Codice Civile art. 1284

Rosaria Giordano

Codice civile, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262 (1).

(1) Il r.d. 16 marzo 1942, n. 262 è stato pubblicato nella G.U. del 4 aprile 1942, nn. 79 e 79-bis.

Inquadramento

La disposizione in esame stabilisce le modalità di computo degli interessi al tasso legale, che sono quelli che decorrono su debiti pecuniari liquidi ed esigibili in assenza di una convenzione tra le parti.

Le parti devono concordare per iscritto interessi in misura superiore a quella legale che non possono, peraltro, superare il cd. tasso soglia (cfr. art. 1815 c.c.).

Il d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, ha inoltre stabilito, al fine di evitare che la durata del processo divenisse una sorta di finanziamento per i debitori, che, ove non diversamente convenuto, dalla proposizione della domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Gli interessi legali

Come evidenziato, la disposizione in commento, precisando che in mancanza di diverso accordo tra le parti la misura degli interessi è quella legale, ne determina le modalità di computo, prevedendone la variabilità (eventuale) annuale con decreto del Ministro del Tesoro ed individuando i parametri di riferimento nel rendimento dei titoli di Stato e nel tasso di inflazione

Gli interessi convenzionali

Il patto con il quale le parti convengono un tasso di interessi più elevato di quello legale richiede la forma scritta ad substantiam.

Questa impostazione è condivisa anche nella giurisprudenza di legittimità all'interno della quale si è affermato che ai sensi dell'art. 1284, comma 3, c.c.la costituzione dell'obbligo di pagare interessi in misura superiore a quella legale richiede la forma scritta ad substantiam, sicché, in caso di mancata sottoscrizione del relativo patto da parte di entrambi i contraenti non può ritenersi che un accordo siffatto si sia concluso per facta concludentia (cfr., tra le altre, Cass. I, n. 10516/2016, la quale ha evidenziato che la mancata contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla banca, oggetto di tacita approvazione, in difetto di contestazione ai sensi dell'articolo 1832 c.c., non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l'unilaterale comunicazione del tasso di interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge, richiesto dall'art. 1284 c.c.). È stato chiarito, poi, che il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale costituisce adempimento di una obbligazione naturale e determina l'irripetibilità ex art. 2034 c.c. delle somme pagate a tale titolo a condizione che consegua ad una pattuizione che determini anche la misura degli stessi, dovendosi altrimenti escludere che possa configurarsi un dovere morale e sociale che ne giustifichi l'adempimento, sicché sono ripetibili gli interessi ultralegali addebitati da una banca sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza alcuna autorizzazione da parte del cliente medesimo (Cass. I, n. 30114/2017).

Si è così affermato, da ultimo, che se il titolo esecutivo giudiziale non specifica la natura degli interessi legali liquidati, in sede di esecuzione forzata occorre necessariamente far riferimento al tasso ex art. 1284, comma 1, c.c., restando esclusa l'applicabilità dell'art. 1284, comma 4, c.c. (Cass. III, n. 23846/2023).

Pertanto, la banca ha il potere di variazione sugli interessi ultralegali purché la pattuizione contenga puntuale indicazione del tasso praticato e, se quest'ultimo è variabile, è indispensabile il riferimento a parametri che ne permettano la precisa determinazione (Cass. I, n. 12967/2018).

La dottrina appare peraltro incline a ritenere che la violazione della norma in esame sotto tale profilo determini la nullità del patto con limitato riguardo alla convenzione di un interesse superiore a quello legale, sicché gli interessi saranno dovuti nella misura legale secondo il meccanismo della sostituzione automatica di clausole (Bianca, 191).

Si assume, poi, che si abbia una valida pattuizione circa la determinazione degli interessi convenzionali anche ove il tasso degli stessi, sebbene non indicato specificamente nell'accordo, possa essere determinabile per relationem. In questo senso si è affermato che il requisito della forma scritta per la determinazione degli interessi extralegali non postula necessariamente che la corrispondente convenzione contenga una puntuale indicazione in cifre del tasso pattuito, ben potendo detta indicazione essere soddisfatta attraverso il richiamo, per iscritto, anche "per relationem", a criteri prestabiliti e ad elementi estrinseci al documento negoziale, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del relativo saggio, la quale, pur nella previsione di variazioni nel tempo e lungo la durata del rapporto, risulti capace di venire assicurata con certezza, al di fuori di ogni margine di discrezionalità (Cass. II, n. 20555/2020; Cass. I, n. 3480/2016).

Tuttavia, nei contratti bancari tale orientamento, meno rigido, può applicazione soltanto per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della l. n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria.

È invero consolidato l'assunto secondo cui, in tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della l. n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria e del successivo TUB — che introducono norme nuove, a carattere non retroattivo, in tema di trasparenza bancaria, vietando, tra l'altro, espressamente il rinvio agli usi di piazza —, la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell'art. 1284, comma 3 c.c. (che è norma imperativa, la cui violazione determina nullità assoluta ed insanabile), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati. Pertanto, in accordo con tale impostazione, una clausola contenente un generico riferimento alle «condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza» può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento» (Cass. n. 5675/2001). Diversamente, quando tale concreta determinazione non sia possibile, la stessa S.C. ha chiarito che, non avendo le previsioni di cui all'art. 4 l. n. 154/1992, quindi trasfuso nell'art. 117 TUB, carattere retroattivo, e dovendo l'irretroattività estendersi anche alla previsione della sostituzione della clausola nulla con la diversa disciplina legale a tal fine dettata dal legislatore, con riguardo ai periodi del rapporto in contestazione antecedenti all'entrata in vigore di tali norme, devono essere applicati gli interessi legali, stante il carattere imperativo dell'art. 1284, comma 3 c.c. mentre per i periodi successivi va operata la sostituzione dei tassi praticati dalla Banca con quelli individuati in applicazione dei criteri dettati dall'art. 117, comma 7 TUB (v., tra le molte, Cass. n. 28302/2005; conf., in sede di merito, tra le altre, Trib. Bari I, 27 febbraio 2007 n. 548, in Guida al dir., 2007, n. 46, 80; Trib. Reggio Calabria II, 4 maggio 2006 n. 591; Trib. Monza 12 dicembre 2005, in Banca borsa tit. cred. 2007, n. 2, 204).

