Decreto legislativo - 1/09/1993 - n. 385 art. 126 - Riservatezza delle informazioni 1

Giacomo Bizzarri

Riservatezza delle informazioni1

 

1. Il Ministro dell'economia e delle finanze puo' individuare, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, i casi in cui le comunicazioni previste dall'articolo 125, comma 2, e 125-quater, comma 2, lettera b), non sono effettuate in quanto vietate dalla normativa comunitaria o contrarie all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza2.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 1 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141.

Inquadramento

Uno degli aspetti centrali e sicuramente più complessi della disciplina del credito del consumo è quello relativo alla regolamentazione dei contratti collegati, con particolare riferimento alla sorte del contratto di credito concluso con un finanziatore a fronte dell'inadempimento da parte del fornitore nel contratto collegato per l'acquisto di beni o per la prestazione di servizi. Altri profili di rilievo in tema di credito al consumo, che ricevono una particolare disciplina all'interno del T.U.B., riguardano l'estinzione anticipata, la cessione del credito e lo sconfinamento.

La regolamentazione del collegamento negoziale per il caso di inadempimento del fornitore

L'art. 121, comma 1, lett. d) T.U.B., ci offre una precisa definizione di ‘contratto di credito collegato', per tale dovendosi intendere quel negozio di credito che sia finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici, al ricorrere di almeno una delle due seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per la promozione o per la conclusione del contratto di credito, ovvero, 2) il bene o il servizio specifici vengono esplicitamente individuati nel contratto di credito.

Premessa tale definizione, poi, l'art. 125-quinquies T.U.B., reca una disciplina analitica della sorte del contratto di credito per il caso di inadempimento da parte del professionista nel contratto collegato. Tale disciplina, ai sensi del comma quarto dell'art. 122 T.U.B., non trova applicazione per le dilazioni di pagamento e per le altre modalità agevolate di rimborso di un prestito preesistente che siano state concordate tra le parti a seguito di un inadempimento del consumatore.

Nel vigore della precedente normativa, antecedente all'attuazione della direttiva 2008/48/CEE, si riconosceva al consumatore la possibilità di agire nei confronti del sovventore soltanto nel caso in cui vi fosse un accordo di esclusiva tra fornitore e finanziatore in merito alla concessione di credito a tutti i clienti dello stesso e previa infruttuosa costituzione in mora del fornitore da parte del consumatore. Tale disposizione è stata superata a seguito dell'attuazione della nuova direttiva sul credito al consumo, effettuata mediante il d.lgs. n. 141/2010 che ha abrogato gli artt. 40-42 cod. cons. e introdotto all'interno dell'art. 125-quinquies T.U.B., una disciplina puntuale per il caso di inadempimento del fornitore (Berti de Marinis, 338 ss.).

Uno degli aspetti più importanti e controversi della disciplina del credito al consumo, come è stato messo in luce, è rappresentato dal rilievo giuridico che può assumere il collegamento tra il negozio di credito e quello di fornitura, in tutti i casi in cui il primo venga stipulato allo scopo principale di procurarsi i mezzi finanziari necessari per sostenere la conclusione del secondo. La precedente direttiva in materia aveva affrontato il problema in modo tutt'altro che soddisfacente, limitandosi ad imporre agli Stati membri di impedire che tale situazione potesse pregiudicare l'esercizio dei diritti del consumatore nei confronti del fornitore inadempiente e di prevedere in tali evenienze un diritto di azione nei confronti del creditore, ma soltanto in una serie limitata di ipotesi e in via meramente sussidiaria. A ciò si aggiunga il fatto che la direttiva (come già osservato supra) introduceva un livello di armonizzazione minima, con la conseguente nascita di importanti differenze nei regimi normativi dei diversi paesi membri. Date tali premesse, era pertanto grande l'aspettativa che si nutriva nei confronti della nuova direttiva sul credito al consumo e della relativa normativa di attuazione. In dottrina, però, si è espressa una certa delusione sulle innovazioni apportate in proposito, ritenute comunque inadeguate e lacunose, richiedendosi così, ancora una volta, la ricerca di soluzioni per via interpretativa (De Cristofaro, 1055 ss.).

La previgente disciplina consentiva al consumatore, in caso di inadempimento da parte del fornitore, di agire nei confronti del finanziatore nei limiti del credito concesso, ma soltanto qualora vi fosse stato un accordo di attribuzione a quest'ultimo dell'esclusiva per la concessione del credito ai clienti del fornitore. Tuttavia, non era chiaro cosa dovesse intendersi per ‘diritto di agire' nei confronti del creditore, se esso comprendesse soltanto il risarcimento, solo la risoluzione, entrambi, ovvero altri tipi di tutela come sollevare l'eccezione di inadempimento.

CGCE, sez. I, con la decisione C-509/07 del 23 aprile 2009, aveva affermato che la normativa in esame era finalizzata ad offrire al consumatore una ‘protezione supplementare', quale l'azione risarcitoria, mentre restavano applicabili le norme interne per i rimedi già contemplati come l'azione di risoluzione del contratto collegato e la richiesta di ripetizione delle somme corrisposte al creditore. Così, la giurisprudenza nazionale e l'ABF, in merito ai contratti stipulati prima del 2010, hanno ritenuto fondate le domande di risoluzione pur in assenza dell'esclusiva prevista dall'abrogato art. 42 cod. cons. e pur in presenza di una diversa volontà delle parti, dando rilievo al fatto che nel contratto di credito fosse espressamente menzionata la finalità di acquisto di determinati beni o servizi ovvero che esistesse una convenzione tra finanziatore e fornitore relativa alla promozione o conclusione di un numero indeterminato di contratti di credito (sul punto si veda Maugeri, 2013, 125 ss., dove si esaminano anche i profili generali del collegamento negoziale e della possibilità di agire in risoluzione).

