Codice Civile art. 1243 - Compensazione legale e giudiziale.Compensazione legale e giudiziale. [I]. La compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili. [II]. Se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione [35 c.p.c.]. InquadramentoLa disposizione in esame distingue tra compensazione legale e compensazione giudiziale. In particolare, la compensazione legale si realizza tra due debiti che abbiano un determinato oggetto e che presentino i requisiti della liquidità ed esigibilità. Si realizza, invece, ai sensi del secondo comma, la compensazione giudiziale ove il debito opposto in compensazione non sia liquido ma possa essere liquidato facilmente; in difetto, il giudice può disporre la sospensione della condanna in ordine al credito liquido in attesa che si accerti nel medesimo processo l'esistenza e la consistenza del debito opposto in compensazione. Compensazione legaleLa compensazione legale presuppone la sussistenza, anteriormente al giudizio, di contrapposti crediti liquidi ed esigibili, mentre la compensazione giudiziale presuppone che il debito opposto in compensazione sia illiquido, ma di facile e pronta liquidazione (v., tra le altre, Cass. n. 4073/1998). La portata di tali requisiti è peraltro oggetto di discussione nell'ambito della dottrina che ha approfondito la problematica, essendo controversa, in particolare, la valenza del requisito della liquidità che si sostanzia, per alcuni, nella certezza e determinatezza del credito e, per altri, anche nella circostanza che il credito sia incontestato (cfr., con diverse sfumature, Perlingieri, in Comm. S. B., 1988, 294). La compensazione legale deve avere ad oggetto le obbligazioni di dare somme di denaro o cose fungibili dello stesso genere. È pertanto preclusa la compensazione tra somme di denaro e altre cose fungibili (Schlesinger, 723). Il requisito dell'omogeneità può concernere anche i debiti pecuniari in valuta estera, previa conversione nella moneta nazionale (De Lorenzi, 69). A riguardo, anche in giurisprudenza si è affermato che, nel caso di compensazione tra debiti pecuniari in valuta estera, il cambio rilevante è quello del giorno in cui i debiti sono coesistititi, salva diversa volontà delle parti (Cass. n. 4562/1991). L'effetto della compensazione legale è retroattivo, ossia risale al momento in cui i coesistenti sono divenuti liquidi ed esigibili (Cass. n. 22324/2014). Ciò implica che la compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerta è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi e questo automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del debitore che se ne avvale, senza che sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte (Cass. II, n. 22324/2014). La compensazione legale è preclusa ove il credito sia stato accertato con sentenza non ancora passata in giudicato, sebbene provvisoriamente esecutiva (Cass. n. 4423/1987), ovvero di credito che deve essere accertato nella sua sussistenza e nella sua quantità, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo, laddove la legge richiede, affinché la compensazione legale si verifichi, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito (Cass. n. 13208/2010; Cass. n. 5892/1979). La compensazione, quale fatto estintivo dell'obbligazione, può essere dedotta come motivo di opposizione all'esecuzione forzata, fondata su titolo esecutivo giudiziale coperto dalla cosa giudicata, qualora il credito fatto valere in compensazione, rispetto a quello per cui si procede, sia sorto successivamente alla formazione di quel titolo, mentre in caso contrario resta preclusa dalla cosa giudicata, che impedisce la proposizione di fatti estintivi od impeditivi ad essa contrari; né ha alcun rilievo il fatto che anche il credito del debitore esecutato sia assistito da titolo esecutivo giudiziale, quest'ultimo non privando di efficacia esecutiva il titolo del creditore esecutante in quanto non vale a estinguerne il credito (Cass. n. 9912/2007). La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell'obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all'art. 1243 c.c. ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia (Cass. III, n. 21784/2015). Compensazione giudizialeLa compensazione giudiziale si può realizzare quando il debito opposto in compensazione, benché non sia liquido, nondimeno sia di facile e pronta liquidazione. Sebbene la norma in esame faccia riferimento soltanto alla necessità che il controcredito sia liquido ed esigibile e non anche certo, la giurisprudenza della S.C. è da lungo tempo salda nel ritenere anche tale presupposto essenziale ai fini della compensazione legale, come di quella giudiziale. Peraltro, soltanto in rare decisioni il requisito della certezza del controcredito è stato inteso in modo autonomo rispetto a quello della liquidità del credito stesso (Cass., n. 1532/1975), mentre, almeno in giurisprudenza, di regola è stato considerato unitariamente a tale