Decreto legislativo - 6/09/2005 - n. 206 art. 135 - (Onere della prova) 1 .

Giacomo Bizzarri

(Onere della prova) 1.

1. Salvo prova contraria, si presume che qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro un anno dal momento in cui il bene è stato consegnato esistesse già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Il presente comma si applica anche ai beni con elementi digitali.

2. Per i beni con elementi digitali per i quali il contratto di vendita prevede la fornitura continuativa del contenuto digitale o del servizio digitale per un periodo di tempo, l'onere della prova riguardo al fatto che il contenuto digitale o il servizio digitale era conforme entro il periodo di tempo di cui all'articolo 133, comma 2, spetta al venditore per qualsiasi difetto di conformità che si manifesta entro il termine indicato da tale articolo.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 4 novembre 2021, n. 170. Le presenti modifiche acquistano efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2022 e si applicano ai contratti conclusi successivamente a tale data.

Inquadramento

Nella disamina della disciplina speciale in tema di vendita di beni di consumo, l'analisi deve soffermarsi sulle prescrizioni appositamente dettate in merito all'esperibilità dell'azione di regresso e alla possibilità di prestare garanzia convenzionale; disposizioni particolari, inoltre, riguardano il momento della consegna e il passaggio del rischio.

L'esperibilità dell'azione di regresso

Nella disciplina dedicata alla vendita dei beni di consumo, il legislatore si è occupato anche dei rapporti tra il venditore e gli altri professionisti che eventualmente intervengono nella catena di vendita del bene, in particolare per il caso in cui, in presenza di un vizio di conformità lamentato dal consumatore, il venditore abbia provveduto al rimedio del vizio ma quest'ultimo era da imputarsi ad altri soggetti intervenuti.

Ai sensi del comma primo dell'art. 131, cod. cons., quando il difetto di conformità è imputabile ad un'azione o ad una omissione del produttore, ovvero di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di un qualsiasi altro intermediario, il venditore finale che sia stato responsabile nei confronti del consumatore per tale difetto, potrà rivalersi in regresso nei confronti dei soggetti responsabili facenti parte della catena distributiva, salvo patto contrario o rinuncia.

Trib. Novara, 22 settembre 2011, n. 648, ha affermato che la disciplina della vendita dei beni di consumo di cui agli articoli 1519-bis ss. c.c., oggi collocata all'interno degli articoli 128 ss. del cod. cons., prevede che il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore beni che conformi al contratto di vendita con sua responsabilità per eventuali difetti; in caso di mancanza di conformità, il venditore è tenuto al ripristino del bene senza spese a carico del consumatore, potendo invece agire nei confronti del produttore o precedente venditore o qualsiasi altro intermediario.

La ratio sottesa alla norma in commento, evidentemente, è quella di tenere indenne il venditore finale delle conseguenze pregiudizievoli che gli siano derivate dall'aver venduto al consumatore un bene difettoso e ciò anche in considerazione delle particolari tutele offerte a quest'ultimo (Bisazza, 866 ss.).

Con la disposizione in esame, il legislatore europeo ha inteso perseguire il riequilibrio degli interessi di cui sono portatori i protagonisti dell'intera operazione negoziale: invero, in forza della disciplina previgente, il venditore finale avrebbe potuto agire esclusivamente nei confronti del proprio immediato dante causa. A questo favorevole intento, peraltro, si sono accompagnate una serie di problematiche derivanti dalla facile possibilità di evadere dalla norma, che manca di carattere imperativo, e da alcune lacune normative: da quest'ultimo punto di vista, in particolare, benché la norma faccia riferimento alla possibilità di rivolgersi a “qualsiasi altro intermediario”, si ritiene che sia possibile agire soltanto verso il produttore e i successivi acquirenti, restando così esclusi l'agente, il mediatore, il vettore e tutti quei soggetti che, pur non avendo fatto parte della catena di trasferimento del diritto, abbiano comunque partecipato alla realizzazione del bene difforme; ancora, l'azione di regresso potrà essere esperita solamente se le qualità del bene mancanti erano dovute in forza del rapporto contrattuale tra i professionisti (De Franceschi, 287 ss.).