Per quanto concerne la definizione di contratto di credito collegato, la sua introduzione rappresenta certamente una tra le innovazioni più importanti introdotte dalla novella. Ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. d) T.U.B., affinché un contratto di credito possa essere qualificato come ‘collegato' è innanzitutto necessario che esso sia finalizzato al finanziamento della fornitura di beni o della prestazione di servizi in modo esclusivo; inoltre, è necessario che il bene o il servizio siano ‘specifici': a questo proposito, in particolare, si è osservato che l'utilizzo di tale aggettivo da parte degli organi comunitari risulta poco chiaro e non pare che con esso si sia inteso escludere dal campo applicativo della norma i contratti di alienazione di cose generiche, purché il genus di appartenenza sia individuato in modo inequivoco. Si è poi segnalato come la definizione italiana diverga da quella della direttiva almeno sotto due importanti aspetti, da un lato, per non aver utilizzato la nozione di ‘operazione commerciale oggettivamente unica' e, dall'altro lato, per il fatto che la definizione italiana potrebbe essere intesa in senso restrittivo (ma si veda quanto osservato da Maugeri, 2011, 463 ss.), poiché, secondo certa dottrina, nell'ottica della direttiva la mancanza di una delle due condizioni alternative di cui al comma 1, lett. d), nn. 1 e 2, art. 121 T.U.B., non esclude necessariamente la configurabilità di un contratto di credito collegato, potendo questa essere ricavata da altri indici presenti nella fattispecie concreta (De Cristofaro, Oliviero, 332 ss.).

Come è stato precisato, in tema credito finalizzato all'acquisto di un diritto in multiproprietà, da Cass. I, ord. n. 19748/2018, ricorrendo la stipula di un contratto di vendita del diritto di godimento a tempo parziale di beni e servizi alberghieri in località di vacanza nonché di un contratto di finanziamento del corrispettivo dovuto, la previsione in quest'ultimo di una clausola di rinuncia, avente natura vessatoria, all'opponibilità delle eccezioni relative alla destinazione dell'importo finanziato e ai vizi del bene acquistato, non esclude il collegamento funzionale tra i due contratti; resta infatti demandato al giudice di merito l'accertamento della sussumibilità di tale finanziamento all'interno della tipologia del contratto di credito al consumo di cui al d.lgs. n. 385/1993, sussistendo tra tali negozi, in ipotesi affermativa, un collegamento negoziale di fonte legale che prescinde dal rapporto tra finanziatore e venditore. Come pure è stato evidenziato, in tema di credito al consumo, nel caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, l'azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore si aggiunge alle comune azioni contrattuali.

Per quanto concerne i contratti di credito al consumo finalizzati all'acquisto di beni o servizi, l'inadempimento del venditore non determina la nullità del contratto di finanziamento per difetto di causa, non comportando un'invalidità ab origine; la risoluzione di tale contratto di compravendita, diversamente, può incidere sul contratto di credito collegato determinandone lo scioglimento (Trib. Modena 1 marzo 2017).

Nella disciplina previgente alla riforma del d.lgs. n. 141/2010, nel caso di inadempimento da parte del fornitore nella vendita di beni di consumo, l'acquirente può agire per la risoluzione del contratto di credito collegato, con conseguente diritto alla restituzione delle somme, pure nel caso in cui non vi sia una clausola di esclusiva del finanziatore per la concessione di credito a favore dei clienti del fornitore, stante l'esistenza di un collegamento negoziale di fonte legale tra i due contratti (Cass. III, n. 19000/2016).

In caso di inadempimento del fornitore di beni o servizi, in tema di credito al consumo, l'azione diretta del consumatore contro il finanziatore ai sensi dell'art. 125, comma 4 T.U.B., nel testo originario applicabile ratione temporis, si aggiunge alle comuni azioni contrattuali per le quali non vigono le condizioni stabilite dalla norma menzionata, spettando al giudice il compito di individuare gli effetti del collegamento negoziale istituito per legge tra il contratto di finanziamento e quello di vendita (Cass. III, n. 19522/2015).

Ai sensi quanto disposto dagli articoli 121 e 124 T.U.B., nel testo originario applicabile ratione temporis, tra i contratti di credito al consumo finalizzati all'acquisto di determinati beni o servizi e i contratti di acquisto dei medesimi ricorre un'ipotesi di collegamento negoziale di fonte legale, che prescinde dalla sussistenza di una esclusiva del finanziatore per la concessione di credito ai clienti dei fornitori (Cass. III, n. 20477/2014).

Sempre con riferimento alla disciplina originaria, applicabile ratione temporis, si è affermato che l'istituto del credito al consumo costituisce una fattispecie di collegamento negoziale di fonte legale; pertanto non risulta necessaria un'indagine ad opera del giudice sulla volontà dei contraenti per accertare l'esistenza di un collegamento tra contratto di compravendita e contratto di credito e le vicende del primo si ripercuotono sul secondo che è ad esso collegato funzionalmente e geneticamente: la risoluzione del contratto di compravendita, in particolare, determina il sopravvenuto venir meno della causa del negozio di finanziamento. La particolare tutela prevista a favore del consumatore in caso di patto di esclusiva, si aggiunge e non si sostituisce alle ordinarie forme di tutela derivanti dalla disciplina generale (Trib. Messina 8 maggio 2015).

L'operazione negoziale di credito al consumo consta di tre distinti rapporti bilaterali collegati, quello tra finanziatore e fornitore, quello tra finanziatore e sovvenuto e quello tra fornitore e acquirente sovvenuto. Tale fattispecie viene disciplinata dagli articoli 121 lett. d) e 125-quinquies T.U.B., così come modificati in forza del d.lgs. n. 141/2010. Sussistendo gli indici di collegamento negoziale di cui all'art. 121 lett. d) T.U.B., qualora il contratto di vendita del bene o di fornitura del servizio sia invalido e/o inefficace, analoga sorte spetterà al contratto di finanziamento ad esso collegato (Trib. Milano 24 aprile 2013).

Ai sensi del comma primo dell'art. 125-quinquies T.U.B., a fronte di un inadempimento da parte del fornitore che sia ‘importante' ai sensi dell'art. 1455 c.c., dopo aver inutilmente costituito in mora il fornitore, il consumatore può agire per richiedere la risoluzione del contratto di credito collegato. In tal caso, ai sensi del comma secondo, il finanziatore dovrà rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere applicato. Nel caso in cui sia già stata versata una certa somma al fornitore da parte del consumatore, quest'ultimo non sarà tenuto a rimborsarla al finanziatore il quale dovrà agire direttamente nei confronti del fornitore per il relativo recupero.

