Contratto di comodato di bene immobile per destinazione a “casa familiare”InquadramentoCostituisce un'operazione negoziale molto ricorrente nella prassi quella di concludere un contratto di comodato di bene immobile affinché questo venga destinato a casa familiare. Attraverso questa particolare forma di comodato un soggetto, il comodante, che ha la disponibilità di un cespite immobiliare, lo concede in godimento ad un altro soggetto, il comodatario (cui solitamente è legato da un rapporto di parentela), affinché questo instauri in esso la vita propria e del suo nucleo familiare. Pertanto il comodato di bene immobile adibito a casa familiare si caratterizza per il fatto che al bene immobile viene impressa una determinata destinazione, appunto familiare, come tale in grado di soddisfare interessi di valore costituzionale quali la tutela dei figli (art. 30 Cost.) e della famiglia (art. 31 Cost.). Tuttavia intorno a quest'istituto sono sorte alcune problematiche che hanno agitato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, ovvero quello della natura giuridica del comodato con destinazione a familiare e quello dei suoi rapporti con il provvedimento giurisdizionale di assegnazione della casa familiare in caso di crisi coniugale. Di seguito ci si soffermerà su queste particolari questioni. Formula
COMODATO D'USO GRATUITO DI BENE IMMOBILE Con il presente contratto, il/la Sig./Sig.ra/la società ...., nato/a/iscritta nel R.I. il .... a .... e residente/con sede legale in ...., alla ...., Codice Fiscale/P.IVA .... (di seguito Comodante) E Il/la Sig./Sig.ra/la società ...., nato/a/iscritta nel R.I. il .... a .... e residente/con sede legale in ...., alla ...., C.F./P.IVA .... (di seguito Comodatario) convengono e stipulano quanto segue: PREMESSO - che il Comodante è proprietario di un immobile sito in .... ( ....) alla ...., composto da .... vani; dati catastali: C.C. di ....,p.lla. ...., sub .... cat. catastale ...., rendita catastale .... - che il Comodante intende mettere a disposizione del Comodatario tale immobile affinché lo usi a titolo gratuito quale abitazione per sé e per la sua famiglia; - che il Comodatario lo prende in consegna alle seguenti condizioni: tutto ciò premesso è da considerarsi parte integrante e sostanziale del presente atto; ART. 1. DURATA 1.1 Il rapporto di comodato avrà durata indeterminata, con inizio dal .... fino a quando il Comodante e la sua famiglia se ne serviranno per l'uso ad abitazione familiare 1 . 1.2 Il Comodante potrà richiedere la restituzione del bene immobile prima della scadenza del termine di cui sopra o prima che il Comodatario abbia cessati di servirsene per tale uso, qualora sopraggiunga un suo urgente ed impreveduto bisogno. ART. 2. OBBLIGHI DEL COMODANTE 2.1 Il Comodante sarà tenuto a rimborsare al Comodatario le spese straordinarie da questi sostenute per la conservazione dell'immobile soltanto se necessarie ed urgenti, ovvero se autorizzate. 2.2 Il Comodante è tenuto a risarcire al Comodatario i danni derivanti dai vizi dell'immobile di cui non abbia fornito avvertimento.
Il Comodante è esonerato espressamente dal Comodatario da ogni responsabilità per i danni diretti o indiretti che potessero derivagli dal fatto od omissioni di terzi.
