"), dovendosi applicare, invece, un criterio proporzionale "corretto", che prescinda dall'esatta misurazione del bene, entro l'ambito per il quale è esclusa la revisione ex art. 1538 c.c. (Cass. II, n. 19890/2013).

Peraltro, il compratore di un bene immobile che ha pagato il prezzo in base alla superficie che è stata indicata nel contratto con l'espressa previsione di conguaglio nel caso in cui questa fosse risultata maggiore o minore ha diritto, se l'estensione è risultata minore, di ripetere quanto pagato oltre il dovuto secondo le norme della condictio indebiti (art. 2033 c.c.) e non per effetto della riduzione del prezzo prevista dall'art. 1537 c.c., inapplicabile quando la diversa dimensione del bene sia stata oggetto di previsione contrattuale: infatti, la ridotta dimensione del bene fa venir meno la causa debendi del corrispettivo pagato per la parte mancante (Cass. II, n. 11519/1995).

L'art. 1538 c.c., nel disporre che nelle vendite di immobili a corpo deve tenersi conto della superficie soltanto ai fini dell'eventuale diminuzione o integrazione del prezzo, non vincola il giudice a precisi canoni di interpretazione ed a prestabilite regole di giudizio quando si tratti di accertare, ad altri fini, l'effettiva estensione di fondi confinanti (Cass. II, n. 12573/2000).

È opportuno evidenziare che le disposizioni di cui all'art. 1538 c.c., si applicano alla vendita a corpo validamente stipulata o a quella inficiata da mero errore, mentre non sono applicabili quando la stipulazione a corpo sia stata determinata dal dolo del venditore, ossia quando l'errore sull'esatta estensione del fondo sia conseguenza del raggiro posto in essere dal venditore e sia la ragione che ha determinato il compratore ad acquistare l'immobile a corpo e non a misura, nel qual caso questo può invocare l'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1427. L'art. 1538 c.c. – che, per le vendite a corpo, prevede il rimedio della diminuzione o del supplemento di prezzo in ipotesi di difformità tra la misura reale dell'immobile e quella indicata in contratto (purché la prima sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto alla seconda), salva per il compratore, che dovrebbe pagare detto supplemento, la facoltà di recedere dal contratto - si applica alle vendite a corpo validamente stipulate ed a quelle inficiate da mero errore, mentre non opera quando la stipulazione a corpo sia stata determinata da dolo del venditore, ossia quando l'errore sull'esatta estensione del fondo sia conseguenza del raggiro posto in essere dal venditore e sia la ragione che ha determinato il compratore ad acquistare l'immobile a corpo e non a misura, nel qual caso quest'ultimo ben può invocare l'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1427 c.c. (Cass. II, n. 2575/1983).

Il preliminare di vendita “a corpo”

Nel caso in cui al contratto preliminare segua la stipula del definitivo è soltanto con quest'ultimo che può verificarsi quella lesione patrimoniale che giustifica le azioni di cui all'art. 1537 c.c. (App. Roma II, 9 settembre 2010, n. 3529).

Nel caso di preliminare di compravendita di un immobile "a corpo", laddove la misura reale del bene risulti inferiore di oltre un ventesimo rispetto a quella indicata in contratto, è ammissibile l'azione di riduzione del prezzo, sino a prova contraria, cioè sino a quando non sia provato che le parti abbiano ritenuto del tutto irrilevante l'effettiva estensione del bene, ed in tal caso va disposto il trasferimento dell'immobile in favore del promettente acquirente, previa determinazione del prezzo ridotto da parte del giudice (Trib. Napoli, 26 ottobre 1990).

Poiché l'art. 1538 c.c. si applica non solo alla vendita, ma anche al preliminare di vendita a corpo di un terreno, ove la misura reale del bene risulti superiore di oltre un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto, il promissario acquirente ha la facoltà altresì di recedere da esso, in alternativa all'obbligo di corrispondere un supplemento di prezzo rispetto a quello pattuito, mentre, nell'ipotesi in cui la superficie del bene si riveli inferiore di oltre un ventesimo rispetto a quella concordata, trovano applicazione i generali strumenti di tutela e, tra essi, la risoluzione del contratto per inadempimento (Cass. II, n. 23404/2016).

Poiché il contratto preliminare è regolato anche dalle norme integrative della disciplina del contratto, tra le quali quella dell'art. 1538 c.c. (a norma del quale, se il prezzo è determinato in relazione al corpo dell'immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o supplemento del prezzo salvo che la misura reale sia inferiore o superiore al ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto), è legittimo il rifiuto alla stipulazione del definitivo di vendita da parte del promittente compratore, che pretenda la riduzione del prezzo, opponendo, con fondamento o, comunque, senza colpa – secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici – che la misura reale del bene è inferiore ad un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto (Cass. II, n. 8384/1994; conf. Cass. II, n. 20393/2013).

