Contratto di cessione di prodotti agricoli a consumatoriInquadramentoLa progressiva evoluzione dell'attività imprenditoriale agricola, sancita dalle modifiche operate dal d.lgs. n. 228/2001, che ha ampliato notevolmente la nozione e, conseguentemente, le maglie dell'impresa agricola anche e specificamente in relazione alle c.d. attività agricole connesse, impone all'interprete di verificare se la posizione dell'imprenditore agricolo, che venda prodotti alimentari e/o agricoli, possa considerarsi o meno su un piano paritetico rispetto al consumatore finale. In questo senso l'intervento legislativo effettuato con l'art. 62 del d.lgs. n. 1/2012, che ha espressamente disciplinato i contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari facendo esclusivo riferimento agli accordi tra imprenditori, può anche essere inteso come la conferma di un orientamento tradizionale che afferma la non operatività della disciplina consumeristica in caso di vendita di prodotti agricoli, nel presupposto che, sia per la natura dei beni oggetto di commercio, sia per il tipo di relazione più diretta che si insatura tra imprenditore agricolo e consumatore, non ricorrano i presupposti per l'applicazione della disciplina speciale. Se sembra muoversi in questa prospettiva anche la specifica disciplina dettata dall'art. 4 del d.lgs. n. 228/2001, che ha liberalizzato e semplificato il meccanismo della vendita diretta di prodotti agricoli a terzi, rispetto alla quale l'instaurazione di una relazione diretta e immediata tra venditore e acquirente sembra giustificare la mancata applicazione di una disciplina di protezione quale è quella dettata dal Codice del Consumo, è legittimo domandarsi allora se, diversamente, nei casi in cui manchi questo tipo di relazione diretta, come ad esempio in caso di grande distribuzione, sia possibile per il consumatore invocare la speciale disciplina prevista dal d.lgs. n. 206/2005, con conseguente possibilità, tra l'altro, di far valere la difformità dei prodotti acquistati rispetto a quelli promessi in vendita. FormulaCONTRATTO DI FORNITURA DI PRODOTTI AGRICOLI/ALIMENTARI Con la presente scrittura -La società ... con sede legale in ... alla ... P.IVA ... , iscritta nel Registro delle Imprese di ... n. ... , in persona del legale rappresentante p.t. ... , nato/a a ... il ... e residente a ... alla ... , C.F. ... (d'ora in poi anche “Parte venditrice”) E -Il/la sig./sirg.ra ... , nato/a ... il ... , residente in ... alla ... , C.F. ... , ( d'ora in poi anche “Parte acquirente”) Premesso che le parti del presente contratto si impegnano a relazionare reciprocamente in maniera responsabile, in buona fede e con diligenza professionale SI STIPULA E SI CONVIENE QUANTO SEGUE 1) Il presente contratto ha per oggetto la cessione dei seguenti prodotti agricoli/alimentari da perfezionarsi anche mediante distinte consegne di cui al successivo punto 2): a) ... ; b) ... ; c) ... . 2) Il presente contratto avrà durata pari a ... (I) [1] ; 3) I prodotti oggetto di vendita con il presente contratto hanno le seguenti caratteristiche - ... ; - ... ; - ... (II) [2] ; 4) I prodotti di cui al precedente punto 1) dovranno essere ritirati a cura e spese della parte acquirente presso il ... della Parte venditrice ubicato in ... . Al momento di ciascuna consegna dovrà essere redatto un apposito documento di consegna; 5) Il prezzo di vendita dei prodotti di cui al punto 1) viene concordemente pattuito in complessivi € ... , determinato nella misura di € ... per ... , maggiorato dell'IVA di legge (III) [3] ; 6) Il pagamento del prezzo delle forniture di cui al precedente punto 5) dovrà essere effettuato dalla Parte acquirente alla parte venditrice entro il termine di ... giorni a decorrere dalla fine del mese di ricevimento della fattura inviata via posta certificata/EDI al seguente indirizzo ... a mezzo bonifico bancario da effettuarsi alle seguenti coordinate ... Laddove la parte non invii la fattura tramite posta certificata/EDI il pagamento di cui sopra dovrà avvenire entro ... gironi dalla consegna della merce; 7) Per tutto quanto non espressamente disciplinato dalla presente scrittura troveranno applicazione le disposizioni del c.c. e dell'art. 62d.l. n. 1/2012. Luogo e data ... IL VENDITORE ... L'ACQUIRENTE ... 1. Per la presente consegna / oppure per le consegne del mese di ... / oppure per le consegne dell'anno ... . 