Contratto di vendita di ereditàInquadramentoIl contratto di vendita di eredità è una vendita avente per oggetto quel complesso di beni caduti in successione e obblighi ereditari di carattere patrimoniale chiamato eredità. Può aversi vendita dell'eredità solo a seguito della morte del de cuius, ossia dopo l'apertura della successione (art. 456 c.c.). La contrattazione che ha ad oggetto un'eredità futura sarebbe, infatti, nulla per violazione del divieto dei patti successori (art. 458 del c.c.). È reputata una vendita aleatoria ex art. 1472 c.c.; quindi il venditore è tenuto a garantire solo la sua qualità di erede e non anche il contenuto e l'estensione dei diritti ereditari. FormulaREPUBBLICA ITALIANA L'anno ... il giorno ... del mese di ... nel mio studio in ... alla via ... , n. ... avanti a me Dott. ... , notaio in ... iscritto al Collegio Notarile del Distretto di ... , senza l'assistenza dei testimoni, previa espressa concorde rinuncia fattane dalle parti aventi i requisiti di legge e con il mio consenso, sono presenti i signori: Sig. ... , nato a ... , il ... , Codice Fiscale ... , residente in ... alla via ... n. ... ; e Sig. ... , nato a ... , il ... Codice Fiscale ... residente in ... alla via ... n. ... ; cittadini italiani, come dichiarano e della cui identità personale io Notaio sono certo; PREMESSO CHE 1) In data ... è deceduta la Sig.ra ... , nata a ... il ... ; 2) non avendo la defunta lasciato disposizioni di ultima volontà, chiamato all'eredità è il suo unico figlio Sig. ... , unico erede legittimo in virtù di successione a titolo universale; 3) con atto del ... , il Sig. ... ha accettato l'eredità; 4) costituisce volontà dell'erede alienare tutto quanto ricompreso nell'eredità al Sig. ... , ai sensi e per gli effetti degli artt. 1542 e seguenti c.c.. Tanto premesso, da intendersi quale parte integrante del presente contratto, le parti come sopra identificate convengono e stipulano quanto segue: - il sig. ... vende al sig. ... , che in buona fede acquista, tutti i diritti a lui spettanti in qualità di erede della defunta Sig.ra ... , nella misura dell'intera massa ereditaria; - il venditore garantisce di essere erede a titolo universale della defunta, in forza di atto di successione del ... ; - il prezzo convenuto della vendita è di € ... (€ ... / ... ), le cui modalità di pagamento sono concordate come segue: ... ; - per quanto non espressamente previsto nel presente contratto, si rinvia agli artt. 1542 e seguenti del Codice Civile. Richiesto, ho ricevuto quest'atto, del quale ho dato lettura ai comparenti, i quali l'approvano. Consta di n. ... fogli dattiloscritti parte da persona di mia fiducia e parte da me Notaio per n. ... facciate fin qui. Letto, approvato e sottoscritto Luogo e data ... Firme ... CommentoOggetto ed ambito di applicazione. La vendita di eredità è disciplinata dagli artt. 1542-1547 c.c. L'istituto, già conosciuto nel diritto romano ed anche nel diritto comune, è stato regolamentato nel codice civile del 1865 in un unico articolo, il 1545, collocato sotto il capo della cessione dei crediti. Il legislatore del 1942, in conformità alla tradizione romana, ha disciplinato la vendita di eredità fra le norme della vendita (anziché fra quelle della cessione dei crediti), anche se con un oggetto particolare. Rispetto al codice del 1865, le innovazioni sostanziali sono limitate all'introduzione degli artt. 1543, 1° comma, in relazione alla previsione della forma scritta sotto pena di nullità, nonché dell'art. 1546, sulla solidarietà per il pagamento dei debiti ereditari, fra compratore e venditore. Va detto che nella prassi applicativa l'istituto ha un utilizzo piuttosto scarso e, di conseguenza, numericamente limitate sono le decisioni giurisprudenziali in materia. Ciò è probabilmente dovuto alla complessità della cessione onerosa dell'eredità ed alla sua alea economica (v. postea). La rarità dell'utilizzo della vendita di eredità è tuttavia in contrasto con la sua rilevanza dogmatica, per l'inevitabile contatto tra la disciplina dei rapporti contrattuali e quella dei rapporti successori ove affluiscono le dispute dottrinali sui concetti giuridici di eredità, di universalità patrimoniali, di intrasferibilità della "qualità" di erede e di aleatorietà del contratto. Da ciò deriva la difficoltà di inquadrare tale contratto in un modello