Vendita cumulativa di più immobili

La compravendita che, a fronte del pagamento di un prezzo complessivo, abbia ad oggetto il trasferimento di una pluralità di beni immobili, ancorché eterogenei tra loro, integra un contratto unico, sicché, ove essa sia avvenuta a corpo e non a misura , ai fini dell'applicabilità dell'art. 1538 c.c. occorre tener conto di tutti i beni oggetto della stessa, e, nell'ipotesi di cespiti eterogenei, del valore proporzionale che ciascuno di questi ha assunto nell'ambito del corrispettivo unitario (Cass. VI, n. 21342/2016).

Nell'ipotesi in cui più venditori trasferiscano, con il medesimo atto, una pluralità di immobili, l'indicazione del prezzo di ciascuno di essi è necessaria, a pena di nullità dell'atto, solo ove i contraenti non intesero dare vita ad una vendita cumulativa con pluralità di oggetti ovvero ad una cd. vendita in blocco, ma a tanti singoli contratti conclusi contestualmente, sebbene strutturalmente distinti in ragione degli oggetti alienati; tale valutazione, che si risolve in una quaestio voluntatis risolubile solo con riferimento al caso concreto, integra un apprezzamento di fatto del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. II, n. 15751/2017).

La stipulazione di due contratti preliminari di vendita cumulativa, aventi ad oggetto beni immobili considerati come un unicum, con la pattuizione di un solo prezzo, può essere ricondotta ad una unitaria manifestazione negoziale facente capo ad un contratto preliminare complesso, avente ad oggetto una prestazione unica ed inscindibile, disciplinata dall'art. 1316 c.c.; ne consegue che l'impossibilità di distinguere la parte di prezzo riferibile all'una o all'altra promessa di vendita non determina la nullità dei preliminari medesimi (Cass. II, n. 15545/2013).

La prescrizione dei rispettivi diritti

Il diritto del venditore al supplemento e quello del compratore alla diminuzione del prezzo o al recesso dal contratto si prescrivono, ai sensi dell'art. 1541 c.c., in un anno dalla consegna dell'immobile avvenuta in esecuzione del contratto definitivo.

Nel caso in cui il compratore di un fondo agisca nei confronti del venditore per ottenere la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno, sul presupposto che una parte dell'immobile venduto risulta di proprietà di un terzo, si configura un'ipotesi di evizione parziale, disciplinata dall'art. 1480 c.c., con la conseguente inapplicabilità del termine di prescrizione annuale previsto dall'art. 1541 dello stesso codice, avente riguardo unicamente alla diversa ipotesi di cui all'art. 1538, e cioè al caso in cui si accerti che il fondo oggetto della compravendita abbia una estensione minore da quella dichiarata dai contraenti (Cass. II, n. 3994/1980; conf. Cass. II, n. 23343/2009).

Nel caso di contratto preliminare avente ad oggetto la vendita (nella specie, a corpo) di un immobile, ove la consegna dell'immobile sia avvenuta in coincidenza o posteriormente alla conclusione del preliminare ma comunque prima della stipula del definitivo, il termine di prescrizione di cui all'art. 1541 per l'eventuale differenza di prezzo decorre comunque dalla data di conclusione del contratto definitivo, e non da quella anteriore di trasferimento del possesso, in forza sia del significato letterale dei termini adoperati dagli artt. 1541 c.c. e 178, disp. att. c.c., diversi da quelli impiegati per il contratto preliminare, sia dal fatto che solo con il contratto definitivo può verificarsi quella lesione patrimoniale che giustifica le azioni di cui agli art. 1537 ss. c.c. (Cass. II, n. 15691/2006). E ciò sia in considerazione del significato letterale dei termini (venditore, compratore) adoperati dagli artt. 1541 c.c. e 178 disp. att. c.c., diversi da quelli impiegati per il contratto preliminare (art. 2932, comma 2 c.c.), sia del fatto che soltanto son il contratto definitivo può verificarsi quella lesione patrimoniale che giustifica le azioni di cui agli artt. 1537 ss. c.c. (Cass. I, n. 1126/1970).