2. Indicare la qualità o le caratteristiche particolari ed indicare se sono deteriorabili o non deteriorabili. 3. Ad esempio sulla base dei prezzi di mercato rilevati presso la Camera di Commercio di ... nella settimana della consegna / oppure stabilito mediante listino comunicato nel mese precedente. CommentoL'art. 62 del d.lgs. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2012, nel prevedere una disciplina speciale dei contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari finalizzata, nell'ottica della salvaguardia della trasparenza del mercato e della correttezza delle pratiche commerciali tra imprese, ha espressamente escluso dal relativo ambito di applicazione i contratti di cessione di prodotti agricoli o alimentari che siano stipulati tra imprenditori e consumatori. La scelta di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina speciale - caratterizzata dalla previsione non solo della forma scritta dei contratti con conseguente predeterminazione di una serie di elementi quali la quantità, le caratteristiche dei prodotti e il corrispettivo - se, da un lato, può giustificarsi con il fatto che la disciplina in questione è stata introdotta con la specifica finalità di regolamentare i rapporti commerciali tra i soggetti che, a diverso titolo, intervengono nella filiera agricola, con lo scopo dichiarato di evitare che si determinino squilibri contrattuali frutto dei rapporti di forza derivanti dalle diverse caratteristiche economiche ed organizzative dei soggetti coinvolti, dall'altro lato, pone l'interprete di fronte all'interrogativo di valutare se una scelta di questo tipo non costituisca, in realtà, la definitiva consacrazione di quella ricostruzione che tende ad escludere radicalmente la possibilità di una tutela consumeristica nell'ambito della vendita o cessione di prodotti agricoli e/o alimentari. Secondo l'opinione prevalente, infatti, nell'ambito della vendita di prodotti agricoli e/o alimentari - la cui definizione può essere attualmente ricavata agevolmente dal decreto ministeriale attuativo del d.lgs. n. 1/2012, che a propria volta, rinvia, per i prodotti agricoli, all'allegato I di cui all'art. 38, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, e per i prodotti alimentari, all'art. 2 del Regolamento CE n. 178 del 28 gennaio 2002 - deve escludersi che possa trovare applicazione la disciplina speciale posta a tutela dei consumatori, attualmente contenuta in gran parte nel complesso normativo comunemente conosciuto come “Codice del Consumo” (d.lgs. n. 206/2005), poiché deve, in termini più generali, escludersi che in questo caso ricorrano le medesime esigenze di tutela del contraente debole che ricorrono invece nella disciplina dei beni di consumo come definiti dall'art. 3, lett. e) del citato d.lgs. n. 2006/2005 e che legittimano l'applicazione della peculiare disciplina consumeristica e delle relative tutele nel caso di specie (si pensi alla vessatorietà delle clausole ed alla nullità di protezione di cui agli artt. 33,34 e 36 Cod. Cons., agli obblighi di informazione precontrattuale ed al recesso di pentimento di cui agli artt. 48 e ss. Cod. Cons., nonché all'inderogabilità convenzionale del Foro del consumatore). Tra le ragioni poste alla base di questa opzione ermeneutica vi è certamente quella rappresentata dalla visione tradizionale dell'imprenditore agricolo, considerato come un soggetto che esercita un'attività di tipo imprenditoriale per nulla assimilabile a quella commerciale, perché basata sul prevalente apporto lavorativo dell'imprenditore stesso. Si sottolinea, allora, in questo senso, che il rapporto tra imprenditore agricolo e consumatore si caratterizza per essere normalmente un rapporto diretto, ossia privo di intermediazioni di altri soggetti che si inseriscono nella filiera produttiva e distributiva, con la conseguenza che non ricorre, in primo luogo, l'esigenza di rimuovere l'asimmetria di forza contrattuale tipica dei rapporti in cui vi è un professionista, naturalmente “contraente forte” ed un consumatore, che per la carenza di un adeguato bagaglio informativo e per la sua debolezza economica, necessita di una tutela rinforzata quale, appunto, quella contenuta nel Codice del Consumo. L'imprenditore agricolo, infatti, per definizione e per la tipologia di prodotti che produce e vende, è in grado di fornire direttamente al consumatore tutte le informazioni di cui quest'ultimo necessita al momento dell'acquisto, il che, quindi, rende