Il riferimento all'istituto della risoluzione in tali termini è apparso problematico, non essendo chiaro se assieme ad essa si possa richiedere anche il risarcimento del danno a causa dell'inadempimento del fornitore. Certa dottrina ha ritenuto di preferire una risposta positiva a tale interrogativo, dando rilievo al fatto che nel vigore della precedente disciplina l'azione del consumatore è stata qualificata come risarcitoria, con una responsabilità del finanziatore limitata all'importo del credito concesso e perché, più in generale, ciò risulta maggiormente rispondente alle finalità di tutela sottese alla normativa in esame. Mancano indicazioni in merito ai rimedi diversi dalla risoluzione: così, se risulta problematico accordare al consumatore il diritto di pretendere dal finanziatore l'esecuzione in forma specifica del contratto di fornitura ovvero il ripristino della conformità del bene o del servizio, sembra plausibile che il consumatore possa chiedere una riduzione del credito proporzionata alla diminuzione del prezzo ottenuta con l'azione estimatoria (Costa, 944 ss.). Altri autori però hanno osservato che la nuova disciplina, a differenza di quella previgente, sembrerebbe consentire al consumatore il solo esperimento dell'azione risolutiva, nulla disponendo l'art. 125-quinquies T.U.B., circa il diritto di chiedere il risarcimento del danno al finanziatore per inadempimento del fornitore e neppure in merito alla possibilità di sollevare l'eccezione di inadempimento. Peraltro, non vi sono indici che conducono ad affermare che il legislatore italiano intendesse anche precludere, secondo i principi generali del nostro ordinamento, la ricostruzione di rimedi ulteriori in capo al consumatore per via interpretativa, né pare che la direttiva possa costituire di per sé un ostacolo in tal senso. Ciò detto tuttavia, in considerazione dell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia di contratti collegati, non pare comunque che si possa giungere al punto di riconoscere al consumatore una tutela risarcitoria nei confronti del finanziatore (Maugeri, 2013, 130 ss.).

In dottrina si sono evidenziati i numerosi problemi applicativi che la nuova disciplina lascia ancora aperti, non avendo preso posizione in merito a più questioni che quindi dovranno essere risolte per via ermeneutica. In tal senso, in particolare, si è osservato che la normativa in esame nulla dice in merito alle ripercussioni che lo scioglimento del contratto di fornitura potrebbe avere sul contratto di credito collegato (in tal senso si veda De Cristofaro, Oliviero, 332 ss., dove si esamina anche il particolare caso dell'esercizio del diritto di recesso dal contratto di fornitura). Analogamente, mancano indicazioni in ordine alle conseguenze sul contratto di fornitura dell'eventuale esercizio del diritto di recesso, ovvero di eventuali diverse vicende caducatorie, dal contratto di credito ad esso collegato.

Il terzo comma dell'art. 125-quinquies T.U.B., detta delle particolari prescrizioni per il caso della locazione finanziaria (leasing), che recano sostanzialmente un adattamento delle tutele previste nel primo comma alla particolare struttura di questa fattispecie contrattuale. Poiché in questi casi il contratto di fornitura viene concluso direttamente dal finanziatore con il fornitore, si prevede che a seguito dell'infruttuosa costituzione in mora del fornitore da parte del consumatore, quest'ultimo possa richiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto; a tutela del consumatore, poi, si stabilisce che la richiesta di adempimento al fornitore provoca la sospensione dell'obbligazione di pagamento dei canoni. Quindi, in sintonia con quanto prescritto dai due commi precedenti, si prevede che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto del collegato negozio di locazione finanziaria, senza penalità e senza oneri, e si richiamano le ulteriori disposizioni di cui al precedente comma secondo.

In forza di tale specifica previsione sulla fornitura di beni o servizi nell'ambito di rapporti di leasing, poiché il consumatore non ha un'azione diretta nei confronti del fornitore inadempiente, si prevede che egli possa chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. Si è ritenuto, infatti, che nonostante l'esistenza di un collegamento tra il contratto di locazione finanziaria e quello di fornitura, per cui il secondo è stipulato con il fine, noto al fornitore, di soddisfare l'interesse del consumatore, quest'ultimo non è legittimato ad esercitare le azioni derivanti dal negozio di fornitura (La Rocca, 1912 ss.).

Infine, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 125-quinquies T.U.B., si stabilisce che i diritti ivi contemplati possono essere esercitati anche nei confronti del terzo al quale il finanziatore abbia eventualmente ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito.

L'uso della congiunzione ‘anche' fa propendere per la configurazione di un'obbligazione solidale in capo al finanziatore cedente e al cessionario rispetto agli obblighi di cui all'art. 125-quinquies T.U.B.; ma come è stato evidenziato, ciò risulta contrastare con l'art. 17 della direttiva 2008/48/CE, ai sensi del quale, in caso di cessione a terzi dei diritti del finanziatore derivanti dal contratto di credito al consumo ovvero di cessione del contratto medesimo, il consumatore può far valere nei confronti del cessionario gli stessi mezzi di difesa di cui poteva avvalersi nei confronti del cedente. Si è sottolineato poi come il legislatore italiano abbia omesso di prevedere, a differenza del secondo comma dell'art. 17 della direttiva, la necessità di informare il consumatore della cessione, salvo il caso in cui il cedente, in forza di un accordo con il cessionario, continui a gestire il credito nei confronti del consumatore: tale mancanza, evidentemente, potrebbe comportare delle difficoltà nell'individuazione di eventuali cessionari, soprattutto in presenza di cessioni in blocco per le quali valgono tecniche di notifica impersonali (La Rocca, 1912 ss.).

La ravvisabilità di un vero e proprio collegamento negoziale nella connessione tra un contratto di credito al consumo e un contratto preliminare di compravendita trova conferma nella nuova formulazione del capo sul credito al consumo del T.U.B., intervenuta con d.lgs. n. 141/2010: accertato il vincolo di collegamento negoziale tra contratto di credito e contratto preliminare di compravendita ne consegue che l'esistenza, la validità, l'efficacia e l'esecuzione dell'uno influiscono sulla validità, sull'efficacia e sull'esecuzione dell'altro (Trib. Milano 25 giugno 2012).

Recentemente, Trib. Treviso, 24 gennaio 2019, ha affrontato la questione della sorte del finanziamento collegato in caso di risoluzione consensuale del contratto di fornitura. In tale occasione si è preliminarmente osservato come questa ipotesi non risulti espressamente regolata dalla normativa in esame; quindi, rilevato che il collegamento negoziale impone di considerare, oltre alla funzione dei singoli negozi, la causa dell’operazione economica nel complesso, si è ritenuto che, in forza della destinazione impressa ex lege all’utilizzo delle somme finanziate, l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di fornitura interferisca sul negozio di finanziamento facendolo venire meno.