ART. 3. OBBLIGHI DEL COMODATARIO 3.1 Il Comodatario non dovrà corrispondere al Comodante alcun corrispettivo per il godimento e l'uso del bene immobile. 3.2 Il Comodatario è tenuto a custodire il bene immobile con la diligenza del buon padre di famiglia. 3.3 È fatto divieto al Comodatario di servirsi del bene immobile per un uso diverso da quello determinato dal contratto o dalla natura del bene. 3.4 È fatto divieto al Comodatario di concedere il bene immobile in godimento a terzi senza il consenso del Comodante. 3.5 Il Comodatario sarà tenuto a restituire il bene immobile alla scadenza del termine di durata pattuito, salvo che intervenga un sopravvenuto ed impreveduto bisogno del Comodante. 3.6 Il Comodatario sarà tenuto a sopportare le spese ordinarie sostenute per servirsi del bene immobile. 3.7 Il Comodatario sarà tenuto a sopportare le spese straordinarie sostenute per la conservazione del bene immobile, qualora non siano necessarie ed urgenti. ART. 4. SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO 4.1 La variazione o il mutamento, anche parziale, della destinazione, come pure la concessione a terzi - a qualsiasi titolo - del godimento dell'immobile, determineranno automaticamente “ipso jure” la risoluzione del contratto. In ogni caso il Comodatario risponderà dei danni cagionati al comodante in conseguenza della violazione della presente clausola ai sensi degli artt. 1804 e 1805 c.c. 4.2 L'eventuale separazione e/o divorzio tra il Comodatario e l'altro coniuge assegnatario del bene immobile cui siano affidati i figli minorenni e/o maggiorenni portatori di handicap o economicamente autosufficienti non determinerà per ciò solo lo scioglimento del presente contratto 2 . ART. 5. MORTE DEL COMODATARIO In caso di morte del Comodatario il Comodante, ancorché sia stato convenuto un termine, potrà esigere dagli eredi l'immediata restituzione del bene immobile. ART. 6. DISCIPLINA DEL CONTRATTO Per tutto quanto non espressamente previsto dal presente contratto si rinvia alle norme del Codice Civile. ART. 7. STATO DELL'IMMOBILE - MIGLIORAMENTI 7.1 Il Comodatario dichiara di aver visitato l'immobile e di averlo trovato in buono stato di manutenzione, esente da vizi e difetti che ne diminuiscano il godimento e si obbliga a restituirlo al termine del rapporto nello stesso stato, salvo il normale deperimento d'uso dovuto alla vetustà. 7.2 Ogni aggiunta che non possa essere tolta senza danneggiare i locali ed ogni altra innovazione fatta dal comodatario, se non diversamente stabilito per iscritto, resterà a favore del Comodante al termine del rapporto, senza alcun compenso se non autorizzata. Nel caso in cui l'immobile venga restituito in condizioni diverse da quelle convenute, le spese per il ripristino saranno poste a carico del Comodatario. 8. FORO COMPETENTE. Nel caso di controversia sulla interpretazione ed esecuzione del presente contratto, le parti determinato la competenza del foro ove è sito l'immobile.
Nel caso di controversia sulla interpretazione ed esecuzione del presente contratto, le parti determinano la competenza del foro di .....
9. OBBLIGHI FISCALI Sono a carico del Comodatario l'imposta di bollo per il contratto e l'imposta di registro. Luogo e data .... Il Comodante .... Il Comodatario ....
[1] Sul punto le Sezioni Unite Civili hanno chiarito a più riprese (nel 2004 e nel 2014) che la destinazione d'uso ad abitazione familiare determina la natura di “comodato a termine” ai sensi dell'art. 1809, comma 1 c.c., poiché il termine finale, ancorché non espressamente pattuito, è comunque desumibile “per relationem” dalla destinazione impressa all'immobile.