giuridico rigoroso, conforme alla disciplina del codice civile ed al contempo individuare soluzioni coerenti con le questioni non puntualmente regolamentate dal legislatore. Il legislatore, nel regolamentare questo tipo di vendita di eredità non ha fornito una precisa definizione del contratto, soprattutto in ordine all'oggetto, mentre per il soggetto alienante, la seconda parte dell'art. 1542 c.c. sembra ammettere la vendita di eredità solamente da parte di colui il quale sia erede, nel momento in cui afferma che l'alienante deve garantire la propria qualità di erede. È, in termini generali, un contratto attraverso il quale l'erede può alienare il proprio patrimonio ereditario (vale a dire, quel complesso di beni caduti in successione e obblighi ereditari di carattere patrimoniale chiamato eredità) in cambio di un corrispettivo. L'eredità deve essere valutata con riguardo al momento dell'apertura della successione e, quindi, come acquistata dall'erede, e non nello stato in cui si trovava al momento della vendita. Può aversi vendita dell'eredità solo a seguito della morte del de cuius, ossia dopo l'apertura della successione (art. 456 del c.c.). La contrattazione che ha ad oggetto un'eredità futura sarebbe nulla per violazione del divieto dei patti successori (art. 458 del c.c.) e il venditore, se è in colpa, risponderebbe per culpa in contrahendo. La vendita di eredità ha per oggetto un complesso ereditario, ma non la qualità di erede, come tale certamente intrasmissibile (Cass. n. 3181/1982). Di conseguenza, il compratore sarà sempre un avente causa dell'erede. Le parti hanno la facoltà di escludere alcuni dei debiti ereditari. Dovrebbero restare escluse, invece, tutte quelle posizioni intrasmissibili in quanto aventi carattere strettamente personale. Si ritiene che l'azione di petizione di eredità sia compresa nell'oggetto del trasferimento, salva naturalmente diversa volontà delle parti; invero, si tratta di un'azione di carattere tipicamente patrimoniale non legata ad un particolare status e cioè quello di erede, essendo l'oggetto della petitio il medesimo sia nell'erede che nell'acquirente di eredità. L'istituto comprende non solo il caso di vendita di eredità da parte dell'unico erede, ma anche da parte del coerede che alieni, quindi, la propria quota di eredità. Tale fattispecie può dar luogo alla applicazione del disposto di cui all'art. 732 c.c.; infatti, qualora venga alienata una quota ereditaria, potrebbe sorgere, sussistendo le condizioni previste da tale norma, il diritto di prelazione ed eventuale riscatto da parte del coerede. Non è di ostacolo alla vendita di eredità una istituzione sotto condizione sospensiva (o risolutiva); in tal caso il trasferimento dell'eredità resterà subordinato al verificarsi della condizione. Il presupposto per la vendita di eredità è l'accettazione da parte del chiamato, tanto che, qualora questa non fosse ancora avvenuta, la si dovrebbe considerare implicita nell'atto di vendita (art. 477 c.c.). La vendita di eredità è un contratto bilaterale a prestazioni corrispettive. La prestazione dell'acquirente, però, non è limitata al pagamento di un prezzo, estendendosi anche al pagamento dei debiti e pesi ereditari in genere, come prescrive l'art. 1545 c.c.. È reputata una vendita aleatoria ex art. 1472 del c.c. e, quindi, il venditore è tenuto a garantire solo la sua qualità di erede e non il contenuto e l'estensione dei diritti ereditari. Ciò in quanto il venditore non risponde né del numero né del valore dei singoli cespiti ereditari. Di conseguenza, verrebbe esclusa la possibilità di rescissione per lesione ultra dimidium. Aderendo a tale posizione, si è anche arrivati ad escludere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1469 c.c.. Il venditore non è tenuto alla garanzia per evizione (art. 1542 c.c.), salvo che nell'ipotesi di alienazioni a titolo gratuito (art. 1547, comma 2 c.c.), nel qual caso, peraltro, la detta garanzia è regolata dall'art. 797 c.c. (il quale, in caso di evizione, pone la responsabilità in capo al donante solo in particolari casi). Egli continua a rispondere dei debiti ereditari verso i creditori del defunto in solido con l'acquirente con il quale non siano intervenuti accordi diversi. L'art. 1546 c.c. prevede, a ben vedere, un accollo cumulativo operante ope legis. Infatti il compratore è