Decreto legislativo - 1/09/1993 - n. 385 art. 124 bis - Verifica del merito creditizio 1 2
1. Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente. 2. Se le parti convengono di modificare l'importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore aggiorna le informazioni finanziarie di cui dispone riguardo al consumatore e valuta il merito creditizio del medesimo prima di procedere ad un aumento significativo dell'importo totale del credito. 3. La Banca d'Italia, in conformita' alle deliberazioni del CICR, detta disposizioni attuative del presente articolo. [1] Articolo inserito dall'articolo 1 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141. [2] Vedi inoltre l'articolo 6 del D.M. 3 febbraio 2011. InquadramentoNello sviluppo del mercato europeo un importante elemento da prendere in considerazione è rappresentato dal finanziamento al consumo, capace di sostenere e potenziare la richiesta di beni e servizi da parte dei consumatori. Se da un lato vi è l'obiettivo di favorire l'accesso al credito per agevolare la crescita degli scambi, è evidente che la disciplina di questo particolare settore può essere architettata soltanto tenendo ben presente al contempo la fondamentale esigenza di tutela dei consumatori. La disciplina del credito del consumo è stata oggetto dapprima della direttiva 1987/102/CEE, di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati in membri in materia, poi modificata con la direttiva 1990/88/CEE e con la direttiva 1998/7/CE. Si trattava di legislazioni finalizzate all'implementazione di livelli minimi di tutela, che quindi non hanno condotto all'introduzione di una disciplina uniforme nei vari Stati, ai quali era consentito di introdurre disposizioni rafforzate diversificate. Come è stato osservato in dottrina, i servizi finanziari hanno assunto un'importanza sempre maggiore in ambito europeo, determinando la nascita di iniziative legislative volte a dettare una specifica disciplina in materia; in particolare, il ricorso al credito da parte dei consumatori per procurarsi beni o servizi personali è divenuto sempre più frequente e ha assunto un ruolo fondamentale nel mercato europeo. Considerate la complessità dei contratti finanziari e gli effetti spesso gravosi per la situazione economica dei consumatori, si è posta l'esigenza di intervenire con adeguate forme di protezione: così, tra le prime direttive a tutela dei consumatori è stata adottata la 1987/102/CEE, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, incentrata sulla funzione economica dell'operazione che veniva posta in essere e con la quale si fissava un metodo di calcolo unitario per il tasso di interesse globale del credito e si stabilivano alcune norme minime di trasparenza e tutela. Negli anni successivi, però, vi è stato un rapido mutamento del mercato del credito al consumo, anche con la nascita di nuove e complesse forme di finanziamento; la direttiva, poi, era stata oggetto di critiche da più parti per l'inadeguatezza delle forme di tutela dei consumatori e per il fatto che l'armonizzazione minima aveva condotto all'introduzione di normative difformi tra i vari Stati membri impattando sulle possibilità di sviluppo del mercato europeo. Così, dopo un iter lungo e travagliato, si è giunti all'emanazione di una nuova direttiva, la 2008/48/CE (Antoniolli, 217 ss.). Sulla rilevanza di questo particolare ambito normativo, si è altresì evidenziato come proprio il settore del credito al consumo rappresenti un importante angolo di osservazione per l'analisi dei tradizionali problemi dell'autonomia contrattuale e che ciò ha reso necessario intervenire per via legislativa nel tentativo di correggere gli squilibri insiti nelle singole operazioni economico-giuridiche (Villanacci, 7 ss.). Per potenziare il finanziamento ai consumatori sul piano europeo, quindi, in linea con altri recenti interventi in materia consumeristica, come per la commercializzazione a distanza di servizi finanziari, si è ritenuto opportuno intervenire con una direttiva di armonizzazione massima, per la creazione di un complesso normativo uniforme nei diversi Stati membri. È stata così emanata la direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la precedente direttiva 1987/102/CEE. In attuazione di essa, il legislatore italiano ha adottato il d.lgs. n. 141/2010, con il quale si è proceduto al riassetto della normativa in materia, inserendola integralmente all'interno del Capo II, titolo VI, d.lgs. n. 385/1983 (T.U.B.). Precedentemente la disciplina del credito al consumo era frammentata tra il d.lgs. n. 206/2005 (cod. cons.), artt. 40-43, e il T.U.B., artt. 121 ss.; nel codice del consumo adesso è rimasto in vigore soltanto l'art. 43, che si limita a rinviare alla normativa contenuta nel T.U.B. La normativa sul credito ai consumatori, introdotta in attuazione della direttiva 2008/48/CE, si struttura su tre livelli, disciplinando la divulgazione pubblicitaria di informazioni, la fase precontrattuale e la fase contrattuale. Il d.lgs. n. 141/2010 ha apportato importanti modifiche al T.U.B., mutando in modo significativo il capo II (artt. 121-126) del titolo VI, che oggi riporta la rubrica di ‘credito ai consumatori' in sostituzione della precedente di ‘credito al consumo'. La direttiva 2008/48/CE si ispira a un modello di armonizzazione massima, al fine di evitare possibili fenomeni di distorsione della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo delle contrattazioni transfrontaliere in materia di finanziamento al consumo (Maugeri, 1 ss.). Come è stato osservato, la