[2] La clausola in oggetto, che ha natura facoltativa, può rivelarsi particolarmente opportuna nella prassi negoziale per eliminare in radice ogni possibile dubbio o controversia in ordine alla natura di comodato “a termine” del contratto che le parti hanno inteso concludere. CommentoPremessa: il comodato di bene immobile con destinazione familiare Sempre più di frequente nella vita di tutti i giorni vengono conclusi contratti di comodato aventi ad oggetto beni immobili per destinazione c.d. “familiare”. Vale a dire che un soggetto, il comodante, che ha la disponibilità materiale e giuridica di un immobile, lo concede in godimento ad un soggetto, cui normalmente è legato da rapporti di parentela, affinché questi se ne serva e lo utilizzi quale sede della sua vita e del suo nucleo familiare. La diffusione del comodato di immobile con destinazione familiare si deve al fatto che attraverso questo schema negoziale è possibile per i genitori concedere ai figli gratuitamente il godimento di un immobile nel quale instaurare e sviluppare la loro vita familiare; ciò senza dover sopportare i costi connessi all'acquisto di un immobile da intestare ai figli e, ancora, permettendo ai figli stessi di godere a titolo gratuito di un bene immobile su cui instaurare la loro vita familiare. Infatti la natura gratuita del comodato fa sì che il comodatario, ovvero i figli, possano godere di un immobile su cui instaurare la loro vita familiare senza dover sopportare alcun costo (se non quelli legati alle spese ordinarie di cui all'art. 1808, comma 1 c.c.), in particolare quello particolarmente ingente legato all'acquisto di cespiti immobiliari. Il successo di questa peculiare figura di comodato di bene immobile ha comportato l'insorgere di una serie di questioni, tra cui si registrano in particolare quella relativa ai rapporti tra il provvedimento giurisdizionale di assegnazione della casa familiare in caso di crisi coniugale ed il comodato pregresso, nonché della natura, a termine o precaria, di tale tipologia di comodato. I rapporti tra l'assegnazione della casa familiare e il contratto di comodato. L'assegnazione della casa familiare rientra tra i provvedimenti che il giudice può adottare in sede di separazione e/o divorzio ai sensi degli artt. 337-sexies c.c. e 6, comma 6 l. n. 898/1970. Secondo la previsione normativa la casa familiare, da intendersi sia come bene immobile (comprensivo degli arredi e della mobilia) in cui il nucleo familiare ha trascorso la propria esistenza, sia quale habitat domestico, ovvero come luogo di incontro di affetti, interessi ed abitudini in cui si è manifestata la vita familiare, dev'essere assegnata preferibilmente al coniuge cui sono affidati i figli minori, ovvero quello con cui convivono prevalentemente i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti. L'assegnazione in via giudiziale della casa familiare avviene nella c.d. fase patologica della vita familiare e s'inserisce nel più ampio contesto dei provvedimenti che il giudice adotta nell'interesse dei coniugi e della prole. Oltre che frutto del provvedimento giudiziale, l'assegnazione della casa familiare può anche essere prevista direttamente dai coniugi, nell'ambito dei più ampi accordi raggiunti in sede di separazione o divorzio. Sebbene gli artt. 337-sexies del codice civile e 6, comma 6, della legge sul divorzio (l. n. 898/1970) parlino di assegnazione della casa familiare, il contenuto di tale provvedimento si traduce nel diritto a continuare a vivere nell'abitazione coniugale. Risulta controversa la natura giuridica del diritto scaturente dal provvedimento giudiziale di assegnazione: sul punto si dividono il campo due orientamenti. Secondo l'opinione maggioritaria si tratterebbe di un diritto personale di godimento; ciò per l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 337-sexies c.c., che parla di “diritto al godimento della casa familiare”. Questa tesi si fonda anche sul richiamo all'art. 1599 c.c. relativo all'opponibilità del contratto di locazione a terzi acquirenti dell'immobile locato, contenuto negli artt. 337-sexies c.c. e 6, comma 6 l. n. 898/70, nonché sul principio di tipicità o del “numerus clausus” dei diritti reali, che non ammette la creazione di nuovi “iura in re aliena” se non ad opera della legge, che deve prevederli espressamente. Senza trascurare poi che il provvedimento giudiziale di assegnazione può avere ad oggetto anche un bene immobile concesso in comodato (o in locazione) ad uno dei coniugi, il che esclude radicalmente che un provvedimento giudiziale possa trasformare un diritto di natura personale in diritto