Contratto di affitto di fondo rustico.

Luca Caputo
aggiornata da Nicola Rumìne

Inquadramento

Il contratto di affitto di fondo rustico è, in base all'art. 27 l. n. 203/1982 (“Norme sui contratti agrari”), l'unico tipo di contratto agrario consentito dalla legge. Esso si contraddistingue, oltre che per l'oggetto e per le particolari caratteristiche strutturali e funzionali, per il fatto di essere sottoposto ad una disciplina speciale inderogabile che pone significativi limiti all'autonomia negoziale dei contraenti, limiti che investono, tra l'altro, la durata e le modalità di determinazione del corrispettivo. Questa fattispecie negoziale si differenzia dal contratto di locazione ordinaria anche per il fatto di essere assoggettato ad una disciplina speciale anche nella fase stragiudiziale che precede la proposizione delle relative controversie innanzi all'Autorità giudiziaria, devolute alla competenza per materia della Sezione Specializzata Agraria. Proprio alla luce delle stringenti prescrizioni dettate dalla disciplina speciale in materia, particolare interesse suscita, sotto il profilo pratico, la possibilità per i contraenti di derogare a tali disposizioni, attraverso accordi conclusi con l'assistenza dei rappresentanti sindacali delle rispettive associazioni di categoria (rispettivamente dei concedenti e degli affittuari di fondi rustici), con la conseguente necessità di stabilire, in caso di accordi in deroga, se l'interprete debba verificare oppure no che la partecipazione ai negoziati dei rispettivi rappresentanti sia stata o meno effettiva.

Formula

In data ... tra i Sigg.ri:

... nato/a a ... , in data ... , residente in ... , alla via ... , c.f. ...

- Locatore –

E

... nato/a a ... , in data ... , residente in ... , alla via ... , c.f. ...

- Affittuario -

SI CONVIENE E STIPULA QUANTO SEGUE:

1. Il Sig. ... (di seguito Locatore) consegna al Sig. ... (di seguito Affittuario) il fondo rustico sito in ... , località ... , denominato (eventuale) ... , riportato nel Nucleo Catasto Terreni del Comune di ... al n. ... , foglio ... , particella ... , affinché lo possa utilizzare e ne possa percepire i relativi frutti.

2. L'affitto comprende, oltre al godimento del fondo, l'uso del fabbricato colonico, identificato nel Catasto del Comune di ... , al n. ... foglio ... , particella ... , nonché delle macchine agricole presenti su di esso e degli utensili, come analiticamente indicati nell'inventario specificamente sottoscritto dalle parti e allegato al presente contratto di cui forma parte integrante.

3. Le parti convengono che l'utilizzo del fondo rustico in oggetto avvenga con decorrenza dal ... fino al ... [1] .

4. Il contratto si intende tacitamente rinnovato alla scadenza a meno che il Locatore non comunichi tempestiva disdetta con preavviso da comunicarsi all'Affittuario con lettera raccomandata con avviso di ricevimento almeno un anno prima della scadenza, che coincide con la fine dell'annata agraria dell'anno indicato come di scadenza [2] .

5. L'Affittuario può recedere dal contratto con preavviso da comunicarsi al Locatore almeno un anno prima della scadenza dell'annata agraria, mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

6. Il canone di affitto viene concordato in rate annue dell'importo di € ... , che l'affittuario si obbliga a corrispondere mediante bonifico bancario su conto corrente con IBAN n. ... intestato all'Affittuario entro ciascuna annata agraria (10 novembre di ciascun anno).

7. Il Locatore dichiara che il predetto fondo è nel seguente stato di conservazione: ... .

8. L'Affittuario si impegna ad assicurare la conservazione e la ordinaria manutenzione del fondo, nonché la normale e razionale coltivazione e a restituirlo nello stato in cui si trova al Concedente alla scadenza del contratto. L'Affittuario si impegna altresì ad assicurare l'ordinaria manutenzione e la conservazione del fabbricato colonico, delle macchine agricole e degli attrezzi concessi in godimento insieme al fondo.