in partenza meno impellente l'esigenza di tutela dello stesso. Ancora, sotto altro profilo, si evidenzia come siano proprio le caratteristiche strutturali dei prodotti agricoli (si pensi ai prodotti fruttiferi e vegetali) ad escludere che possa esservi spazio per una tutela consumeristica, i cui contorni sarebbero, anche astrattamente, difficili da immaginare; così come difficile risulterebbe l'applicazione di quei rimedi specifici apprestati dal Codice del Consumo e basati sull'obbligo del venditore di assicurare che siano consegnati all'acquirente beni conformi al contratto di vendita (art. 129 d.lgs. n. 206/2005), con conseguente possibilità, per il consumatore, in caso di difformità, di agire con l'azione di esatto adempimento per chiedere la riparazione o la sostituzione del bene (art. 130 d.lgs. n. 206/2005), in alternativa ai rimedi generali già previsti in tema di vendita ordinaria della riduzione del corrispettivo e della risoluzione. In questo senso, si è infatti osservato come sia estremamente difficile immaginare l'applicazione di questi specifici rimedi contrattuali a fronte di difformità che si possono verificare nella consegna di prodotti agricoli o alimentari, e ciò considerato anche la spesso veloce deperibilità di questi prodotti e la possibilità che le relative caratteristiche qualitative siano condizionate in concreto da eventi e circostanze imprevedibili, che sfuggono al controllo dell'imprenditore-produttore, come il verificarsi di determinati eventi atmosferici e climatici che incidano, ad esempio, sulle caratteristiche di un determinato raccolto e che, sotto questo profilo, escludono che possa ravvisarsi una responsabilità dell'imprenditore. Se pare certo che il consumatore non potrà in questo caso domandare l'eliminazione dei vizi, intesi come irregolarità materiali del bene, dal momento che tale rimedio è radicalmente ed ontologicamente incompatibile con la natura dei prodotti agricoli, deperibili e, per così dire, non regolarizzabili (provenendo essi direttamente dalla natura e non dall'imprenditore agricolo che, al più, contribuisce al loro raccolto), qualche perplessità suscita invece l'esclusione dell'azione di esatto adempimento intesa come richiesta di sostituzione dei prodotti agricoli acquistati con altri. È evidente, tuttavia, che una ricostruzione di questo tipo, che certamente mette in luce alcuni tratti peculiari e caratteristici della vendita di prodotti agricoli che rendono non agevole e immediata l'applicazione ad essa dei rimedi consumeristici, appare fortemente ancorata alla concezione tradizionale dell'attività imprenditoriale agricola, con la conseguenza che, al fine di verificare se la soluzione scelta è tuttora attuale non può prescindersi da un sia pur rapido esame dell'evoluzione che ha accompagnato l'istituto dell'impresa agricola. L'attuale formulazione dell'art. 2135 c.c. in tema di impresa agricola, come modificato dall'articolo 1 del d.lgs. n. 228/2001 è strutturata in tre commi così formulati: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”. Già da una prima lettura complessiva della norma emerge il notevole ampliamento della figura dell'impresa agricola, in corrispondenza con la progressiva evoluzione dell'impresa agraria nella prassi, che si caratterizza per essere sempre di più un'attività che, in virtù delle possibilità offerte dagli strumenti tecnologici, si è progressivamente avvicinata all'attività industriale, emancipandosi, in questo modo, dall'aspetto della mera utilizzazione del fondo in funzione produttiva attraverso gli strumenti tradizionali. In quest'ottica si coglie, quindi, il senso della profonda innovazione che accompagna la riforma del 2001 nel prevedere, con il nuovo secondo comma dell'art. 2135 c.c., che le tipiche attività agricole tradizionali (ossia le c.d. attività agricole essenziali, definite tali in contrapposizione con quelle cd. agricole connesse) quali le attività di coltivazione del fondo, di selvicoltura e di allevamento di bestiame (ora di animali), altro non sono che mere esemplificazioni di quello che è il vero nucleo che caratterizza l'attività agricola moderna, ossia l'estrinsecazione di attività che consistono nella “cura” e nello “sviluppo” di un ciclo biologico o di una fase necessaria di quest'ultimo, sia esso di carattere vegetale o animale. Poiché con l'espressione “ciclo biologico” si intende fare riferimento al “naturale” percorso