Codice Civile art. 1242 - Effetti della compensazione.

Rosaria Giordano

Effetti della compensazione.

[I]. La compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d'ufficio [35, 112 c.p.c.].

[II]. La prescrizione [2934 ss.] non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti.

Inquadramento

La norma in esame sancisce la regola generale per la quale, quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti.

La compensazione è un modo di estinzione dell'obbligazione di natura satisfattiva; attraverso il suo esercizio il compensante, per un verso, si libera con effetti solutori del proprio debito e, per altro verso, si cautela contro il rischio dell'insolvibilità del proprio creditore-debitore, cui oppone l'eccezione.

Profili generali

L'estinzione, parziale o totale, delle obbligazioni per compensazione cd. legale, ha lo scopo di evitare due distinti adempimenti ed opera retroattivamente (Perlingieri, 268), purché si tratti di crediti omogenei, liquidi ed esigibili (cfr. Schlesinger, 723).

La disciplina della compensazione ex art. 1241 c.c. è applicabile nelle ipotesi in cui le reciproche ragioni di credito, pur avendo il loro comune presupposto nel medesimo rapporto, siano fondate su titoli aventi diversa natura, l'una contrattuale e l'altra extracontrattuale (Cass. III, n. 10750/2016).

La compensazione estingue ope legis i debiti contrapposti, e ciò per effetto del fatto oggettivo della loro coesistenza, sicché la dichiarazione giudiziale della parte, che oppone la compensazione legale, equivale ad una manifestazione di volontà diretta a giovarsi di un effetto già verificatosi, e la pronuncia del giudice non fa che accertare l'avvenuta estinzione, per compensazione legale, dei contrapposti debiti e crediti, con effetto ex tunc, cioè al momento della loro coesistenza, fermo restando che la compensazione legale ha luogo quando coesistono crediti reciproci che siano liquidi ed esigibili e, per effetto della dichiarazione della parte interessata, la compensazione legale viene ad operare in un momento anteriore a quello in cui la dichiarazione medesima e emessa, ma tale operativita ex tunc, o retroattività, non fa risalire l'effetto estintivo al momento in cui coesistono i fatti giuridici da cui sorgono i crediti-debiti contrapposti, bensì al momento in cui coesistono crediti liquidi ed esigibili, dato che la compensazione legale ha per presupposto la liquidità ed esigibilità dei crediti, a differenza della compensazione giudiziale, per la quale e sufficiente che il debito opposto sia di facile e pronta liquidazione (v. già Cass. III, n. 2697/1962, la quale ha sottolineato che essendo questo il congegno con il quale opera la compensazione legale, non ha nessuna rilevanza, ai fini dell'operatività della compensazione legale, il momento in cui sorga il debito opposto, se questo, mancando dei requisiti di liquidita ed esigibilità previsti dalla legge, non può in quel momento essere opposto in compensazione).

È peraltro necessaria la dichiarazione di volersi valere della compensazione, che può essere effettuata anche in sede stragiudiziale, ipotesi nella quale, ove ciò risulti ex actis, il giudice potrà accertare la compensazione senza formale eccezione sulla base della ricorrenza dei rispettivi presupposti al tempo della dichiarazione stragiudiziale (Perlingieri, 278).

In applicazione delle regole generali tratte dall'art. 2697 c.c., grava sulla parte che invochi la compensazione l'onere della prova circa l'esistenza del proprio controcredito, quale fatto estintivo del debito (Cass. sez. lav., n. 292/2016).

Si tratta di eccezione in senso stretto, purché riferita ad un rapporto obbligatorio diverso da quello che forma oggetto del giudizio. Pertanto, poiché il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario deve ritenersi inteso non solo a tutela dell'interesse di parte, ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo e alla sua spedita definizione, l'eccezione di compensazione non può essere proposta, dopo la prima udienza di trattazione, nel termine assegnato dal giudice ai sensi dell'art. 183 c.p.c. (Cass. n. 6532/2006).

Sempre sul piano delle preclusioni, occorre considerare che l'eccezione di compensazione, comportando necessariamente l'accertamento e la valutazione di circostanze di fatto istituzionalmente riservati al giudice di merito, non può essere sollevata, per la prima volta, nel giudizio di cassazione (Cass. I, n. 746/1972).