di natura reale, attribuendo all'assegnatario un diritto poziore rispetto a quello derivante dal titolo preesistente. Secondo la dottrina minoritaria, invece, si tratterebbe di un diritto reale di godimento per certi versi riconducibile a quello di abitazione disciplinato dall'art. 1022 c.c. Il principale argomento a sostegno di questa tesi è rappresentato dalla trascrivibilità ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione, caratteristica propria dei diritti reali. L'opposta tesi maggioritaria ritiene quest'argomento non decisivo, poiché nell'elencazione tassativa degli atti soggetti a trascrizione di cui all'art. 2643 c.c. sono previsti anche diritti personali di godimento quale, ad esempio, quello derivante da contratto di locazione ultranovennale. La finalità dell'assegnazione della casa familiare è quella di consentire al figlio minore (o al maggiorenne economicamente non autosufficiente) di continuare a vivere nell'ambiente in cui è cresciuto, inteso proprio nel duplice significato innanzi evidenziato di luogo fisico e di habitat domestico. La conseguenza più significativa di tale funzione è che l'assegnazione della casa familiare non può essere disposta dal giudice a favore del coniuge cui non siano affidati i figli minori (o con cui non convivano i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti), così come non può, più in generale, essere disposta quando dal matrimonio non siano nati figli, ovvero laddove questi vi siano, ma siano maggiorenni ed economicamente autosufficienti. Questa soluzione è la conclusione di un acceso dibattito che per anni ha impegnato la dottrina e la giurisprudenza circa la funzione dell'assegnazione della casa familiare. Secondo un primo orientamento, condiviso dalla giurisprudenza a Sezioni Unite con la pronuncia n. 11297 del 1995, la funzione dell'assegnazione è assistenziale (analogamente all'assegno di mantenimento), con specifico riguardo all'interesse della prole. La “ratio” dell'orientamento è chiara: il potere del giudice di procedere all'assegnazione della casa familiare, proprio poiché determina l'insorgere di un diritto di godimento su un bene immobile anche in capo al coniuge che non abbia alcun diritto (reale o personale) sullo stesso, ha natura eccezionale e si giustifica solo nell'ottica della salvaguardia del superiore interesse dei figli, costituzionalmente tutelato dall'art. 30 della Costituzione. Secondo un orientamento minoritario, l'assegnazione della casa familiare potrebbe invece essere disposta anche in mancanza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, allo scopo di tutelare il coniuge che non abbia redditi propri o adeguati a consentirgli la conservazione di un tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio. In ogni caso non è escluso, come prevede l'art. 337-sexies c.c., che dell'assegnazione della casa familiare il giudice debba tenere conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi che si stanno separando o divorziando. Infatti non vi è dubbio che il godimento della casa familiare costituisca un valore economico, normalmente quantificabile nella misura del canone che potrebbe ricavarsi dalla locazione dell'immobile, di cui il giudice non può non tenere conto sia nel determinare l'importo dell'assegno dovuto da uno dei coniugi, sia nell'ambito della più ampia regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi. Relativamente al problema dei rapporti tra il titolo preesistente al provvedimento di assegnazione ed il provvedimento stesso, di particolare rilievo è la disciplina dell'ipotesi in cui la casa familiare sia stata concessa ad uno dei coniugi in comodato da un terzo, come nel caso in cui i genitori di uno dei coniugi all'atto del matrimonio concedano in uso agli stessi un immobile di loro proprietà. In questo caso, analogamente a quanto previsto per l'ipotesi in cui la casa familiare sia stata concessa in locazione ad uno dei coniugi, in conseguenza dell'assegnazione il coniuge assegnatario subentrerà nel contratto di comodato e, dunque, nella posizione di comodatario. La controversa natura giuridica del comodato di bene immobile con destinazione a casa familiare In giurisprudenza si è posto il problema di quale sia la natura giuridica del comodato in cui uno dei coniugi ottenga da un terzo (di regola uno dei genitori) un immobile in godimento senza la previa puntuale indicazione di un termine finale di scadenza del contratto, bensì con il semplice scopo di destinarlo “a casa familiare”. La questione si è posta perché accade spesso che dopo che il comodatario ha instaurato la vita familiare sua e del suo nucleo