9. Il mancato pagamento di un'annualità di canone di affitto comporta la risoluzione del contratto oltre al risarcimento dei danni. Parimenti comporta risoluzione del contratto la violazione degli obblighi di conservazione, manutenzione e coltivazione del fondo e delle relative pertinenze.

L'Affittuario si impegna a non effettuare innovazioni e miglioramenti sul fondo concesso in affitto se non previo specifico consenso scritto dell'Affittuario. Egli in ogni caso non ha diritto ad essere indennizzato per gli eventuali miglioramenti che dovesse apportare con il consenso dell'Affittuario.

Sono a carico del Locatore le imposte gravanti sul fondo e le spese per le riparazioni straordinarie. Sono a carico dell'Affittuario le spese di ordinaria manutenzione del fondo, oltre che di riparazione del fabbricato colonico, delle macchine e degli attrezzi.

È fatto divieto all'Affittuario di cedere o subaffittare a terzi il fondo senza il consenso scritto del Concedente.

Per tutto ciò che non è espressamente previsto dal presente contratto si applicano le disposizioni di cui alla l. n. 203/1982.

Le spese di registrazione del presente contratto sono a carico dell'Affittuario.

Redatto in n. ... copie originali, letto, confermato e sottoscritto.

Luogo e data ...

Sottoscrizione

Il locatore ...

Sottoscrizione

L'affittuario ...

[1] Come si osserverà nella parte dedicata al commento della presente formula la disciplina speciale di cui alla l. n. 203/1982 assoggetta la durata dei contratti agrari a vincoli predeterminati. Le parti possono però, ai sensi dell'art. 45 l. n. 203/1982, stipulare contratti in deroga alla disciplina di legge, anche in ordine alla durata dei medesimi, attraverso la assistenza delle associazioni sindacali di categoria (concedenti e affittuari di fondi rustici).

[2] Anche in ordine al rinnovo tacito è possibile per le parti derogare alla regola generale prevedendo espressamente nel contratto stipulato in deroga, con le medesime modalità di cui alla nota precedente, che esso cessi automaticamente alla scadenza senza necessità che il Concedente invii preventiva disdetta.

Commento

Nozione, struttura e funzione del contratto di affitto di fondo rustico

Il contratto di affitto di fondo rustico consiste nella cessione in godimento da parte di un soggetto (detto “concedente”) di un terreno agricolo al fine di consentirne l'utilizzo – che, trattandosi di fondo rustico, si sostanzia essenzialmente nella possibilità di piantare coltivazioni ricavandone i relativi frutti – con conseguente obbligo per l'altra parte (detto “affittuario”) di pagare un corrispettivo tendenzialmente parametrato alle caratteristiche e alla produttività del fondo.

Come per il contratto di locazione ordinario, trattandosi di un contratto consensuale ad effetti obbligatori, per la sua valida stipulazione non occorre che il locatore sia proprietario del fondo concesso in affitto, atteso che, secondo l'orientamento assolutamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, è sufficiente che il concedente abbia la disponibilità del fondo, in modo tale da poterne legittimamente trasferire la detenzione ed attribuirne il godimento all'affittuario (Cass. III, n. 4651/1995; Cass. III, n. 8327/2003; Cass. III, 14 marzo 2006, n. 5482; Cass. S.U., n. 11135/2012).

Con l'ulteriore conseguenza che l'affittuario convenuto in giudizio per la restituzione del fondo non può legittimamente eccepire il difetto di legittimazione attiva del locatore per non aver dato prova quest'ultimo della proprietà o della titolarità di altro diritto reale sul fondo (Cass. III, n. 1940/2004).