Per altro verso, una recentissima pronuncia di legittimità ha tuttavia chiarito che nei contratti bancari conclusi prima dell'entrata in vigore della l. n. 154 del 1992, il requisito della forma scritta richiesto dall'art. 1284 c.c. ai fini della valida pattuizione di interessi superiori rispetto alla misura legale, deve essere inteso in senso strutturale e non funzionale; pertanto, la sua violazione determina l'ordinaria forma di nullità assoluta, con conseguente necessità, ai fini della validità del patto, della sottoscrizione di entrambe le parti, sia pure con atti distinti, purché inscindibilmente connessi, senza poter integrare tale presupposto formale attraverso il c.d. contratto "monofirma" (Cass. I, n. 19298/2022).

Sotto quest'ultimo profilo, è opportuno considerare che, ai sensi dell'art. 117 TUB, in caso di nullità delle clausole contrattuali di determinazione dei tassi di interesse (in quanto stipulate con rinvio agli usi) si applicano il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive.

Problemi interpretativi si pongono con riferimento alle operazioni attive e passive e con riferimento al periodo da assumere a base di calcolo per la determinazione del tasso minimo e massimo. Di regola le operazioni attive e passive vengono definite, nei manuali di tecnica bancaria, con riferimento alla banca. La Banca d'Italia nelle sue statistiche, come anche nelle istruzioni di vigilanza impartite alle banche, ricomprende fra le operazioni attive — come anche per i tassi attivi — quelle che sono effettuate a debito del cliente e che apportano alla banca una componente attiva di reddito, mentre ricomprende fra le operazioni passive quelle a credito del cliente e a debito della banca. In tal senso si qualifica, in tema di pubblicità, il disposto dell'art. 2 l. n. 154/1992. D'altra parte anche il successivo art. 124 del TUB, con riferimento ai contratti di credito al consumo, prevede, nei casi di assenza o nullità delle clausole contrattuali, il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) — tasso attivo a favore della banca — equivalente al tasso nominale minimo dei BOT annuali emessi nei dodici mesi precedenti. Nelle fattispecie previste dalla legge l'applicazione del tasso minimo BOT agli interessi a debito del cliente persegue chiaramente una finalità sanzionatoria.

Un'interpretazione letterale dell'art. 117 del TUB farebbe effettivamente ritenere unico il tasso da sostituire nel corso del rapporto, cioè il tasso BOT dei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; peraltro, il tasso riferito al momento della conclusione del contratto, se appare ragionevole per i contratti bancari che contengono un'unica operazione di finanziamento, non altrettanto può dirsi per quelli di durata, ove le operazioni si susseguono nel tempo e vi è la necessità di agganciare la misura degli interessi al costo del denaro con riferimento al momento in cui le operazioni vengono effettuate. Per tali contratti, risultando il saggio di interesse soggetto a continue modifiche in funzione dei mutamenti del mercato, si ritiene che il valore minimo e massimo dei BOT debba essere riferito ai dodici mesi precedenti ogni chiusura dei conti (trimestrale o annuale). D'altra parte, una rigida applicazione del portato letterale dell'art. 117 del TUB condurrebbe a soluzioni anacronistiche. Infatti, con la discesa dei tassi intervenuta negli anni '90, si verrebbero a praticare tassi oltremodo elevati, talvolta superiori anche ai tassi soglia disposti dalla l. n. 108/1996: il tasso minimo dei BOT emessi nei dodici mesi precedenti il 9 luglio 1992 (data di entrata in vigore della l. n. 154/1992), pari a 11,88%, verrebbe a risultare maggiore, a partire dall'anno 1999, al tasso soglia stabilito dalla l. n. 108/1996 per le aperture di credito superiori a Lit. 10 milioni. Inoltre, l'adeguamento del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto si giustifica alla stregua della considerazione secondo cui la previsione contenuta nell'art. 5 l. n. 154/1992 e poi nell'art. 117 TUB si riferisce ad un contratto contemplante un'unica operazione e non invece a quello che dà luogo (come nell'ipotesi del conto corrente) ad un rapporto di durata, caratterizzato da molteplici operazioni poste in essere nella continua variazione dei tassi di interesse a causa delle mutevoli condizioni del mercato (tanto che la facoltà di variazione dei tassi è prevista in via generalizzata e con modalità semplificate dagli artt. 6 l. n. 154/1992 e 117 comma 5 del TUB), dovendosi inoltre tenere conto del fatto che la finalità sanzionatoria (per la banca) che sta alla base delle predette disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T. emessi nell'anno antecedente alla stipula del contratto e quello in concreto applicato dall'istituto di credito durante il corso del rapporto (eventualità che si risolve in certezza ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi anni, dei tassi di interesse, fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di mutui bancari come si desume dal preambolo al d.l. n. 394/2000): d'altro canto, la finalità perseguita dal legislatore con gli artt. 5 l. n. 154/1992 e 117 del TUB è stata proprio quella di ancorare il tasso sostitutivo degli interessi ad un altro in qualche modo legato all'andamento del mercato dei tassi. Il riferimento temporale al trimestre trova poi la propria ragione nella previsione contrattuale di tale termine (v. art. 16) per il conteggio periodico degli interessi (v., in senso analogo, nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma 27 gennaio 2003, in Giur. merito, 2003, 898; Trib. Monza 4 febbraio 1999, in Foro it., 1999, I, 1340; Trib. Mondovì 19 febbraio 2009).