aspetto, affermando che il credito opposto in compensazione non è liquido anche ove si renda necessario il suo accertamento per le contestazioni mosse dall'altra parte, rispetto all'an ovvero al quantum debeatur, salvo che queste appaiano prima facie pretestuose (Cass., n. 2188/1965; Cass. S.U., n. 2234/1975; Cass., n. 9904/2003). In dottrina è stato posto in discussione il richiamato orientamento, sebbene anche autorevolmente suffragato (v., tra gli altri, Barassi, 158; Messineo, 294; Pellegrini, I, 143), che tende a sovrapporre i requisiti della certezza e della liquidità del controcredito, osservando che occorre invece distinguere tra le ipotesi nelle quali l'intervento del giudice è volto a costatare l'esistenza del credito ed il suo ammontare (compensazione legale nel giudizio), da quelle in cui l'opera del giudice è indispensabile per la determinazione del quantum del credito illiquido ai fini della compensazione giudiziale (Perlingieri, 294 e ss.). Pertanto il requisito della liquidità sta ad indicare che i crediti reciproci, per essere compensabili, devono essere determinati nel loro ammontare, mentre la contestazione del credito può riguardare anche quello liquido, atteso che la certezza non deve preesistere al giudizio, bensì esserne un risultato (Schlesinger, 723). Peraltro, sovrapporre i due concetti finisce con il rimettere alla volontà della singola parte la scelta se l'estinzione per compensazione debba avvenire secondo le regole della compensazione legale o invece di quella giudiziale (Tiscini, 254 ss.), poiché, se la certezza del credito è l'elemento idoneo a definire la liquidità dello stesso, la circostanza che la mera contestazione del controcredito ne escluda la liquidità sposta l'eccezione di compensazione dall'alveo della legale a quello della giudiziale, con ingiustificato ampliamento dell'area di applicazione di tale istituto (cfr. Schlesinger, 723). Una decisione della S.C. si era quindi posta in contrasto con l'orientamento dominante, affermando il principio in forza del quale la circostanza che l'accertamento di un credito risulti «sub iudice» non è di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore. In particolare, secondo la ricostruzione operata dalla Corte di legittimità in tale decisione, in tal caso, se i due giudizi pendono innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il coordinamento tra di essi deve avvenire attraverso la loro riunione, all'esito della quale il giudice potrà procedere nei modi indicati dal secondo comma dell'art. 1243 c.c. Se, invece, pendono dinanzi ad uffici diversi (e non risulti possibile la rimessione della causa, ai sensi dell'art. 40 c.p.c., in favore del giudice competente per la controversia avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio relativo al credito in compensazione penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia, sul credito principale, di una condanna con riserva all'esito della decisione sul credito eccepito in compensazione e contestuale rimessione della causa nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio — ai sensi, rispettivamente, degli artt. 295 e 337, secondo comma, c.p.c. — fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito (Cass. III, n. 23573/2013, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, n. 5, 424, con nota di Masciangelo). In sostanza, l'ampia motivazione di tale decisione si fonda, in primo luogo, sull'assunto per il quale il comma 2 dell'art. 1243 c.c. deve essere interpretato nel senso che la sospensione del processo di accertamento del credito principale non è ammessa soltanto nell'ipotesi ivi contemplata nella quale il giudizio sul controcredito penda dinanzi al medesimo giudice, come attestato dalla medesima norma nella parte in cui utilizza la locuzione «può anche sospendere» dalla quale si evince che detta sospensione è una possibilità che non ne esclude altre, ed, in particolare, la sospensione per pregiudizialità ex art. 295 o 337 c.p.c. Peraltro, in queste ipotesi, l'avvenuta sospensione del processo pregiudicato rispetto al controcredito dedotto in compensazione, non impedisce, nelle more, l'emanazione di una decisione di condanna dello stesso convenuto che ha formulato detta eccezione attraverso il meccanismo della condanna con riserva. Questa possibilità può fondarsi, secondo detta impostazione interpretativa della S.C., proprio sull'applicazione analogica dell'art. 35 c.p.c. che, laddove al credito principale venga opposto in compensazione un controcredito contestato il cui valore ecceda la competenza del giudice adito, prevede il ricorso alla condanna con riserva per il credito principale e la rimessione della causa al giudice competente per la decisione relativa alla sola eccezione di compensazione, in caso di credito non controverso o facilmente accertabile. Nella stessa decisione si sottolinea che il ricorso all'analogia per applicare l'art. 35 c.p.c. e consentire, quindi, una condanna con riserva — i.e. sentenza di accoglimento della domanda sottoposta alla condizione risolutiva dell'accoglimento dell'eccezione riservata — in attesa della definizione della causa pregiudicante pendente dinanzi ad altro ufficio giudiziario si rende necessario al fine di evitare dubbi di costituzionalità, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto situazioni aventi quale medesimo presupposto la contestazione del controcredito finirebbero per essere trattate diversamente, negando l'ammissibilità della compensazione se vi è un processo già pendente e consentendola nel caso di contestazione nuova nel giudizio in corso avente ad oggetto il credito principale. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nel mese di dicembre del 2016, hanno ribadito l'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità per il quale non è ammessa, per difetto del requisito di certezza, la compensazione di un credito litigioso, non avallando, pertanto, la logica più squisitamente processuale seguita da un precedente della Sezione Terza che aveva dato luogo al contrasto che le stesse erano state chiamate a comporre (Cass. S.U., n. 23225/2016). Più in particolare, in virtù del canone di specialità, si è evidenziato che, se è controversa, in un altro giudizio pendente, l'esistenza del controcredito dedotto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale, né tampoco giudiziale, la quale, ai sensi dell'art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, sicché, almeno prima che l'accertamento sia divenuto definitivo, non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda da un altro giudizio in corso, utilizzando a tal fine i meccanismi di sospensione del processo per pregiudizialità dipendenza di carattere generale previsti dagli artt. 295 e 337 c.p.c. in senso conforme, da ultimo, Cass. n. 27113/2024). Il ragionamento posto a fondamento dell'orientamento prevalente, che è stato avallato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, nega, quindi, che l'eccezione di compensazione fondata su un credito litigioso ancora sub iudice in un diverso procedimento possa essere accolta. In particolare, posto che la contestazione è sufficiente per rendere, secondo l'impostazione condivisa da tali pronunce, il credito illiquido, si ritiene che, in tema di compensazione giudiziale, l'art. 1243, comma 2, c.c. costituisce una norma speciale rispetto a disposizioni processuali di carattere generale come gli artt. 295 e 337 c.p.c., consentendo quindi la sospensione del giudizio sul credito principale, in attesa della verifica dei requisiti del controcredito dedotto in compensazione, solo se il giudice investito dell'accertamento del controcredito sia lo stesso adito con la domanda di pagamento principale (Cass., n. 325/1992). È stato altresì precisato, all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità, che, per difetto del requisito della certezza, non è ammissibile la compensazione legale anche rispetto a crediti riconosciuti da una sentenza o da altro titolo giudiziale, provvisoriamente eseguibile, in quanto la provvisoria esecuzione facoltizza la semplice temporanea esigibilità del credito, ma non concerne la sua certezza necessaria, per contro, per poter determinare ope exceptionis l'estinzione di due debiti per le quantità corrispondenti (Cass., n. 620/1970). In dottrina si è osservato che le ragioni di questa interpretazione restrittiva possono ravvisarsi nella necessità, ritenuta sottesa all'istituto della compensazione, di non ritardare l'eventuale pronuncia di condanna avente ad oggetto il credito principale in virtù di controcrediti che difettano del requisito della liquidità, da intendersi comprensivo della certezza (Gabassi, 708). Una soluzione volta a contemperare tale esigenza con quella di tutela del titolare del controcredito è stata prospettata in dottrina proponendo l'applicazione analogica della condanna con riserva di cui all'art. 35 c.p.c. per le ipotesi di contestazione sub iudice del controcredito opposto in compensazione ed, in generale, per tutti i casi di impossibilità della simultaneità dei procedimenti sul credito principale e sul controcredito dedotto dal convenuto e contestato dall'attore (Merlin, II, 269 ss.). Tuttavia, le decisioni successive si sono conformate all'indirizzo interpretativo prevalente ribadito dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, affermando il principio per il quale se è controversa l'esistenza del controcredito opposto in compensazione nell'ambito del medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, il giudice non può pronunciare la compensazione (v., di recente, Cass. III, n. 4313/2019; Cass. VI, n. 19450/2018, nonché, in sede di merito, App. Bari, sez. lav., 2 ottobre 2017, per la quale la compensazione legale e giudiziale disciplinata dall'art. 1243 c.c. interviene per annullare due debiti contrapposti, che siano liquidi ed esigibili ed entrambi pendenti dinanzi