Le principali peculiarità del contratto di affitto di fondo rustico derivano dal fatto che esso è assoggettato alla disciplina speciale che regolamenta i contratti agrari dettata dalla l. n. 203/1982. Occorre, quindi, in primo luogo stabilire quali sono i presupposti in presenza dei quali può considerarsi stipulato un contratto di fondo rustico, con conseguente operatività della disciplina speciale richiamata. Sul punto deve osservarsi che l'art. 1 l. n. 203/1082, rubricato “Affitto a coltivatore diretto”, nel fissare il primo e principale limite cui sono assoggettati questi contratti – ossia quello concernente la durata degli stessi – fa riferimento alla figura del coltivatore diretto, nel senso che ricollega la disciplina da essa dettata alla circostanza che il fondo sia concesso in affitto ad un coltivatore diretto. Da ciò consegue, al fine dell'analisi dell'istituto in oggetto, la necessità di individuare preliminarmente la nozione di coltivatore diretto. In questa prospettiva deve evidenziarsi che la giurisprudenza, per delimitare l'ambito di applicazione della disciplina, ha correlato la definizione di coltivatore diretto al dato oggettivo costituito dall'idoneità del fondo concesso in godimento a costituire, per dimensioni e caratteristiche, un bene produttivo nel senso di essere concretamente utilizzabile mediante una apprezzabile attività di coltivazione (Cass. III, n. 425/1986). In quest'ottica si è quindi escluso, ad esempio, che possa considerarsi affitto di fondo rustico la concessione in godimento di una particella di terreno di appena 150 metri quadri, così come la locazione di una casa di abitazione accompagnata da un orto retrostante (Cass. III, n. 4657/1985), così come si è esclusa l'applicabilità della disciplina speciale dei contratti agrari nel caso in cui la locazione abbia ad oggetto un terreno che risulti in concreto destinato non già alla coltivazione ma a fungere da giardino ornamentale (Cass. III, n. 3819/1977).

Analogamente, sempre utilizzando come criterio prevalente il dato oggettivo funzionale della destinazione del terreno e della sua attitudine ad essere utilizzato a fini agricoli, si è esclusa la sussistenza di un contratto di affitto di fondo rustico allorquando l'oggetto della locazione sia costituito da un capannone con alcune aree scoperte circostanti inidonee alla coltivazione, ribadendosi con ciò che “la qualificazione di un contratto in termini di affitto a coltivatore diretto dipende unicamente dall'oggetto del contratto di affitto, e non anche dalla qualità soggettiva del conduttore – e cioè dalla sua eventuale qualità di coltivatore diretto” (Cass. III, n. 12236/1999).

Centrale, quindi, in questa prospettiva ermeneutica, diventa l'indagine sulla idoneità intrinseca del terreno concesso in affitto alla coltivazione, nel senso che, perché si abbia contratto di affitto di fondo rustico, occorre che quest'ultimo si presenti come intrinsecamente idoneo a produrre frutti naturali, il che non ricorre, ad esempio, quando la produzione di quest'ultima non è prevista come conseguenza naturale della coltivazione del fondo perché richiede, ad esempio, l'utilizzazione di manufatti destinati all'allevamento industriale. È necessario, in altri termini, che il terreno concesso in godimento sia considerato dalle parti come produttivo in quanto tale, ossia senza che a tal fine si consideri come determinante l'eventuale installazione di manufatti, impianti e strutture finalizzati a consentire la produzione agricola (Cass. III, n. 1025/1979; Cass. III, n. 3444/1979; Cass. III, n. 15804/2005). Analogamente si è affermato che non si è in presenza di un contratto agrario allorquando oggetto del contratto di affitto sia uno specchio d'acqua nel quale l'affittuario si impegna a gestire un impianto di pesca sportiva, senza che rilevi, in senso contrario, il fatto che l'attività di acquacoltura sia considerata come attività di natura imprenditoriale agricola (Cass. III, n. 6021/2011).