in base al quale una determinata entità materiale, dotata di vita organica, nasce e si sviluppa per poi morire, eventualmente riproducendosi prima di quest'ultima fase, con ciò riferendosi, quindi, al ciclo evolutivo naturale che contraddistingue i prodotti del regno animale e vegetale, è evidente che l'attuale definizione è allora in grado di comprendere le tante diverse attività nelle quali può concretamente estrinsecarsi l'esercizio dell'attività agricola, intesa come attività parcellizzata in tante distinte attività, ciascuna di esse dedicata ad un determinato momento del processo produttivo biologico. Al contempo, nell'ampliare le maglie dell'attività agricola, in particolar modo di quella connessa, il legislatore del 2001 ha inteso comunque mantenere un legame con l'elemento che contraddistingue l'attività tradizionale nella visione più tradizionale; infatti, lo stesso secondo comma prevede che tali attività avvengano attraverso l'utilizzo del fondo, del bosco e delle acque dolci, salmastre o marine. Tale previsione è particolarmente rilevante perché porta ad escludere che possano rientrare nell'attività agricola quelle attività attraverso le quali, pur contribuendosi a partecipare a determinate fasi del ciclo biologico, non si utilizzino in alcun modo il fondo o altri supporti naturali; si pensi, ad esempio, all'allevamento di animali effettuato solo tramite strumenti artificiali o alla coltivazione di vegetali in laboratorio. Inoltre, l'ampliamento dell'ambito di operatività dell'istituto dell'impresa agricola ha riguardato anche la categoria delle attività agricole per connessione, disciplinate in precedenza dal secondo comma dell'art. 2135 c.c. ed attualmente dal terzo comma di tale disposizione. Precedentemente, infatti, venivano definite come attività agricole connesse le “attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura”; tale definizione, quindi, risultava incentrata sul concetto di “normalità agricola”, concetto che, a propria volta, implicava che potessero essere considerate agricole tutte quelle pratiche che nel tempo si fossero diffuse al punto da assumere le caratteristiche di modalità normalmente utilizzate dagli imprenditori agricoli. Con la nuova formulazione della norma, frutto della riforma del 2001, è stato poi eliminato ogni riferimento al criterio della c.d. normalità agricola a favore di una elencazione di contenuto ampio che ricomprende al suo interno anche attività di mera commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli, sempre che, però, si tratti di prodotti ottenuti, in misura prevalente, proprio attraverso la coltivazione del fondo o gli altri supporti naturali indicati dal sin dal primo comma della disposizione. Inoltre, nella seconda parte la disposizione in esame amplia ulteriormente i confini delle attività connesse, ricomprendendovi anche quelle attività che hanno ad oggetto non già l'utilizzazione di prodotti agricoli, ma della struttura aziendale e delle relative attrezzature normalmente utilizzate nell'attività agricola (principale) esercitata. Infine, nell'ultima parte del terzo comma, si includono nell'ambito delle attività agricole connesse anche le attività di “valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità”, nel cui ambito possono essere incluse anche attività particolarmente diffuse negli ultimi anni come quelle dei cd. agriturismi. Al quadro così delineato dell'impresa agricola come ridefinita dall'art. 2135 c.c., in seguito alla riforma operata dal d.lgs. n. 228/2001, che ha quindi notevolmente ampliato la nozione di attività agricola, va poi affiancata anche un'ulteriore e rilevante innovazione operata con l'articolo 4 del medesimo Decreto Legislativo, che ha dettato un'innovativa disciplina in tema di vendita diretta al dettaglio di prodotti agricoli. In particolare, il citato articolo 4 ha previsto che gli imprenditori agricoli, per tali intendendosi non solo quelli individuali ma anche quelli che esercitano l'impresa agricola in forma associata (e quindi attualmente anche in forma societaria), iscritti al registro delle imprese possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, e quindi anche in maniera, per così dire, “itinerante” i prodotti che provengano in misura prevalente dalle rispettive aziende, ferma restando l'osservanza delle disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità. Sotto il profilo del requisito soggettivo, la