obbligato in solido con il venditore che potrà essere estromesso dall'obbligazione solo in quanto il creditore vi consenta (in accordo alla previsione di cui all'art. 1273, 2° co., c.c.). I debiti possono essere sostanzialmente i seguenti: 1) obbligazioni di cui era titolare il defunto e che si sono trasmesse mortis causa all'erede; 2) obbligazioni che derivano da fattispecie per cui il defunto ne sarebbe divenuto titolare se la fattispecie si fosse completata già prima della sua morte (ad es.: offerta contrattuale accettata dall'erede); 3) obbligazioni che si ricostituiscono in capo all'erede con la successione e per effetto della successione. Il coerede che alieni la sua quota di eredità rimane sempre coerede, e come tale responsabile per i debiti ereditari, in solido con il compratore quando la responsabilità di quest'ultimo non sia esclusa da patto contrario a norma dell'art. 1546 c.c. (Cass. II, n. 3181/1982). Sul piano processuale, l'erede che abbia venduto la quota di beni ereditari pervenutagli non è obbligato a chiamare in giudizio il compratore per essere manlevato dal pagamento del debito ereditario, essendo l'esercizio di tale garanzia rimesso alla volontà della parte e potendo anche la garanzia stessa essere esclusa da accordi interni non apparenti nell'atto (pubblico) di trasferimento della quota. Il venditore non risponde del numero, del tipo, del valore dei singoli diritti compresi nell'eredità e del valore complessivo del patrimonio ereditario; così pure non risponde se le cose, pur appartenendo al defunto, sono sin dal momento dell'acquisto dell'eredità affette da vizi e mancanti di qualità, oppure gravate da diritti di godimento, da oneri reali o da limitazioni nell'interesse pubblico. Tuttavia, poichè il patrimonio ereditario deve essere valutato in riferimento al momento dell'acquisto dell'erede, il venditore dovrà rispondere di tutti i cambiamenti intervenuti da quel momento alla conclusione del contratto. In questo ambito, allora, dovrà rispondere a titolo di garanzia per evizione o per vizi, a seconda della natura del cambiamento verificatosi. Nei casi di cui all'art. 1544 c.c., poi, le sanzioni saranno quelle indicate nell'articolo stesso e, cioè, il rimborso di quanto venuto meno; nelle altre ipotesi (perimento, deterioramento, ecc.) la riduzione del prezzo. Si ritiene ipotizzabile la vendita di eredità altrui, per la quale si potrà applicare la disciplina degli artt. 1478 e ss., c.c.. In particolare, se la successione si è aperta e il venditore non è erede, si applicheranno le norme della vendita di cosa altrui e, qualora il compratore subisca l'evizione da parte dell'effettivo proprietario, le norme sulla garanzia per evizione. È stata ritenuta ammissibile anche la vendita di eredità da parte dell'erede apparente, cui si potrà applicare l'art. 534, commi 2 e 3, c.c.. La vendita di eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità (art. 1543 c.c.). È opportuno precisare che l'art. 1543 c.c. prevede, a pena di nullità, la forma scritta, anche se non vi sia la presenza di beni immobili o mobili registrati e ciò, probabilmente, in considerazione dell'importanza e delle conseguenze di un atto attraverso il quale si cede un intero “pacchetto” di patrimonio. Il medesimo articolo, inoltre, prevede che, quando facciano parte dell'eredità determinati beni il cui trasferimento, per essere opponibile ai terzi, necessiti di un'ulteriore forma pubblicitaria, il venditore-erede debba collaborare (si pensi alla presenza, nel patrimonio trasferito, di crediti la cui vendita vada notificata ad ogni singolo debitore; alla presenza di immobili o mobili registrati il cui trasferimento debba essere trascritto; ecc.). L'accordo col quale il soggetto istituito erede universale riconosce, in via di transazione, la titolarità di determinati beni ereditari a colui che, non avendo la qualità di legittimario pretermesso, pretende diritti sull'eredità in forza di un testamento anteriore (poi revocato), non determina il riconoscimento della qualità di coerede in capo al destinatario dell'attribuzione patrimoniale, non potendo il chiamato disporre della delazione, sicché solo l'erede istituito è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, non configurandosi in tal caso una vendita di eredità (soggetta a forma scritta ad substantiam) e, conseguentemente, una responsabilità solidale dell'acquirente ex art. 1546 c.c. (Cass. II, n. 1902/2015). Nell'oggetto del contratto di vendita di eredità, di cui agli artt. 1542 e ss. c.c., non rientra anche l'azione di petizione ereditaria, essendo quest'ultima diretta all'accertamento della qualità di erede, per sua natura intrasmissibile, e configurandosi, invece, la vendita dell'eredità come alienazione di componenti patrimoniali e non di mere qualificazioni giuridiche. Ne consegue che deve escludersi la legittimazione attiva a proporre l'azione di petitio hereditatis in capo al compratore dell'eredità, potendo questi, in quanto creditore del venditore per i frutti percepiti, i crediti riscossi ed i beni venduti e, per contro, terzo rispetto al conflitto tra erede e possessore di beni ereditari, proporre azione surrogatoria in caso di inerzia del venditore stesso nell'esercizio della petizione d'eredità (Cass. II, n. 5145/2012). Fattispecie difformi. Da non confondere con la vendita dell'eredità disciplinata dagli artt. 1542 e ss. c.c. è la liquidazione di beni facenti parte di un'eredità accettata con beneficio d'inventario. In tema di liquidazione dell'eredità accettata con beneficio d'inventario, l'autorizzazione per la vendita di beni al fine di liquidare il patrimonio ereditario è preordinata al solo scopo di valutare la necessità o l'utilità e convenienza della vendita stessa, in relazione ai prezzi di mercato, restando perciò in capo all'istante l'onere di fornire al giudice gli elementi occorrenti per la sua valutazione (Tribunale Salerno, sez. I, 13/05/2008). In siffatta evenienza la valutazione della necessità, dell'utilità e della convenienza va operata in relazione ai prezzi di mercato. Resta, dunque, in capo all'istante l'onere di fornire al giudice gli elementi occorrenti per la sua valutazione. Peraltro, in caso di giudizio camerale, come nel caso di specie, il giudice, essendo svincolato dalle iniziative istruttorie, può procedere con i più ampi poteri inquisitori, procedendo anche ad utilizzare prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse parti (Trib. Salerno I, 12 giugno 2007). La competenza per l'autorizzazione alla vendita dei beni mobili o immobili di una eredità beneficiata si determina con riferimento al luogo della apertura della successione che è stata accettata con il beneficio di inventario anche quando, per effetto di successiva delazione, questi beni siano entrati a fare parte di un'eredità accettata puramente e semplicemente (Cass. II, n. 9842/1993). Anche se assoggettati alla disciplina dell'art. 534 e ss. c.p.c., espressamente richiamata dall'art. 733, al quale rinvia l'art. 748 c.p.c., gli atti relativi alla vendita dei beni ereditari, avendo solo funzione attuativa del provvedimento di autorizzazione del giudice e di liquidazione, quindi, del patrimonio ereditario, non possono essere considerati (atti) esecutivi, perché in alcun modo possono ricondursi ad una azione esecutiva, caratterizzata dalla funzione di realizzazione della pretesa del creditore precedente, e possono essere, pertanto, oggetto non della opposizione di cui all'art. 617 c.p.c., ma, se si tratta di provvedimenti pronunciati dal giudice che ha autorizzato la vendita per la soluzione delle questioni sorte nel corso di questa, del reclamo previsto dall'art. 739 dello stesso codice. In questi termini si è espressa Cass. III, n. 10778/1993, in una fattispecie in cui il tribunale, provvedendo su una richiesta di istruzioni del notaio incaricato della vendita, aveva dichiarato inammissibile l'offerta di aumento di sesto presentata, dopo l'aggiudicazione, da una delle parti che avevano partecipato all'asta. Il contratto preliminare di vendita di un immobile pervenuto in eredità ad un minore, stipulato dal genitore di questi senza la previa autorizzazione prescritta dall'art. 747 c.p.c., non è inesistente o nullo, bensì soltanto annullabile, salvo che le parti, nella legittima esplicazione della loro autonomia contrattuale, abbiano subordinato la validità e l'esecuzione del contratto, con riguardo al termine per la stipula del contratto definitivo, al previo intervento della richiesta autorizzazione predetta (Cass. I, n. 7638/1991). La vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi produce sempre e solamente effetti obbligatori, in quanto la sua efficacia rimane subordinata all'assegnazione - in sede di divisione - di quel bene al coerede alienante; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a fare parte della comunione ereditaria, non potendo l'acquirente ottenere la proprietà esclusiva di esso. Qualora, invece, il bene parzialmente compravenduto costituisca l'intera massa ereditaria, l'effetto traslativo dell'alienazione non rimane subordinato alla futura assegnazione della quota del bene al coerede alienante, poiché quest'ultimo è proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà, della quale egli ha potere di libera disposizione e, conseguentemente, l'acquirente a lui si sostituisce pro quota nella comproprietà del bene (Cass. III, n. 9543/2002). Con riguardo alla promessa di vendita da parte di un coerede della propria quota ideale di comproprietà di un bene ereditario indiviso (e non, quindi, di quota materiale concretamente individuata del bene medesimo), che costituisca l'unico bene dell'eredità, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato alla condizione sospensiva dell'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede promittente, essendo quest'ultimo, al momento della conclusione del contratto, proprietario esclusivo della quota promessa in vendita e potendo di questa liberamente disporre ai sensi dell'art. 1103 c.c., immettendo così il promissario acquirente nella comproprietà del bene (Cass. II, n. 8259/1993). Per stabilire, ai fini del diritto di prelazione e retratto del coerede (art. 732 c.c.), se la promessa di vendita da parte di altro coerede della propria quota di comproprietà di un bene ereditario abbia ad oggetto una quota di un bene determinato o la quota ereditaria del promittente, la circostanza che l'immobile, la cui quota è oggetto del preliminare, costituisca l'unico bene dell'eredità giustifica la presunzione (iuris tantum) dell'alienazione della quota di eredità, che può tuttavia essere vinta da altri elementi sintomatici di una diversa volontà delle parti desunti dal tenore letterale della convenzione, quali la mancanza di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all'accollo di eventuali passività. Per il disposto dell'art. 720 c.c. gli immobili non comodamente divisibili compresi nell'eredità devono essere attribuiti preferibilmente per intero ad uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, con addebito dell'eccedenza, o anche nelle porzioni di più coeredi se questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione, mentre se nessuno dei coeredi è a ciò disposto si fa luogo alla vendita all'incanto. Pertanto, non può essere accolta, perché non conforme al dettato normativo, la richiesta di un coerede che, divenuto nel corso del giudizio titolare della quota maggiore, chieda l'attribuzione di altre porzioni dell'immobile residuo e la vendita all'incanto delle rimanenti parti dell'immobile non attribuite (Cass. II, n. 8805/1993). La vendita di una quota ereditaria indivisa da parte di un coerede dopo dieci anni dall'apertura della successione, in mancanza di accettazione espressa o tacita dell'eredità entro dieci anni dall'apertura della successione, deve considerarsi come effettuata da chi non ne era proprietario (Cass. III, n. 3716/1993). Profili fiscali. In tema di legato obbligatorio, costituito nella specie dall'attribuzione ad un ente pubblico ospedaliero dei proventi della vendita di alcuni cespiti immobiliari, il trasferimento di tali beni dal de cuius agli eredi rappresenta un antecedente ineludibile della loro alienazione a terzi, necessaria ai fini dell'attuazione del legato, ancorché il testatore abbia provveduto alla nomina di un esecutore testamentario, dato il carattere retroattivo dell'accettazione dell'eredità; in tale situazione, il valore dei beni non incide sull'imposta di successione a carico degli eredi, poiché i cespiti costituiscono al contempo attivo ereditario e passivo, divenendone il loro controvalore di realizzo un credito a favore dell'ente legatario - il quale invece è direttamente esente dalla predetta imposta ai sensi dell'art. 3 d.lgs. n. 346/1990, avendo quale scopo esclusivo finalità di pubblica utilità - mentre sono dovute le imposte ipotecarie e catastali, difettando i presupposti soggettivi ed oggettivi di esenzione di cui agli art. 1 e 10 d.lgs. n. 347/1990 (Cass. sez. trib., n. 6961/2008). |