Le pronunce richiamate rendono evidente come il profilo oggettivo-funzionale della destinazione del terreno concesso in affitto alla produzione agricola sia essenziale per la qualificazione del contratto come rientrante nella categoria dei contratti agrari e, al contempo, come risulti del tutto ininfluente l'aspetto soggettivo della qualifica di coltivatore diretto che non costituisce altro, in realtà, come una diretta conseguenza della vocazione produttiva agricola del terreno concesso in godimento. Ciò posto è evidente allora che la necessaria sussistenza, ai fini della qualificazione del contratto come di affitto di fondo rustico, di un terreno che, per caratteristiche ed estensione, sia tale da consentire la coltivazione nel senso di consentire che esso sia destinato alla produzione agricola comporta anche che, qualora per circostanze sopraggiunte (si pensi ad un'espropriazione parziale del terreno) sia ridotta la consistenza del fondo al punto da non consentire più l'utilizzazione dello stesso in ottica produttiva, possa invocarsi il rimedio della risoluzione del contratto per sopravvenuta per impossibilità sopravvenuta ai sensi del combinato disposto dell'art. 1464 c.c. (impossibilità parziale) e dell'art. 1575, n. 2, c.c. (che richiama l'obbligo per il locatore di mantenere la cosa locata in modo da servire all'uso convenuto). In questa prospettiva è opportuno chiarire che, per poter affermare che il fondo presenti una consistenza tale da poter essere destinato alla produzione agricola, il criterio interpretativo prevalente è quello che fa leva sul rispetto della proporzionalità tra estensione del fondo e forza lavorativa dell'affittuario, nel senso che il fondo deve presentare un'estensione coltivabile tale da assorbire il lavoro dell'affittuario e da garantire una produzione almeno pari alla retribuzione di un salariato fisso comune (in questi termini, Trib. Salerno 8 febbraio 1983 e Cass. III, n. 4520/1985).

La centralità della concessione in godimento di un terreno che sia idoneo alla produzione agricola assume rilievo anche quando occorre, in concreto, distinguere tra locazione di fondo rustico e locazione urbana, perché, ad esempio, alla concessione del fondo si accompagna anche quella di fabbricati. In quest'ottica si è quindi affermato che nel caso di contratto in cui, dietro la previsione del pagamento di un unico corrispettivo, viene attribuito in godimento un complesso immobiliare composto da una casa destinata ad abitazione e da un terreno idoneo allo sfruttamento agricolo, il contratto andrà qualificato, rispettivamente, come locazione o come affitto di fondo rustico a seconda che le parti abbiano inteso soltanto consentire uno dei possibili usi dell'immobile, nei quali, per la presenza del terreno circostante, è compresa anche la coltivazione del terreno, oppure abbiano inteso considerare come centrale la funzione produttiva del terreno, prevedendo, sotto questo profilo, un vero e proprio obbligo dell'affittuario di procedere alla relativa coltivazione. A tale scopo possono assumere rilievo decisivo, ai fini interpretativi, anche elementi estrinseci, come l'idoneità del terreno ad assicurare una produzione che non si esaurisca nell'autoconsumo, così come il tipo di lavoro svolto dal conduttore (Cass. III, n. 3724/1996).

In questi casi, quindi, ossia quando alla concessione in godimento di un fondo si accompagna anche l'attribuzione in godimento di un bene immobile, occorre valutare, sulla scorta di un esame complessivo delle pattuizioni e delle prestazioni dedotte in contratto e, quindi, secondo la moderna concezione dell'elemento funzionale del contratto come causa in concreto (divenuta prevalente a far data dalla storica decisione della Suprema Corte III, n. 10490/2006), se le parti abbiano inteso attribuire rilievo preminente al profilo del godimento statico del bene immobile o al profilo dinamico della coltivazione del fondo (Cass. III, n. 1375/2012). In questo senso, quindi, può risultare determinante l'espressa previsione contenuta in contratto di un vero e proprio obbligo, da parte dell'affittuario, di coltivazione del fondo (Cass. III, n. 592/1995).