al medesimo giudice. Viceversa, nel caso in cui il debito opposto risulti illiquido e i due processi siano separati, il giudice chiamato ad accertare l'operatività dell'eccezione di compensazione non può sospendere il giudizio sul credito principale. Infatti l'art. 1243 c.c. riveste carattere di specialità rispetto all'articolo 295 c.p.c. (disciplinante la sospensione necessaria nel caso in cui vi sia un'altra controversia da definire): pertanto, non operando il primo, la sospensione del processo non può avvenire ai sensi del secondo). In ogni caso, resta fermo che, sebbene la compensazione giudiziale prevista dall'art. 1243, comma 2, c.c., presupponendo l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso, in quanto tale credito non è liquidabile se non in quella sede, qualora, invece, il credito illiquido non sia semplicemente opposto in compensazione al solo fine di paralizzare la domanda della controparte, ma in relazione al medesimo sia stata proposta domanda riconvenzionale, il giudice, in forza di quanto disposto dagli artt. 36 e 112 c.p.c., non può spogliarsi della cognizione della controversia, ma, dopo aver provveduto circa la domanda dell'attore, deve pronunciarsi anche in merito al credito fatto valere dal convenuto (Cass. II, n. 13244/2016). Per altro verso, la S.C. ha recentemente precisato che la compensazione giudiziale può operare anche relativamente ad una ragione creditoria già prescritta, ove il credito opposto sia certo e, benché indeterminato nel suo ammontare, di facile e pronta liquidazione, poiché la regola generale contenuta nell'art. 1242, comma 2, c.c., che postula la prevalenza del diritto alla compensazione rispetto alla prescrizione qualora il relativo termine non sia spirato nell'arco temporale di coesistenza dei crediti e dei debiti, si fonda sul principio di ragionevolezza e di buona fede nella disciplina dei rapporti negoziali e rappresenta una declinazione di quello, pure generale, per il quale, quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i debiti si estinguono per le quantità corrispondenti (Cass. III, n. 7018/2020). Casistica In tema di compensazione dei crediti, se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest'ultima, exart. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (Trib. Treviso II, 5 ottobre 2018, n. 1946, in Ilprocessocivile.it, con nota di Giordano). Nel giudizio di opposizione all'esecuzione, è consentito al debitore dedurre in compensazione un suo controcredito, anche se illiquido, ma di importo certamente superiore al credito opposto, la cui sussistenza ed entità potrà essere accertata dal giudice dell'esecuzione (Cass. III, n. 30323/2019). La parte esecutata non può opporre in compensazione un credito certo (derivante da una sentenza ormai coperta da giudicato) con un credito incerto (portato da una sentenza che è oggetto di gravame la cui esecutorietà risulta anche essere stata sospesa dalla Corte di Appello) in quanto la compensazione giudiziale, di cui all'art. 1243, comma 2, c.c. presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (Trib. Savona, 18 dicembre 2016). La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del debitore del fallito divenga liquido ed esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico della obbligazione sia anteriore alla relativa dichiarazione, mentre è irrilevante che la sentenza di accertamento del controcredito intervenga successivamente alla stessa dichiarazione di fallimento (Cass. I, n. 42008/2021; cfr. anche Trib. Milano, sez. fer., 7 marzo 2018, n. 2649). BibliografiaBarassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964; Chiovenda, Azioni sommarie. La sentenza di condanna con riserva, in Saggi di diritto processuale civile, I, Milano, 1993, 123 ss.; De Lorenzi, voce Compensazione, in Dig. civ., 1988; Gabassi, Compensazione nel processo: nessuna estinzione senza certezza. Lo strano caso della compensazione del credito sub iudice, in Nuova giur. civ. Comm., 2017, n. 5, 708; Giordano, Compensazione e credito litigioso, in Libro dell'anno del diritto, 2018, 46 ss.; Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991; Merlin, Compensazione e processo, II, Milano 1994; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1959; Pellegrini, Della compensazione, in Commentario al Codice civile diretto da D'Amelio, Finzi, Firenze, 1948; Ragusa-Maggiore, voce Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1961; Redenti, La compensazione dei debiti nei nuovi codici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, 29 ss.; Rescigno, voce Novazione (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1965; Schlesinger, Compensazione (diritto civile), in Novissimo Digesto Italiano, vol. III, Torino, 1974, 723; Tiscini, Modificazioni della competenza per ragioni di connessione. Difetto di giurisdizione, incompetenza e litispendenza, in Commentario al codice di procedura civile diretto da Chiarloni, Bologna 2016. |