Nonostante la rubrica dell'articolo, è da escludersi che nel caso di specie ricorra un'ipotesi di obbligazione in solido e, più in particolare, una fattispecie riconducibile a quel particolare strumento disciplinato dall'art. 1299 c.c.: in questo caso, invero, manca un legame di solidarietà tra il venditore finale e i precedenti anelli della catena di vendita nei confronti del consumatore, dato che quest'ultimo può agire unicamente nei confronti del venditore finale. Inoltre, il diritto di agire in regresso previsto dalla norma in esame spetta unicamente al venditore finale nei confronti dei soggetti a monte nella catena distributiva, non anche a questi ultimi tra loro (Bisazza, 866 ss.). In tal senso si è precisato che la disposizione in esame si configura quale ipotesi di responsabilità contrattuale per inadempimento di un'obbligazione di fonte legale che grava su ciascun soggetto facente parte della catena distributiva di vendita, la quale consiste nell'obbligo di far pervenire al venditore finale un bene esente da difetti dei quali il consumatore possa poi legittimamente dolersi. Benché il legislatore parli a questo proposito di “regresso”, il diritto in questione deve essere più propriamente inquadrato come un'ipotesi di rivalsa (o refusione o rimborso), stante la mancanza di un'obbligazione solidale (Maniaci, Art. 131 – Diritto di regresso, 798).

L'azione di regresso, di cui al primo comma, si prescrive nel termine di un anno dall'esecuzione della prestazione rimediale adempiuta nei confronti del consumatore da parte del venditore finale, ed essa avrà ad oggetto la reintegrazione di quanto prestato da quest'ultimo.

Come è stato osservato, si ritiene che l'esperibilità dell'azione di regresso in discorso non sia subordinata all'onere di denuncia di cui al comma secondo dell'art. 132, cod. cons.: dunque, il termine annuale di prescrizione dell'azione di regresso decorre dal giorno in cui il venditore finale ha provveduto a rimediare ai difetti lamentati dal consumatore, essendo questo il momento in cui si è verificato nel suo patrimonio il pregiudizio economico (De Franceschi, 287 ss.).

I termini di prescrizione e di decadenza

L'art. 132 cod. cons. completa le disposizioni contenute al precedente art. 130 (v. supra), circa i diritti del consumatore in presenza di un difetto di conformità del bene di consumo, disciplinando i termini entro cui tale vizio si deve manifestare ed entro cui può essere fatto valere.

Innanzitutto, ai sensi del comma primo dell'art. 132 cod. cons., affinché il venditore sia responsabile del difetto di conformità, è necessario che questo si sia manifestato entro il termine di due anni dalla consegna del bene. In ogni caso peraltro, in forza di quanto disposto dal comma quarto, l'azione per far valere i difetti di conformità, che non siano stati occultati dolosamente dal venditore, si prescrive in ventisei mesi dalla consegna del bene; resta salvo il diritto di eccepire il vizio per il consumatore che sia stato convenuto per l'esecuzione del contratto, a condizione che il difetto sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e comunque prima del termine di ventisei mesi anzidetto.

Ai sensi dell'art. 134, comma 2 cod. cons., per i beni usati le parti possono ridurre la durata della responsabilità biennale ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore a un anno.

Alcuni interpreti hanno ritenuto che i termini previsti potrebbero risultare insufficienti nel caso di vendita di beni di lunga durata; peraltro, si è ricordato che la ratio di fondo della disciplina in esame è quella di fornire certezza circa la sorte delle operazioni realizzate. D'altra parte, poi, il termine di ventisei mesi previsto, benché assai più breve rispetto al termine ordinario decennale, risulta comunque più lungo di quello regolato nella disciplina generale dei contratti di compravendita, d'appalto e d'opera (De Franceschi, 257 ss.).