direttiva 2008/48/CE, con la quale è stata abrogata la precedente direttiva 1987/102/CEE, contiene una disciplina che presenta importanti elementi di innovazione per le scelte di politica e tecnica legislativa compiute, a cominciare dalla sostituzione del modello di armonizzazione minimale con quello più recente dell'armonizzazione massima che passa per il divieto rivolto agli Stati membri di conservare o introdurre norme diverse rispetto a quelle comunitarie. Il d.lgs. n. 141/2010 ha ripristinato la collocazione all'interno del T.U.B. delle disposizioni specifiche sul credito al consumo, rimpiazzando il capo II del titolo VI e correlativamente abrogando gli artt. 40, 41 e 42 cod. cons. Sul piano linguistico si è abbandonata la tradizionale espressione ‘credito al consumo' per passare a quella di ‘credito ai consumatori'; peraltro, non sembra che a tale mutamento possa essere associato un cambiamento di prospettiva nella disciplina del finanziamento al consumo (Alpa, Gaggero, 2012, 1800 ss.). Per quanto concerne i meccanismi protettivi previsti, la nuova direttiva ha ripreso quelli della precedente e ne ha aggiunti di nuovi. In particolare, essa regola la divulgazione di informazioni al pubblico stabilendo che, qualora la pubblicità contenga cifre relative al costo del credito, debbano essere necessariamente fornite alcune specifiche informazioni, in modo chiaro, conciso e visibile, anche mediante esempi rappresentativi. In materia di obblighi precontrattuali sono previste numerose informazioni che devono essere fornite al consumatore in tempo utile prima che egli sia vincolato dal contratto o da un'offerta contrattuale; deve poi essere fornito al consumatore un apposito servizio di consulenza al fine di consentirgli di valutare l'adeguatezza del contratto rispetto alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria. Per quanto attiene alla fase contrattuale, infine, le disposizioni sul credito al consumo intervengono su molteplici aspetti cardine della materia, tra cui meritano particolare attenzione le prescrizioni sui requisiti di forma e di contenuto del contratto, la disciplina del diritto di recesso, la regolamentazione dell'estinzione anticipata e le norme sul collegamento negoziale (Antoniolli, 217 ss.). La direttiva 2008/48/CE: armonizzazione ‘completa' e recepimento attraverso il d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141Come anticipato nel paragrafo precedente, la direttiva 2008/48/CE, analogamente ad altri interventi recenti in materia consumeristica, ha inteso adottare un livello di armonizzazione massima, cioè immodificabile ad opera degli Stati membri e quindi uniforme. Tuttavia, pur in un'ottica di massima armonizzazione, cardine sul quale ruota l'intera direttiva, si deve tenere conto delle numerose esenzioni e delle diverse opzioni previste dal legislatore comunitario. Alcune disposizioni lasciano ampi margini agli Stati membri circa le modalità di recepimento, altre individuano più soluzioni che possono essere adottate; l'art. 15, ad esempio, afferma che gli Stati sono liberi di stabilire la misura e le condizioni per agire nei confronti del finanziatore qualora il contratto di fornitura non sia adempiuto. In alcuni casi la direttiva si limita ad indicare degli obiettivi da raggiungere, senza precisare le modalità con cui farlo: l'art. 8 prescrive l'introduzione di una procedura di valutazione del merito creditizio; l'art. 20 richiede che i creditori siano posti sotto il controllo di un organismo o di un'autorità indipendente; l'art. 23, poi, si limita a richiedere che le sanzioni siano efficaci, proporzionate e dissuasive. A tutto ciò si deve aggiungere che la normativa in esame è parziale e volutamente non esaustiva, restando affidato agli Stati membri il compito di regolamentare gli aspetti che non sono stati disciplinati dal legislatore comunitario. Per tali ragioni, non potrà che emergere una difformità tra le discipline nazionali in conseguenza dell'applicazione delle differenti norme generali in materia di contratti (Costa, 919 ss.). In termini analoghi, si è osservato che come risulta inequivocabilmente dalla formulazione dell'art. 1 della direttiva stessa, questa disciplina soltanto alcuni aspetti dei contratti di credito rientranti nel suo campo d'applicazione; pertanto, si tratta di un provvedimento che contiene una disciplina parziale e con il quale si è rimessa alla discrezionalità degli Stati membri l'adozione di tutte le norme relative ai profili non espressamente contemplati. A fronte di una siffatta parzialità, pare lecito domandarsi quale senso abbia imporre ai diversi Stati un vincolo così rigido come quello di armonizzazione massima, poiché tutto ciò propende per il mantenimento di numerose e rilevanti differenze negli assetti normativi dei vari Stati membri (De Cristofaro, Oliviero, 293 ss.). Come pure è stato rilevato in dottrina, la direttiva 2008/48/CE, al pari di altre direttive che dichiarano di ispirarsi al modello dell'armonizzazione massima, contiene una pluralità di deroghe che rendono difficile il raggiungimento, nelle diverse discipline nazionali, del livello di uniformità normativa desiderato (Maugeri, 2011, 463 ss.). In attuazione della direttiva 2008/48/CE il legislatore italiano ha adottato il d.lgs. n. 141/2010 con il quale, tra le altre cose, ha riunito le norme in materia di credito al consumo all'interno del T.U.B., prima frammentate tra quest'ultimo e il codice del consumo. L'idea di fondo della riunificazione della disciplina sul credito al consumo è stata salutata con favore