Previsione di varianti nel contratto d'appaltoInquadramentoIl d.lgs. n. 56/2017 ha introdotto, al comma 2 dell'art. 106 del Codice dei contratti pubblici, una significativa novità in tema di varianti: la possibilità, per l'ente appaltante, di adottare una “variante” in corso d'opera e ciò a prescindere dalla circostanza che quest'ultima sia stata o meno determinata da una circostanza “sopravvenuta”, “imprevista ed imprevedibile” al momento dell'affidamento del contratto. Come è noto, nel nostro ordinamento la possibilità di introdurre una variante in corso d'opera è stata sempre ritenuta ammissibile solo in presenza di circostanze “sopravvenute”, impreviste ed imprevedibili al momento dell'affidamento. In tal senso, il comma 1 lett. c), del medesimo art. 106 – in linea con quanto previsto dal previgente art. 132 del d.lgs. n. 163/2006 e, prima ancora, dall'art. 25 della l. n. 109/1994, recante la legge quadro sui lavori pubblici – prevede che la variante in corso d'opera può essere determinata solo da circostanze “impreviste ed imprevedibili” al momento dell'affidamento (tra di esse, ad esempio, la sopravvenienza di disposizioni legislative o regolamentari o di provvedimenti delle autorità preposte alla tutela di interessi rilevanti). In virtù di quanto previsto dal decreto correttivo del 2017, ora è possibile adottare una variante in corso d'opera anche in assenza degli anzidetti presupposti. Ciò, tuttavia, a condizione che il valore della variante sia al di sotto di entrambi i seguenti valori: 1. le soglie fissate all'articolo 35 (ossia, quelle di rilevanza comunitaria); 2. il 10% del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture, ovvero il 15% del valore iniziale per i contratti di lavori. La stessa norma poi, in relazione alla medesima tipologia di varianti, pone ulteriori limiti “quantitativi” alle successive varianti. In tali casi, il valore è accertato sulla base del valore “complessivo netto delle successive modifiche”. FormulaClausola disciplinante varianti in un contratto di appalto di opere pubbliche Art. ... - Quinto d'obbligo e Varianti L'Autorità, qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo del presente contratto, può imporre all'Appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni del medesimo. In tal caso l'Appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Le modifiche e le varianti sono regolate dall'art. 106 del Codice. L'Appaltatore espressamente accetta di eseguire tutte le variazioni di carattere non sostanziale che siano ritenute opportune dall'Autorità, purché non mutino sostanzialmente la natura delle attività oggetto del contratto e non comportino a carico dell'esecutore maggiori oneri. Nessuna variazione o modifica al contratto potrà essere introdotta dall'Appaltatore se non sia stata approvata dall'Autorità. Qualora siano state effettuate variazioni o modifiche contrattuali, esse non daranno titolo a pagamenti o rimborsi di sorta e comporteranno, da parte dell'Appaltatore, la rimessa in pristino della situazione preesistente. Clausola disciplinante varianti in un contratto di appalto di opere private Art. ... - Variazioni proposte dall'appaltatore e concordate L'appaltatore non può apportare variazioni a quanto previsto nell'Allegato ... né alle modalità di esecuzione dell'opera, salvo preventiva autorizzazione scritta del committente o del suo rappresentante e, per quanto di competenza, del coordinatore della sicurezza in fase esecutiva. Se il prezzo dell'intera opera è stato determinato globalmente, l'appaltatore non ha diritto a compenso per i maggiori lavori eseguiti, salvo diverso accordo scritto tra le parti. Art. ... - Variazioni ordinate dal committente Il committente ha il diritto di apportare variazioni a quanto previsto nell'Allegato ... ed alle modalità di esecuzione dell'opera attraverso una specifica variante scritta da comunicare con congruo anticipo all'appaltatore e, per quanto di competenza, al coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, purché il loro ammontare non superi un sesto del prezzo complessivo convenuto e, comunque, purché le stesse non determinino notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel presente contratto. L'appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori preventivamente concordati con il committente per iscritto, anche se il prezzo dell'opera era stato