Come è stato attentamente messo in luce, con la previsione di un termine di prescrizione di due mesi più lungo rispetto a quello biennale previsto per la manifestazione del vizio, si evita il paradosso della scadenza del termine di prescrizione in coincidenza con la fine del termine biennale predetto. In tal modo, nel caso in cui il vizio si manifesti in prossimità della scadenza del termine biennale, il consumatore mantiene ancora un margine temporale per poter esercitare i propri diritti. Per quanto riguarda invece il diritto di eccepire il vizio anche oltre il termine di ventisei mesi, questo non trova riscontro nella direttiva ma sembra rientrare nelle facoltà attribuite al legislatore nazionale di adottare, in sede di recepimento, disposizioni di maggior tutela per i consumatori (Capilli, 1111 ss.).

Merita richiamare la decisione dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 21 dicembre 2011, n. 23155, in Giust. civ., 2012, 2, I, 567, con la quale sono state accertate pratiche commerciali scorrette di società facenti parti di un noto gruppo di produzione e vendita di beni elettronici in merito alla garanzia legale di conformità. In particolare, si è evidenziato che ai consumatori venivano fornite delle informazioni circa la natura, la durata e il contenuto di servizi di assistenza aggiuntivi forniti a pagamento, senza chiarire l'esistenza della garanzia biennale dovuta per legge, in modo da indurli a sottoscrivere un contratto aggiuntivo con una copertura del servizio che si sovrapponeva in parte alla garanzia legale gratuita prevista dal codice del consumo.

Una volta manifestatosi il vizio, il consumatore deve denunciarne l'esistenza al venditore entro il termine, previsto a pena di decadenza dal secondo comma dell'art. 132 cod. cons., di due mesi dalla relativa scoperta. La denuncia non è però necessaria se il professionista ha riconosciuto l'esistenza del difetto ovvero lo ha occultato.

La Corte di Giustizia, 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber c. Autobedrijf, con riferimento alla denuncia del difetto di conformità da parte del consumatore, ha precisato che l'onere fatto gravare in questa fase sul consumatore non può spingersi oltre quello consistente nel denunciare al venditore l'esistenza di un difetto di conformità. In particolare, tenuto conto della inferiorità in cui egli versa rispetto al venditore per quanto concerne le informazioni sulle qualità del bene e sullo stato in cui questo è stato venduto, il consumatore non può essere obbligato ad indicare la causa precisa del difetto di conformità. Peraltro, affinché l'informazione contenuta nella denuncia possa essere utile per il venditore, è necessario che essa contenga una serie di indicazioni, il cui grado di previsione varierà necessariamente in funzione delle circostanze specifiche di ciascun caso, relative alla natura del bene e alle concrete manifestazioni del difetto di conformità lamentato.

L'onere di denuncia del difetto entro il termine decadenziale di due mesi è stato introdotto dal legislatore nazionale in esercizio della facoltà concessagli dall'art. 5, par. 2 della direttiva; analogamente a quanto previsto dagli artt. 1495, comma 2 e 1667, comma 2 c.c., la denuncia non è necessaria nel caso in cui il venditore abbia riconosciuto l'esistenza del vizio in questione. Relativamente alla forma e al contenuto della denuncia, si è ritenuto di dover fare riferimento alle soluzioni accolte per la vendita di diritto comune e non sono quindi richieste particolari prescrizioni formali né descrizioni analitiche circa la natura e la causa del difetto ma sarà sufficiente una comunicazione di massima circa l'esistenza di esso, con riserva di successiva precisazione (Maniaci, Art. 132 – Termini, 800 ss.).

Al comma terzo dell'art. 132 cod. cons., è prevista poi una importante presunzione circa l'esistenza del vizio di conformità al momento della consegna del bene, presupposto necessario per potersi configurare l'inadempimento del professionista. Qui si stabilisce che se il difetto si è manifestato entro sei mesi dalla consegna del bene si presume che esso fosse esistente già al momento della consegna; sono fatti salvi i casi in cui tale ipotesi risulti incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto in questione ed è comunque ammessa la prova contraria.