nell'immobile prestatogli, si verifica una situazione di crisi coniugale e, in sede di separazione o divorzio, la casa familiare venga poi destinata all'altro coniuge, non comodatario. In questo caso accade di frequente che il comodante richieda l'immediata restituzione dell'immobile al comodatario o all'assegnatario dello stesso. Con maggiore impegno esplicativo, il problema che si è posto in giurisprudenza è quello di capire come qualificare il comodato con destinazione a casa familiare, cioè se come comodato c.d. “a termine” oppure c.d. “precario”. Questo problema non ha natura meramente teorica, scaturendo dalla sua soluzione importanti riflessi pratici: così, nel caso in cui tale comodato venga inquadrato come “a termine” si applicherà la disciplina di cui all'art. 1809 c.c., per cui il comodante non potrà chiedere la restituzione dell'immobile al comodatario-assegnatario in caso di crisi coniugale, dal momento che il termine finale, non determinato espressamente ma legato alla destinazione impressa al bene quale casa familiare, impedisce al comodante di determinarne l'estinzione prima della sua scadenza, salva l'ipotesi in cui sopravvenga un suo urgente ed impreveduto bisogno. Qualora, invece, si ritenga il comodato di bene immobile adibito a casa familiare quale comodato “precario” il comodante potrà chiedere in qualsiasi momento al comodatario la restituzione dell'immobile, senza incontrare limiti di sorta. Per lungo tempo la giurisprudenza prevalente ha qualificato questa fattispecie negoziale come comodato “precario”, dunque soggetto alla disciplina di cui all'art. 1810 c.c., riconoscendo in tal modo al comodante il diritto potestativo di chiedere la restituzione “ad nutum” dell'immobile al comodatario. L'argomentazione fondamentale posta alla base di quest'orientamento risiede nel fatto che il comodato di bene immobile con destinazione a casa familiare non prevede un termine finale di scadenza del contratto, né tantomeno un siffatto termine sarebbe stato desumibile dalla destinazione d'uso del bene stesso. Tale ricostruzione ermeneutica ed il numero sempre crescente delle crisi coniugali ha comportato un utilizzo sempre più frequente di tale contratto, perché attraverso esso il coniuge comodatario ed i suoi familiari (tra cui il comodante) possono recuperare la disponibilità dell'immobile in caso di crisi matrimoniale e di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge. Di conseguenza i genitori, piuttosto che trasferire il cespite immobiliare in proprietà al figlio (oppure acquistarlo per poi intestarglielo), preferivano dunque darglielo a titolo di comodato con destinazione familiare, assicurandosi così, per il caso di sviluppo patologico del matrimonio del comodatario, la pronta ed immediata restituzione dello stesso. Tuttavia quest'orientamento risultava oltremodo favorevole al comodante, che vedeva la sua posizione tutelata a scapito del comodatario, del suo nucleo familiare e delle sue esigenze, che rischiavano di vedersi privati della loro abitazione in base ad una mera scelta unilaterale del comodante, senza poter opporre o eccepire alcunché. Per un'altra ricostruzione giurisprudenziale, invece, il comodato di bene immobile con destinazione familiare sarebbe un comodato c.d. “a termine”, perché il termine, ancorché non pattuito espressamente dalle parti, sarebbe pur sempre desumibile dalla particolare destinazione d'uso del bene, ovvero quello di luogo ove instaurare e proseguire la vita del comodatario e del suo nucleo familiare. Pertanto in questo caso il comodante non poteva chiedere semplicemente la restituzione dell'immobile al comodatario per il caso di crisi coniugale tra questo e l'altro coniuge eventualmente assegnatario del cespite, bensì attendere che il bene avesse adempiuto alla propria destinazione, cessando di essere la casa familiare, quale luogo fisico ed habitat degli affetti familiari. A causa dell'insorgenza del contrasto giurisprudenziale sulla natura giuridica del comodato di bene immobile con destinazione a casa familiare, le Sezioni Unite Civili furono chiamate a dirimere ogni dubbio con la sentenza n. 13063/2004. La Cassazione a Sezioni Unite, facendo proprio l'orientamento fino a quel momento prevalente, stabilirono che nel caso in cui la casa sia stata concessa in comodato in occasione del matrimonio, e quindi nella prospettiva di soddisfare le esigenze abitative della famiglia, deve ritenersi che si sia in presenza di un comodato “a termine”, con la conseguenza che il diritto del comodante di esigere la restituzione dell'immobile sorge soltanto alla scadenza del termine, e può essere esercitato anticipatamente solo qualora egli dimostri la sopravvenienza di un suo bisogno urgente ed imprevisto. Più specificamente, qualora il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare già formato o in via di formazione, ad esempio da parte del genitore di uno dei coniugi, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare, ma pur sempre dall'esistenza di una specifica destinazione nell'uso dell'immobile: infatti in questo caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime al bene un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all'uso (cui la cosa deve essere destinata) il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà del comodante “ad nutum”. Ad ogni modo il comodante potrà chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno imprevedibile ed urgente ai sensi dell'art. 1809, comma 2 c.c., fornendo la prova in concreto della sussistenza di un siffatto bisogno. Questa soluzione, evidentemente ispirata alla logica di rafforzare la protezione del coniuge assegnatario dell'immobile adibito a casa familiare e della prole con egli convivente, risultò apprezzabile in quanto limitava decisioni unilaterali ed arbitrarie del comodante che potessero incidere in modo negativo sulle dinamiche familiari, già deteriorate dall'avvenuta crisi coniugale. Tuttavia questa ricostruzione ha mostrato anche delle criticità, dal momento che si è osservato che sacrificherebbe oltremodo la posizione del comodante ed il suo interesse alla restituzione dell'immobile dato in godimento, in tal modo finendo per scoraggiare la conclusione dei comodati di beni immobili con destinazione familiare e, dunque, la creazione stessa di nuovi nuclei familiari. In ordine alla natura del comodato di bene immobile a casa familiare così come individuata dalle Sezioni Unite Civili nel 2004 è sorto così un nuovo dibattito. Secondo un primo filone ermeneutico, infatti, il principio dettato dalle Sezioni Unite andrebbe inteso nel senso che il comodato di immobile con destinazione a casa familiare ha sempre natura giuridica di comodato c.d. “a termine”, con conseguente applicabilità della relativa disciplina. Per un'altra ricostruzione ermeneutica di segno opposto (Cass. III, n. 15986/2010), invece, la soluzione accolta dalle Sezioni Unite nel 2004 avrebbe dovuto essere superata, in quanto oltremodo penalizzante per il comodante e, dunque, per il ricorso stesso all'operazione negoziale del comodato di bene immobile con destinazione a casa familiare, oltre a dare vita ad una sorta di espropriazione delle facoltà del comodante senza obbligo di corresponsione dell'indennizzo a vantaggio del coniuge non comodatario, ma assegnatario dell'immobile, e senza neanche distinguere a seconda che il proprietario sia genitore del beneficiario o un terzo estraneo. Infatti la posizione dei terzi non legati da rapporti di parentela con il comodatario è ben diversa da quella del comodante che sia un parente del comodatario, poiché i terzi, a differenza del coniuge proprietario che è tenuto a rispettare la solidarietà post-coniugale, non dovrebbero essere costretti a subire una situazione dalla durata indefinita. Pertanto in questo caso non si è in presenza di un comodato “a termine” (ovvero di un comodato a tempo indeterminabile a priori ma vincolato ad una specifica finalità), ma di un comodato precario o senza determinazione di durata, con la conseguenza che la relativa disciplina della restituzione risulterebbe regolata dall'articolo 1810 c.c. ed il comodante potrebbe chiederne in qualsiasi momento la restituzione senza dover dimostrare la ricorrenza di ulteriori specifici presupposti quali quelli richiesti dall'art. 1809 c.c. Per un diverso orientamento, mediano (cfr. Cass. I, n. 9253/2005), non sarebbe invece possibile qualificare a priori il comodato con il quale viene concessa in godimento la casa destinata ad abitazione del nucleo familiare quale comodato a termine (sia pure indeterminabile a priori), con conseguente limitazione del diritto alla restituzione da parte del comodante. Occorre, infatti, valutare caso per caso ed in concreto sia la situazione del nucleo familiare, sia i rapporti tra il comodante ed il comodatario. E così, a titolo esemplificativo, è stata affermata la prevalenza del diritto del comodante alla restituzione in una fattispecie in cui la coppia separata non aveva figli e la moglie non proprietaria intendeva ottenere l'assegnazione della casa familiare, e ciò proprio facendo leva sulla finalità dell'assegnazione della casa familiare di salvaguardare esclusivamente il superiore interesse morale e materiale della prole, che nel caso di specie mancava. In base a questo criterio in un'altra pronuncia (Cass. III, n. 15986/2010) si è affermato il diritto del comodante alla restituzione immediata dell'immobile destinato a casa familiare in conseguenza dell'assenza di un vincolo di parentela tra comodante e figli del comodatario, nel senso di fare escludere che le parti avessero inteso sottoporre il diritto alla restituzione dell'immobile ad un termine implicito coincidente con il venir meno della destinazione a casa familiare. In pratica, alla luce di questo orientamento intermedio, ciò che rileva è la ricorrenza di alcuni presupposti che possono indurre a far ritenere che le parti abbiano inteso imprimere una particolare destinazione all'attribuzione del bene in comodato, quale, in particolare, la sussistenza di un rapporto di parentela genitori-figli tra comodante e comodatario. Per queste ragioni la Terza Sezione della Cassazione Civile con ordinanza n. 15113/2013 ha rimesso alle Sezioni Unite questione relativa alla disciplina da applicare in caso di rapporti tra assegnazione giudiziale della casa familiare e comodato precedentemente concluso. La Sezione rimettente propendeva per la soluzione di attribuire al comodante il potere di domandare la restituzione “ad nutum” dell'immobile in caso di fallimento dell'unione familiare, dando però al comodatario un termine congruo per cercare un nuovo alloggio. Ciò onde evitare che il bisogno della famiglia finisca per annullare del tutto il diritto del proprietario della casa che è in ogni caso un soggetto terzo rispetto al rapporto di coniugio. A seguito della rimessione di cui sopra sono quindi intervenute nuovamente le Sezioni Unite della Cassazione Civile con la sentenza n. 20448/2014. Le Sezioni Unite hanno ritenuto necessario effettuare una precisazione circa l'individuazione della natura giuridica del comodato di immobile con destinazione a casa familiare. Come noto, infatti, il codice civile disciplina due forme di comodato, quello di cui all'articolo 1809 c.c., detto “a termine” e quello detto “precario”, regolato dall'art. 1810 c.c., rubricato “comodato senza determinazione di durata”; soltanto in quest'ultima ipotesi ipotesi manca la pattuizione delle parti che individua il termine finale di durata, ed è solo in questo caso che risulta impossibile determinare il termine anche “per relationem” dall'uso cui la cosa deve essere destinata. Secondo le Sezioni Unite il comodato di immobile concluso per realizzare le esigenze abitative della famiglia del comodatario va inquadrato nella disciplina dettata dall'art. 1809 c.c., per cui il comodante può esigere la restituzione immediata ed anticipata del bene immobile soltanto laddove dimostri che è sopraggiunto un suo impreveduto ed urgente bisogno. Pertanto, le Sezioni Unite hanno chiarito quanto affermato in modo “equivoco” dalle Sezioni Unite nel 2004 allorquando qualificarono il comodato di immobile destinato a casa familiare quale “comodato senza termine”: in questa fattispecie, infatti, viene impressa sul bene una destinazione determinata (quella appunto di casa familiare) e per un tempo che, ancorché non determinato espressamente, risulta comunque determinabile “per relationem”. Il termine finale di scadenza può essere infatti individuato dalla destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall'insorgere della crisi familiare. Le Sezioni Unite del 2014 hanno dunque confermato, sia pure eliminando alcune incertezze, la soluzione già accolta dalle Sezioni Unite nel 2004: il comodato di immobile con destinazione a casa familiare è di regola un comodato “a termine”, come tale soggetto alla disciplina di cui all'art. 1809 c.c. Ciò anche tenuto conto che la natura di comodato con un termine finale individuato in base alla destinazione d'uso del bene a casa familiare si salda meglio con le esigenze abitative del nucleo familiare che questa operazione negoziale è diretta a realizzare e che, dunque, appaiono incompatibili con un comodato “precario”, in cui cioè il comodante ha il potere unilaterale di chiedere in qualsiasi momento la restituzione dell'immobile. Tuttavia le Sezioni Unite hanno apportato dei correttivi al precedente orientamento, stabilendo che i rischi connessi alla natura “a termine” del comodato in oggetto possono essere evitati attraverso una accorta valutazione casistica ed in concreto della reale causa del contratto. Con maggiore impegno esplicativo, per le Sezioni Unite l'interprete è chiamato a valutare in base a tutte le circostanze del caso concreto se le parti abbiano inteso concludere un comodato con termine finale (sia pure desumibile implicitamente) oppure “precario”: in particolare, proseguono le Sezioni Unite, occorre scrutinare con rigore le condizioni personali e sociali delle parti, la natura dei loro rapporti e degli interessi perseguiti. Ciò significa che spetterà al comodatario o al coniuge separato o divorziato con cui convive la prole minorenne o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, che si opponga alla richiesta di rilascio, l'onere di provare l'esistenza di un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata e non di un mero comodato “precario”. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite si ispira dunque alla teorica della causa in concreto ormai pacificamente recepita dalla giurisprudenza italiana, per cui il giudice dovrà accertare se le parti hanno inteso concludere un comodato perché l'immobile prestato al comodatario realizzasse le esigenze abitative del suo nucleo familiare oppure un comodato “precario”, come tale suscettibile di essere estinto in qualsiasi momento dal comodante con la sua semplice richiesta di restituzione. Così, ad esempio, laddove il comodante non abbia alcun rapporto di parentela col comodatario è probabile che le parti abbiano voluto concludere un comodato c.d. “precario”, mentre qualora il comodante sia un parente del comodatario – ad esempio il genitore – è altamente probabile che i contraenti abbiano inteso stipulare un comodato c.d. “a termine”. Quest'ultima soluzione si salda poi meglio con la logica continuativa e duratura della destinazione a casa familiare di un immobile, che realizza interessi di rilevanza costituzionale come quello alla solidarietà (art. 2 Cost.), alla tutela dei figli (art. 30 Cost.) e della famiglia (art. 31 Cost.). Tuttavia le Sezioni Unite hanno individuato un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze del comodante e del nucleo familiare nel potere del comodante previsto dall'art. 1809, comma 2 c.c., di chiedere comunque la restituzione dell'immobile adibito a casa familiare fornendo la prova di aver un bisogno sopravvenuto rispetto alla conclusione del contratto, impreveduto ed urgente. Il bisogno deve essere serio – non potendosi di contro trattare di un mero capriccio -, dovendosi cioè trattare di un'esigenza che giustifichi oggettivamente la restituzione, atteggiandosi alla stregua di una vera e propria necessità (ad es. per comprovate difficoltà economiche del comodante oppure in presenza di sue esigenze abitative). Le Sezioni Unite hanno però evidenziato che nella prospettiva di rispettare il principio di proporzionalità che governa gli interessi coinvolti, ovvero i valori della persona, ed in particolare le esigenze di tutela della prole connesse alla destinazione ad uso familiare della casa, il giudice di merito ha l'obbligo di vagliare in modo attento e rigoroso gli elementi che emergono in concreto. La giurisprudenza successiva si è conformata al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite Civili nel 2004. In tal senso la Terza Sezione della Cassazione Civile con la sentenza n. 3553/2017 ha ribadito che se l'immobile concesso in comodato è destinato ad abitazione familiare il comodato va qualificato come “a termine” ai sensi dell'art. 1809 e c.c., con la conseguenza che il comodante può esigerne la restituzione immediata, solo se sopravviene un urgente ed impreveduto bisogno. Quanto alla natura della difesa processuale con cui la parte invoca che il comodato oggetto di controversia è destinato ad abitazione familiare, la giurisprudenza di legittimità (Cass., III, n. 30315/2019) ha chiarito che l'eccezione con cui si allega che il comodato è a tempo determinato per esigenze della famiglia costituisce un'eccezione in senso stretto, come tale non rilevabile d'ufficio e soggetta alle preclusioni di cui all'art. 167 c.p.c. Essa, infatti, è volta a far valere un diritto che, in teoria, potrebbe essere azionato in via autonoma; di conseguenza - secondo la nota distinzione – rappresenta un'eccezione che si fonda su un diritto potestativo, e dunque una eccezione in senso stretto. Profili fiscali Il contratto di comodato immobiliare deve essere registrato entro venti giorni dalla stipula, se redatto in forma scritta. In tale ipotesi la registrazione sconta il pagamento di un'imposta in misura fissa di € 200,00 posta a carico delle parti in solido. Se invece il contratto non è stipulato in forma scritta dovrà essere assolta l'imposta solo se l'atto è enunciato in altro atto soggetto a registrazione (ad esempio, una sentenza o, nella fattispecie in esame, nel provvedimento di assegnazione della casa familiare). |