La compensazione può essere opposta in sede giudiziale sia in forma di semplice eccezione sia quale domanda riconvenzionale (Cass. n. 538/1997; Cass. n. 9525/1992). Non è richiesto l'uso di formule sacramentali, ma è invece sufficiente che una volontà in tal senso risulti inequivocabilmente dalla condotta difensiva della parte (Cass. n. 10335/2014; Cass. n. 7257/2006; Cass. n. 391/2006). In ogni caso, avendo riguardo alla disciplina processuale dettata dall'art. 35 c.p.c., l'eccezione di compensazione presuppone il riconoscimento sia pure parziale e condizionato, del debito proprio della parte che eccepisce, debito del quale si afferma la estinzione — totale o parziale — per effetto della contemporanea esistenza della ragione creditoria che si allega nei confronti dell'avversario (cfr. già Cass. III, n. 1978/1966).

È stato poi precisato che il credito che non discenda in modo immediato e diretto dalla sentenza di cassazione non può essere eccepito in compensazione, per la prima volta, nel giudizio di rinvio, e ciò alla luce tanto della natura di quest'ultimo di «processo chiuso», ove le parti sono obbligate a riproporre la controversia negli stessi termini e nel medesimo stato di istruzione anteriore alla sentenza annullata, quanto della non incolpevolezza del dispiegamento della relativa pretesa, da parte del supposto creditore, solo in via di eccezione, giacché essa avrebbe potuto formularsi già nel giudizio di merito, benché in forma eventuale o condizionata all'accoglimento delle avverse domande (Cass. VI, n. 7506/2017).

Su un piano più generale, la S.C. ha recentemente chiarito che le eccezioni di compensazione e di inadempimento differiscono per presupposti e funzione, ed implicano una diversa distribuzione dell'onere probatorio: la prima, infatti, rileva quale fatto estintivo dell'obbligazione e presuppone che due soggetti siano obbligati l'uno verso l'altro in forza di reciproci crediti e debiti, sicché grava sulla parte che la invoca l'onere della prova circa l'esistenza del proprio controcredito; la seconda, invece, integra un fatto impeditivo dell'altrui pretesa di pagamento avanzata, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore, con la conseguenza che il debitore potrà limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento, gravando sul creditore l'onere di provare il proprio adempimento ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione (Cass. II, n. 23759/2016).

Casistica

Accertata la nullità del contratto d'investimento, il venir meno della causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l'applicazione della disciplina dell'indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., con il conseguente sorgere dell'obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla domanda di parte ed all'assolvimento degli oneri di allegazione e di prova, avente ad oggetto, da un lato, le somme versate dal cliente alla banca per eseguire l'operazione e, dall'altro lato, i titoli consegnati dalla banca al cliente e gli altri importi ricevuti a titolo di frutti civili o di corrispettivo per la rivendita a terzi, a norma dell'art. 2038 c.c., con conseguente applicazione della compensazione fra i reciproci debiti sino alla loro concorrenza (Cass. I, n. 6664/2018).

La compensazione del debito da conferimento con il credito del socio da finanziamento postergato ex lege, costituisce una forma di «restituzione» del prestito contraria alla norma di cui all'art. 2467 c.c. (Trib. Roma Sez. spec. impresa, 6 febbraio 2017, in Banca Borsa tit. cred., 2018, n. 3, II, 374).

Nel caso di ricongiunzione contributiva, le somme eccedenti rispetto alla riserva matematica non possono essere opposte in compensazione rispetto al debito derivante dal riscatto degli anni di laurea né restituite all'assicurato, data l'inesistenza nel sistema previdenziale di un principio di restituzione dei contributi legittimamente versati (Cass. sez. lav., n. 30234/2017).

Dal momento in cui si verifica la modificazione soggettiva dell'obbligazione, in seguito all'emissione dell'ordinanza di assegnazione di un credito vantato dal debitore della creditrice assegnataria nei confronti di un terzo creditore, è possibile la compensazione dei crediti di quest'ultimo verso l'assegnataria (Cass. VI, n. 17441/2018).

In sede di esecuzione può farsi luogo a compensazione, allorché il debitore opponga un credito che non avrebbe potuto opporre nel giudizio di cognizione concluso con la sentenza in base alla quale l'esecuzione e stata promossa: ciò si verifica, anche se il credito opposto in compensazione e anteriore alla formazione del giudicato, allorché il credito contrapposto, per il quale il creditore procede in via esecutiva, non esisteva quando si svolse il giudizio di cognizione, ed è sorto proprio in virtù della sentenza, in quanto, essendo la compensazione operante dal giorno della coesistenza dei due debiti (art 1242 c.c.), e cioè dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza, il debitore non avrebbe potuto eccepirla se non nel giudizio di esecuzione (Cass. S.U., n. 2865/1962).

La compensazione, quale fatto estintivo dell'obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all'esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari (Trib. Roma IV, 7 novembre 2018, n. 21319). In particolare, con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. il debitore esecutato può opporre in compensazione al creditore procedente un controcredito certo (cioè, definitivamente verificato giudizialmente o incontestato) oppure un credito illiquido di importo certamente superiore (la cui entità possa essere accertata, senza dilazioni nella procedura esecutiva, nel merito del giudizio di opposizione) anche nell'ipotesi di espropriazione forzata promossa per il credito inerente al mantenimento del coniuge separato, non trovando applicazione, in difetto di un "credito alimentare", l'art. 447, comma 2, c.c. (Cass. III, n. 9686/2020).

In tema di compensazione, nel caso in cui alla domanda della curatela di un fallimento per la riscossione di un credito sia contrapposta una domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza: invero, la ratio dell'art. 56 l. fall. è quella di evitare che il debitore del fallimento, che bene abbia corrisposto il credito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare, dal rispetto della regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dal fatto che la compensazione si configura come conseguenza della pronuncia sulla domanda riconvenzionale. Per contro, non potrà pronunciarsi sentenza di condanna del fallimento al pagamento del debito nella misura corrispondente all'eventuale eccedenza del credito verso il fallito, perché questa deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo del fallimento (Cass. III, n. 21784/2015).

Il principio secondo cui, nel rapporto fra cliente e professionisti associati in un unico studio professionale, ciascuno dei professionisti, nell'espletamento dell'incarico ricevuto insieme con i suoi colleghi, agisce sia per se, sia per i suoi colleghi secondo il principio della rappresentanza, ed è legittimato a ricevere, con effetti liberatori, l'intero compenso per l'opera prestata, trova applicazione solo nel caso di pagamento del compenso per una prestazione congiuntamente espletata, ma non può estendersi a qualsiasi debito o credito contratto dai singoli professionisti, sia pure nell'ambito dell'attività svolta in forma associata, stante l'impossibilita di esercitare in forma societaria l'attività professionale, con la conseguenza che non può essere opposto in compensazione, al professionista che chiede il pagamento del proprio onorario, un credito vantato dal cliente genericamente nei confronti dello studio professionale, qualora manchi la prova che tutti i professionisti associati abbiano contratto nei confronti del cliente i debiti dedotti in compensazione, o che ne abbiano comunque tutti tratto vantaggio (Cass. I, n. 6065/1979).

La compensazione cd. impropria

La disciplina della compensazione può trovare applicazione solo quando i crediti siano autonomi, mentre, ove i rispettivi crediti e debiti traggano origine dal medesimo rapporto (come accade quando le obbligazioni siano legate da un rapporto di sinallagma), non ricorre il requisito dell'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti e dunque non trovano applicazione le norme sulla compensazione, atteso che la valutazione delle reciproche pretese si risolve in un mero accertamento contabile (De Lorenzi, 70).

La stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte enunciato il principio per il quale, l'applicabilità delle disposizioni degli articoli 1241 e segg. c.c. (riguardanti l'ipotesi della compensazione in senso tecnico - giuridico) postula l'autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale (Cass. n. 26365/2024), purché tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto diversamente si verificherebbe un - non consentito - ampliamento del "thema decidendum", né rileva il carattere ufficioso dell'eccezione anche in grado d'appello in difetto delle necessarie allegazioni ( Cass. III, n. 12302/2016; si è precisato che, quindi, la compensazione impropria rende inapplicabili le sole norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale: Cass. I, n. 10798/2018). Tuttavia più di recente si è evidenziato che se l'applicabilità delle disposizioni degli articoli 1241 e segg. c.c. (riguardanti l'ipotesi della compensazione in senso tecnico - giuridico) postula l'autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e quindi il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale,  ciò può avvenire purchè tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto diversamente si verificherebbe un - non consentito - ampliamento del "thema decidendum" (Cass. VI, n. 28469/2020).

Casistica

La compensazione del trattamento di fine rapporto con crediti del datore di lavoro, tra i quali deve essere annoverata la penale pattuita per il recesso anticipato dal patto di stabilità, è legittima, posto che il divieto previsto dall'art. 1246, n. 3, c.c., in relazione ai crediti impignorabili, opera solamente con riguardo alla compensazione «propria», che ricorre quando le reciproche ragioni di debito-credito nascono da distinti rapporti giuridici, e non anche per quella «impropria», ove le suddette ragioni provengono da un unico rapporto, quale è indubbiamente il rapporto di lavoro (Cass. sez. lav., n. 21646/2016).

La compensazione impropria — che si verifica quando i contrapposti crediti e debiti delle parti hanno origine da un unico rapporto — non è applicabile al trattamento pensionistico di invalidità civile per il recupero di somme indebitamente erogate a titolo di assegno sociale ex art. 3, comma 6 l. n. 335/1995, quale provvidenza avulsa dallo stato di invalidità che non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza (Cass. sez. lav., n. 12323/2018).

Applicazioni in materia tributaria

Occorre premettere che, come precisato più volte dalla S.C., in materia tributaria la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge.

La S.C. ha chiarito che tale principio non può considerarsi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della l. n. 212/2000 (cd. Statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall'anno di imposta 2002 (Cass. VI, n. 17001/2013).

Ciò posto, numerose sono le applicazioni pratiche in materia tributaria.

Il principio evincibile dall'art. 43-bis del d.P.R. n. 602/1973 e dall'art. 1 del d.m. n. 384/1997 — secondo il quale la notifica all'ufficio dell'atto di cessione di credito in data anteriore a quella della notifica delle cartelle esattoriali, relative a crediti vantati dall'Amministrazione finanziaria nei confronti del debitore cedente, rende tali crediti inopponibili al cessionario — trova applicazione unicamente in relazione alle imposte dirette e non anche in materia di IVA: ne consegue che, per verificare l'ammissibilità della compensazione tra il credito IVA chiesto a rimborso dal contribuente, oggetto di cessione ed il controcredito vantato dall'Amministrazione finanziaria, occorre avere riguardo alla disposizione generale dell'art. 1248, comma 2 c.c., per la quale, nel caso in cui la cessione non sia stata accettata dal debitore, ma a questi solo notificata, è impedita la sola compensazione dei crediti sorti posteriormente alla notificazione della cessione (Cass. sez. trib., n. 27883/2013).

Laddove la reciproca relazione di debito-credito tragga origine da un unico o unitario rapporto l'istituto civilistico della compensazione non trova applicazione e la valutazione delle reciproche pretese importa un semplice accertamento contabile di dare e avere, senza che operino i limiti alla compensabilità: questa conclusione, in presenza di un contratto di appalto, non è contraddetta dalla constatazione che dal compimento di una operazione imponibile ai fini IVA discendano tre rapporti tra loro autonomi, uno tra l'amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta, l'altro tra il cedente e il cessionario, in ordine alla rivalsa, e il terzo tra l'amministrazione e il cessionario per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa. (Cass. I, n. 780/2017, fattispecie nella quale il committente aveva corrisposto l'imposto fatturato dall'appaltatore a titolo di corrispettivo, incrementato del 20 per cento per IVA; successivamente, accertato che l'aliquota era del 10 per cento il committente aveva scomputato, sul corrispettivo relativo alle fatture successive quanto versato in eccedenza sulla prima fattura ed accolta dal giudice del merito la domanda di restituzione, atteso che era irrilevante l'avvenuto decorso dei termini per attivare, nei confronti dell'amministrazione finanziaria la procedura di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 per la rettifica delle operazioni assoggettate ad aliquota errata, in applicazione del principio sopra esposto la Suprema corte ha confermato tale statuizione evidenziando che il committente si era limitato a conteggiare, in sede di liquidazione finale dell'appalto, l'anticipazione di somme erroneamente operata a favore dell'appaltatore per il pagamento di un debito IVA insussistente a causa di un errore di fatturazione imputabile all'appaltatore).

In materia di IVA, qualora la richiesta di rimborso sia stata legittimamente sospesa con provvedimento di fermo amministrativo, poi venuto meno ma comunque ritenuto legittimo, il ritardo nel rimborso non è imputabile all'amministrazione, sicché non decorrono gli interessi di mora, che riprendono, una volta venuto meno il fermo, dalla nuova istanza di rimborso (Cass. sez. trib., n. 8540/2016).

La società controllante non può utilizzare, ai fini della compensazione cd. orizzontale, le eccedenze di credito emergenti dalle dichiarazioni delle controllate, la cui disponibilità è trasferita, per effetto dell'opzione per il regime di liquidazione dell'IVA di gruppo, alla capogruppo, che, in base all'art. 4, comma 4, d.m. n. 11065/1979, le annota nei propri registri. Tale limitazione è coerente con la natura meramente endoprocedimentale della disciplina dell'IVA di gruppo, finalizzata soltanto a semplificare la liquidazione ed il versamento del tributo, e in forza di detta natura procedimentale della disciplina le società controllate non perdono al loro soggettività ai fini fiscali sicché la compensazione è ammissibile per i soli crediti che siano confluiti nella dichiarazione presentata dalla società controllante ed influenti sull'IVA complessivamente dovuta dalla capogruppo e dalle controllate, che restano soggetti passivi d'imposta. La compensazione indebitamente operata comporta l'applicabilità della sanzione di cui all'art. 13, comma 1 d.lgs. n. 471/1997 posto che il mancato versamento del tributo alle scadenze previste determina il ritardato incasso erariale, con «deficit» di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale (Cass. sez. trib., n. 12645/2017).

A seguito della presentazione della dichiarazione finale dei redditi da parte del curatore, il credito vantato dall'amministrazione finanziaria nei confronti di un imprenditore fallito, che con la chiusura della procedura ritorna in bonis, non può essere opposto in compensazione con un debito della stessa amministrazione verso la «massa dei creditori», sia perché diversi sono i soggetti delle opposte ragioni di dare ed avere, in quanto il credito opposto dall'Erario ha come soggetto passivo l'imprenditore fallito mentre quello fatto valere dal fallimento con la dichiarazione finale è un credito della massa, sia perché — compensando tali opposte ragioni di dare e avere — verrebbero pregiudicati illegittimamente i creditori concorsuali, per la violazione del principio di parità di trattamento (Cass. VI, n. 6478/2014).

Bibliografia

Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964; Chiovenda, Azioni sommarie. La sentenza di condanna con riserva, in Saggi di diritto processuale civile, I, Milano, 1993, 123 ss.; De Lorenzi, voce Compensazione, in Dig. civ., 1988; Gabassi, Compensazione nel processo: nessuna estinzione senza certezza. Lo strano caso della compensazione del credito sub iudice, in Nuova giur. civ. comm. 2017, n. 5, 708; Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991; Merlin, Compensazione e processo, II, Milano, 1994; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1959; Pellegrini, Della compensazione, in Commentario al Codice civile diretto da D'Amelio e Finzi, Firenze, 1948; Ragusa-Maggiore, voce Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1961; Redenti, La compensazione dei debiti nei nuovi codici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, 29 ss.; Rescigno, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1965; Schlesinger, Compensazione (diritto civile), in Novissimo Digesto Italiano, III, Torino, 1974, 723; Tiscini, Modificazioni della competenza per ragioni di connessione. Difetto di giurisdizione, incompetenza e litispendenza, in Commentario al codice di procedura civile diretto da Chiarloni, Bologna, 2016.

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