Nell'ambito dei rapporti bancari, è per altro verso consolidato l'assunto per il quale la tacita accettazione degli estratti contoexart. 1832 c.c. non determina la improcedibilità della domanda di nullità del contratto di conto corrente per applicazione di interessi ultralegali, dal momento che trattasi di condotta inidonea a superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l'unilaterale comunicazione del tasso di interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge, richiesto dall'art. 1284 c.c. (Trib. Roma X, 5 marzo 2018, n. 4732).

Casistica

In sede applicativa si è osservato, anche di recente, che, ove il tasso di interesse sia variabile, ai fini della sua precisa individuazione può farsi riferimento a parametri, purché fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici rinvii dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (Trib. Bari IV, 19 settembre 2018, n. 3857).

In tema di mutuo con ammortamento alla francese che contempli un tasso variabile, lo stesso non deve ritenersi illegittimo in quanto comporterebbe l'impossibilità di determinare la quota capitale e la quota di interesse al momento della stipula, poiché le parti possono concretamente strutturare le pattuizioni sugli interessi anche nel senso di rinviare a fonti extracontrattuali ben specificate e che esprimano valori oggettivi ed agevolmente accertabili, in modo tale che, ad ogni scadenza, sia chiaramente evincibile il tasso da applicarsi alla sola quota residua di capitale (Trib. Teramo 25 gennaio 2017, n. 47).

In materia di esecuzione forzata fondata su un titolo esecutivo giudiziale, ove il giudice della cognizione abbia omesso di indicare la specie degli interessi che ha comminato, limitandosi alla generica qualificazione degli stessi in termini di «interessi legali» o «di legge», si devono ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all'art. 1284 c.c., in ragione della portata generale di questa disposizione, rispetto alla quale le altre ipotesi di interessi previste dalla legge hanno natura speciale, senza che sia consentito al giudice dell'opposizione all'esecuzione di procedere ad integrazione o correzione del titolo esecutivo, atteso che l'applicazione di una qualsiasi delle varie ipotesi di interessi legali, diversi da quelli previsti dal citato art. 1284 c.c., presuppone l'avvenuto accertamento degli elementi costitutivi della relativa fattispecie speciale, che può essere contestato solo attraverso l'impugnazione della decisione di merito, non essendo questa suscettibile di integrazione o correzione in sede esecutiva (Cass. III, n. 22457/2017).

La «soglia» legale di legittimità degli interessi convenzionali

La norma in commento, laddove consente alle parti di convenire un tasso superiore a quello legale deve tuttavia coordinarsi con il disposto dell'art. 1815 c.c., in tema di usurarietà dei tassi superiori al cd. tasso soglia.

A riguardo, non è superfluo ricordare che, nel regime anteriore alla l. n. 108/1996, il negozio di mutuo era considerato dalla giurisprudenza illecito per pattuizione di interessi a tasso elevato solo nel caso di sussistenza degli estremi del delitto di usura ai sensi dell'art. 644 c.p. (nella previgente formulazione). A seguito della riformulazione del reato di usura operata dalla l. n. 108/1996, è stato soppresso l'elemento dell'approfittamento dello stato di bisogno ed è stato previsto che è la legge a stabilire «il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurai» (art. 644, comma 3 c.p.) con determinazione del tasso massimo delegata al Ministero del tesoro (cd. «tasso-soglia»).

In tema di interessi convenzionali, la disciplina antiusura si applica sia agli interessi corrispettivi (e ai costi posti a carico del debitore per il caso di regolare adempimento del contratto) sia agli interessi moratori (e ai costi posti a carico del medesimo debitore per il caso, e come conseguenza dell'inadempimento), ma non consente di utilizzare il cd. criterio della sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora, poiché gli interessi corrispettivi e quelli moratori si fondano su presupposti diversi e antitetici, essendo i primi previsti per il caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto e i secondi per il caso di (e in conseguenza dell') inadempimento del contratto (cfr., tra le più recenti, Cass. I, n. 14214/2022, fattispecie nella quale, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato il decreto del tribunale, che, in sede di opposizione ex art. 98 l.fall., confermando il "principio della sommatoria" applicato dal giudice delegato, aveva escluso dallo stato passivo tutte le somme richieste a titolo di interessi, sia corrispettivi che moratori, dall'istituto di credito finanziatore).