norma in questione evidenzia un radicale mutamento rispetto alla disciplina previgente in materia, dettata dalla l. n. 59/1963, che consentiva l'esercizio della vendita diretta ai “produttori agricoli”, identificando questi ultimi con i “proprietari di terreni da essi direttamente condotti o coltivati, i mezzadri, i fittavoli, i coloni, gli enfiteuti e le loro cooperative o consorzi”. Sul punto è evidente che il legislatore del 2001 ha inteso recepire l'evoluzione del concetto di impresa agricola, anche sotto il profilo della modalità di esercizio della relativa attività, inizialmente guardata con diffidenza come risulta indirettamente dal fatto che vi era l'espressa previsione a tal fine soltanto della forma della società semplice, ha progressivamente ceduto il passo al riconoscimento di spazi sempre maggiori per l'esercizio dell'impresa in forma societaria; ciò sia per la facoltà, prevista dall'art. 2249, comma 2 c.c., di esercitare tale attività anche nelle altre forme societarie, ed anche per la stessa evoluzione dell'ambito dell'attività imprenditoriale agricola, ed in particolar modo delle attività agricole connesse, che, come si è visto dall'attuale definizione innanzi richiamata, presentano attualmente delle caratteristiche tali da poter essere più facilmente esercitate in forma societaria o anche attraverso associazioni di tipo consortili tra imprenditori agricoli. Inoltre, sempre in questa prospettiva di forme non meramente individuali di esercizio dell'attività imprenditoriale agricola, va osservato che nella prassi è frequente il ricorso a cooperative e/o consorzi tra imprenditori agricoli con la finalità di trasformare, lavorare e vendere prodotti agricoli; basti pensare alle frequenti ipotesi delle cantine sociali, in cui l'attività agricola di impresa si incentra sulla trasformazione dell'uva fornita dai soci o a quella dei caseifici sociali, in cui analogamente viene svolta una attività di lavorazione e trasformazione del prodotto latte fornito dai soci. È evidente, quindi, che la rivisitazione della disciplina della vendita diretta di prodotti agricoli operata dal d.lgs. n. 228/2001 tiene giustamente in debito conto l'evoluzione del concetto di impresa agricola, in cui sempre più spesso l'esercizio della stessa in forma associata costituisce la regola piuttosto che l'eccezione. Per quanto concerne il concetto di prevalenza cui fa espresso riferimento il citato primo comma, dell'art. 4 del d.lgs. n. 228/2001 nel prevedere che la vendita abbia ad oggetto prodotti che provengano in misura prevalente dalle rispettive aziende, si è affermato che lo stesso va inteso in senso quantitativo: occorre, in pratica, che si effettui un confronto in termini quantitativi tra prodotti ottenuti dall'attività agricola principale e prodotti acquistati da terzi, confronto che però potrà effettuarsi solo se riguarda beni appartenenti allo stesso comparto agronomico; diversamente, qualora vengano in comparazione prodotti riconducibili a comparti diversi, la valutazione sulla prevalenza andrà svolta in termini valoriali, ossia confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall'attività agricola principale e il valore dei prodotti acquistati da terzi (in questi termini la nota di indirizzi ANCI del 25 ottobre 2005 che fornisce indicazioni ai Comuni sull'applicazione dell'art. 4 del d.lgs. n. 228/2001). È evidente che in ogni caso tale previsione consente all'imprenditore agricolo di poter usufruire della semplificazione delle procedure amministrative di cui si evidenzierà da qui a breve anche se questi procede alla commercializzazione di prodotti non provenienti dalla propria attività aziendale, sempre che però questi ultimi non siano prevalenti rispetto a quelli propri oggetto di commercializzazione, e senza che, quindi, in questi casi sia necessario ottenere l'emissione di provvedimenti autorizzatori specifici rispetto a quello che, implicitamente, lo abilita alla vendita diretta. Inoltre, la disciplina in esame accoglie una nozione ampia anche di prodotti agricoli, specificando che essa si applica anche “nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa”, e con ciò ricomprendendo, quindi, un'ampia gamma di prodotti agricoli in linea, per altro, con l'evoluzione del concetto di impresa agricola più volte evidenziata. Vale a dire che ad un iter normativo che ha ampliato la nozione soggettiva di imprenditore agricolo è corrisposto un