determinato globalmente. I patti così definiti, che devono comprendere le modalità ed i tempi di esecuzione ed i termini dei pagamenti, vengono intesi come parti integranti del presente contratto a far data dalla loro stipula. Art. ... - Variazioni necessarie Qualora successivamente alla stipula del presente contratto e/o durante l'esecuzione dell'opera, in seguito ad eventi sopravvenuti imprevedibili e non imputabili ad alcuna delle parti, sia necessario apportare variazioni a quanto previsto nel presente contratto e nelle sue eventuali modificazioni e/o integrazioni, le parti concordano le variazioni da introdurre ed il correlativo adeguamento del prezzo. Nel caso di mancato accordo, entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento, le parti demanderanno la composizione della vertenza ad un esperto nominato dalla Camera di commercio di ... Se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e può ottenere, secondo le circostanze, un'equa indennità. Se le variazioni sono di notevole entità, il committente può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo, da determinarsi tenendo conto dello stadio di avanzamento dei lavori e del valore dell'appalto. In caso di disaccordo la somma verrà determinata da un esperto nominato dalla Camera di commercio di ... sulla base del prezzario delle opere edili. CommentoLe varianti nei contratti di opere private L'art. 1661 c.c. prevede che il committente possa richiedere all'appaltatore l'esecuzione di tali varianti nei limiti del sesto del prezzo originario e l'appaltatore sia obbligato ad eseguirle con diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, salvo che esse comportino "notevoli modificazioni della natura dell'opera". Ne consegue che, nell'ipotesi delle "notevoli" varianti dell'opera, non trova applicazione l'art. 1661 citato, ma viene in discussione la sussistenza stessa del diritto del committente di richiedere dette varianti, là dove, però, una volta che le opere richieste siano eseguite dall'appaltatore, quest'ultimo ha diritto a richiedere il riconoscimento di corrispettivi ulteriori rispetto al prezzo di appalto originariamente concordato (Cass. II, n. 9796/2011). Al fine di individuare la fattispecie prevista dall'art. 1661, comma 2 c.c., relativa alle variazioni del progetto, che importano "notevoli modificazioni della natura dell'opera", con conseguente inapplicabilità dello jus variandi del committente di cui al comma 1 del citato art. 1661, occorre aver riguardo allo sconvolgimento del piano originario delle opere, che determina una sostituzione consensuale del regolamento contrattuale già in essere e trova concretezza in base a specifici parametri, correlati all'entità materiale e tecnica degli interventi di modifica o alla loro consistenza economica (Cass. II, n. 10201/2012). Le nuove opere richieste dal committente costituiscono varianti in corso d'opera ove, pur non comprese nel progetto originario, siano necessarie per l'esecuzione migliore ovvero a regola d'arte dell'appalto o, comunque, rientrino nel piano dell'opera stessa e, invece, sono lavori extracontrattuali se siano in possesso di una individualità distinta da quella dell'opera originaria pur ad essa connessi ovvero ne integrino una variazione quantitativa o qualitativa oltre i limiti di legge, sicché, nel primo caso, l'appaltatore è, in linea di principio, obbligato ad eseguirle, mentre, nel secondo, le opere debbono costituire oggetto di un nuovo appalto (Cass. II, n. 9767/2016). Quanto al regime probatorio delle variazioni in corso d'opera questo si diversifica a seconda che tali modifiche siano richieste dal committente oppure siano rimesse all'iniziativa dell'appaltatore: nel primo caso l' art. 1661 c.c. consente all'appaltatore di provare con ogni mezzo, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente, mentre nel secondo caso l' art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente solo tramite atto scritto (Trib. Asti I, n. 598/2023). Le varianti nei contratti di opere pubbliche Con il d.lgs. n. 50/2016 è stato introdotto uno specifico articolo, il 106, denominato “Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia”. Rispetto al d.lgs. n. 163/2006 (il precedente Codice dei contratti pubblici) il legislatore ha voluto concentrare in un unico disposto tutta la disciplina in materia di modifiche contrattuali di