La Corte di Giustizia, 4 giugno 2015, causa C-497/13, Faber c. Autobedrijf, ha precisato che l'art. 5, paragrafo 3 della direttiva 1999/44/CE deve essere interpretato nel senso che la regola per la quale si presume che il difetto di conformità esistesse al momento della consegna del bene si applica quando il consumatore dimostra che il bene venduto non è conforme al contratto e che il difetto di conformità si è manifestato, cioè si è palesato concretamente, entro il termine di sei mesi dalla consegna del bene; il consumatore non è tenuto a fornire la prova della causa di tale difetto di conformità né a dimostrare che la sua origine è imputabile al venditore. Avverso tale presunzione il venditore può dimostrare che la causa e l'origine del difetto derivano da una circostanza sopravvenuta dopo la consegna del bene.

La consegna e il passaggio del rischio

La disciplina sulla vendita dei beni di consumo è stato innovata con il d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, di attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori. Mediante tale provvedimento, in particolare, sono stati introdotti gli attuali articoli 61 e 63 del codice del consumo che intervengono sulla disciplina della consegna e del passaggio del rischio nei contratti di vendita.

Queste disposizioni sono state introdotte nell'ambito della disciplina sui contratti a distanza; infatti, a ben vedere, la direttiva 2011/83/UE, negli originari intenti del legislatore e come attestato dal titolo della stessa, si proponeva di riformulare anche la direttiva 1999/44/CE sulla vendita dei beni di consumo. Tuttavia, mentre le direttive 1985/577/CE e 1997/7/CE sono state integralmente abrogate, la direttiva del 2011 ha dedicato soltanto alcune disposizioni alla materia qui in commento (De Franceschi, 229 ss.).

Ai sensi dell'art. 61 cod. cons., innanzitutto, salva diversa pattuizione tra le parti, il professionista deve provvedere a consegnare i beni al consumatore senza ritardo ingiustificato e comunque entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto. In caso di inadempimento da parte del venditore nei termini anzidetti, il consumatore lo invita a provvedere entro un termine supplementare appropriato alle circostanze e in caso di ulteriore ritardo potrà agire per ottenere la risoluzione del contratto di vendita. Il consumatore non è tenuto a concedere il termine supplementare quando: il professionista si è espressamente rifiutato di consegnare i beni; il termine di consegna convenuto deve considerarsi essenziale in considerazione delle circostanze che hanno accompagnato la conclusione del contratto; il consumatore ha informato il venditore, prima della conclusione del contratto, che il termine di consegna è per lui essenziale. Nel caso di risoluzione del contratto, il consumatore ha diritto alla ripetizione, senza indebito ritardo, di tutte le somme versate in esecuzione di esso.

In merito alla disciplina sulla consegna, si è sottolineata l'importanza della precisazione contenuta nel secondo comma, circa l'adempimento di tale obbligo. In tal modo, infatti, si è fornita un'esplicita definizione di consegna, fino ad ora oggetto di un'importante elaborazione dottrinaria, per tale dovendosi intendere non soltanto la trasmissione della disponibilità materiale della cosa al consumatore, ma pure il trasferimento del controllo su di essa: pertanto, la consegna potrà ritenersi adempiuta anche nel caso in cui il bene rimanga nella disponibilità materiale del professionista quando la relativa detenzione venga comunque esercitata per conto e sotto il controllo del consumatore (Rizzuti, Art. 61 – Consegna, 476 ss.). A dimostrazione dell'importanza di tale innovazione, si è ricordato che prima della riforma introdotta dal d.lgs. n. 21/2014, si discuteva su cosa dovesse intendersi per momento della consegna, in particolare con riferimento alla vendita con spedizione, tra chi faceva riferimento a quando il consumatore veniva immesso nella disponibilità materiale del bene e chi invece faceva coincidere tale momento con quello in cui il venditore rimetteva la cosa al vettore (De Franceschi, 228 ss.).

Si è dubitato della vantaggiosità dei termini previsti dalla norma in discorso per il consumatore, considerato che la consegna non è dovuta immediatamente, come sarebbe stato ai sensi dell'art. 1183 c.c., bensì entro un termine dilatorio legale di trenta giorni, salvo diverso accordi tra le parti (Battelli, 33 ss.).

L'art. 63 cod. cons. si occupa poi del problema del passaggio del rischio per la perdita o per il danneggiamento dei beni venduti per causa non imputabile al venditore. Ai sensi del primo comma, nei contratti che prevedono l'obbligo del venditore di spedire i beni al consumatore, il rischio si trasferisce nel momento in cui quest'ultimo, o un terzo da lui designato e diverso dal vettore, entra materialmente nel possesso di essi. Peraltro, qualora il vettore sia stato designato dal consumatore stesso e tale opzione non sia stata proposta dal professionista, il rischio si trasferisce già al momento della consegna dei beni al vettore.

Con la disciplina introdotta all'art. 63 cod. cons., il passaggio del rischio per danneggiamento o perdita del bene risulta ancorato al momento in cui il consumatore entra nella disponibilità materiale della cosa ovvero quando questa entra nella sua sfera di controllo a seguito della consegna a un terzo da lui designato, purché diverso dal vettore. Pertanto, la vendita con trasporto di beni mobili risulta governata, inderogabilmente, dal regime della vendita c.d. con consegna all'arrivo, salvo il caso in cui il consumatore individui egli stesso il vettore che effettuerà il trasporto. La disciplina così introdotta dal legislatore europeo dimostra la centralità del ruolo della consegna nella vendita dei beni di consumo (M. D'Auria, 2631 ss.). Come è stato osservato in dottrina, in questo modo si è determinato un vero e proprio ribaltamento delle tradizionali regole concernenti il riparto dei rischi nella vendita; si ammette un'unica eccezione per il caso, peraltro di non frequente verificazione, in cui il vettore sia stato direttamente individuato dal consumatore (Rizzuti, 482 ss.).

La prestazione della garanzia convenzionale

Come anticipato, la direttiva 1999/44/CE è intervenuta su alcuni aspetti della vendita dei beni di consumo, in particolare su quello della conformità dei beni al contratto e sull'ulteriore profilo delle garanzie convenzionali eventualmente prestate dai professionista operanti nella catena distributiva. La disciplina di questo secondo profilo è affidata all'art. 133 del codice del consumo, rubricato “Garanzia convenzionale”.

Il codice del consumo, oltre alla garanzia legale di conformità ex art. 129 cod. cons., disciplina l'ipotesi della garanzia convenzionale ulteriore ai sensi dell'art. 133, che costituisce un quid pluris in forza del quale il consumatore può vantare diritti diversi e ulteriori rispetto a quelli legalmente dovuti dal venditore finale, e può essere prestata tanto da quest'ultimo quanto dal produttore (G.d.P. Caserta, 5 novembre 2015, in Giur. it., 2016, 10, 2139 ss.).

Come è stato osservato, la garanzia convenzionale costituisce un impegno, facoltativo ed eventuale, assunto da un professionista rientrante nella catena di vendita, che si aggiunge alla e non sostituisce la garanzia di conformità. Come risulta dal considerando 21 della direttiva, l'obiettivo della disciplina di questo istituto è quello di evitare la diffusione di enunciazioni di tipo propagandistico che non siano sostenute da un'effettiva volontà di vincolarsi da parte del professionista (De Franceschi, 271 ss.).

Si tratta dunque di un'ipotesi di garanzia aggiuntiva e complementare rispetto a quella fondamentale, oltretutto inderogabile, di conformità al contratto, esaminata nei paragrafi precedenti. Le garanzie convenzionali, nell'ambito dell'autonomia privata, possono essere offerte al consumatore non soltanto dal venditore ma da qualsiasi soggetto rientrante nella catena distributiva. Dunque, il sistema di protezione dei consumatori nella vendita di beni di consumo si declina in due strumenti principali, la garanzia di conformità o legale, che rappresenta il nucleo minimo essenziale della tutela, e le garanzie convenzionali o “commerciali” che costituiscono un nucleo meramente eventuale (Alpa, 62 ss.).