Le conseguenze della distinzione non sono di scarso rilievo, come si evidenzierà di qui a breve, atteso che le parti potrebbero aver inteso stipulare solo apparentemente un contratto agrario che dissimula in realtà una vera e propria locazione urbana soggetta alla disciplina speciale di cui alla l. n. 431/1998, con conseguente finalità elusiva di norme imperative. In questo caso, quindi, verrà dichiarata la nullità delle clausole in contrasto con la normativa inderogabile in tema di contratto di locazione urbana. Analogamente può ravvisarsi una nullità nell'ipotesi inversa, ossia nell'ipotesi in cui le parti, dietro l'apparente conclusione di un contratto di locazione urbana, abbiano, in realtà, inteso stipulare un contratto agrario, - in cui, come si è visto, la concessione in godimento del fondo idoneo alla produzione agricola ha rilievo determinante – sottraendosi in questo modo all'osservanza di norme inderogabili che disciplinano quest'ultimo, come quelle sulla durata.

La disciplina del contratto di affitto di fondo rustico

Delineati i criteri individuati dalla giurisprudenza per qualificare un contratto come “affitto di fondo rustico”, occorre rilevare che l'esatto inquadramento giuridico di una fattispecie negoziale come affitto di fondo rustico e, dunque, come “agrario” non ha rilevanza soltanto dogmatica e teorica, comportando invece importanti ricadute applicative.

Così, in primo luogo, al contratto di affitto rustico si applica la disposizione di cui all'art. 1 della l. n. 203/1982, che prevede che sia la stessa legge sui contratti agrari a fissare la durata dei contratti di affitto a coltivatore, individuandone al contempo la durata minima in quindici anni. La ratio sottesa a questa norma è evidentemente di fissare un termine minimo di durata piuttosto lungo, al fine di assicurare all'affittuario l'effettiva possibilità di utilizzare il fondo rustico per un lasso di tempo ragionevole; inoltre l'inderogabilità di questa disciplina pare riconducibile alla circostanza che con essa si realizzano anche interessi di carattere generale, ovvero la tutela dell'agricoltura, valore di rilevanza costituzionale ai sensi dell'art. 44 Cost. Pur limitandosi la disciplina speciale in tema di contratti agrari a prevedere esclusivamente una durata minima obbligatoria dei contratti, senza prevedere una durata massima, deve ritenersi che quest'ultima comunque non possa comunque superare il limite di trent'anni stabilito dal Codice Civile in materia di locazione, atteso che la struttura simile dei due istituti e l'”eadem ratio legis” abilitano l'interprete ad applicare in via analogica il disposto dall'art. 1573 c.c. anche al contratto di affitto di azienda rustico.

Sempre con riferimento alla durata dei contratti agrari, l'art. 2 della l. n. 203/1982 ha previsto una disciplina transitoria per i contratti di affitto a coltivatore diretto in corso alla data di entrata in vigore della stessa ed ha, a tal fine, distinto in maniera analitica una serie di ipotesi in base alla data di inizio dei singoli rapporti agrari, prevedendo per ciascuno di essi una diversa durata. In particolare, il legislatore del 1982 ha sostanzialmente suddiviso i contratti agrari in base a tre periodi temporali: il primo (art. 2, lett. a), comprendente i rapporti sorti antecedentemente al 1940, per i quali ha previsto la durata di dieci anni, il secondo, comprendente i rapporti sorti nel decennio tra il 1940 e il 1950 (art. 2, lett. b), lett. c), per i quali ha previsto la durata di 11-13 anni, e il terzo, comprendente i rapporti sorti nel successivo periodo decennale ricompreso tra il 1950 e il 1960 (art. 2, lett. d), per i quali ha previsto la durata di 14 anni. Per i rapporti instaurati successivamente a tale data, infatti, la durata prevista di 15 anni coincide con quella fissata in generale come limite minimo dall'articolo 1 innanzi citato.

Ai fini dell'individuazione della durata dei contratti in corso, il legislatore ha fatto riferimento, nello stabilire l'ulteriore durata del contrato, alla data in cui ha avuto inizio il rapporto; con l'utilizzo di tale termine, secondo l'orientamento giurisprudenziale assolutamente dominante, il legislatore ha inteso riferirsi al momento dell'instaurazione in concreto del rapporto tra il coltivatore e il fondo, con conseguente perdita della disponibilità di quest'ultimo da parte del concedente, senza che assumano rilievo, in questa prospettiva, eventuali accordi, anche novativi, intervenuti dopo l'instaurazione di tale rapporto di fatto (Cass. III, n. 12962/2005).