In sostanza, come è stato affermato anche in sede applicativa, poiché gli interessi moratori hanno funzione e natura diverse dagli interessi corrispettivi, costituendo una tecnica di determinazione forfettaria del danno da inadempimento volta a compensare il creditore del danno emergente subito per il ritardo nel pagamento e idonea a soddisfare finalità sanzionatorie del debitore in ragione del saggio convenuto, per cui sono riconducibili al genus delle clausole penali, l'usurarietà degli interessi corrispettivi o moratori va scrutinata con riferimento all'entità degli stessi, e non già alla sommatoria dei moratori con i corrispettivi, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro (cfr. Trib. Grosseto 21 giugno 2018; nel senso che gli interessi moratori assolvono alla funzione di ottenere una liquidazione preventiva dei danni subiti dall'istituto di credito per l'ipotesi di inadempimento del mutuatario v. Trib. Bologna III, 20 febbraio 2018).

Pertanto, come esplicato nella Circolare della Banca d'Italia del 3 luglio 2013, i TEG medi rilevati trimestralmente includono, oltre ai tassi di interesse nominali, tutti gli oneri connessi all'erogazione del credito, non anche gli interessi di mora, che sono, invece, esclusi dal calcolo del TEG, perché non dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione è finalizzata ad evitare di considerare nella media operazioni con andamento anomalo, in quanto ne deriverebbe un eccessivo innalzamento delle soglie ed è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell'Economia e delle Finanze i quali specificano che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento (Trib. Roma IX, 1° agosto 2018, n. 15998).

Sotto un distinto profilo, è stato a lungo controverso se la commissione di massimo scoperto, anche nel periodo antecedente all'art. 2-bis d.l. n. 185/2008, conv. in l. n. 2/2009, che ne ha espressamente previsto il computo ai fini della determinazione del cd. tasso soglia, debba essere a tal fine considerata.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito, a riguardo, che, in tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore (il 1° gennaio 2010) delle disposizioni di cui all'art. 2-bis d.l. n. 185/2008, inserito dalla legge di conversione n. 2/2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il «tasso soglia» — ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108/1996 — e con la «CMS soglia» — calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali —, compensandosi, poi, l'importo dell'eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l'eventuale «margine» residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Le Sezioni Unite sono pervenute a tale conclusione anche perché hanno escluso la qualificazione dell'art. 2-bis d.l. n. 185/2008, cit., in termini di norma di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 4 c.p., in quanto il testo della norma non contiene alcuna espressione che evochi tale natura, ma contiene, anzi, chiarissimi indizi in senso contrario. In particolare, le Sezioni Unite hanno osservato che depongono nel senso della natura innovativa della disposizione sia l'espressa previsione, al comma 2, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa, in attesa della quale il modo di determinazione del tasso soglia «resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni», sia la previsione, al comma 3 (poi abrogato dal d.l. n. 1/2012, cit.), che «i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data». Né il carattere interpretativo della norma potrebbe plausibilmente essere riferito non già alla disciplina della determinazione in astratto del TEGM, bensì alla sola disciplina della rilevazione del superamento in concreto del tasso soglia, vale a dire non al comma terzo, primo periodo, bensì al comma 4 dell'art. 644 c.p., da interpretarsi dunque nel senso che le commissioni di massimo scoperto siano computate nel calcolo del TEG applicato in concreto, pur non essendone previsto il computo ai fini della determinazione del TEGM (e dunque del tasso soglia). Inoltre una tale asimmetria contrasterebbe palesemente con il sistema dell'usura presunta come delineato dalla l. n. 108/1996, la quale definisce alla stessa maniera (usando le medesime parole: «commissioni», «remunerazioni a qualsiasi titolo», «spese, escluse quelle per imposte e tasse») sia — all'art. 644, comma 4 c.p. — gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato, sia — all'art. 2, comma 1, legge n. 108, cui rinvia l'art. 644, comma 3, primo periodo, c.p. — gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale, con appositi decreti ministeriali, del TEGM e, conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va confrontato il tasso applicato in concreto; con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi (Cass. S.U., n. 16303/2018).

Quando non risulta superato il cosiddetto tasso soglia, la nullità ex art. 1815, comma 2, della clausola di previsione degli interessi, richiede invece la prova del loro carattere usurario ai sensi dell'art. 644, comma 3, secondo periodo c.p., ossia la dimostrazione della sproporzione degli interessi convenuti, nonché della condizione di difficoltà economica di colui che promette gli interessi.

La disciplina relativa ai tassi di interesse sui mutui introdotta dalla l. n. 108/1996 — e quindi anche quella dettata dall'art. 1 d.l. n. 394/2000, conv. in l. n. 24/2001, di interpretazione autentica della precedente — non si ritiene applicabile ai rapporti completamente esauriti prima della sua entrata in vigore. Di recente, le Sezioni Unite, intervenendo sul tema dell'usurarietà sopravvenuta, hanno sancito che allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula. Le S.U. hanno altresì ritenuto che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato non può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto in quanto la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso (Cass. S.U., n. 24675/2017).

È stato chiarito che l'art. 1815, comma 2, c.c. nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempla interessi eccedenti il tasso soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell'entità degli interessi dovuti in forza del contratto: ne deriva che la sanzione di cui all'art. 1815 c.c. colpisce, dunque, la singola pattuizione che prevede la corresponsione di interessi contra legem, e non vi è modo di ritenere che la nullità si comunichi ad altra (valida) pattuizione, anche all'interno della medesima clausola, che dispone l'applicazione di un saggio di interesse inferiore al tasso soglia (Cass. I, n. 21470/2017).

Da ultimo, la S.C. ha precisato, peraltro, che, in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi (Cass. VI, n. 4321/2022).