appalti pubblici. Ciò, se da un lato ha risposto all'impostazione della direttiva comunitaria, dall'altra ha richiesto – e ancora richiede – uno sforzo interpretativo di rilievo che distingua con chiarezza le varie fattispecie. A ben vedere, l'attenzione alla fase esecutiva dei contratti pubblici merita altrettanta – e forse più – attenzione della fase di espletamento della gara pubblica. L'art. 106 racchiude in un unicum le diverse tipologie di modifiche contrattuali, richiedendo, per questo, uno sforzo interpretativo che estrapoli, esaminandone le differenze, le singole fattispecie. Già lo stesso comma 1 suggerisce tale necessità, laddove distingue le modifiche dalle varianti: “Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende”. Nel previgente Codice (nonché nell'art. 161 del d.P.R. n. 207/2010) si stabiliva che l'iniziativa spettasse al Direttore dei Lavori, il quale sottoponeva al RUP la propria perizia di variante. Quest'ultimo, accertate e motivate le cause delle varianti, le sottoponeva all'approvazione della stazione appaltante. Ora è previsto che sia il RUP, con il supporto del d.l., ad autorizzare le modifiche. Il Consiglio di Stato, nel parere dell'1 aprile 2016, n. 855, suggerisce una sempre adeguata motivazione nell'adottare la variante. La nuova disciplina attribuisce, quindi, al RUP il potere di autorizzare le varianti in corso d'opera per consentire al Direttore dei Lavori di avviare il progetto della variante. Diversa e successiva è la fase di approvazione la quale – ed è qui un'ulteriore novità – può essere oggetto di regolamentazione interna da parte della Stazione appaltante, la quale potrà attribuire, per casi minori, l'approvazione della variante allo stesso RUP. Dunque, in linea generale, l'approvazione spetta all'organo decisionale dell'ente – salvo casi minori - ed è questo il momento del perfezionamento delle modifiche e varianti. Anche la giurisprudenza comunitaria ormai da tempo ha individuato il discrimen tra modifiche ammissibili e non nella natura sostanziale delle stesse. Per cui le modifiche non sono ammesse se stravolgono l'oggetto del contratto e la sua natura. In proposito, la sentenza della CGUE 13 aprile 2010, nella causa C-91/08, testualmente afferma: «Al fine di assicurare la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento degli offerenti, le modifiche sostanziali [...] costituiscono una nuova aggiudicazione di appalto, quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto [...] iniziale e siano, di conseguenza, atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto. La modifica di un contratto [...] in corso di validità può ritenersi sostanziale qualora introduca condizioni che, se fossero state previste nella procedura di aggiudicazione originaria, avrebbero consentito l'ammissione di offerenti diversi rispetto a quelli originariamente ammessi o avrebbero consentito di accettare un'offerta diversa rispetto a quella originariamente accettata». Il legislatore offre un'elencazione, purtroppo ancora troppo generica, delle modifiche sostanziali nel comma 4 dell'art. 106. Sono modifiche sostanziali se: a) introducono condizioni che avrebbero alterato la partecipazione e l'esito della procedura di gara; b) alterano l'equilibrio economico dell'appalto a favore dell'aggiudicatario, senza che ciò sia previsto nel contratto iniziale; c) prevedono sostituzioni della stazione appaltante diverse da quelle previste dal paragrafo 1, lett. d). In materia di lavori, poi, il parere n. 360 del Cons. St. 12 febbraio 2018 relativo allo schema di DM sulla Direzione Lavori offre una chiave di lettura ulteriore a supporto dell'individuazione di una modifica sostanziale. Si legge nelle osservazioni: “si valuti l'opportunità di specificare, all'articolo 10 comma 8, che le varianti migliorative proposte non alterano in maniera sostanziale il progetto e di conseguenza le categorie di lavori e che l'importo di tali varianti rimane contenuto come previsto all'articolo 106 del d.lgs. n. 50/2016”. Le modifiche e varianti vanno sempre motivate dal RUP con il supporto della Direzione Lavori, al fine di valutarne l'ammissibilità. Solo in un caso le modifiche sono sempre ammesse: quando il relativo valore sia inferiore alla soglia comunitaria e, comunque, inferiore al 10% del valore dell'appalto, in caso di forniture e servizi, e al 15%, in caso di lavori. Si tratterebbe, dunque, di modifiche di dettaglio che non incidono sull'oggetto e sulle condizioni della prestazione e la cui ammissibilità è già stata oggetto di valutazione da parte del legislatore. Il contraente non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto, quando le modifiche e varianti in corso d'opera non superano 1/5 (in aumento o diminuzione) dell'importo contrattuale. Le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera cc.dd. tradizionali (comma 1, lettera c), ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 1) la necessità di modifica sia determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore (tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti); 2) la modifica non alteri la natura generale del contratto. Tali varianti sono ammissibili alle condizioni di essere sopravvenute alla stipula del contratto e di essere impreviste ed imprevedibili con l'uso della ordinaria diligenza. Inoltre, la variante non deve alterare la natura generale del contratto e, dunque, non deve incidere in maniera sostanziale sul tipo di prestazione da rendere. È chiaro che le varianti vanno motivate facendo riferimento alla ricorrenza delle condizioni in questione e ciò costituisce, come detto, una novità rispetto al precedente art. 132, comma e) del d.lgs. 163/2006. Quanto alle circostanze impreviste e imprevedibili, qualora la necessità di ricorrere a varianti sia determinata dalla mancata osservanza delle prescrizioni assegnate alla progettazione e dall'insufficienza delle indagini preliminari, trattandosi di circostanze note o prevedibili, non appare legittimo l'inquadramento delle relative varianti nelle tipologie delle “cause impreviste e imprevedibili”, dell'“imprevisto geologico” e dell'“intervento migliorativo”, di cui, rispettivamente, all'art. 25, comma 1, lett. b), b - bis) e c), e comma 3 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m. In base al comma 1, lettera e), se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4, le stazioni appaltanti possono stabilire nei documenti di gara eventuali soglie di importi entro cui sono ammesse queste modifiche. In tal modo si consentono le modifiche in fase esecutiva ogni qualvolta esse non siano sostanziali (ovvero non rientrino nel caso di cui al comma 4 del medesimo articolo 106). In base al comma 12, la stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo del contratto (cd. quinto d'obbligo), può imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto. In questo comma viene, quindi, riproposto il limite al diritto potestativo della P.A. di ottenere prestazioni aggiuntive dal contraente. L'interpretazione corretta appare quella di ammettere il ricorso al quinto d'obbligo solo in presenza delle altre condizioni riportate nelle specifiche previsioni dell'articolo 106. Alle condizioni in questione la Stazione appaltante ha il potere di imporre quelle modifiche senza che l'appaltatore possa opporre il diritto di risoluzione del contratto o il diritto di negoziare lo svolgimento delle prestazioni a condizioni diverse da quelle inizialmente pattuite. Per le modifiche di cui al comma 2 (le cc.dd. modifiche di dettaglio), sino al limite del 10% per forniture e servizi e del 15% per lavori, si procede senza valutazioni di ammissibilità e le stesse, rientrando nel limite più generale del quinto d'obbligo, sono imposte al contraente – con atto di sottomissione - senza che questo possa risolvere il contratto; superati questi limiti di cui al comma 2, dovranno essere rispettate le condizioni poste dalle varie fattispecie in concreto e il limite del quinto d'obbligo si applicherà se tali condizioni si saranno realizzate. Quanto al calcolo del quinto, l'importo dell'appalto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell'importo degli atti di sottomissione e degli atti aggiuntivi per varianti già intervenute, nonché dell'ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio, eventualmente riconosciuti all'esecutore ai sensi degli artt. 205 e 208 del codice. E' opportuno evidenziare che, in tema di appalto di opere pubbliche, l'appaltatore ha diritto all'equo compenso ex art. 13, comma 5, d.P.R. n. 1063/1962, quando le variazioni richieste dal committente eccedano di un quinto le quantità originariamente pattuite, senza necessità di provare che ciò abbia determinato un notevole pregiudizio economico in danno dell'impresa, poiché la norma - interpretata non solo secondo il senso letterale delle parole, nella specie insufficiente a chiarirne il significato, ma anche secondo la mens legis, ed alla luce della successiva evoluzione del quadro normativo - prefigura, in presenza di variazioni eccedenti il quinto, una presunzione iuris et de iure in ordine alla sussistenza del notevole pregiudizio economico (Cass. I, n. 15584/2018). Profili fiscali In tema di imposte sui redditi, l'art. 60 d.P.R. n. 917/1986, nello stabilire che le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito di esercizio, dispone che la loro valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti e che per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento, la valutazione è fatta, invece, in base ai corrispettivi liquidati. Per contro, ove si tratta di maggiori compensi chiesti dall'appaltatore, su varianti in corso d'opera, con l'iscrizione di riserve nel registro di contabilità, si è in presenza di proposte di modifica del contratto che, in quanto tali, non assumono rilevanza fiscale fino a quando non siano state accertate dalla controparte con la conseguenza che, - attesa la disposizione contenuta nell'art. 75 d.P.R. n. 917/1986 secondo cui le componenti positive che, come i ricavi, concorrono a formare il reddito di impresa secondo il principio di "competenza" possono essere prese in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile solo quando siano certe della loro esistenza e determinabili in modo obiettivo, in caso contrario, infatti, verrebbe meno ogni corrispondenza tra il reddito sottoposto ad imposizione e quello realmente prodotto dal contribuente in violazione dell'art. 53 Cost. - a tali maggiorazioni non può essere riconosciuta alcuna rilevanza fiscale ai fini reddituali trattandosi di pretese unilaterali che costituiscono mere "speranze" di ricavi non assistite da un congruo grado di certezza e di determinabilità (Cass. trib., n. 13582/2011). Le maggiorazioni di prezzo richieste dall'appaltatore in relazione a lavori di durata ultrannuale, eseguiti su ordinazione, possono essere prese in considerazione, in conformità del principio generale stabilito dall'art. 75 del d.P.R. n. 917/1986 (il quale stabilisce, in via generale, che le componenti positive del reddito d'impresa concorrono a formare lo stesso secondo il principio di "competenza"), sempre che siano "certe" nella loro esistenza e "determinabili" in modo obiettivo, non rendendosi invece possibile attribuire rilevanza reddituale a pretese unilaterali che costituiscano mere "speranze" di ricavi. Da ciò non consegue - peraltro - che solo gli importi revisionali possano intendersi ricompresi nella previsione della norma in esame, non essendovi motivo di escludere rilevanza reddituale a tutte quelle pretese comunque caratterizzate da un elevato grado di "certezza" e di "determinabilità", ancorché non dirette al riconoscimento di importi revisionali (Cass. trib., n. 13581/2001). In tema di contratti della p.a., qualora siano richieste, in variante della fornitura originaria, prestazioni diverse da quelle considerate in contratto, la richiesta medesima non si correla ad un potere dell'amministrazione cui corrisponde un obbligo del fornitore; quindi l'accordo fra le parti per l'esecuzione di tale variante deve parificarsi a quello che abbia ad oggetto lavori extracontrattuali in senso stretto e qualificarsi come un nuovo ed autonomo contratto all'aliquota stabilita dalla legge in vigore al tempo della sua registrazione (Comm. trib. centr., XIII, n. 2449/1985). In base agli artt. 17 e 19 del capitolato generale approvato con d.m. 28 maggio 1895, sostanzialmente riprodotti negli artt. 13 e 14 del capitolato generale approvato con d.P.R. n. 1063/1962, l'amministrazione non ha facoltà di ordinare durante l'esecuzione in appalto di opere pubbliche varianti per un importo superiore al quinto di quello complessivo dell'opera appaltata o che siano estranee alla categoria dei lavori appaltati e tali da mutare sostanzialmente la natura delle opere appaltate. Conseguentemente la richiesta della stazione appaltante che non rientri in tali limiti non può ricondursi nell'ambito del contratto originale ma dà luogo ad un nuovo e diverso contratto il cui regime fiscale può quindi essere diverso da quello del primo contratto (Cass. I, n. 2289/1983). |