L'estinzione anticipata

Ai sensi dell'art. 125-sexies, comma 1, T.U.B., il consumatore ha il diritto di rimborsare anticipatamente, in tutto o in parte, l'importo dovuto al sovventore. In tal caso il costo totale del credito sarà ridotto in misura pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto.

Dal punto di vista della natura di tale posizione giuridica soggettiva, in dottrina si è osservato che non si tratterebbe di un diritto soggettivo riconosciuto in capo al consumatore, quanto piuttosto di un potere di adempimento anticipato, il quale tutt'al più può vantare un diritto a liberarsi dall'obbligo ma non un pieno diritto soggettivo all'adempimento. Pertanto, ciò che il legislatore europeo ha frettolosamente definito come diritto del consumatore, consisterebbe piuttosto nella individuazione di una modalità cronologica di attuazione della prestazione nella quale il sovventore non può sollevare eccezioni per differire l'adempimento anticipato. Il potere del consumatore di procedere al rimborso anticipato è irrinunciabile, poiché ai sensi dell'art. 127, comma 1 T.U.B., le disposizioni di cui al titolo I sulla trasparenza sono derogabili soltanto in senso più favorevole al cliente. Conseguentemente, la clausola con cui si andasse a limitare il potere del consumatore di adempiere anticipatamente, sarebbe nulla e sostituita di diritto dalla disciplina legale ex art. 1339 c.c. (De Cristofaro, Oliviero, 341 ss.).

Come pure è stato evidenziato, la facoltà per il consumatore di rimborsare anticipatamente il finanziamento, in tutto o in parte, prescinde dal tempo trascorso dalla conclusione del contratto e dal termine residuo. Il presupposto necessario e sufficiente risiede nell'esistenza di un rapporto debitorio tra creditore e consumatore. Tale possibilità viene così a configurarsi quale ulteriore strumento di tutela del contraente debole. Da un punto di vista applicativo, alla previsione della possibilità per il consumatore di effettuare il rimborso anticipato si legano una serie di regole poste a presidio anche degli interessi del creditore, il quale deve poter gestire il pregiudizio che eventualmente gli può derivare dal rimborso anticipato (Venturi, 1921 ss.).

In merito alla riduzione degli interessi e dei costi dovuti per l'estinzione anticipata del credito, si deve distinguere il caso della integrale estinzione anticipata da quello del rimborso soltanto parziale. Nel primo, sarà necessario considerare separatamente i costi c.d. up-front e i costi c.d. recurring, poiché soltanto questi ultimi saranno soggetti a riduzione essendo diretti a remunerare prestazioni del finanziatore ancora non eseguite in tutto o in parte. In caso di rimborso anticipato parziale, invece, se da un lato gli interessi dovuti saranno certamente ridotti in proporzione della diminuzione della somma finanziata, per le spese la riduzione potrà riguardare soltanto quelle aventi una relazione di proporzionalità con l'entità della somma da rimborsare (De Cristofaro, Oliviero, 341 ss.).

Il comma secondo dell'art. 125-sexies T.U.B., poi, prevede e circoscrive il diritto del finanziatore ad essere indennizzato in caso di estinzione anticipata da parte del consumatore. Si stabilisce in particolare che il finanziatore ha diritto ad un indennizzo, che sia equo ed oggettivamente giustificato, per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato. Si prevede poi un tetto massimo per tale somma, a seconda che la vita residua del contratto sia superiore ovvero pari o inferiore a un anno: nel primo caso l'indennizzo non potrà superare l'1 per cento di quanto rimborsato in anticipo, nel secondo caso lo 0,5 per cento. In ogni caso, l'indennizzo non potrà superare l'importo degli interessi che sarebbero stati dovuti per la vita residua del contratto.

L'indennizzo, destinato a compensare il sovventore dei mancati profitti derivanti dalla riduzione degli interessi e delle spese conseguenti al rimborso anticipato, può essere richiesto soltanto qualora sia stato espressamente convenuto nel titolo. Dovendo essere equo ed oggettivamente giustificato, esso dovrà essere commisurato all'importo totale del credito e al tempo dell'anticipato rimborso rispetto al termine contrattuale residuo, dovendo essere tanto minore quanto minori siano la somma finanziata e la vita residua del prestito; inoltre, dovrà essere necessariamente correlato a una perdita patrimoniale per il finanziatore, non potendo essere richiesto nel caso in cui il finanziatore non debba sostenere alcun costo direttamente connesso al rimborso ovvero sia in grado di impiegare la somma restituita a tassi più vantaggiosi (De Cristofaro, Oliviero, 341 ss.).

La disciplina dell'indennizzo del finanziatore presenta le maggiori criticità per l'istituto in esame, poiché se vi è l'immagine di un'attribuzione patrimoniale per via pattizia e vagliata giudizialmente, le modalità manifestative dell'autonomia privata risultano in realtà ingabbiate in maglie piuttosto costrittive. Così l'indennizzo sarà dovuto soltanto nel caso in cui l'estinzione anticipata abbia comportato una perdita comprovata per il creditore. Inoltre, il fatto che l'indennizzo debba legarsi a delle percentuali previste per legge, non lo rende di per sé equo (Pagliantini, 117 ss.).

L'art. 125-sexies, comma 3 T.U.B., infine, contempla una serie di esclusioni del diritto di indennizzo: per il caso in cui il rimborso sia avvenuto in esecuzione di un contratto di assicurazione di garanzia del credito (art. 125-sexies, comma 3, lett. a) T.U.B.); quando il rimborso riguarda un contratto di apertura di credito (art. 125-sexies, comma 3 lett. b) T.U.B.); qualora il rimborso sia effettuato in un periodo in cui non si applica una un tasso di interesse espresso da una percentuale specifica fissa predeterminata nel contratto (art. 125-sexies, comma 3, lett. c) T.U.B.); nel caso venga rimborsato l'intero debito residuo e questo fosse pari o inferiore a 10.000 euro (art. 125-sexies, comma 3, lett. d) T.U.B.).