progressivo ampliamento anche del concetto, di natura oggettiva, di attività agricola e, poi, di prodotto agricolo. Tra le innovazioni operate dalla disciplina in esame la più rilevante è sicuramente quella che ha semplificato la procedura che consente la vendita in forma itinerante: quest'ultima, infatti, è sottoposta esclusivamente all'obbligo di preventiva comunicazione al Comune nel cui territorio ha sede l'azienda agricola; decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, infatti, che deve contenere le “generalità del richiedente, dell'iscrizione nel registro delle imprese e degli estremi di ubicazione dell'azienda”, oltre che la specificazione dei prodotti di cui s'intende praticare la vendita e delle modalità con le quali si intende effettuarla, è possibile procedere alla stessa senza necessità di attendere alcuna risposta da parte dell'amministrazione comunale. Diversamente, qualora l'attività di vendita che si intende esercitare non dovrà essere svolta in forma itinerante ma all'interno di specifiche aree pubbliche o in locali aperti al pubblico, la comunicazione preventiva dovrà essere indirizzata al Sindaco del Comune in cui si intende esercitare la vendita. Inoltre, ulteriore innovazione in materia è stata introdotta dall'articolo 2-quinquies del d.l. n. 2/2006, convertito nella l. n. 81/2006; con tale disposizione, infatti, risolvendo anche un contrasto interpretativo che era sorto in tali ipotesi in ordine alla necessità o meno di procedere alla preventiva comunicazione di inizio attività, si è previsto che in caso di vendita al dettaglio esercitata su superfici all'aperto ma che rientrino nell'ambito dell'azienda agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità (si pensi, ad esempio, alla vendita diretta di prodotti all'interno di un agriturismo o di un'azienda vinicola) non è richiesta la comunicazione di inizio attività (c.d. “C.I.A.”). Altra innovazione introdotta dalla disciplina in esame è rappresentata dall'espressa previsione della possibilità che la vendita di prodotti agricoli avvenga nelle forme del commercio elettronico. Al contempo la disciplina in esame contempla anche dei limiti negativi, prevedendo espressamente che non possono esercitare l'attività di vendita diretta gli imprenditori agricoli che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato, per delitti in materia di igiene e sanità o di frode nella preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all'inizio dell'esercizio dell'attività. Infine, il settimo comma dell'art. 4 riafferma la specialità della disciplina della vendita diretta dei prodotti agricoli rispetto alla normativa sul commercio; con tale disposizione, infatti, si prevede espressamente che tale ultima normativa trovi applicazione, ai sensi dell'ottavo comma dell'articolo 4 in esame, soltanto nell'ipotesi in cui l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalla propria azienda nell'anno solare precedente sia superiore ad € 160.000 per gli imprenditori individuali ovvero a € 4.000.000,00 per le società. Da ciò deriva, quindi, che, ad eccezione di tali ipotesi, all'esercizio della vendita diretta dei prodotti agricoli non si applicano le disposizioni specifiche previste per il commercio quali, tra le altre, quelle disciplinanti i requisiti di accesso all'attività, alla programmazione della rete distributiva nonché al rispetto degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita. L'espressa esclusione delle disposizioni in tema di commercio e, più in generale, i presupposti stessi della disciplina in esame, tesa a regolamentare la vendita diretta di prodotti agricoli in modalità, quindi, peculiari e difformi dal commercio di prodotti mediante il ricorso alla grande distribuzione induce allo stato a ritenere che, anche con riferimento a tale ipotesi, non vi siano spazi per l'applicazione della disciplina speciale a tutela del consumatore e per i rimedi specifici previsti dai citati artt. 129 e 130 del d.lgs. n. 206/2005. Si è osservato, infatti, che si tratta di una disciplina che presuppone l'instaurazione di un rapporto diretto ed immediato tra venditore e acquirente e che, proprio in virtù di ciò, non comporta che si determini quella situazione di asimmetria – contrattuale ed informativa - che caratterizza invece il rapporto tra professionista e consumatore. E ciò senza considerare che, in questi casi, il fatto che la vendita avvenga in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o addirittura anche all'interno della stessa azienda agricola del venditore, rende per l'acquirente possibile conoscere in maniera più agevole le caratteristiche del prodotto venduto (si pensi, ad esempio, ad una preventiva degustazione di vini o di prodotti caseari), il che, quindi, conduce ad escludere che ricorrano le particolare esigenze di tutela che sono alla base della disciplina consumeristica. Diversamente, da altro punto di vista, maggiormente critico, si osserva che l'aver ampliato ulteriormente la possibilità di vendita di prodotti agricoli, semplificandone la relativa disciplina, non può non comportare l'osservanza della disciplina posta a tutela del consumatore, e ciò specialmente riconoscendo la possibilità per il consumatore che si renda conto di aver acquistato prodotti che in realtà non presentano le caratteristiche di quelli esibiti o “provati” di far valere i rimedi di cui all'art. 130 del d.lgs. n. 206/2005, con le conseguenti problematiche, in questo caso derivanti dall'oggettiva difficoltà di riconoscere l'applicazione di alcuni rimedi specifici di tale disciplina come la possibilità di ottenere la sostituzione o la “riparazione” del prodotto non conforme al contratto; o, ancora, di poter azionare quei rimedi che il legislatore pone a favore del consumatore, ed in particolare il recesso come “diritto di pentimento” (art. 52 Cod. Cons.) per il caso di contratti aventi ad oggetto prodotti agricoli conclusi fuori dai locali commerciali (art. 50 Cod. Cons.) oppure a distanza (art. 51 Cod. Cons.), laddove, con ogni evidenza, vi sono maggiori rischi di una ponderazione inadeguata del consumatore nelle scelte negoziali di acquisto oppure di condotte “predatorie” serbate dagli imprenditori agricoli. Profili fiscali L'art. 34 del d.P.R. n. 633/1972 contempla un regime speciale IVA per gli agricoltori, dei quali gli stessi possono sempre beneficiare, ove non esercitino l'opzione per il regime generale IVA. Le peculiarità di tale regime si compendiano in un regime speciale di detrazione dell'Iva, in quanto la stessa non avviene in modo analitico in base all'IVA a pagata ai fornitori ma viene determinata in via forfettaria mediante l'applicazione delle percentuali di compensazione sull'ammontare delle cessioni di prodotti agricoli. Tale regime opera esclusivamente per la cessione di prodotti agricoli ed ittici compresi nella tabella A, parte I allegata al d.P.R. 633/1972. Rientrano nel regime speciale anche la commercializzazione di prodotti agricoli acquistati, da parte di imprese agricole, presso terzi, purché non sia prevalente rispetto alla commercializzazione di prodotti propri. Il regime speciale si applica inoltre: • alla manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione diretta dei propri prodotti; • alla manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti acquisiti da terzi, a condizione che sia rispettato il principio della prevalenza, e cioè che l'ammontare di questi ultimi prodotti non sia superiore a quelli provenienti dal proprio fondo. Sotto il profilo soggettivo sono ammessi al regime speciale i produttori agricoli in senso stretto, ossia i soggetti che esercitano individualmente o in forma associata le attività agricole previste dall'art. 2135 c.c. e quelli che esercitano attività di pesca in acque dolci, di piscicoltura, di mitilicoltura, di ostricoltura e di coltura di altri molluschi e crostacei, nonché di allevamento di rane a prescindere dal volume d'affari realizzato nell'anno solare precedente; - gli organismi agricoli di intervento, o altri soggetti per loro conto, che effettuano cessioni di prodotti in applicazione di regolamenti della Unione europea concernenti l'organizzazione comune dei mercati dei prodotti stessi; - le cooperative e loro consorzi di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 228/2001; le associazioni e loro unioni costituite e riconosciute ai sensi della legislazione vigente, che effettuano cessioni di beni prodotti prevalentemente dai soci, associati o partecipanti, nello stato originario o previa manipolazione o trasformazione, nonché gli enti che provvedono per legge, anche previa manipolazione o trasformazione, alla vendita collettiva per conto dei produttori soci. Occorre ricordare, per altro verso, che sono esonerati dall'IVA gli imprenditori agricoli aventi un volume d'affari inferiore all'importo di € 7.000,00. |