Interessi successivi alla proposizione della domanda giudiziale

L'art. 17 d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, ha aggiunto alla norma in esame due commi prevedendo, in buona sostanza, che, per i procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione, proposta la domanda giudiziale, se le parti non hanno convenuto la misura del tasso di interesse in misura diversa da quella legale, il saggio degli interessi legali deve ritenersi pari a quello previsto dalla legislazione speciale concernente i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ossia a quello determinato secondo le regole di cui al d.lgs. n. 231/2002 (cfr. Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della «degiurisdizionalizzazione», in Corr. giur., 2014, 1179).

Tale disposizione ha una finalità chiaramente deflattiva in quanto fa venir meno per il debitore, a prescindere dalla natura del credito, la convenienza di addurre difese di carattere meramente dilatorio volte a ritardare il pagamento di una somma, pure dovuta, accresciuta soltanto dagli interessi legali durante lo svolgimento del giudizio, rispetto, ad esempio, ai superiori tassi richiesti per un finanziamento bancario (Caporusso, Misure per il contrasto del ritardo nel pagamento, in La nuova riforma del processo civile a cura di Santangeli, Roma, 2015, 220; Valerini, Le altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione, in Processo civile efficiente e riduzione arretrato a cura di Luiso, Torino, 2014, 49).

Come osservato in dottrina, l'iniziativa del legislatore è volta a scoraggiare tattiche dilatorie del debitore indotto dalla convenienza derivante da un tasso legale degli interessi eccessivamente basso e ad utilizzare tutte le facoltà offerte dalla disciplina processuale per resistere all'iniziativa giudiziale del creditore il più a lungo possibile per la quale la finalità della disposizione è quella di evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (Sordi, Il decreto-legge n. 132 del 2014 e le controversie in materia di lavoro, in Giustiziacivile.com, 12 marzo 2015, 15).

La rilevante portata dei due nuovi ultimi commi della disposizione in esame è evidente, in quanto, ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 231/2002, come novellato dal d.lgs. n. 192/2012, il saggio degli interessi in questione è pari al saggio degli interessi legali maggiorato di ben sette punti. L'obiettivo perseguito dal legislatore, quindi, è quello di favorire una risoluzione alternativa delle controversie, inducendo il debitore che è consapevole di essere in torto ad addivenire con il creditore ad un accordo nel più breve tempo possibile (cfr. Gradi, Il «diritto di aver torto» e gli oneri economici a carico del soccombente nel processo, in Giustizia Civile.com, 27 febbraio 2015, 6).

Appare in particolare suscettibile di un impatto molto incisivo nelle azioni giudiziali promosse nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni per mancato pagamento di prestazioni pecuniarie (cfr. Consolo, 1182), spesso dovuto soltanto all'inefficienza dell'Amministrazione.

Invero, nella prassi applicativa non si è mai seriamente dubitato che poiché il d.lgs. n. 231/2002 è espressione dei principi fissati nella direttiva comunitaria 2000/35/CE finalizzata a contenere entro limiti ragionevoli (in chiave di tutela del regolare svolgimento delle operazioni di mercato) il fenomeno dei ritardi nel pagamento delle obbligazioni, sì che le relative disposizioni nazionali trovano attuazione ad ogni pagamento previsto a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, senza particolare limitazione di carattere soggettivo e quindi anche per contratti di cui è parte la pubblica amministrazione (v., tra le altre, Trib. Salerno II, 7 febbraio 2013, n. 363; Trib. Nocera Inferiore 5 settembre 2012, n. 700).

Pertanto, ove manchi una pattuizione scritta delle parti in ordine all'entità degli interessi, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, decorreranno gli interessi determinati secondo le previsioni del d.lgs. n. 231/2002.

Secondo alcuni, la disciplina tutela evidentemente anche troppo il creditore laddove non pone distinzioni rispetto all'ambito operativo alla resistenza in buona fede del creditore rispetto a quella meramente defatigatoria (Consolo, 1182).

In generale, per individuare il dies a quo della decorrenza del nuovo saggio di interesse legale dovrà distinguersi tra i giudizi che iniziano mediante la notifica dell'atto di citazione ai sensi degli artt. 163 e ss. c.p.c. ovvero quelli che vengono incardinati con il deposito del ricorso. A riguardo, l'art. 39, comma 3 c.p.c., introdotto dalla l. n. 69/2009, prevede espressamente, avallando una tesi già affermata da una giurisprudenza monolitica (v., tra le molte, Cass. n. 4686/2001 ed, in sede applicativa, Trib. Milano 24 aprile 2003, in Giur. merito, 2003, 1721, per la quale, nel caso di continenza di cause pendenti avanti a giudici diversi, per stabilire quale giudice sia stato preventivamente adito, ai fini dell'art. 3, comma 2 c.p.c., deve tenersi conto, nel caso di giudizio proposto con ricorso ex art. 414 c.p.c., della data di deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adìto, non rilevando la circostanza che la suddetta forma di introduzione del giudizio sia stata adottata impropriamente, nell'erronea convinzione che si trattasse di controversia in materia di lavoro, laddove, invece, trattandosi di causa ordinaria, avrebbe dovuto esser proposta con atto di citazione notificato) che la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso.

Con riguardo al processo di cognizione, pertanto, occorrerà aver riguardo per i giudizi che iniziano, come di regola, mediante la notifica dell'atto di citazione al momento nel quale viene effettuato tale adempimento.

È stato quindi introdotto un nuovo effetto sostanziale correlato alla proposizione della domanda giudiziale, analogo all'interruzione del termine di prescrizione (Gradi, 6).