in dottrina, ma la scelta di farlo all'interno del Testo Unico in materia bancaria non altrettanto. Si è ritenuto di non condividere questa scelta poiché essa contrasta con l'idea stessa di creare un codice del consumo, che per essere tale dovrebbe ambire ad essere completo e contenere quantomeno tutte le disposizioni che nel nostro ordinamento regolano i contratti conclusi tra consumatori e professionisti. Ciò a maggior ragione se si considera che oggi il novellato comma terzo dell'art. 115 T.U.B., diversamente che in passato, stabilisce che le disposizioni del capo I non si applicano ai contratti di credito regolati dal capo II, salvo siano espressamente richiamate; quindi tale complesso normativo ha ormai assunto una piena autonomia rispetto alla disciplina generale delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari di cui al capo I, titolo VI, T.U.B. (De Cristofaro, Oliviero, 299 ss.). Peraltro, altri autori hanno ritenuto di condividere questa scelta del legislatore, sia per ragioni di ordine culturale, tra cui la sollecitazione all'autorità di settore a perseguire anche finalità di protezione dei consumatori, sia per il potenziamento di tutela dovuto ai controlli di vigilanza sul rispetto della relativa disciplina che si aggiungono ai consueti rimedi in sede contenziosa (Carriero, 1148 ss.). La disciplina del credito del consumo, al pari di altri settori della legislazione consumeristica, ha posto e tutt'ora continua a porre delle rilevanti complessità di coordinamento, nonostante la riunificazione all'interno del capo II, titolo VI, del T.U.B. Già prima dell'adozione della direttiva 2008/48/CE, la disciplina del finanziamento al consumo originava da diversi gruppi di norme e ciò al di là dalla questione della separazione tra codice del consumo e T.U.B. In tal senso, si è osservato che la disciplina del credito al consumo era integrata dalle disposizioni contenute nella direttiva 1993/13/CEE sulle clausole abusive, come in tema di ius variandi, nonché nella direttiva 1985/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali e nella direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione dei servizi finanziari ai consumatori (Alpa, Gaggero, 2012, 1800 ss.). In merito alla normativa attuale, si è lamentato il difetto di coordinamento da parte del legislatore italiano al momento di attuare la direttiva 2008/48/CE, arduo compito che pertanto dovrà essere svolto dall'interprete. Il complesso di norme che regolano il credito al consumo, invero, risulta composto oltre che dalle disposizioni contenute nei capi I e II del titolo VI del T.U.B., dai precetti espressamente richiamati dal secondo comma dell'art. 125-bis T.U.B. e dalle nome codicistiche sul contratto di mutuo e sui contratti bancari, nonché dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, dalle norme sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori e ancora dagli artt. 139-140-bis cod. cons. (De Cristofaro, Oliviero, 299 ss.). Per quanto concerne il livello di armonizzazione della direttiva, la Corte di Giustizia UE, 12 luglio 2012, C-602/10, SC Volksbank c. ANPC, ha precisato che l'art. 22, paragrafo primo della direttiva 2008/48/CE, non osta a che una misura nazionale di attuazione sul piano interno istituisca obblighi da essa non previsti a carico degli istituti di credito per quanto riguarda i tipi di commissione che questi possono percepire nel contesto di contratti di credito al consumo rientranti nella sfera di applicazione di tale misura. Ambiti oggettivo e soggettivo di applicazione.Ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. c) T.U.B., per ‘contratto di credito', ai fini dell'applicazione delle norme contenute nel capo II, titolo VI, sul credito ai consumatori, si intende il contratto mediante il quale il finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di prestito, di dilazione di pagamento ovvero di altra facilitazione finanziaria. Dunque, attraverso questa disposizione, si compie una prima importante perimetrazione del campo applicativo della normativa in esame, delimitazione che risulta piuttosto ampia in considerazione delle espressioni utilizzate e dell'apertura insita nel riferimento ad ogni ‘altra facilitazione finanziaria'. L'art. 122 T.U.B., peraltro, contiene un nutrito elenco di esclusioni che vanno a delimitare sensibilmente il campo operativo delle norme sul credito ai consumatori. Meratino di essere segnalati i finanziamenti per importi inferiori a 200 euro e quelli per importi superiori a 75.000 euro (art. 122, comma 1, lett. a) T.U.B.), i finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi o altri oneri (art. 122, comma 1 lett. c) T.U.B.), i finanziamenti a fronte dei quali il consumatore deve corrispondere esclusivamente commissioni di importo non significativo nei casi in cui il rimborso debba avvenire entro tre mesi dall'utilizzo delle somme (art. 122, comma 1, lett. d) T.U.B.), i finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili (art. 122, comma 1, lett. f) T.U.B.), le dilazioni di pagamento di un debito preesistente concesse gratuitamente dal creditore (art. 122, comma 1, lett. i) T.U.B.), ecc. La definizione di contratto di credito è stata concepita in termini volutamente generici, in modo da poter abbracciare tutti i modelli negoziali utilizzati nella prassi e ciò soprattutto grazie all'inclusione di ogni ‘altra facilitazione finanziaria' (Costa, 275 ss.). L'ampia definizione di contratto di credito adottata dall'art. 121 T.U.B. comporta l'applicabilità della normativa in esame a un ampio ventaglio di ipotesi negoziali, tipiche e atipiche, tra cui i mutui, il leasing finanziario e le aperture di credito. Il vecchio art. 121 T.U.B. non conteneva alcun riferimento a promesse di concessione né a impegni a concedere, pertanto, una parte della dottrina escludeva che le norme sul credito al consumo potessero trovare applicazione rispetto ai contratti preliminari; l'attuale riferimento all'impegno a concedere quindi, dovrebbe far ritenere adesso applicabile tale disciplina anche ai contratti preliminari (Maugeri, 2013, 9 ss.). Come è stato osservato in dottrina, poi, oltre al gruppo di operazioni interamente incluse nel campo applicativo della disciplina sul credito al consumo e a quello delle ipotesi escluse, la normativa in esame delinea un terzo insieme di fattispecie, per le quali trovano applicazione soltanto alcune particolari disposizioni specificamente individuate. Tra queste vi sono i contratti di credito sotto forma di sconfinamento di conto corrente, per i quali sono applicabili le disposizioni sulla trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari o finanziari in genere, artt. 115 ss. T.U.B.; i contratti di locazione finanziaria che in forza di accordi separati non comportano l'obbligo di acquisto della cosa da parte del consumatore, per i quali non trova applicazione l'art. 125-ter, commi dal primo al quarto; ancora, per le dilazioni di pagamento e per le altre modalità agevolate di rimborso di un debito preesistente, concordate tra le parti a seguito di un inadempimento del consumatore, non trovano applicazione una serie di disposizioni appositamente individuate (Alpa, Gaggero, 2012, 1841 ss.). Per quanto attiene invece ai requisiti soggettivi per l'applicazione delle norme sul credito al consumo, ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. b) T.U.B., per consumatore si intende la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta; dunque, come si può vedere, tale soggetto viene individuato negli stessi termini di cui all'art. 3, comma 1, lett. a) cod. cons. Il ‘finanziatore', ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. f) T.U.B., è il soggetto che, essendo abilitato all'erogazione di finanziamenti nel territorio della Repubblica a titolo professionale, offre o stipula contratti di credito. In merito all'individuazione della figura di consumatore, si è evidenziato che, ai fini dell'applicazione degli artt. 121 ss. T.U.B., non è necessario che il fine perseguito dal consumatore si esaurisca nel procurarsi la provvista per adempiere alle obbligazioni nascenti da un singolo contratto specifico relativo a un bene mobile o a un servizio, ben potendo il consumatore cercare di procurarsi la disponibilità di somme da tenere a disposizione per poter soddisfare più bisogni di natura non professionale, anche per esigenze future (De Cristofaro, Oliviero, 306 ss.). In merito alla qualificazione di un soggetto in termini di consumatore, una delle questioni più complesse emerse nel dibattito giuridico sull'applicazione della normativa consumeristica attiene al caso in cui un soggetto agisca per scopi misti o promiscui. La Corte di Giustizia ha reso un'importante pronuncia sull'interpretazione degli articoli 13-15 della Convenzione di Bruxelles del 1968, che contiene una definizione analoga di consumatore, CGCE, 20 gennaio 2005, causa C-464/01, Gruber c. BayWa AG, nella quale ha affermato che in caso di scopi misti il soggetto deve comunque essere qualificato consumatore se il collegamento tra contratto e attività professionale risulta talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto complessivo dell'operazione e a condizione che egli non abbia agito in modo tale da ingenerare nella controparte la legittima impressione di stare agendo per finalità professionali (Maugeri, 2013, 5 ss.). Si è precisato che l'intervento di un terzo, quale intermediario per l'instaurazione del rapporto contrattuale tra il consumatore e il creditore, non esclude l'applicabilità della normativa di settore; peraltro, stante la mancanza di una disposizione analoga a quella di cui all'art. 18, comma 1, lett. b), cod. cons., in tema di pratiche commerciali sleali, si deve ritenere che in questo caso gli obblighi informativi non si estendano anche al terzo. Degli obblighi specifici sono stati invece imposti a una particolare categoria di soggetti, appositamente individuata dall'art. 121, comma 1, lett. h) T.U.B., gli ‘intermediari del credito', per tali dovendosi intendere i mediatori creditizi, gli agenti in attività finanziaria e ogni soggetto che, senza stipulare contratti di credito in nome proprio, presta a titolo oneroso, nell'ambito della propria attività professionale, servizi di presentazione o proposizione ai consumatori di contratti di credito ovvero di assistenza in attività preparatorie oppure ancora di negoziazione o conclusione di contratti di credito con consumatori agendo in rappresentanza del finanziatore (De Cristofaro –Oliviero, 306 ss.). Nella decisione Corte Giust. CE, 20 gennaio 2005, c. C-464/01, Gruber c. BayWa AG, nell'individuare il campo di applicazione delle norme di cui agli artt. 13-15 della Convenzione di Bruxelles del 1968, la Corte si è interrogata sulla riconducibilità o meno di un contratto per scopi misti alla nozione di consumatore individuata dalla 14, comma 1 della Convenzione. Premesso che l'art. 13 della Convenzione qualifica come consumatore il soggetto che conclude un contratto per uno scopo estraneo alla sua attività professionale, termini nettamente restrittivi secondo la Corte, e sottolineato che l'obiettivo degli articoli 13 ss. della Convenzione è quello di proteggere efficacemente la persona che si trova presumibilmente in una posizione di debolezza rispetto alla sua controparte, la Corte ha affermato che tali benefici non possono essere concessi a quei soggetti che agiscono per finalità solo in parte estranee alla propria attività professionale, salvo il caso in cui la finalità professionale perseguita dal soggetto risulti del tutto trascurabile. Si è tuttavia rilevato che la Corte, nella motivazione della sentenza, ha tentato di moderare gli effetti di questo suo approccio, ritenendo comunque ascrivibile la qualifica di consumatore nel caso in cui il nesso tra il contratto e l'attività professionale dell'interessato risulti talmente modesto da rivestire un ruolo marginale e trascurabile nel contesto complessivo dell'operazione (Bravo, 52 ss.). Peraltro in dottrina si è affermato che, di là dalla decisione nel menzionato caso Gruber, anche alla luce di considerazioni di carattere sistematico, la finalità di tutela del contraente debole dovrebbe condurre all'applicabilità della normativa in esame anche ai casi in cui l'impiego per finalità professionali o imprenditoriali non sia esclusivo ovvero prevalente (De Cristofaro, Oliviero, 306 ss.). La pubblicità e gli obblighi informativi.Nel caso in cui si vogliano realizzare delle comunicazioni pubblicitarie con l'indicazione del tasso d'interesse o di altre cifre relative al costo del credito, l'art. 123 T.U.B. impone l'indicazione di una serie di informazioni di base, in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l'impiego di un esempio rappresentativo, tra le quali vi sono: il tasso d'interesse, specificando se fisso o variabile e le spese comprese nel costo totale del credito; l'importo totale del credito; il tasso annuo effettivo globale (t.a.e.g.), sul quale si veda infra; la durata del contratto se determinata; l'importo totale dovuto dal consumatore e l'ammontare delle singole rate, ove determinabili in anticipo; ecc. Ai sensi del comma secondo dell'art. 123 T.U.B., poi, si è rimesso alla Banca d'Italia, in conformità alle delibere del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), il compito di precisare le caratteristiche delle informazioni da includere negli annunci pubblicitari nonché le modalità della loro divulgazione. L'art. 124 T.U.B. impone al finanziatore o all'intermediario del credito di fornire al consumatore, prima che quest'ultimo sia vincolato dal contratto o da un'offerta, le informazioni necessarie per consentire un confronto tra le diverse offerte di credito presenti sul mercato, affinché egli possa assumere una decisione informata e consapevole in merito al contratto di credito da concludere (art. 124, comma 1 T.U.B.). Tali obblighi informativi precontrattuali devono essere adempiuti con la trasmissione delle informazioni su apposito supporto cartaceo o altro supporto durevole mediante il modulo contenente le ‘informazioni europee di base sul credito ai consumatori' (art. 124, comma 2 T.U.B.). Poi, in caso di espressa richiesta, deve essere fornita al consumatore la bozza del contratto di credito. Alla Banca d'Italia, in conformità alle delibere del CICR, è affidato il compito di dettare le disposizioni di attuazione dell'art. 124 T.U.B. in relazione, tra le altre cose, ai contenuti, ai criteri di redazione e alle modalità di messa a disposizione delle informazioni precontrattuali. Con specifico riferimento alla posizione degli ‘intermediari del credito' (per la cui individuazione si rinvia a quanto osservato al precedente paragrafo n. 3), il comma 6 dell'art. 124 T.U.B. specifica che essi sono obbligati a fornire l'informativa precontrattuale di cui all'art. 124 T.U.B. soltanto nel caso in cui esercitino l'attività di intermediazione creditizia in via principale, ossia non a titolo accessorio. Come è stato osservato, la direttiva 2008/48/CE e il d.lgs. n. 141/2010 di recepimento, hanno introdotto una nuova regolamentazione degli obblighi del finanziatore nella fase precontrattuale e in particolare della pubblicità. La direttiva precisa che la normativa in tema di pubblicità non ha carattere esaustivo, ma è aggiuntiva rispetto ad altre che la riguardano e si mantiene impregiudicata la disciplina sulle pratiche commerciali sleali o ingannevoli. Tale costruzione rivela un rapporto tra normativa sul credito al consumo e altre discipline in materia consumeristica dove la prima riveste una posizione speciale e aggiuntiva (Alpa, Gaggero, 2012, 1850 ss.). In dottrina si sono raggruppati gli obblighi informativi sul credito al consumo in tre categorie. La trasmissione delle informazioni indispensabili, la cui specificazione sul piano interno viene delegata alla Banca d'Italia in forza dell'ultimo comma dell'art. 124 T.U.B., per consentire al consumatore di effettuare una scelta consapevole; tali informazioni devono essere trasmesse con un apposito modulo, cartaceo o su altro supporto durevole, da consegnare al consumatore prima che egli sia vincolato dal contratto di credito o da un'offerta di credito. Vi è poi l'obbligo di consegnare una bozza del contratto di credito al consumatore ove questi ne faccia richiesta. Infine, il quinto comma dell'art. 124 T.U.B. impone ai finanziatori e agli intermediari di fornire al consumatore i chiarimenti opportuni affinché egli possa valutare l'adeguatezza del contratto di credito rispetto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria (su questo aspetto si veda infra) (De Cristofaro, Oliviero, 311 ss.). Si è evidenziato che la direttiva ha introdotto una presunzione di conformità dell'informativa precontrattuale quando essa è veicolata attraverso un apposito modulo standardizzato, ciò al fine di agevolare gli operatori e assicurare la correttezza della trasmissione delle informazioni; per evitare sovraccarichi informativi, le informazioni ulteriori dovranno essere contenute in fogli distinti e separati. Se poi il contratto di credito è stato concluso usando mezzi di comunicazione a distanza su richiesta del consumatore e ciò non ha consentito la precedente trasmissione delle informazioni, queste dovranno essere fornite con il modulo immediatamente dopo la conclusione del contratto di credito (Costa, 931 ss.). Come pure è stato osservato, attraverso l'utilizzo del modulo standardizzato il consumatore è posto nelle condizioni di effettuare una scelta consapevole grazie all'omogeneità dei dati oggetto dell'informativa obbligatoria. Tale modulo si compone di più paragrafi all'interno dei quali devono essere precisati l'identità e i riferimenti del finanziatore o dell'intermediario del credito, le caratteristiche principali del prodotto, i costi del credito, gli altri importanti aspetti legali e le informazioni supplementari per il caso di commercializzazione a distanza di servizi finanziari (Carriero, 2012, 1863 ss.). Come è stato precisato dalla CGUE, 24 aprile 2016, C-377/154, Radlinger e Radlingerová c. Finway, gli articoli 3, lett. l) e 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48/CE, nonché il punto I dell'allegato I di tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che l'importo totale del credito e l'importo del prelievo designano l'insieme delle somme messe a disposizione del consumatore; ciò esclude quelle che il consumatore destina al pagamento dei costi connessi al credito erogato e che non sono state effettivamente versate a quest'ultimo. Il legislatore comunitario ha rimesso agli Stati membri la regolamentazione delle conseguenze dell'inadempimento degli obblighi esaminati. Ferma restando l'applicabilità, ove ne ricorrano i presupposti, della disciplina sulle pratiche commerciali sleali, resta aperta la questione delle ripercussioni che tali condotte hanno sulla validità del contratto poi concluso e/o della loro idoneità a legittimare l'esperimento di azioni risarcitorie; ancora, si pone il problema della eventuale difformità del contratto rispetto alle informazioni più favorevoli previamente fornite. Il legislatore italiano, al fine di tutelare il consumatore in queste evenienze, con l'art. 125-bis, comma 2 T.U.B., ha esteso ai contratti di credito al consumo l'applicazione del precetto contenuto nell'art. 117, comma 6 T.U.B., secondo cui le clausole del contratto concluso tra le parti possono discostarsi da quelle fatte oggetto dei messaggi pubblicitari soltanto in senso migliorativo, a pena di nullità; inoltre, ai sensi dell'art. 125-bis, comma 6 T.U.B., sono affette da nullità necessariamente parziale quelle clausole contrattuali con le quali siano previsti costi o spese a carico del consumatore che non siano stati inclusi all'interno del t.a.e.g. indicato nella pubblicità o nell'informativa precontrattuale (De Cristofaro, Oliviero, 311 ss.). Rispetto alla normativa anteriore alla riforma, Trib. Salerno 1 agosto 2015, ha precisato che ai sensi dell'art. 124, comma 3 T.U.B. il contratto di credito al consumo avente ad oggetto l'acquisto di beni o servizi, concluso tra un venditore e un consumatore, è nullo se non riporta la descrizione analitica del bene, il prezzo di acquisto e le condizioni di trasferimento del diritto di proprietà qualora il passaggio del diritto reale non sia immediato. La consulenza e la verifica del merito creditizio.Due profili di cruciale importanza nella disciplina del ‘credito ai consumatori' attengono alla considerazione dell'adeguatezza del contratto rispetto alle condizioni economico-finanziarie del consumatore: da un lato, l'art. 124, comma 5 T.U.B. prevede che il fornitore e l'intermediario, nell'ambito degli obblighi informativi precontrattuali, forniscano al consumatore i chiarimenti adeguati affinché quest'ultimo possa valutare la rispondenza del negozio di credito alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria; dall'altro lato, ancor più incisivamente, l'art. 124-bis T.U.B. prevede che il finanziatore e l'intermediario effettuino una vera e propria valutazione del merito creditizio del consumatore, utilizzando le informazioni fornite da quest'ultimo e, ove necessario, da apposite banche dati. Dunque, si tratta di norme che operano su due fronti, il primo è finalizzato ad assicurare che il consumatore sia adeguatamente informato dell'operazione che sta ponendo in essere sotto il particolare profilo delle sue esigenze e delle sue capacità finanziarie, lasciando comunque a quest'ultimo la scelta sulla conclusione del contratto; sul secondo versante, invece, si opera un controllo più penetrante, all'esito del quale si può arrivare a non concedere il finanziamento al consumatore anche contro la sua volontà. Nel caso in cui il credito non venga concesso all'esito di una valutazione negativa per informazioni ottenute con la consultazione di banche dati, l'art. 125, comma 2 T.U.B., prescrive al finanziatore di informare immediatamente e gratuitamente il consumatore del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati. Come è stato sottolineato, la Banca d'Italia ha precisato che dovranno essere adottate apposite procedure interne per assicurare che il consumatore possa rivolgersi al finanziatore durante l'orario di lavoro e richiedere gratuitamente spiegazioni e chiarimenti sulla documentazione precontrattuale, le caratteristiche essenziali del prodotto offerto e delle conseguenze economiche che possono derivare dalla conclusione del negozio, anche per il caso del mancato pagamento. Si è prestata particolare attenzione all'agevolazione nell'accesso a tale servizio di assistenza, il quale deve poter essere fruito oralmente o attraverso tecniche di comunicazione a distanza che consentano anche un'interazione individuale con personale adeguatamente competente e aggiornato (Costa, 931 ss.). Per quanto concerne l'art. 124-bis T.U.B. sulla valutazione del merito creditizio, è stata evidenziata la complessità del tema della responsabilità del finanziatore nell'erogazione del credito, il c.d. dilemma del banchiere, il quale si trova in una difficile posizione di conflitto di interessi, tra la possibilità di acquisire un potenziale cliente e il rischio di responsabilità per concessione abusiva del credito. Anzi, suscita certamente degli interrogativi il fatto che la valutazione dell'adeguatezza dell'operazione per il sovvenuto sia affidata proprio al sovventore, ma si è cercato di assicurare il corretto assolvimento di tale compito da parte di quest'ultimo attraverso l'individuazione di un suo specifico obbligo e quindi di una sua responsabilità contrattuale in tal senso. La necessità di questo tipo di valutazione oggi è ancor più importante a fronte dello sviluppo di strumenti mediante i quali i finanziatori retrocedono su altri soggetti il rischio connesso alla concessione del credito: l'utilizzo di garanzie funge da propulsore dell'erogazione dei finanziamenti, con un aumento del rischio di sovraindebitamento e con la conseguenza paradossale che i relativi costi, in ultima istanza, finiscono col riverberarsi sui sovvenuti stessi (Costa, 942 ss.). La normativa è volta a responsabilizzare sia l'erogazione del credito che l'assunzione del debito: il ‘credito responsabile' in ambito comunitario si riferisce da un lato alla condotta dei sovventori, con l'introduzione sul piano normativo di obblighi di trasparenza, assistenza precontrattuale e valutazione del merito creditizio; dall'altro lato si guarda ai sovvenuti e si mira a una loro assunzione del debito responsabile e prudente (De Chiara, 1871 ss.). Da più parti in dottrina si è osservato che pur mancando una previsione in tal senso, si deve ritenere che il finanziatore, in caso di esito negativo nella valutazione del merito creditizio, debba astenersi dall'erogazione del finanziamento (Costa, 942 ss.; si veda anche De Cristofaro, Oliviero, 311 ss.). Anche rispetto a questi profili il T.U.B. non detta una disciplina per il caso dell'inadempimento degli obblighi gravanti sul professionista. A questo proposito si è ritenuto che tale condotta non si riverberi sulla validità del contratto di credito concluso, ma piuttosto possa fondare richieste risarcitorie per le conseguenze negative derivanti dalla irresponsabile concessione del credito. Inoltre, ove la condotta del professionista abbia attitudine a falsare in maniera rilevante il comportamento economico del consumatore, potrà configurarsi una pratica commerciale sleale (De Cristofaro, Oliviero, 311 ss.). L'obbligo di verifica sul merito creditizio, disciplinato dall'art. 124-bis T.U.B., incombe soltanto sugli intermediari finanziari che stipulano contratti di credito con la clientela; pertanto, non può riconoscersi in capo alla banca alcun obbligo di preventiva disamina sull'affidabilità del cliente nel caso in cui, per tutta la durata del rapporto, non sia stata concessa alcuna operativa di cassa alla fallita (Trib. Monza 16 marzo 2011). Il venditore di un bene il cui prezzo sia corrisposto da un terzo finanziatore nell'ambito di un contratto di credito al consumo, deve verificare l'identità dell'acquirente con la dovuta diligenza, onde consentire al sovventore di valutarne l'affidabilità; in mancanza, il venditore potrà essere ritenuto responsabile ed essere chiamato dal finanziatore per il risarcimento del danno patito a causa della perduta possibilità di recuperare il credito (Cass. III, n. 25861/2011; nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto responsabile il venditore che si era limitato a richiedere al potenziale soggetto da finanziare un documento senza eseguire alcun serio controllo sulla attendibilità dello stesso). Il tasso annuo effettivo globale (t.a.e.g.)Al fine di consentire, nel modo più preciso e sintetico possibile, di individuare il costo del credito, è stato introdotto un apposito indicatore denominato tasso annuo effettivo globale (t.a.e.g.). Ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. m) T.U.B., in particolare, il tasso annuo effettivo globale indica il ‘costo totale del credito' per il consumatore, espresso in percentuale annua dell'importo totale del credito. Il ‘costo totale del credito', di cui alla lett. e) del medesimo comma, comprende gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, anche relativi ai servizi accessori che siano obbligatori per la concessione del credito alle condizioni offerte, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza, mentre restano escluse le eventuali spese notarili, le clausole penali, gli interessi di mora e le spese che competono al consumatore per l'acquisto del bene o del servizio finanziato. Alla lett. g), poi, si individua la nozione di ‘importo totale del credito' nella somma totale degli importi messi a disposizione del consumatore mediante il contratto di credito. Come è stato osservato, la disciplina del tasso annuo effettivo globale costituisce un fattore di forte tutela del consumatore, al quale viene attribuito il diritto di conoscere previamente il costo reale e complessivo del finanziamento. La previsione normativa tra le definizioni dell'art. 121 del T.U.B. non fornisce gli ulteriori elementi necessari per il calcolo di tale indice, poiché si attribuisce alla Banca d'Italia, conformemente alle delibere del CICR, il compito di stabilire i criteri per il calcolo di esso, ivi compresi i profili di inclusione o esclusione inerenti i costi accessori al credito (Antonucci, 301 ss.). Attraverso l'indicazione di tale indice si offre al consumatore, sotto forma di tasso percentuale, un'indicazione sintetica e affidabile del costo complessivo di cui egli deve farsi carico per poter accedere al finanziamento a certe condizioni (Costa, 931 ss.). Il Parlamento Europeo ha messo in evidenza l'esistenza di dubbi circa le modalità di calcolo del tasso annuo effettivo globale. Il T.U.B. rimette alla Banca d'Italia l'individuazione degli elementi da prendere in considerazione per l'individuazione del t.a.e.g., con determinazione da adottare in conformità alle deliberazioni del CICR. Peraltro, ai sensi dell'art. 127, comma 3 T.U.B., le deliberazioni di competenza di quest'ultimo previste nel titolo VI sono assunte su proposta della Banca d'Italia d'intesa con la CONSOB: dunque, il procedimento di determinazione delle modalità di calcolo del t.a.e.g. è il frutto di una concertazione. Peraltro, l'art. 19 della direttiva impone di calcolare il t.a.e.g. mediante la formula matematica indicata nella parte I dell'allegato I e benché nel T.U.B. non vi siano riferimenti a quest'ultimo, l'art. 3 del d.m. 3 febbraio 2011 impone alla Banca d'Italia di stabilire le predette modalità di calcolo in conformità all'art. 121, comma 2 T.U.B. e all'art. 19 e all'allegato I della direttiva 2008/48/CE, con ciò lasciando poco margine di discrezionalità al CICR e alla Banca d'Italia (Maugeri, 2013, 18 ss.). Nelle disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti» della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 e ss.mm., sezione VII sul credito ai consumatori, par. 4.2.4, si prescrive che il calcolo del t.a.e.g. sia effettuato secondo i criteri riportati nell'allegato 5B. Il t.a.e.g. rappresenta il costo totale effettivo del credito a carico del consumatore; tale indice, nell'economia complessiva del contratto di credito al consumo, assolve una funzione essenziale; in tal senso, la stessa normativa di cui al T.U.B. impone che tale voce sia specificata in ogni pubblicità di operazioni di credito al consumo, di modo che il consumatore possa disporre di informazioni omogenee e attendibili sul costo effettivo del credito stesso tra le diverse offerte presenti sul mercato, potendo così valutarne anche la convenienza rispetto ad altre eventuali offerte di credito (T.A.R. Roma 31 gennaio 2018, n. 1158). Come in parte già anticipato l'indicazione del t.a.e.g., anche in considerazione del suo ruolo fondamentale, viene presa in considerazione in tutte le fasi della disciplina del credito al consumo: negli avvisi pubblicitari, all'interno degli obblighi informativi precontrattuali e come requisito di contenuto del contratto medesimo. Per la disciplina dei primi due si rinvia a quanto già osservato nei paragrafi precedenti. Per quanto attiene alla necessità di specifica indicazione del t.a.e.g. all'interno del contratto di credito, rimandando all'apposito commento (artt. 125-125-quater) per un esame dei profili generali sui requisiti di forma e di contenuto del contratto, preme osservare fin da ora che l'art. 125-bis T.U.B., contiene una disciplina specifica per il caso di mancata indicazione del t.a.e.g. ovvero di nullità della relativa clausola contrattuale: l'art. 125-bis, comma 7 T.U.B., prevede un'ipotesi di integrazione ex lege, in forza della quale il t.a.e.g. viene individuato nella misura del tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto e nessun altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di interessi, commissioni o altre spese. Qualora la concessione di finanziamento sia qualificabile come credito al consumo, nel caso di mancata indicazione del t.a.e.g. l'art. 125-bis T.U.B. prevede che lo stesso equivalga al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese (Trib. Messina 9 aprile 2015). BibliografiaAlpa, Gaggero, Art. 121 – Definizioni, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1798-1835; Alpa, Gaggero, Art. 122 – Ambito di applicazione, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1835-1847; Alpa, Gaggero, Art. 123 – Pubblicità, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1848-1859; Antoniolli, Contratti del consumatore nel diritto dell'Unione europea, in Dig. civ., Agg., VI, 2011, 208-238; Antonucci, Credito al consumo e zone limitrofe – Una scheda di lettura del d. legis. n. 141 del 2010, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 6, 297-304; Bravo, I contratti a distanza nel codice del consumo e nella direttiva 2011/83/UE – Verso un codice europeo del consumo, Milano, 2013; Carriero, Brevi note sulla delega per l'attuazione della nuova direttiva sui contratti di credito ai consumatori, in Contratti, 2009, 12, 1146-1150; Carriero, Art. 124 – Obblighi precontrattuali, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1859-1869; Costa, La nuova disciplina del credito ai consumatori, in Contr. impr. 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