Qualora la garanzia sia prestata da un soggetto diverso dal venditore, questa evidentemente rientrerà nell'ipotesi disciplinata dall'art. 133 cod. cons. Problemi di inquadramento possono porsi invece qualora la garanzia convenzionale sia prestata dal venditore, poiché egli è già tenuto a quella legale: ad esempio, qualora il venditore si impegni ad eseguire prestazioni non dovute per legge per un periodo superiore a quello previsto per la garanzia di conformità, si dovrà indagare se con tale pattuizione egli si sia vincolato soltanto per le prestazioni ulteriori rispetto a quelle legalmente dovute, ovvero anche nel senso di una parallela estensione della garanzia di conformità legale (De Franceschi, 281 ss.).

Per quanto concerne la possibile sovrapposizione tra garanzia convenzionale ulteriore ex art. 133 cod. cons. e garanzia di buon funzionamento di cui all'art. 1512 c.c., in dottrina si è ritenuto che nella maggior parte dei casi quest'ultima finisca per rimanere assorbita all'interno della prima: ciò sia perché è comunque dovuta la garanzia di conformità secondo la disciplina inderogabilmente prevista, dove sono regolati i rimedi della riparazione e della sostituzione, sia perché eventuali estensioni oggettive o soggettive di garanzia finirebbero per ricadere nel campo applicativo dell'art. 133 cod. cons. Peraltro, alcuni autori hanno osservato che potrebbe residuare uno spazio applicativo alla fattispecie di cui all'art. 1512 c.c. in quei casi in cui il consumatore intenda agire per il risarcimento del danno, poiché nella garanzia di buon funzionamento si è ritenuto che non sia necessario imputare il difetto al venditore, mentre è dubbio che l'assunzione della garanzia convenzionale possa incidere sui presupposti dell'azione risarcitoria (Corrias, 714 ss.).

La definizione di “garanzia convenzionale ulteriore” è contenuta nell'art. 128, cod. cons., che la individua in qualsiasi impegno, assunto dal venditore o dal produttore nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, ovvero sostituire, riparare o intervenire altrimenti sul bene di consumo nei casi in cui tale bene non risponda alle condizioni indicate nella garanzia o enunciate nella relativa pubblicità. Coerentemente, al comma primo dell'art. 133, cod. cons., si afferma che chi offre la garanzia ne è vincolato nei confronti del consumatore secondo le modalità indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicità. Dunque, come avviene in altri settori della disciplina consumeristica, si è predisposto qui un importante meccanismo di tutela di tipo integrativo, prescrivendo che la garanzia è dovuta non soltanto in ragione di quanto convenuto tra le parti, ma anche secondo le condizioni di cui agli avvisi pubblicitari rivolti al consumatore, con un effetto di etero-integrazione che evita la possibilità di scostamenti tra le informazioni promozionali divulgate e quanto effettivamente poi dovuto dal professionista.

Alla garanzia convenzionale si riferiscono, dunque, sia la norma definitoria contenuta nell'art. 128, comma secondo, lett. c), cod. cons., sia l'art. 133, cod. cons. Secondo l'opinione prevalente, la prima norma non fa altro che offrire una definizione della fattispecie di garanzia cui appunto si riferisce il successivo art. 133. Peraltro, per evitare risultati inopportuni alla luce delle ragioni sottese alla disciplina in esame, si è ritenuto che la definizione contenuta all'art. 128 non sia idonea a limitare il campo di applicazione dell'art. 133: diversamente, poiché nella norma definitoria si fa riferimento alle sole garanzie dovute “senza costi supplementari”, si dovrebbe privare il consumatore delle tutele approntate dall'art. 133 cod. cons. in tutti quei casi in cui la garanzia venga assunta a fronte di una controprestazione da parte del consumatore, anche non pecuniaria (De Franceschi, 271 ss.).