Come noto, infatti, la proposizione di una domanda giudiziale ha un effetto interruttivo della prescrizione, che si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisca il giudizio decidendo il merito o eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, con riguardo a tutti i diritti da essa coinvolti o che si ricolleghino, con stretto nesso di causalità, al rapporto cui essa inerisce (cfr. Cass. n. 14427/2013; Cass. n. 5081/2006). Peraltro, non può trascurarsi che nella giurisprudenza di legittimità la definizione del processo con una decisione di rito diversa da quella di estinzione non fa venir meno l'effetto sospensivo del decorso del termine di prescrizione (v., tra le altre, Cass. n. 11513/2014, per la quale l'interruzione della prescrizione determinata dalla domanda giudiziale, sia proposta davanti a giudice incompetente, ha carattere permanente, nel senso che l'interruzione stessa dura sino a quando non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile che pur risolvendo questioni processuali sia suscettibile di passare in giudicato; è stato anche precisato che in tema di applicazione degli artt. 2943, comma 1, e 2945, comma 2 c.c., la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio impedisce l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione del suo corso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, a nulla rilevando, in senso contrario, la mera possibilità che la nullità sia successivamente sanata, e fermo restando che, qualora la sanatoria processuale abbia poi effettivamente luogo, i relativi effetti sul corso della prescrizione decorrono dal momento della sanatoria medesima, senza efficacia retroattiva: Cass. n. 11985/2013). Qualora la domanda di condanna al pagamento di una somma di danaro sia proposta nella forma alternativa del ricorso per ingiunzione, l'interruzione del termine di prescrizione, con la notificazione del ricorso per decreto ingiuntivo, ha effetti permanenti fino all'acquisto dell'efficacia di giudicato da parte del decreto, per mancata tempestiva opposizione, anche nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo fin dalla sua emissione (cfr. Cass. n. 20176/2013).

Proprio con riferimento alla prescrizione, all'interno della medesima giurisprudenza di legittimità si registra tuttavia un contrasto in ordine al momento nel quale la stessa può ritenersi interrotta, in conseguenza dell'operare del principio generale di scissione soggettiva nel perfezionamento delle notifiche, espresso ormai da tempo nella giurisprudenza costituzionale (per tutte, Corte cost. n. 477/2002).

Invero, secondo un primo orientamento, ai fini della tempestività dell'interruzione della prescrizione ai sensi dell'art. 2943, comma 1 c.c., in applicazione del principio della scissione del momento perfezionativo della notificazione per il richiedente e per il destinatario, occorre aver riguardo non già al momento in cui l'atto con il quale si inizia un giudizio viene consegnato al destinatario, bensì a quello antecedente in cui esso è stato affidato all'ufficiale giudiziario che lo ha poi notificato, posto che l'esigenza che la parte non subisca le conseguenze negative di accadimenti sottratti al proprio potere d'impulso sussiste non solo in relazione agli effetti processuali, ma anche a quelli sostanziali dell'atto notificato (Cass. n. 18399/2009, in Obbl. e contr., 2010, 811, con nota di Follieri).

Altra tesi ha osservato che, ai fini della tempestività dell'interruzione della prescrizione, ai sensi dell'art. 2943, comma 1, c.c., occorre aver riguardo al momento in cui l'atto introduttivo del corrispondente giudizio sia giunto alla conoscenza legale, sebbene non necessariamente effettiva, del destinatario, e non già a quello, antecedente, in cui esso sia stato affidato all'ufficiale giudiziario od all'ufficio postale, atteso che la regola della differente decorrenza degli effetti della notificazione per il notificante e il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale, si applica solo agli atti processuali, e non anche a quelli sostanziali, né agli effetti sostanziali dei primi (cfr. Cass. n. 26804/2013, la quale ha precisato che tale regolamentazione non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che il principio della scissione degli effetti della notificazione tutela l'interesse del notificante a non vedersi addebitato l'esito intempestivo della notifica, mentre la prescrizione incide sul diverso profilo sostanziale del diritto, rispetto al quale si pone, in via prevalente, la tutela della certezza del diritto del destinatario) e perché l'atto, giudiziale o stragiudiziale, produca l'effetto interruttivo del termine, è necessario che lo stesso sia giunto alla conoscenza legale, non necessariamente effettiva, del destinatario (Cass. n. 13588/2009).

Si è osservato che, attesa la natura sanzionatoria nei confronti del debitore inadempiente della disposizione in commento, la stessa dovrebbe operare, con conseguente decorrenza degli interessi secondo i criteri previsti dalla medesima, dal momento in cui la notifica è ricevuta dal destinatario, soltanto a partire dal quale si può assumere una rimproverabilità della condotta dello stesso, almeno rispetto all'introduzione del giudizio. Peraltro, ciò che è determinante rispetto alle comprensibili incertezze emerse con riguardo, invece, al tema della prescrizione è che in tale ipotesi si pone effettivamente soprattutto il problema di tutelare il creditore dall'imminente scadenza del relativo termine — sicché appare ragionevole far interrompere il termine dalla consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario ai fini della notifica in omaggio alla ratio del principio di scissione soggettiva nel perfezionamento delle notifiche affermato dalla Corte Costituzionale — è che nella fattispecie in esame non vi è un problema di tutela del creditore rispetto ad un termine che sta per spirare, di talché deve prevalere la disciplina che consenta al debitore di essere consapevole delle conseguenze delle proprie scelte in ordine all'immediato pagamento ovvero alla resistenza in giudizio, scelte la cui eventuale rimproverabilità non può che ancorarsi ad un dato di conoscenza, almeno legale, in ordine all'introduzione della lite. Analogamente, con riferimento ai procedimenti che iniziano con il deposito del ricorso, si è osservato che gli interessi nella misura prevista dalla legislazione speciale di cui al d.lgs. n. 231/2002 dovrebbero iniziare a decorrere dalla notifica al resistente del ricorso unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell'udienza, anche in ragione del rilevante lasso di tempo che trascorre di solito nei riti speciali da ricorso prima che il ricorrente, fissata magari l'udienza di discussione dopo diversi mesi dal deposito del ricorso, notifichi lo stesso ed il decreto di fissazione dell'udienza al resistente, soltanto entro il termine di trenta giorni prima dell'udienza previsto dall'art. 415 c.p.c. e non già entro dieci giorni dalla pronuncia del decreto del Giudice che fissa l'udienza come pure stabilito da tale previsione normativa (Sordi, 16-17).

Nell'ipotesi di proposizione di una domanda riconvenzionale di condanna dell'attore al pagamento di una determinata somma di denaro, il nuovo saggio legale degli interessi decorrerà dal deposito della comparsa di costituzione e risposta, salvo che nei confronti delle parti rimaste contumaci per le quali dovrà attendersi la notifica ex art. 292 c.p.c. (Gradi, 7).

Come noto, alternativa alla proposizione di un'azione ordinaria di condanna al pagamento di una somma di denaro è quella del deposito da parte del creditore di un ricorso per decreto ingiuntivo di pagamento onde ottenere velocemente, sulla scorta delle prove scritte ex artt. 634 e ss. c.p.c., un provvedimento monitorio che diventerà definitivo nell'ipotesi di mancata opposizione da parte dell'intimato a seguito della notifica dello stesso. Sarà quindi frequente nella prassi l'operatività della disposizione in commento nell'ambito di procedimenti incardinati dal creditore mediante ricorso ex artt. 633 e ss. c.p.c.: in tale ipotesi riteniamo che gli interessi moratori nella misura determinata dall'art. 17 d.l. n. 132/2014 cominceranno a decorrere dalla notifica al debitore del provvedimento monitorio (cfr. Sordi, 17, il quale osserva che non potranno gravare sul debitore le conseguenze del minore o maggiore tempo impiegato dal giudice nel pronunciare il decreto ingiuntivo o dal creditore nella notifica del provvedimento).

Sotto un primo profilo, l'utilizzo da parte del legislatore, in sede di conversione del decreto legge, della locuzione «dalla proposizione della domanda giudiziale» in luogo di quella dall'inizio di un procedimento di cognizione, sembra confermare la tesi per la quale da tale momento inizieranno a decorrere gli interessi in questione anche sino al termine dell'eventuale procedimento di esecuzione forzata resosi necessario per effetto del mancato adempimento spontaneo del debitore rispetto alla statuizione contenuta nel titolo esecutivo.

Nell'avallare tale impostazione si è nondimeno sottolineato, in dottrina, in senso critico, che applicando la misura degli interessi legali secondo quanto previsto dalla disposizione in esame anche nel corso del successivo processo di esecuzione, mancando un termine entro il quale il creditore deve incardinare l'azione esecutiva si consentirebbe allo stesso di «lucrare» il tempo del perdurante inadempimento del proprio debitore (Consolo 1182).

Per altri, non può trascurarsi che in un'ipotesi siffatta l'aumento esponenziale della misura degli interessi dovuti dipende da una condotta di perdurante inadempimento del medesimo debitore rispetto al pagamento del dovuto (cfr. Sordi, 15).

È stato evidenziato che deve inoltre ritenersi, proprio in ragione dell'attuale più generica formulazione della norma in commento rispetto al riferimento operato dal decreto legge all'inizio del procedimento di cognizione, che gli interessi legali secondo il saggio previsto dal d.lgs. n. 231/2002 matureranno, a prescindere dall'accertamento avvenuto in un previo giudizio ordinario di cognizione, anche a seguito della «minaccia» dell'inizio del procedimento esecutivo mediante la notifica dell'atto di precetto (Valerini, 49-50).

Sotto quest'ultimo profilo, è opportuno ricordare che, in effetti, il precetto determina, analogamente alla proposizione della domanda giudiziale, l'effetto dell'interruzione della prescrizione, peraltro soltanto in senso istantaneo. A riguardo, è stato costantemente ribadito l'assunto per il quale il precetto, non costituendo atto diretto all'instaurazione di un giudizio, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell'efficacia interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la notificazione del precetto, l'intimato abbia proposto opposizione (Trib. Napoli V, 30 ottobre 2012, in Giur. Merito, 2013, n. 2, 330). In altre parole, l'atto di precetto, contenendo un'intimazione ad adempiere rivolta al debitore (con conseguente messa in mora di quest'ultimo), produce un effetto interruttivo della prescrizione del relativo diritto di credito a carattere istantaneo, sicché, verificatosi tale effetto, inizia a decorrere, dalla data della sua notificazione, un nuovo periodo di prescrizione. Diversamente, l'atto di pignoramento determina un effetto tanto interruttivo, quanto sospensivo della prescrizione stessa, ai sensi dell'art. 2943, comma 1 c.c., poiché ad esso consegue l'introduzione di un giudizio di esecuzione tutte le volte in cui risulti notificato regolarmente al debitore (Cass. n. 8219/2002). Peraltro, occorre anche ricordare che, mentre la mera proposizione dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. da parte dell'intimato dopo la notificazione del precetto non modifica il carattere solo istantaneo dell'efficacia interruttiva di detta notifica, la costituzione del creditore opposto che formula una domanda comunque tendente all'affermazione del proprio diritto a procedere all'esecuzione configura un'attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal secondo comma dell'art. 2943 c.c. e, quindi, ai sensi del secondo comma dell'art. 2945, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (v., tra le tante, Cass. n. 7737/2007).

Il legislatore precisa espressamente, poi, al comma 4 della stessa norma, che l'art. 1284, comma 3 c.c., trova applicazione anche rispetto all'atto mediante il quale si promuove il procedimento arbitrale, i.e. dalla notificazione della domanda di arbitrato.

La norma dovrebbe operare anche nell'ipotesi in cui vengano proposte domande riconvenzionali nel corso del procedimento arbitrale (Gradi, 8).

Non viene effettuata dalla disposizione una distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, sicché dovrebbe inferirsene, per alcuni, che la modificazione del tasso legale di interesse operi in entrambe le ipotesi (Valerini, 50).

Per altri, tale soluzione si scontra con la natura negoziale dell'arbitrato libero, rispetto alla quale sarebbe più opportuno limitare l'ambito di applicazione della norma all'arbitrato rituale (Giordano (-Trapuzzano), 180).

La decorrenza degli interessi al saggio legale determinato secondo le previsioni della legislazione speciale in tema di ritardo nei pagamenti nell'ambito delle transazioni commerciali non viene anche estesa all'invio dell'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita né alla proposizione dell'istanza di mediazione, neppure nelle materie nelle quali le stesse assurgono a condizioni di procedibilità della domanda giudiziale.

Si è osservato che, pertanto, poiché l'invito alla stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita e la comunicazione di una domanda di mediazione producono gli effetti della domanda giudiziale solo sulla prescrizione e sulla decadenza non può ritenersi, in difetto di un'esplicita previsione da parte della disposizione in esame, che dall'invito alla negoziazione ovvero dalla domanda di mediazione decorra anche il tasso di interesse di cui al quarto comma dell'odierno art. 1284 c.c. (Valerini, 49, nota 12; sull'opportunità di una differente disciplina de jure condendo cfr. Consolo, spec. 1182).

I due nuovi commi dell'art. 1284 c.c. producono effetti rispetto ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 132/2014, ovvero a decorrere dalla data dell'11 dicembre 2014.

La dottrina più autorevole ha criticato la scelta del legislatore di non estendere l'operatività delle disposizioni di nuovo conio anche ai giudizi già in corso, pur con decorrenza degli interessi nella misura sanzionatoria dal momento dell'entrata in vigore della legge, rilevando una manifesta disparità di trattamento priva di ragionevole giustificazione tra le due ipotesi, idonea a giustificare dubbi di legittimità costituzionale della disciplina introdotta (Consolo, 1182). Nell'avallare tale impostazione, altri hanno evidenziato che ciò si pone pure in contrasto con l'obiettivo dell'intervento normativo nell'ottica della deflazione del contenzioso civile già pendente, ossia del c.d. arretrato giudiziario, che avrebbe potuto beneficiare della evidente non convenienza per il debitore della prosecuzione della lite, scoraggiando l'uso di tattiche dilatorie e favorendo una conciliazione (Sordi, 16).

Inoltre, si è osservato che il discrimine applicativo della norma tra processi già incardinati e quelli introdotti dopo la data dell'11 dicembre 2014, potrebbe comportare condotte abusive del creditore volte, ad esempio, a rinunciare agli atti del giudizio ovvero a porre una condotta idonea a determinare l'estinzione del processo pendente, al fine di poter poi riproporre la domanda giudiziale «lucrando» il tasso di interesse più favorevole (Consolo, 1182).

Occorre a riguardo tener presente, infatti, che il comma 1 dell'art. 310 c.p.c. chiarisce espressamente che l'estinzione del processo non estingue l'azione con conseguente possibilità della parte di riproporre la medesima domanda in sede giudiziaria, salvo il maturare della prescrizione ovvero della decadenza in conformità con il diritto sostanziale

Per altri, tuttavia, la scelta del legislatore è opportuna attesa la finalità «punitiva» nei confronti del debitore della disciplina introdotta nei nuovi due commi dell'art. 1284 c.c. dalla disposizione in esame, finalità che postula che il debitore debba essere previamente consapevole delle conseguenze di una resistenza priva di chances di successo in giudizio in ordine all'aumento dell'entità degli interessi rispetto al saggio legale e della convenienza di stipulare una transazione e ciò prima dell'introduzione del processo (cfr. Giordano (-Trapuzzano), 182).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1997; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991; Caporusso, Misure per il contrasto del ritardo nel pagamento, in La nuova riforma del processo civile a cura di Santangeli, Roma, 2015; Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della «degiurisdizionalizzazione», in Corr. giur. 2014, 1179; Di Majo, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., Milano, 1979; Distaso, voce Somma di denaro (Debito di), in Nss. D. I., Torino, 1970; Gradi, Il «diritto di aver torto» e gli oneri economici a carico del soccombente nel processo, in Giustiziacivile.com, 27 febbraio 2015, 6; Mastropaolo, voce Obbligazione, V, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. giur., Roma, 1990; Sordi, Il decreto-legge n. 132 del 2014 e le controversie in materia di lavoro, in Giustiziacivile.com, 12 marzo 2015, 15; Valerini, Le altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione, in Processo civile efficiente e riduzione arretrato a cura di Luiso, Torino, 2014, 49.

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