Nell'ipotesi contemplata dalla lett. a), che rappresenta una uno dei casi di naturale conclusione del rapporto di finanziamento, il sovventore viene pienamente soddisfatto dall'impresa assicuratrice che subentra al sovvenuto nel pagamento del credito, venendo così a mancare l'oggettiva giustificazione di un possibile indennizzo. Per quanto concerne l'ipotesi sub b), premesso che questa non riguarda le aperture di credito regolate in conto corrente da rimborsare su richiesta della banca ovvero entro tre mesi dal prelievo, essendo escluse espressamente dall'art. 122, comma 2 T.U.B., la ratio dell'esclusione risiede nel fatto che nei contratti di apertura di credito le tempistiche del rimborso sono tipicamente rimesse alla discrezionalità del cliente, nei limiti di quanto previsto in contratto. Nel caso di finanziamenti a tasso variabile di cui alla lett. c), poi, si è ritenuto che il creditore può comunque ottenere una remunerazione per le somme rimborsate anticipatamente a quel medesimo tasso che, essendo variabile, segue l'andamento del mercato e quindi risulta attuale. In merito a quanto previsto alla lett. d), si tratta di un'ipotesi che è stata introdotta dal legislatore italiano, nell'esercizio della discrezionalità lasciata dalla direttiva, che si fonda sulla mancanza di oggettiva giustificazione e di equità di un indennizzo a fronte di un'estinzione totale per una somma relativamente contenuta. Come si è rilevato, infine, il legislatore italiano ha ritenuto di non sfruttare la possibilità concessa dalla direttiva di prevedere che il finanziatore potesse essere ammesso a dimostrare di aver subito una perdita maggiore dell'indennizzo calcolato, ciò al fine di garantire la massima tutela degli interessi dei consumatori (Venturi, 1921 ss.).

La disciplina sulla cessione del credito e del contratto

La disciplina sul credito al consumo si occupa anche del caso in cui il finanziatore ceda a terzi il credito vantato nei confronti del consumatore ovvero lo stesso contratto di credito. L'esigenza di intervenire sul punto, evidentemente, risiede nella necessità di dettare alcune regole uniformi in considerazione della particolare tipologia contrattuale in esame, sul cui fondamento si rinvia a quanto osservato nel commento agli artt. 121-124-bis T.U.B.

Inizialmente, con l'art. 9 della direttiva 1987/102/CEE, di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati Membri in materia di credito al consumo, si era previsto che, nel caso in cui i diritti derivanti da un contratto di credito al consumo fossero stati ceduti a terzi, il consumatore doveva avere la facoltà di esperire nei confronti di questi ultimi tutte le eccezioni e i mezzi di difesa che poteva far valere verso il cedente, incluso il diritto alla compensazione nel caso in cui questo fosse stato ammesso nello Stato membro in questione. A tale direttiva il legislatore italiano diede attuazione con la l. n. 142/1922, il cui art. 21, comma 11, previde inoltre che la cessione sarebbe potuta avvenire soltanto previa comunicazione scritta ricevuta dal consumatore con almeno quindici giorni di anticipo. Con l'adozione del T.U.B., poi, ai sensi dell'art. 161, il capo II, sez. I, della l. n. 142/1992 venne abrogato e la relativa normativa fu trasposta nell'art. 125, comma 3 T.U.B., dove si mantenne il diritto del ceduto di far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che potevano essere fatte valere verso il cedente, ma venne meno la necessaria previa comunicazione con preavviso di almeno quindici giorni. Nel quinto comma dell'art. 125 T.U.B., poi, si prevedeva che i diritti del consumatore per il caso di inadempimento del fornitore, di cui al precedente comma quarto, potevano essere esperiti anche nei confronti del cessionario. Tale disciplina fu poi oggetto di risistemazione a seguito dell'adozione del codice del consumo, non tanto sul piano sostanziale quanto su quello della sua ubicazione, poiché si abrogarono (ai sensi dell'art. 146, comma 1, lett. r) cod. cons.) gli ultimi due commi dell'art. 125 T.U.B., per ricollocarli unitamente nell'art. 42 cod. cons.

È in questo quadro normativo che è intervenuta la direttiva 2008/48/CE e poi il d.lgs. di attuazione n. 141/2010, mediante il quale la relativa disciplina è stata riunificata, anche se la ricollocazione è avvenuta all'interno del T.U.B. piuttosto che nel cod. cons. (si veda in proposito quanto osservato in commento agli artt. 121-124-bis T.U.B.).

Le norme relative alla cessione del credito al consumo sono adesso contenute nell'art. 125-septies T.U.B., nonché, con riferimento all'ipotesi dell'inadempimento del fornitore nei contratti collegati, nell'ultimo comma dell'art. 125-quinquies T.U.B.

Ai sensi dell'art. 125-septies, comma 2 T.U.B., il debitore deve essere informato della cessione del credito salvo il caso in cui, in forza di un accordo tra cessionario e cedente, quest'ultimo continui a gestire il credito nei confronti del consumatore ceduto. Si stabilisce poi che la Banca d'Italia, in conformità alla deliberazione del CICR, provvede ad individuare le modalità mediante le quali il consumatore viene informato. In tal senso, nelle disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti» della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 e ss.mm., sezione VII sul credito ai consumatori, al par. 5.3, sulla ‘Cessione del credito e del contratto di credito', si stabilisce che il finanziatore deve notificare individualmente al consumatore la cessione mediante un supporto cartaceo ovvero altro supporto durevole, in maniera tempestiva; si richiama poi la disciplina di cui all'art. 58 del T.U.

Si prevede poi che il consumatore ceduto può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del creditore cedente, ivi inclusa la compensazione anche in deroga quanto stabilito dall'art. 1248 c.c.

La finalità della normativa implementata con la direttiva del 2008 è quella di disciplinare la cessione dei crediti nel finanziamento al consumo in modo tale che non ne esca indebolita la posizione del consumatore; da qui l'esigenza di riconoscere a quest'ultimo la possibilità di opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del creditore cedente; inoltre, sempre in tale ottica di tutela, è prevista la necessità di dare comunicazione al consumatore della cessione salvo il caso in cui, in forza di un accordo tra cedente e cessionario, il primo mantenga la gestione del credito nei confronti del ceduto, poiché in tali casi manca un interesse rilevante a essere informato della cessione e risulterebbe quindi eccessivo, a livello comunitario, imporre l'obbligo informativo (Gaggero, 1925 ss.).