Il secondo comma dell'art. 133 cod. cons., disciplina i requisiti minimi di contenuto che devono essere previsti all'interno della garanzia, prescrivendo che nella relativa dichiarazione siano indicati, in modo chiaro e comprensibile, l'oggetto di essa e gli elementi essenziali necessari per poterla azionare, inclusi la sua durata e la sua estensione territoriale, oltre all'indicazione del nome o della ditta e del domicilio o della sede del soggetto obbligato; nella garanzia si dovrà poi specificare che il consumatore è titolare dei diritti di cui al capo in commento (“Della vendita dei beni di consumo”) e il fatto che essi restano impregiudicati dalla garanzia medesima.

La necessità di specificare che la garanzia convenzionale lascia impregiudicati i diritti di cui al Capo I, si è spiegata evidenziando che il consumatore tramite la pubblicità, normalmente, giunge a conoscere l'esistenza e i contenuti della garanzia convenzionale, ma non di quella legale. In questo modo il legislatore ha cercato di garantire un'adeguata informazione del consumatore anche rispetto a quest'ultima (De Franceschi, 283 ss.).

Ai sensi del comma terzo, qualora il consumatore ne faccia richiesta, la garanzia deve essergli resa disponibile per iscritto ovvero su altro supporto duraturo a lui accessibile. In forza del comma quarto, poi, nel caso in cui la garanzia sia redatta in più lingue, l'evidenza dei caratteri adottati per la versione italiana deve essere almeno a pari a quella delle altre lingue utilizzate.

In chiusura dell'art. 133 cod. cons., il comma quinto specifica che la violazione delle prescrizioni sulla garanzia di cui ai precedenti commi secondo, terzo e quarto, non priva di validità la garanzia, alla quale il venditore resta comunque vincolato. Ciò, evidentemente, per evitare che dall'inadempimento da parte del professionista possa derivare un pregiudizio ulteriore al consumatore, che comunque può avere interesse al mantenimento della garanzia seppur resa in violazione delle disposizioni in esame; evidentemente, in tali ipotesi, oltre ad azionare la garanzia ai sensi dell'art. 133, cod. cons., potranno essere eventualmente esperite le azioni per le violazioni accertate, come in punto di risarcimento del danno.

In merito alla violazione di tali disposizioni, benché la dottrina non risulti concorde sul punto, si è ritenuto che in tali casi possa configurarsi un'ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. del professionista che ha predisposto il contenuto della garanzia e ha concluso con il consumatore il contratto di vendita (per approfondimenti sul punto si veda Maniaci, Art. 133 – Garanzia convenzionale, 802 ss.).

In un recente arresto, Cass. II, n. 18610/2017 ha affermato che nella vendita a catena di beni di consumo, in forza dell'art. 131 del d.lgs. n. 206/2005, all'acquirente spettano l'azione contrattuale, esperibile esclusivamente nei confronti del diretto venditore, in caso di difformità del bene, nonché quella extracontrattuale nei confronti del produttore, per il danno sofferto in conseguenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa; l'eventuale prestazione volontaria di una garanzia convenzionale da parte del produttore ai sensi del successivo art. 133 non può derogare a tali principi, pertanto il cliente finale (consumatore) non potrà agire direttamente nei confronti di un qualsiasi soggetto della catena distributiva, dovendo necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello e suo dante causa. Sul punto si veda anche Cass. III, n. 26514/2009.

Il carattere imperativo delle disposizioni e i rimedi generali.

Il capo I del titolo III, parte IV, del codice del consumo, dedicato alla disciplina della vendita dei beni di consumo, termina con due importanti disposizioni sistematiche di chiusura, gli artt. 134 e 135, rispettivamente sul carattere inderogabile della disciplina in esso contenuta e sul riconoscimento dei diritti ulteriormente previsti dall'ordinamento.

Quanto all'art. 134, cod. cons., il primo comma sancisce la nullità di ogni patto, antecedente alla denuncia di difformità al venditore, diretto ad escludere o limitare, anche indirettamente, i diritti riconosciuti al consumatore dal capo I; questa ipotesi di nullità può essere fatta valere soltanto dal consumatore ed è rilevabile d'ufficio dal giudice. Dunque, in particolare, saranno astrattamente ammissibili i patti successivi alla denuncia del difetto di conformità con i quali le parti intendano accordarsi in merito al vizio medesimo. Sempre al fine di assicurare che il consumatore possa fruire delle tutele predisposte dalla normativa in esame, il terzo comma stabilisce che le parti non possono convenire di applicare la legge di uno Stato non membro qualora il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro e tale opzione comporti la privazione del consumatore della protezione assicurata dal Capo I.

Pertanto, i diritti attribuiti al consumatore dalle disposizioni sulla vendita dei beni di consumo sono indisponibili e inderogabili in senso sfavorevole a quest'ultimo e sono vietate le pattuizioni, anteriori alla denuncia del difetto di conformità, che abbiano per oggetto o per effetto di privare il consumatore dei diritti e delle tutele predisposte da tale disciplina; i patti stipulati successivamente alla denuncia, invece, saranno assoggettabili al controllo di vessatorietà di cui agli artt. 33 ss. cod. cons. In caso di violazione della presente disposizione, quindi, si configurerà un'ipotesi di nullità parziale e relativa, ma rilevabile d'ufficio dal giudice (Maniaci, Art. 134 – Carattere imperativo delle disposizioni, 804 ss.).

Il secondo comma dell'art. 134 cod. cons., come già anticipato supra, prevede la riducibilità della durata della garanzia legale fino al termine minimo di un anno, per il caso di vendita di beni usati (a questo proposito si rinvia a quanto già osservato supra).

La Corte di Giustizia UE, 13 luglio 2017, causa C-133/16, Ferenschild c. JPC Motor, ha affermato che qualora uno Stato membro si sia avvalso della facoltà offerta dall'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 1999/44/CE e il consumatore e il venditore si siano accordati per l'individuazione di un periodo di responsabilità di quest'ultimo inferiore a due anni, vale a dire un termine di un anno per il bene usato di cui trattasi, osta la normativa dello Stato membro che consente che il termine di prescrizione dell'azione del consumatore sia inferiore a due anni dalla consegna del bene (art. 5, paragrafo 1, direttiva).

In merito agli altri diritti, l'art. 135 cod. cons. ha cura di specificare che le disposizioni del capo I non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico e che, per quanto non diversamente previsto nel titolo III, troveranno applicazione le disposizioni di cui al codice civile in tema di contratto di vendita.

La portata normativa dell'art. 135 cod. cons., come è stata quella dell'art. 1519-nonies c.c. suo predecessore, è oggetto di un acceso dibattito interpretativo su come debba intendersi operante la concorrenza tra le norme consumeristiche in tema di vendita di beni di consumo e le altre disposizioni dell'ordinamento di volta in volta rilevanti. Secondo una ricostruzione, il consumatore potrebbe esercitare, a sua discrezione e a condizione che ne derivi una maggiore tutela, i diritti previsti dalla direttiva ovvero quelli differenti e aggiuntivi riconosciuti e disciplinati da altre norme dell'ordinamento. A questo orientamento si contrappongono coloro per i quali il consumatore potrebbe ricorrere alle altre disposizioni dell'ordinamento soltanto se disciplinanti strumenti di tutela che non siano previsti dalla normativa comunitaria. In questo dibattito, poi, una questione particolare si è posta circa l'esperibilità del rimedio risarcitorio, che non viene preso in considerazione dalla normativa in tema di vendita di beni di consumo, tra coloro che ritengono debba essere regolato secondo l'ordinaria responsabilità per inadempimento e coloro che invece lo riconducono alla disciplina di cui all'art. 1494 c.c. (Campione, 898 ss.; per una efficace critica del c.d. “concorso alternativo delle tutele”, anche alla luce dell'attuale secondo comma dell'art. 135 cod. cons., v. De Franceschi, 233 ss.).

Bibliografia

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