Profili fiscali

In tema di determinazione del reddito di impresa, il corrispettivo della vendita di un complesso di unità immobiliari, effettuato da una società avente come oggetto principiale l'attività di compravendita di immobili, costituisce, a norma dell'art. 53 (ora art. 85), comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 917/1986, ricavo interamente tassabile, atteso che la tassabilità della sola plusvalenza riguarda il corrispettivo realizzato mediante cessione di beni relativi all'impresa diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio essa è diretta (Cass. trib., n. 13747/2016). A tal proposito, Cass. V, n. 4209/2019, per la determinazione della plusvalenza realizzata con la vendita di un immobile, ai sensi dell'art. 54 del d.P.R. n. 917/1986, in base all'inequivoco significato del termine "corrispettivo", occorre avere riguardo alla differenza fra il prezzo di cessione e quello di acquisto, e non al valore di mercato del bene, come per l'imposta di registro, essendo i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito diversi a seconda dell'imposta da applicare. Ne consegue che, in presenza di contabilità formalmente regolare, per procedere all'accertamento previsto dall'art. 39, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 600/1973, le valutazioni effettuate dall'UTE non possono rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell'impresa, e, ove concorrano con altre indicazioni documentali o presuntive gravi, precise e concordanti (quale l'assoluta sproporzione tra corrispettivo dichiarato e il valore di mercato), costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare.

In tema di agevolazioni tributarie, il beneficio fiscale previsto dall'art. 1, comma 5, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, introdotto dall'art. 3, comma 14, del d.l. n. 669/1996, convertito nella l. n. 30/1997, che prevede l'applicazione dell'aliquota dell'uno per cento in caso di trasferimento immobiliare esente dall'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'art. 10, comma 1, n. 8-bis, del d.P.R. n. 633/1972, effettuato nei confronti di imprese il cui oggetto esclusivo o principale d'attività sia la rivendita di beni immobili, "a condizione che nell'atto l'acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni", trova applicazione anche in caso di vendita forzata (nella specie, effettuata in sede fallimentare) purché l'acquirente renda la suddetta dichiarazione prima della registrazione del decreto di trasferimento giudiziale, che determina l'effetto traslativo della proprietà del bene, dovendosi escludere che la stessa possa essere resa in un momento successivo, atteso il carattere necessario della richiesta (o collaborazione) del contribuente, che integra un presupposto del beneficio e costituisce una eccezione al principio generale desumibile dall'art. 77 del d.P.R. n. 131/1986 (Cass. trib., n. 21527/2013).

In tema di imposta di registro presupposto indispensabile perché trovi applicazione l'art. 52 del d.P.R. n. 131/1986 per la valutazione automatica del valore degli immobili (e che stabilisce un limite al potere di accertamento dell'Ufficio del registro in ordine agli atti concernenti immobili) è la circostanza che il cespite oggetto dell'atto da registrare, sia dotato di rendita catastale e che il contribuente abbia indicato il valore attribuito al bene così da permettere il rapporto tra valore cd. automatico e catastale. Deriva da quanto precede, pertanto, che tale disposizione non può trovare applicazione quando, avendo ad oggetto l'atto da registrare più immobili, ad alcuni di essi non sia stata attribuita la rendita catastale e nell'atto il contribuente abbia dichiarato un valore complessivo per tutti i beni (Cass. trib., n. 5543/2013).

In tema di imposta di registro, l'art. 51, comma 4, d.P.R. n. 131/1986, là dove, in congiunzione con il precedente comma 2, prevede che il valore venale in comune commercio dei beni immobili di azienda ceduta sia determinato "con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l'azienda", impone di tener conto della natura specifica di ciascun bene, derivante dalla relazione strutturale con gli altri beni dell'azienda, e, in particolare, della sua appartenenza alla specie delle immobilizzazioni materiali, cioè dei beni strumentali alla produzione, ovvero alle specie dei beni dismessi o destinati alla produzione di reddito o alla vendita (Cass. trib., n. 23804/2004).

In tema di imposta di registro e con riguardo alla determinazione della base imponibile nel caso di contratti a titolo oneroso aventi per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari (nonché aziende o diritti reali su di esse), l'accertamento del "valore venale in comune commercio", cui fa riferimento a tal fine l'art. 51, comma 2, d.P.R. n. 131/1986, non può prescindere dal prezzo effettivo pattuito dalle parti (se dichiarato nell'atto) – il quale rappresenta, ordinariamente e per sua natura, il valore venale del bene, che non è altro che quanto può ricavarsi dalla sua vendita in condizioni di normalità, – non potendo riconoscersi alle parti il potere di indicare un diverso valore ai soli fini fiscali (che prescinda dal prezzo, pur esso dichiarato), anche perché il valore cosiddetto catastale o automatico, determinato ex art. 52, comma 4, del citato d.P.R. n. 131/1986, non costituisce la base imponibile, ma pone soltanto un limite al potere accertativo dell'ufficio (Cass. trib., n. 18150/2004).

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