Come si è osservato, la disciplina contenuta nell'art. 125-septies T.U.B., a differenza di quella previgente, estende la portata della regola sulle eccezioni opponibili dal consumatore sovvenuto nei confronti del finanziatore anche alla fattispecie della cessione del contratto di credito; in tal modo si assoggetta al medesimo regime normativo tanto la cessione del credito quanto quella del contratto stesso. Si raggiunge così il completamento della disciplina originaria che adesso realizza più adeguatamente l'obiettivo comunitario secondo cui il trasferimento ad altri dei diritti del finanziatore, spettanti nei confronti del consumatore sovvenuto, non deve indebolire la posizione di quest'ultimo. La possibilità accordata al consumatore di opporre al cessionario del contratto tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere verso il cedente, rappresenta una deroga alla disciplina generale di cui all'art. 1409 c.c., dispensando il consumatore dal dover fare, al momento della sostituzione, espressa riserva di opporre al cessionario le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente che si fondano su rapporti diversi (Gaggero, 1925 ss.).

Il rapporto giuridico tra una società di recupero crediti e il debitore principale inadempiente rispetto a un contratto di credito al consumo il cui debito sia stato ceduto a tale società, rientra nel campo di applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali. Invero, rientrano nella nozione di prodotto di cui all'art. 2, lett. c), le pratiche poste in essere da una siffatta società per il recupero del suo credito (CGUE, 20 luglio, 2017, C-357/16, «Gelvora» C. Valstybinė).

Infine, merita richiamare quanto già osservato nel precedente paragrafo n. 2, dove esaminando la disciplina contenuta nell'art. 125-quinquies T.U.B., si è evidenziato che l'ultimo comma dedica una regola proprio alla cessione a terzi dei diritti derivanti dal contratto di credito, prevedendo che in tali ipotesi il consumatore potrà esercitare i diritti di cui a tale articolo, 125-quinquies T.U.B., per il caso di inadempimento del fornitore, anche nei confronti del cessionario.

Dunque, come già precisato, l'aver utilizzato la congiunzione ‘anche' conduce a configurare un'obbligazione solidale in capo al cedente e al cessionario, ma ciò sembrerebbe contrastare con l'art. 17 della direttiva 2008/48/CE, secondo cui in caso di cessione il consumatore può esperire nei confronti del cessionario gli stessi mezzi di difesa di cui poteva avvalersi nei confronti del cedente; v. supra (La Rocca, 1912 ss.).

Le norme sullo sconfinamento

Ai sensi dell'art. 121, comma 1, lett. i) T.U.B., per ‘sconfinamento' si intende l'utilizzo da parte del consumatore dei fondi concessi dal finanziatore in eccedenza rispetto al saldo esistente sul conto corrente e in mancanza di un'apertura di credito, ovvero, in eccedenza rispetto all'importo dell'apertura di credito eventualmente concessa.

Ai sensi dell'art. 122, comma 1, lett. o) T.U.B., peraltro, le norme contenute nel capo II, sul ‘credito ai consumatori', salvo quanto disposto dal successivo art. 125-octies, T.U.B., non trovano applicazione rispetto ai contratti di credito sotto forma di sconfinamento del conto corrente.

Pertanto, la disciplina di cui all'art. 125-octies T.U.B., rappresenta la regolamentazione specifica dettata in materia di credito al consumo per le ipotesi di sconfinamento.

L'art. 125-octies, comma 1 T.U.B., disciplina l'ipotesi in cui lo sconfinamento sia previsto dal contratto di conto corrente, nel qual caso si stabilisce l'applicabilità della normativa di cui al capo I, titolo VI, T.U.B., in tema di trasparenza.

Nell'art. 125-octies T.U.B., si distinguono i casi di previsione dello sconfinamento nel contratto di conto corrente da quelli in cui, per contro, manca una siffatta previsione. Peraltro, nei fatti, la prassi diffusa nel presente periodo temporale si presenta quasi sempre con una versione contrattualizzata per iscritto dell'operazione (Dolmetta, 619 ss.).

A ben vedere, ai sensi dell'art. 18, della direttiva 2008/48/CE, in caso di contratto di apertura di conto corrente che prevede la possibilità che al consumatore sia concesso lo sconfinamento, il contratto deve contenere le informazioni di cui all'art. 6, par. 1, lett. a), cioè il tasso debitore, le condizioni che ne disciplinano l'applicazione e ogni indice o tasso di riferimento applicabile al tasso debitore iniziale, nonché le spese addebitate al momento di conclusione del contratto di credito e, se del caso, le condizioni di una loro eventuale modifica. Dunque, sul piano europeo, in tali casi, è prescritta un'informativa sulle condizioni che consentono al consumatore di compiere un'adeguata ponderazione delle condizioni del contratto e di fare un raffronto con le altre offerte presenti sul mercato. Il legislatore italiano, da parte sua, sembra essersi spinto oltre, non essendosi limitato a prevedere sul piano interno tali obblighi informativi, ma avendo piuttosto richiamato l'applicabilità dell'intero capo I, in tema di trasparenza, che interviene su più livelli e in maniera più ampia (Martina, 1935 ss.).

Ai sensi del secondo comma dell'art. 125-octies T.U.B., invece, qualora si verifichi uno sconfinamento consistente protratto per oltre un mese, il finanziatore deve comunicare senza indugio al consumatore, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, lo sconfinamento, l'importo interessato, il tasso debitore, le penali, le spese o gli interessi di mora che siano eventualmente applicabili.

Il terzo comma poi prevede il completamento di questa disciplina a livello di fonte secondaria, stabilendo che la Banca d'Italia, conformemente alle deliberazioni del CICR, adotta le disposizioni attuative del secondo comma in merito alle modalità di invio di tale comunicazione, nonché circa i criteri da utilizzare per la determinazione della consistenza dello sconfinamento. Nelle disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti» della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 e ss.mm., sezione VII sul credito ai consumatori, al par. 6.3, sullo ‘Sconfinamento', si stabilisce che lo sconfinamento è consistente quando riguarda un importo pari o superiore a 300 euro in assenza di apertura di credito, ovvero, il 5 per cento dell'importo totale del credito previsto dall'eventuale contratto di apertura di credito. Per quanto attiene alla comunicazione di sconfinamento, questa deve essere effettuata entro tre giorni lavorativi successivi al compimento di un mese dal momento in cui lo sconfinamento è divenuto consistente; peraltro, la comunicazione non è necessaria se è stata fatta, al superamento di una delle soglie, in un momento antecedente.