In applicazione dei principi generali in tema di riparto dell'onere probatorio, poiché l'individuazione del momento iniziale in cui si è instaurato il rapporto di affitto assume rilievo, ai sensi dell'art. 2 l. n. 203/1982, al fine di stabilire la durata del rapporto, e costituisce, quindi, elemento costitutivo della domanda di rilascio del fondo per scadenza del rapporto, è il locatore a dover fornire la prova di tale circostanza. Analogamente, nel caso in cui si eccepisca una diversa durata del rapporto agrario, perché, ad esempio, si assume che esso sia sorto in un'epoca più risalente rispetto a quella indicata dal locatore, grava sull'affittuario l'onere di dimostrare in giudizio che il rapporto è concretamente sorto in una data diversa da quella prospettata con la proposizione della domanda di rilascio.

Si è poi chiarito, sempre in tema di disciplina transitoria della durata dei contratti agrari in corso, che, ai fini dell'individuazione del “dies a quo” da cui far decorrere la durata dei contratti come individuata dal citato art. 2, occorre far riferimento non già alla data del 6 maggio 2002, ovvero quella di entrata in vigore della legge in questione, ma a quella successiva dell'11 novembre 1992, dalla quale decorre la prima annata agraria utile rispetto alla data di entrata in vigore della legge; ciò in considerazione del fatto che, in tema di contratti agrari, l'espressione “anno” va sempre interpretata come riferita alla annata agraria che decorre dal giorno 11 di ciascun anno, in conformità a quanto previsto dall'art. 39 l. n. 203/1982 (Cass. III, n. 2221/2000; Cass. III, n. 10482/2001; Cass. III, n. 161/2005).

Analogamente, anche nel caso in cui è necessario individuare la data di rilascio del fondo, ad esempio perché disposto giudizialmente in conseguenza dell'accoglimento di una domanda di risoluzione per inadempimento, deve farsi riferimento alla fine dell'annata agraria in corso al momento della pronuncia giudiziale, in conformità con quanto espressamente previsto dall'art. 47 l. n. 203/1982 (Cass. III, n. 14449/2005).

Inoltre, l'art. 4 l. n. 203/1982 dispone che, nel caso in cui non si sia preceduto alla comunicazione della disdetta del contratto un anno prima della scadenza individuabile in base alla disciplina ad hoc dettata dagli artt. 1 e 2 della citata legge, il contratto di affitto a coltivatore diretto ordinario si intende rinnovato per la durata minima di quindici anni.

La notevole incidenza dei limiti fissati dalla legge sulla durata dei contratti agrari comporta che uno degli aspetti in relazione ai quali le parti procedono, nella prassi, a derogare alla disciplina speciale, è costituito proprio dalla durata del contratto e dal meccanismo della rinnovazione tacita dello stesso. Come si è in parte anticipato, tale deroga è possibile in base alla previsione normativa contenuta nell'art. 45 l. n. 203/1982, cioè attraverso la stipula di un contratto effettuata con la partecipazione dei rappresentanti sindacali dei locatori e degli affittuari.

In giurisprudenza si è chiarito che, affinché possa derogarsi alla disciplina di legge sui contratti agrari, occorre che i rappresentanti delle associazioni sindacali di categoria svolgano in concreto un'effettiva attività di consulenza e indirizzo, tesa a consentire alle parti di comprendere appieno il contenuto, la finalità e le conseguenze delle clausole che vengono redatte in deroga alle disposizioni di legge, e ciò al fine di assicurare che vi sia la massima consapevolezza possibile da parte dei contraenti nell'esplicare la propria autonomia contrattuale (Cass. III, n. 5953/2016). In particolare, tale assistenza può manifestarsi sia nella fase preliminare delle trattative che nella fase di elaborazione e redazione del testo contrattuale che in quella finale di stipula del contratto, atteso che le parti possono acquisire la piena consapevolezza dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto anche nel momento finale della relativa conclusione; con la conseguenza che il contratto deve ritenersi validamente concluso ai sensi del citato articolo 45 anche nel caso in cui i rappresentanti delle associazioni di categoria prestino la loro assistenza nella sola fase finale della sottoscrizione dell'accordo.

Nel caso in cui, diversamente, la sottoscrizione dell'accordo in deroga avvenga senza l'ausilio dei rappresentanti delle associazioni di categoria, la conseguenza non sarà la nullità dell'intero negozio, bensì la sostituzione delle clausole pattuite dalle parti in difformità dal modello legale, con quelle previste dal legislatore, fermo restando la validità del contratto ai sensi dell'art. 1419, comma 2 c.c.

La nullità derivante dalla mancata partecipazione alla stipula del contratto dei rappresentanti delle associazioni sindacali di categoria costituisce un'ipotesi di nullità di protezione o “a legittimazione relativa” che, in quanto tale, può essere fatta valere solo dalla parte che lamenti la mancanza di assistenza e non dalla controparte (Cass. III, n. 14046/2013). Ad ogni modo, alla luce di quanto stabilito dalla Cassazione Civile a Sezioni Unite con le sentenze gemelle Cass. n. 26242 e Cass. n. 26243 del 12 del dicembre 2014 sullo statuto processuale della nullità, il giudice ha il potere-dovere di rilevare d'ufficio tale nullità, ove emerga dagli atti e dai documenti di causa, sottoponendo la questione all'attenzione delle parti, fermo restando che non potrà dichiararla in sentenza laddove il contraente che può azionarla non dichiari di volersene avvalere.

Altra conseguenza rilevante della qualificazione del contratto come di affitto agrario piuttosto che di locazione urbana è costituita dall'obbligo di osservare, in caso di proposizione di domande giudiziali che abbiano ad oggetto controversie in tema di contratti agrari, e segnatamente in caso di proposizione di domanda giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento, alcuni adempimenti preliminari previsti a pena di improcedibilità dagli artt. 5 e 46 della l. n. 203/1982.

La prima disposizione prevede, in particolare, che, nel caso di risoluzione per inadempimento il locatore, prima di ricorrere all'autorità giudiziaria, contesti all'affittuario, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in maniera specifica l'altrui inadempimento, concedendo il termine di tre mesi dal ricevimento della comunicazione per adempiere.

La seconda disposizione prevede che l'introduzione delle controversie in tema di contratti agrari sia preceduta dall'esperimento del tentativo di conciliazione innanzi agli organi dell'ispettorato provinciale dell'agricoltura territorialmente competente; anche in questo caso occorre effettuare una comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, comunicata tanto alla controparte quanto allo stesso ispettorato agrario, nella quale si rappresentano sinteticamente l'oggetto e le ragioni della controversia che si intende instaurare; in seguito alla recezione della comunicazione l'ispettorato procede, nei venti giorni successivi, a convocare le parti ed i rappresentanti delle associazioni professionali di categoria al fine di esperire il tentativo di conciliazione.

È opportuno osservare come la giurisprudenza prevalente abbia affermato la necessità che, nel caso in cui si agisca per la risoluzione per inadempimento, con conseguente operatività della condizione di procedibilità di cui all'art. 5 l. n. 203/1982, la parte non possa avvalersi di un'unica comunicazione che contenga sia la contestazione dell'inadempimento che la sollecitazione all'esperimento del procedimento di conciliazione, occorrendo redigere due comunicazioni distinte e separate anche sotto il profilo cronologico (Cass. III, n. 3861/2004). In particolare, in questi casi, occorre procedere preventivamente alla contestazione dell'inadempimento nelle forme dell'art. 5 l. n. 203/82 e, solo dopo che l'affittuario è stato posto inutilmente nelle condizioni di procedere a sanare la situazione di inadempimento che gli viene contestata, occorrerà promuovere il tentativo di conciliazione innanzi agli organi competenti ai sensi dell'art. 46 l. n. 203/1982 (Cass. S.U., n. 633/1993; in termini conformi, Cass. III, n. 503/2001 e Cass. III, n. 17855/2003): ciò, del resto, si giustifica con il fatto che le due condizioni di procedibilità hanno finalità diverse e non del tutto coincidenti e che l'esperimento del tentativo di conciliazione presuppone che siano chiariti i termini della controversia, termini che potrebbero essere modificati proprio in conseguenza di eventuali vicende verificatesi dopo l'invio della lettera di contestazione dell'inadempimento (si pensi all'ipotesi in cui successivamente a quest'ultima intervenga un parziale adempimento). Di avviso parzialmente diverso è la decisione n. 3861 del 26 febbraio 2004, con la quale la Suprema Corte, nel ribadire che la contestazione dell'altrui inadempimento e l'invito alla conciliazione costituiscono due distinte condizioni di proponibilità, che richiedono, quindi, l'invio di due atti distinti, ha affermato che ciò non è necessario “quando l'inadempimento dell'affittuario sia stato tale da non consentire alcuna possibilità di ripristino”; in ipotesi di questo tipo, quindi, è possibile contestare l'altrui inadempimento e invitare la controparte all'esperimento del procedimento di conciliazione con il medesimo atto. Ciò, presumibilmente, si giustifica con il fatto che in ipotesi di questo tipo (si pensi, ad esempio, ad una radicale ed irreversibile trasformazione del fondo) non è possibile una sanatoria della situazione di inadempimento e, quindi, non è necessario assicurare il decorso del lasso di tempo che si fa decorrere dalla contestazione di quest'ultimo ai sensi dell'art. 5 prima della proposizione del tentativo di conciliazione.

L'omessa osservanza degli adempimenti richiesti dai citati artt. 5 e 46 l. n. 203/1982 comporta come conseguenza processuale l'emissione di una sentenza di improponibilità della domanda proposta. Trattandosi di una pronuncia che si limita a constatare la mancata osservanza delle condizioni di proponibilità della domanda è evidente che si tratta di una decisione resa allo stato degli atti e che, non implicando alcun accertamento sulle ragioni sottese alle domande proposte, non comporta la possibilità che si formi un giudicato implicito in ordine all'esistenza o meno di un contratto agrario al momento della proposizione della domanda (Cass. III, n. 14810/2004). 

Con riferimento alla formalità esplicantesi nella contestazione dell'inadempimento richiesta dall'art. 5 l. n. 203/1982, si è chiarito che essa non deve contenere necessariamente una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per poter sanare l'inadempimento, trattandosi di una facoltà che deriva direttamente dalla legge, senza che, quindi, sia necessario l'invito da parte del locatore (Cass. III, n. 25759/2019).

Quanto alla possibilità, nel successivo giudizio eventualmente introdotto dal concedente in caso di persistenza dell'inadempimento, per l'affittuario di beneficiare del termine di grazia previsto dall'art. 11 d.lgs. n. 150/2011 (che riproduce sostanzialmente il testo dell'abrogato art. 46, comma 6, l. n. 203/1982) il relativo valido esercizio è subordinato alla duplice condizione che l'affittuario “formuli in modo espresso la relativa istanza e che le sue difese non risultino incompatibili con l'affermazione dell'esistenza del contratto” (Cass. III, n. 25759/2019).  Similmente App. Cagliari agr., n. 344/2023.

Profili fiscali

Il contratto di affitto di fondo rustico avente una durata superiore a trenta giorni deve essere registrato entro trenta giorni dalla stipula ed è assoggettato ad imposta di registro con aliquota proporzionale.

La base imponibile è costituita dal canone di affitto e l'aliquota da applicare è del 2%.

I canoni di affitto costituiscono reddito per l'affiliante.

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