Si è rilevato che risulta difficile immaginare, nella realtà delle cose operative, un'ipotesi di sconfinamento che in un modo o in un altro non risulti inclusa all'interno di un rapporto di conto corrente. Il senso della disposizione è quello di fornire al cliente una segnalazione specifica della condizione di sconfinamento, come tale destinata ad aggiungersi a quella generica dell'estratto conto, che si ripresenta a ogni scadenza mensile. Se si considera che l'idea stessa di sconfinamento implica l'assenza di un limite massimo di una tale esposizione, fuori dalle decisioni interne della banca, l'idea del legislatore di tenere informato sul punto il cliente appare apprezzabile (Dolmetta, 620 ss.).

Sulla comunicazione in caso di sconfinamento consistente, si pongono una serie di interrogativi sul piano applicativo. Ci si è chiesti quale sia l'importo da comunicare nel caso in cui non vi sia coincidenza tra giorno iniziale e giorno finale del periodo di protrazione dello sconfinamento; alcuni autori hanno ritenuto qua più corretto comunicare gli importi registrati in entrambi i momenti, ma potrebbe anche essere sufficiente comunicare l'andamento dello sconfinamento o la media del periodo. Si è ritenuto poi che la comunicazione debba essere effettuata nuovamente nel caso in cui lo sconfinamento rientri sotto le soglie dopo il trentesimo giorno per poi superarlo nuovamente in un secondo momento (Martina, 1941 ss.).

Gli obblighi specifici gravanti sugli ‘intermediari del credito'

Richiamando quanto osservato nel commento agli artt. 121-124-bis T.U.B. sull'ambito di applicazione soggettivo del capo II, titolo VI, T.U.B, merita soffermarsi ulteriormente sull'individuazione della categoria degli ‘intermediari del credito', di cui all'art. 121, comma 1, lett. h) e all'art. 125-novies T.U.B. e sugli obblighi loro imposti nell'ambito del finanziamento al consumo.

La norma definitoria contenuta nell'art. 121 T.U.B., individua tale categoria di soggetti negli agenti in attività finanziaria, nei mediatori creditizi o in qualsiasi altro soggetto diverso dal finanziatore che, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico, nell'esercizio della propria attività commerciale o professionale conclude un contratto di credito per conto del finanziatore, ovvero, presenta o propone contratti di credito o comunque compie attività preparatore in vista della loro conclusione.

L'art. 124 T.U.B., in tema di obblighi informativi e consulenza detta disposizioni che si applicano anche agli intermediari del credito. L'art. 125-novies T.U.B., quindi, contiene una serie di prescrizioni specifiche aggiuntive per le ipotesi in cui nella contrattazione del finanziamento al consumo intervengono tali soggetti.

Il recepimento della direttiva 2008/48/CE ha costituito l'occasione per intervenire anche sul piano soggettivo dell'attività di erogazione del credito. Con particolare riferimento al titolo VI, è stata introdotta e disciplinata la nuova figura dell'intermediario del credito con ciò realizzando anche un obiettivo di sistematica riorganizzazione delle figure professionali operanti nel settore. La definizione recepita nell'art. 121 T.U.B. individua tre species di intermediario, gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi e poi una categoria più generale comprendente qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell'esercizio della propria attività professionale o commerciale, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico, conclude contratti per conto del finanziatore, ovvero, presenta o propone contratti di credito o comunque compie attività preparatore in vista della loro conclusione. Come è stato osservato, il legislatore italiano, dunque, al posto della figura generale prevista al livello europeo, ne ha individuate due ulteriori, gli ‘agenti in attività finanziaria' e i ‘mediatori creditizi'. A ben vedere, però, ai fini dell'applicazione delle norme sul credito al consumo tali figure potrebbero ben essere riassorbite in quella più generale; piuttosto, esse sono destinatarie di altre norme specifiche presenti nel T.U.B. Un'altra peculiarità della disciplina italiana rispetto a quella europea risiede nel n. 2 della lett. h), comma 1, art. 121 T.U.B., laddove si prevede che l'intermediario è tale se agisce ‘per conto' del finanziatore, non essendo invece necessaria la contemplatio domini che è prevista nella direttiva all'art. 3, lett. f), n. iii); peraltro, ciò sembrerebbe essere il frutto di un refuso piuttosto che di una scelta consapevole del legislatore nazionale (Minto, 1946 ss.).

In merito ai generali obblighi informativi e di consulenza gravanti sugli intermediari del credito, come già precisato, si devono richiamare le considerazioni svolte nel commento agli artt. 121-124-bis T.U.B. sulle prescrizioni contenute nell'art. 124 T.U.B.

Per quanto attiene all'art. 125-novies T.U.B., questo si apre innanzitutto con la prescrizione di una serie di obblighi informativi sul ruolo e sui poteri dell'intermediario del credito, il quale deve indicare, negli annunci pubblicitari e nella documentazione destinata ai consumatori, l'ampiezza dei suoi poteri e se la sua attività viene prestata a titolo esclusivo con uno o più finanziatori ovvero quale mediatore.

Il secondo comma dell'art. 125-novies T.U.B., quindi, si preoccupa di assicurare che il consumatore sia informato del compenso che deve essere corrisposto all'intermediario per la sua attività, stabilendo che questo è oggetto di accordo tra lo stesso intermediario e il consumatore e che deve risultare da supporto cartaceo ovvero altro supporto durevole prima della conclusione del contratto. Ai sensi del comma 3, poi, tale compenso dovrà essere comunicato dall'intermediario al finanziatore affinché quest'ultimo lo inserisca all'interno del t.a.e.g.

Si è osservato che gli obblighi informativi previsti in capo al professionista, in assenza di una disposizione specifica come quella dettata dall'art. 18, comma 1, lett. b) cod. cons., sulle pratiche commerciali sleali, non siano estensibili ai terzi che eventualmente intervengono quali intermediari per l'instaurazione del rapporto contrattuale tra il consumatore e il creditore. Peraltro, una serie di prescrizioni specifiche sono state appunto adottate per una particolare categoria di soggetti, gli ‘intermediari del credito', per tali dovendosi intendere i mediatori creditizi, gli agenti in attività finanziaria e ogni soggetto che, senza stipulare contratti di credito in nome proprio, presta a titolo oneroso, nell'ambito della propria attività professionale, servizi di presentazione o proposizione ai consumatori di contratti di credito ovvero di assistenza in attività preparatorie oppure di negoziazione o conclusione di contratti di credito con consumatori agendo in rappresentanza del finanziatore (De Cristofaro, Oliviero, 306 ss.).

In merito all'informativa sul compenso si è osservato che nella prassi, verosimilmente, l'intermediario ha già concluso un accordo a monte con il finanziatore in merito alle proprie spettanze, con il quale si predispone un tariffario standardizzato, senza effettuare trattative in proposito con il consumatore; risulta dunque più realistico attendersi che al consumatore venga proposta una soluzione commerciale predeterminata. In tal modo però si invertirebbe l'ordine logico della norma, che immagina prima un accordo tra consumatore e intermediario e poi una comunicazione da parte di quest'ultimo al finanziatore al fine di computare il compenso nel t.a.e.g. (Minto, 1946 ss.).

In forza dell'art. 125-bis T.U.B., in caso di nullità o assenza delle relative clausole contrattuali, il t.a.e.g. equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese (Trib. Messina 9 aprile 2015).

A livello di normativa secondaria, nelle disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti» della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 e ss.mm., sezione VII sul credito ai consumatori, il paragrafo 4.2.5 detta una serie di prescrizioni sulla ‘Offerta attraverso intermediari del credito', affermando, in particolare, l'applicabilità per gli intermediari degli obblighi contenuti nei precedenti paragrafi nn. 4.1, 4.2.1, 4.2.2, 4.2.3 e 4.2.4, in tema di pubblicità e informativa precontrattuale.

La riservatezza nelle comunicazioni

Nella disciplina sul finanziamento al consumo, nell'ambito della tutela della riservatezza, l'art. 126 T.U.B., affida al Ministro dell'Economia e delle Finanze la possibilità di individuare, con apposito regolamento, i casi in cui le comunicazioni previste dall'articolo 125, comma 2 T.U.B. e dall'articolo 125-quater, comma 2, lett. b) T.U.B., non devono essere effettuate in quanto vietate dalla normativa comunitaria ovvero contrarie all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica.

Si è rilevato, da un punto di vista generale, che la necessità di assicurare piena trasparenza delle informazioni nell'ambito del finanziamento al consumo costituisce un fattore che interagisce con la stabilità e con l'integrità del mercato, consentendosi ai consumatori di conoscere in maniera chiara le informazioni che devono essere comunicate per l'instaurazione consapevole del rapporto contrattuale. Il legislatore comunitario, nell'individuare le norme dedicate allo sviluppo di un mercato creditizio più efficiente e più trasparente, ha lasciato agli Stati membri un adeguato margine di manovra in sede di attuazione; l'informativa preventiva e i condizionamenti relativi ai casi di ‘riservatezza delle informazioni' di cui all'art. 126 T.U.B., sono i pilastri del complesso normativo in discorso. Peraltro, con specifico riferimento alla possibilità di limitare le comunicazioni nei casi esaminati dall'art. 126 T.U.B., si sono manifestate delle perplessità circa l'opportunità di rimettere tale compito al Ministro dell'Economia e delle Finanze, considerata la particolare delicatezza di tale intervento (Miglionico, 1954 ss.).

La comunicazione prevista dall'art. 125, comma 2 T.U.B., deve essere effettuata dal finanziatore al consumatore quando non viene concesso il finanziamento richiesto in ragione delle informazioni ottenute da una banca dati; in tal caso, il professionista deve effettuare la comunicazione gratuitamente e immediatamente, indicando il risultato della consultazione e gli estremi della banca dati da cui le informazioni sono state ottenute.

Per quanto riguarda poi l'art. 125-quater, comma 2, lett. b) T.U.B., si tratta del caso in cui, nei contratti di credito a tempo indeterminato, il finanziatore eserciti la facoltà eventualmente prevista nel contratto di sospendere, per giusta causa, l'utilizzo del credito da parte del consumatore; si stabilisce che in tali ipotesi il professionista deve effettuare anticipatamente la comunicazione al consumatore, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, ovvero, qualora ciò non sia possibile, immediatamente dopo la sospensione.

Come osservato nel commento agli artt. 125-125-quater T.U.B., il considerando n. 33 della direttiva specifica che tra i ‘giustificati motivi' potrebbero appunto rientrare il caso del significativo incremento del rischio di insolvenza del debitore e i casi di sospetto utilizzo fraudolento o non autorizzato del credito.

Bibliografia

Berti de Marinis, Inadempimento del fornitore e tutela del consumatore nel credito al consumo, in Riv. giur. sarda, 2016, 2, 336-354; Costa, La disciplina del credito ai consumatori, in Alpa (a cura di), I contratti del consumatore, Milano, 2014, 913-961; De Cristofaro, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contratti, 2010, 11, 1041-1059; De Cristofaro, Oliviero, I contratti di credito ai consumatori, in Tr. Roppo, Milano, 2014, 293-345; Dolmetta, Lo sconfinamento su richiesta del cliente, in Contratti, 2015, 6, 609-623; Gaggero, Art. 125-septies – Cessione dei crediti, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1925-1934; La Rocca, Art. 125-quinquies – Inadempimento del fornitore, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1904-1913; Martina, Art. 125-octies – Sconfinamento, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1935-1945; Maugeri, Cenni su alcuni profili della riforma del t.u.b. in materia di «credito ai consumatori», in Nuova giur. civ. comm., 2011, 10, 463-477; Maugeri, Inadempimento e risoluzione, in Maugeri, Pagliantini, Il credito ai consumatori, Milano, 2013, 125-136; Miglionico, Art. 126 – Riservatezza delle informazioni, in Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1954-1958; Minto, Art. 125-novies – Intermediari del credito, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1945-1954; Pagliantini, Il disposto dell'art. 125-sexies, c. 2, t.u.b.: per una corretta declinazione dell'indennizzo equo ed oggettivamente giustificato, in Maugeri, Pagliantini, Il credito ai consumatori, Milano, 2013, 117-124; Venturi, Art. 125-sexies – Rimborso anticipato, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Padova, 2012, 1913-1925.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario