Codice Civile art. 1677Codice civile, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n. 262 (1). (1) Il r.d. 16 marzo 1942, n. 262 è stato pubblicato nella G.U. del 4 aprile 1942, nn. 79 e 79-bis. InquadramentoCon il contratto di outsourcing (da outside resourcing, letteralmente procurarsi, approvvigionarsi all'esterno) un'impresa, detta outsourcee, affida in gestione ad altra impresa, detta outsourcer, un segmento della propria attività produttiva a fronte del pagamento di un corrispettivo. Lo schema negoziale che va sotto il nome di contratto di outsourcing esprime l'esigenza di attribuire autonomo rilievo ai processi di esternalizzazione. Il soggetto affidatario dello svolgimento di una fase dell'attività produttiva può essere rappresentato da un nuovo soggetto giuridico, appositamente costituito, oppure da un'agenzia specializzata. La scelta di esternalizzare una determinata attività o segmento produttivo è generalmente preceduta da analisi strategiche e dunque dall'esame della posizione ricoperta dall'impresa all'interno del mercato, dei suoi eventuali competitor, dei suoi punti di forza e di debolezza e delle tendenze evolutive del mercato in cui opera la medesima. Da tali analisi, se compiute scrupolosamente, risulterà la convenienza o meno di procedere all'esternalizzazione. L'outsourcing ha interessato dapprima il settore privato, ma negli ultimi anni sta riguardando anche il settore pubblico. Anche i modelli di azione della pubblica amministrazione sono infatti rivolti, da un lato, ad agire in modo più efficace e, dall'altro, a contenere la spesa. Detta operazione comporta ovviamente che l'affidamento dei servizi a soggetti terzi passi dall'esperimento di procedure pubbliche di gara. In merito al processo di esternalizzazione si è soliti individuare tre fasi al suo interno. Una prima fase è costituita dal c.d. migration plan, durante la quale il sistema o l'attività esistente in capo all'outsourcee viene trasferito all'outsourcer. Tale fase si conclude con il collaudo dello stesso e la definizione dei livelli di servizio. Vi è poi la fase dell'esecuzione, ove vengono svolte le attività previste all'interno del contratto intercorso tra le parti. La terza e ultima fase è quella post-contrattuale, nella quale, decorso appunto il termine contrattuale, l'intero servizio erogato torna nella disponibilità dell'outsource r, che può a sua volta decidere di trasferirlo nuovamente al medesimo o ad altro soggetto oppure internalizzarlo nuovamente. L'esternalizzazione può riguardare interi settori, parlandosi in tal caso di outsourcing totale, come anche singole attività, generalmente denominata outsourcing selettivo. Si può poi avere il c.d. outsourcing di base: trattasi dell'ipotesi in cui un'impresa committente affida a soggetto terzo l'espletamento di una serie di mansioni esecutive od operative, pur mantenendo il controllo e la direzione delle operazioni (ciò accade nel caso dell'amministrazione del personale, della gestione stipendi o anche del recupero crediti). Il full o total outsourcing consiste invece, come detto, nell'esternalizzazione di interi settori produttivi o servizi e comporta pertanto una stretta collaborazione tra outsourcee e outsourcer (es. nel caso di appalti per manutenzione). Si parla ancora di multiple supplier outsourcing nel caso di diversificazione tra i fornitori dei diversi servizi, mentre si parla di transformational outsourcing se all'outsourcer viene affidata la gestione temporanea e la trasformazione di un segmento di attività. Il c.d. business processing outsourcing è il processo di esternalizzazione in cui i fornitori assumono la responsabilità della gestione dei servizi affidati. Detta figura contrattuale si distingue dal c.d. joint venture sourcing, che comporta invece la piena condivisione dei rischi e di corrispettivi tra impresa e fornitore. Si distingue poi l'ipotesi del c.d. simple outsourcing, ove è mancante la fase iniziale della cessione di un segmento dell'azienda e ove l'impresa decide semplicemente di affidare determinati servizi a un soggetto esterno. Il transfer outsourcing è infine lo schema di esternalizzazione che si estrinseca nel trasferimento di un intero ramo aziendale all'outsourcer. In tale ipotesi vengono quindi esternalizzate, non solo il compimento di attività non facente parte del c.d. core business, ma anche le attrezzature deputate allo svolgimento della stessa e il personale. Con il termine outsourcing si fa riferimento a un fenomeno economico-organizzativo prima che giuridico. L'outsourcing risponde infatti alla spesso imprescindibile esigenza aziendale di trovare soluzioni che ottimizzino la produzione e razionalizzino le risorse, incrementando quindi i livelli di competitività dell'impresa (Silla, 2027; MONTONESE , 221). È stato osservato che a prescindere dalle modalità con cui si attua il processo di esternalizzazione di un dato settore dell'attività aziendale, è in ogni caso possibile rinvenire un elemento distintivo comune, ovvero la creazione di un rapporto per il quale l'outsourcer si obbliga a fornire durevolmente all'outsourcee una prestazione di servizi a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro, dovendo peraltro rispettare lo standard qualitativo preventivamente individuato dalle due parti (Pierazzi, 1354). L'outsourcing, come è stato ancora osservato, è un modello organizzativo dell'attività imprenditoriale per cui un'impresa affida a un fornitore esterno determinate funzioni o servizi interni all'azienda. Tale modalità di gestione aziendale è motivata dalla necessità, propria dell'azienda, di ridurre i costi e, al contempo, di aumentare la flessibilità e la competitività aziendale, concentrando gli sforzi e le risorse sull'attività principale dell'impresa (Musella, 857). In linea generale per outsourcing deve intendersi il complesso di tecniche mediante le quali l'impresa dismette la gestione diretta di alcuni dei segmenti dell'attività produttiva e dei servizi ulteriori rispetto all'attività principale della stessa, c.d. core business. Precisamente è stato osservato dalla Suprema Corte che il fenomeno c.d. di outsourcing comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base, c.d. core business. Ciò può fare sia appaltando a terzi l'espletamento del servizio, sia cedendo un ramo d'azienda (Cass. sez. lav., 21287/2006). Tuttavia, come è stato rilevato, tale affermazione giurisprudenziale non tiene conto delle recenti evoluzioni. Se infatti inizialmente l'outsourcing rispondeva per lo più a esigenze di flessibilità dei fattori produttivi, soddisfatte concentrando le risorse aziendali sull'attività principale, attualmente l'outsourcing mira per lo più a ottimizzare la c.d. catena del valore impiegando nel processo produttivo imprese altamente qualificate, che infatti assicurano l'incremento della qualità dei beni e dei servizi erogati. La scelta di ricorrere all'outsourcing può dunque riguardare anche attività aziendali strategiche o comunque principali (Carleo, 550; Milone, 38). L'azienda può comunque operare la predetta dismissione sia appaltando a terzi l'espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all'insindacabile valutazione dell'imprenditore, a norma dell'art. 41 Cost. Il fenomeno cd. di outsourcing comprende tutte le possibili tecniche mediante le quali un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base. Può raggiungere tale risultato, sia appaltando a terzi l'espletamento del servizio, sia cedendo un ramo di azienda. La scelta tra le varie alternative è rimessa all'insindacabile valutazione dell'imprenditore, a norma dell'art. 41 Cost. (v. Trib. Roma lav., n. 1846/2019 eTrib. Roma lav., n. 984/2020, , Trib. Roma lav., n. 668/2024 ). L'appalto di servizi e la cessione di ramo di azienda sono contratti con caratteri giuridici nettamente distinti e non confondibili. Per cessione di ramo di azienda, agli effetti dell'art. 2112 c.c., si intende il trasferimento di un insieme di elementi produttivi, personali e materiali, dotati di autonomia e strumentali al perseguimento dei fini dell'impresa. L'appalto di opere e servizi è il contratto con cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento all'interno di un'azienda di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro (art. 1655 c.c.). Con la cessione di un ramo di azienda si ha dunque il trasferimento di un segmento dell'organizzazione produttiva dotato di autonoma e persistente funzionalità. L'utilizzazione da parte del cedente dei prodotti e dei servizi del segmento ceduto forma oggetto di distinto contratto con il cessionario. Con l'appalto di opere e di servizi, invece, il committente non dismette un segmento produttivo, ma si avvale della prestazione fornita da altra impresa. Se la volontà delle parti contraenti è stata, dunque, quella di stipulare un contratto di appalto di servizi e non vi è prova alcuna di un intento elusivo comune alle parti, non si vede come tale contratto possa trasformarsi in un contratto di cessione di ramo di azienda, che è fattispecie del tutto diversa. Ne consegue che la risoluzione del contratto di appalto non può avere come conseguenza la retrocessione alle società committenti di un ramo di azienda che non è stato mai ceduto (Cass. sez. lav., n. 21287/2006). La scelta tra le varie modalità con cui procedere all'esternalizzazione è ovviamente rimessa alla valutazione dell'imprenditore (Bocchini-Genovese, 141). La natura giuridica e la disciplina applicabileIn mancanza di disciplina organica, il contratto di outsourcing deve essere inquadrato nell'ambito dei contratti atipici misti o complessi, siccome caratterizzato dalla combinazione o dalla fusione della causa di diversi contratti tipici (Ricciardi, 101). Anche in giurisprudenza è stato osservato che il contratto di outsourcing si caratterizza, a seconda dei casi, per essere un rapporto contrattuale di tipo complesso o misto, ovvero per essere caratterizzato dalla contemporanea presenza della causa propria di diversi schemi negoziali (Cass., n. 3701/1971). Come evidenziato, la giurisprudenza ha tentato di collocare l'outsourcing nell'ambito della categoria del c.d. negozio giuridico composto. È bene precisare che in proposito la Corte di legittimità ha affermato a livello generale che le parti, nell'esplicazione della propria autonomia negoziale, possono, con manifestazioni di volontà espresse nel medesimo contesto, dar vita a negozi distinti e indipendenti ovvero a negozi tra loro collegati. Le varie fattispecie nelle quali può configurarsi un negozio giuridico composto possono distinguersi in contratti collegati, contratti misti (quando la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, soggetto alla regola della causa prevalente) e contratti complessi (contrassegnati dall'esistenza di una causa unica, che si riflette sul nesso intercorrente tra le varie prestazioni con un'intensità tale da precludere che ciascuna delle predette prestazioni possa essere rapportata a una distinta causa tipica e faccia sì che le predette prestazioni si presentino tra loro organicamente interdipendenti e tendenti al raggiungimento di un intento negoziale oggettivamente unico). Il collegamento contrattuale non dà generalmente luogo a un nuovo e autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato a un unico regolamento dei reciproci interessi. Il contratto collegato non è quindi un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.) possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio. Tuttavia, in ipotesi siffatte, se pure il collegamento dei contratti delineato dalle parti può determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra questi, così che le vicende relative all'invalidità, all'inefficacia o alla risoluzione dell'uno possano ripercuotersi sugli altri, detto collegamento non esclude che i singoli contratti si caratterizzino ciascuno in funzione di una propria causa e conservino una distinta individualià giuridica (Cass. III, n. 14611/2005). Il problema della qualificazione dell'outsourcing non è però suscettibile di soluzione univoca e generale, ma deve essere risolto in dipendenza del caso concreto e, dunque, della concreta ipotesi di affidamento esterno. Infatti l'outsourcer svolge prestazioni che presentano elementi riferibili a una pluralità di contratti tipici, anche se nessuno può considerarsi prevalente rispetto agli altri (Silla, 2024). Le tesi che fanno riferimento, a seconda del caso concreto, al contratto complesso o al contratto misto sono state però anche avversate sul presupposto che non sarebbero in realtà apprezzabili distinzioni sostanziali tra il contratto misto e il contratto complesso (Sicchiero, 43 ss.). Il contratto per affidamento di servizi in outsourcing appartiene ovviamente al novero dei contratti d'impresa ed è generalmente un contratto di durata (Bocchini, 152). Sull'outsourcer gravano obbligazioni di risultato, per cui lo stesso si impegna ad assicurare all'outsourcee il raggiungimento dei risultati previamente individuati e non soltanto a tenere una condotta ispirata alle regole della diligenza professionale. Il contratto di outsourcing condivide con il contratto d'opera la natura dell'obbligazione, che è di risultato, ma se ne distingue perché il contratto d'opera è caratterizzato dalla prevalenza del lavoro personale del prestatore (Cass. II, 7307/2001). Non si è però mancato di evidenziare che vi sono situazioni in cui l'obbligazione dell'outsourcer deve essere qualificata come obbligazione di mezzi, come nel caso della consulenza fiscale o previdenziale (Silla, 2028). Per quanto riguarda la disciplina applicabile, la dottrina prevalente colloca il contratto di outsourcing nello schema tipico dell'appalto di servizi, in considerazione del carattere periodico o continuativo dei servizi resi, proponendo quale riferimento normativo primario l'art. 1677 c.c., rubricato «prestazione continuativa o periodica di servizi»: «Se l'appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione» (Cardarelli, 85). L'appalto di servizi, come già accennato, è il contratto per il quale l'appaltatore assume nei confronti del committente un'obbligazione che non comporta né la produzione di un nuovo bene, né la trasformazione di un bene esistente, ma che consiste nel compimento di un'attività o di un servizio. In proposito è stato però evidenziato che l'art. 1677 c.c. può porre problemi interpretativi, poiché il legislatore vi ha previsto una clausola di compatibilità e poiché a essa è subordinata l'applicazione sia della disciplina dell'appalto, sia di quella del contratto di somministrazione (Bocchini, 153). Già risalente dottrina aveva evidenziato che l'art. 1677 c.c. non offre alcuna indicazione in ordine alle modalità con cui procedere al coordinamento tra le discipline del contratto di appalto e di somministrazione. Secondo una prima lettura, comunque, le norme relative al contratto di somministrazione investono i profili temporali del rapporto, mentre quelle relative all'appalto tutte le altre (Corrado, 9). Altra parte della dottrina ha invece recentemente fatto riferimento all'art. 1570 c.c. («Si applicano alla somministrazione, in quanto compatibili con le disposizioni che precedono, anche le regole che disciplinano il contratto a cui corrispondono le singole prestazioni») per desumerne che le norme relative al contratto di somministrazione sarebbero regolarmente applicabili (quindi a prescindere dalla suaccennata distinzione dottrinale), salva ovviamente la valutazione di compatibilità (Bocchini, 164). Dando seguito a tale impostazione, occorre passare in rassegna le norme del contratto di somministrazione generalmente ritenute applicabili al contratto in commento dalla dottrina. La riconduzione dell'outsourcing allo schema della somministrazione può dunque comportare l'applicazione dell'art. 1560 c.c. relativamente all'individuazione dell'entità della somministrazione. E infatti, a mente del 1° co., se non è individuato l'entità della somministrazione, si intende pattuita l'entità corrispondente «al normale fabbisogno della parte che vi ha diritto». Ulteriormente, ai sensi del 1ç comma, laddove le parti abbiano individuato soltanto il limite massimo e quello minimo, l'individuazione spetta all'avente diritto alla somministrazione. Il parametro del fabbisogno con riferimento al contratto di somministrazione può essere ricondotto sia alla quantità, sia alla qualità dell'attività dell'outsourcer, attestati e misurati sulla base degli standard pattuiti (Tosi, 63) Potrebbe poi trovare applicazione la previsione dell'art. 1564 c.c. e, pertanto, in caso d'inadempimento di una delle parti — ancorché relativo a singole prestazioni — l'altra avrebbe la facoltà di domandare la risoluzione del contratto laddove l'inadempimento abbia una notevole importanza e sia tale da menomare la fiducia rispetto all'esattezza dei successivi adempimenti. La riconduzione del contratto in commento a quello di somministrazione potrebbe poi determinare l'applicazione dell'art. 1565 c.c., per il quale, nel caso in cui la parte avente diritto alla somministrazione sia inadempiente, ma l'inadempimento sia di lieve entità, il somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza darne congruo preavviso. Lo stesso può dirsi dell'art. 1566 c.c., rubricato «patto di preferenza», che è il patto con cui l'avente diritto alla somministrazione si obbliga, nel limite di cinque anni, a preferire il somministrante nella stipulazione di un eventuale successivo contratto avente il medesimo oggetto. In adempimento di tale obbligo l'avente diritto alla somministrazione deve quindi comunicare al somministrante le condizioni proposte e quest'ultimo deve dichiarare entro un termine se intende valersi del diritto di preferenza. Suscettibile di applicazione potrebbe poi essere l'art. 1567 c.c., secondo cui, se nel contratto è prevista una clausola di esclusiva, la parte che riceve la prestazione non può avvalersi di terzi per prestazioni della stessa natura né, salvo patto contrario, provvedervi con mezzi propri. La clausola di esclusiva potrebbe inoltre essere pattuita a favore dell'avente diritto alla somministrazione. In tal caso, a mente dell'art. 1568 c.c., il somministrante non può compiere nella zona per cui l'esclusiva è concessa e per la durata del contratto, né direttamente né indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto. Corre però l'obbligo di osservare che l'inquadramento dell'outsourcing all'interno del contratto di somministrazione sembra ostacolato dalla previsione normativa dell'art. 1559 c.c., che riconduce la somministrazione alla prestazione di cose e non di servizi, delimitando quindi l'ambito operativo di tale tipologia contrattuale alle fattispecie di forniture periodiche o continuative di cose («La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose»). È stato poi osservato lo schema della somministrazione permette di soddisfare esigenze trascurate da quello dell'appalto di servizi e che ciò è vero soprattutto rispetto alle diposizioni relative alla risoluzione del contratto (Roversi, 526). La ricostruzione tradizionale, secondo cui la riconduzione del contratto di outsourcing all'appalto di servizi si fonda sull'esistenza del fattore organizzativo e sull'assunzione del rischio d'impresa in capo all'outsourcer, finisce per trascurare altri elementi essenziali e qualificanti (Ghirotti, 102). Non tiene infatti in considerazione l'interesse economicamente durevole, che viene concretamente perseguito dalle parti e che accentua la natura fiduciaria del contratto avvicinandolo alla somministrazione, come anche l'organizzazione di mezzi necessaria alla prestazione continuativa, che è comunque necessaria nell'ipotesi della somministrazione (Tosi, 63). La disciplina dell'appalto di servizi non è peraltro applicabile a qualsivoglia tipologia di outsourcing: ad esempio la disciplina è inapplicabile se l'outsourcer si obbliga a prestare attività di consulenza professionale a favore dell'outsourcee. In tale ipotesi mancano i requisiti minimi per invocare la disciplina dell'appalto, che risulta infatti inconciliabile con il carattere intellettuale della prestazione e con la natura personale dell'attività svolta (Pierazzi, 1357). A ciò si aggiunga che accanto alla prestazione principale si collocano una serie di prestazioni collaterali, essendo l'obbligazione cui è tenuto l'outsourcer più ampia e articolata rispetto alla prestazione tipica del contratto di appalto di servizi e non esaurendosi in essa. In giurisprudenza, ai fini della applicazione delle norme relative al contratto di appalto ovvero di somministrazione, è stato invece osservato che si applica la disciplina del contratto di appalto se l'oggetto del negozio è costitutivo da servizi; si applica invece quella del contratto di somministrazione se la prestazione cui è tenuto una parte è la fornitura di beni (Cass. III, n. 12546/2003; si veda anche Cass. I, n. 38197/2021). Per i motivi appena indicati, ossia per evitare le incertezze intorno alla disciplina applicabile, è stata comunque segnalata l'opportunità di inserire in contratto regole puntuali e coerenti con le modalità, le tecniche e i risultati da raggiungere (Cagnasso-Cottino, 625). In dottrina vi è poi chi ha osservato che il contratto di outsourcing presenta molti punti di contatto con lo schema della subfornitura (Musso, 487 ss.). Infatti, e innanzitutto, la subfornitura è inquadrabile nei processi di esternalizzazione finalizzati alla gestione dei procedimenti tecnologici. È dunque sorta la domanda se i contratti di affidamento in outsourcing di una data attività o funzione possano essere ricondotti alla l. n. 192/1998 (c.d. legge sulla subfornitura), per cui l'impresa subfornitrice si impegna a eseguire lavorazioni per conto di un'altra impresa, secondo direttive progettuali o tecniche che sono state impartite dal committente, il quale inoltre fornisce le materie prime, i macchinari e i capitali necessari. Si è osservato che in linea di principio i contratti di outsourcing potrebbero rientrare nel perimetro della l. n. 192/1998 e che la disciplina della subfornitura non delinea un nuovo e autonomo tipo negoziale, ma una disciplina transtipica che può incidere, per gli aspetti disciplinati, su qualsiasi rapporto contrattuale comunque sussumibile nella definizione dell'art. 1, a prescindere dal fatto che il rapporto sia di appalto, di somministrazione o di altra natura (Iudica, 411). Secondo altri autori, nondimeno, l'analisi della ratio e delle finalità proprie della legge conducono a escludere che l'outsourcing possa essere ricondotto al contratto di subfornitura delle attività produttive (Gioia, 899 ss.). In proposito è stato evidenziato che vi è un tratto della subfornitura che la distingue dall'outsourcing, ovvero la dipendenza economica o la subalternità tecnologica del subfornitore rispetto al committente e che, per tale motivo, la relativa disciplina non può trovare applicazione rispetto a ogni ipotesi di decentramento produttivo, ma limitatamente a situazioni in cui è effettivamente presente un contraente debole e una asimmetria negoziale (Furlanetto-Mastriforti, 40). Nel caso dell'outsourcing intercorre un rapporto che può essere ritenuto paritario (Gioia, 901); non è anzi infrequente che il soggetto debole all'interno del rapporto contrattuale risulti essere proprio l'outsourcee (Pittalis, 1006) Vi è stato poi chi ha tentato di ricondurre lo schema dell'outsourcing a quello del mandato. In merito è stato però rilevato che l'applicazione delle norme di cui agli artt. 1703 c.c. ss., dettate per il contratto di mandato, non sarebbe predicabile in considerazione delle caratteristiche che distinguono e diversificano le due fattispecie. Anche se, ovviamente, non può escludersi che le norme del contratto di mandato possano venire in rilievo all'interno di una più complessa operazione negoziale che preveda il compimento di singoli affari o atti in nome e per conto dell'outsourcee. In dottrina è stato in aggiunta rilevato che l'outsourcer si obbliga a porre in essere un'attività o un servizio continuativo e non, come il mandatario, atti giuridici. Quest'ultimo è peraltro chiamato a svolgere atti isolati e/o suscettibile di esaurirsi in un lasso di tempo limitato (Nepi, 54 ss.). I due istituti si differenziano, inoltre, per il fatto che mentre il contratto di outsourcing dà vita a un rapporto bilaterale, il contratto di mandato realizza una fattispecie negoziale di carattere trilaterale. Riassumendo, può a buon diritto affermarsi che, a seconda delle peculiarità del caso concreto, il contratto di outsourcing può assumere i connotati e dunque essere assoggettato alla disciplina di diverse fattispecie contrattuali, segnatamente l'appalto e la somministrazione (Silla, 2026). Di recente la Suprema Corte ha avuto anche modo di delineare il confine tra singoli contratti di trasporto e l’esternalizzazione del servizio, osservando che connotati rivelatori di quest’ultimo sono normalmente da individuarsi nella molteplicità e sistematicità dei trasporti, nella pattuizione di un corrispettivo unitario per le diverse prestazioni, nell'assunzione dell'organizzazione dei rischi da parte del trasportatore (v. Cass. I, n. 18751/2018e i precedenti ivi richiamati); Il contenuto del contratto e i tipi più ricorrentiÈ stato osservato che il primo problema che sorge in sede di redazione di un contratto di outsourcing è quello del c.d. joke in e cioè il rischio che l'outsourcee finisca per essere in balia dell'outsourcer e quindi costretto ad assecondare ogni sua decisione. La soluzione a tale rischio è quella di scegliere controparti contrattuali che propongano soluzioni dotate di un alto livello di compatibilità e che quindi assicurino la portabilità della funzione o del servizio ad altro outsourcer o la possibilità di internalizzare nuovamente il servizio. La peculiarità dello schema negoziale rende inoltre necessaria attività preventiva volta a verificare la sussistenza, in capo all'outsourcer, delle competenze e conoscenze di volta in volta necessarie a svolgere i servizi e le attività che l'outsourcee intende esternalizzare (Bocchini, 146; Valentino, 416). Il ricorso a processi di esternalizzazione è collegato allo svolgimento di servizi a elevato grado di specializzazione (ad esempio al servizio di information technology). Con l'outsourcing di sistema informatico, probabilmente il più diffuso nella pratica e che può essere assunto come esempio per svolgere le considerazioni che seguono, si attua ad esempio l'esternalizzazione delle funzioni di manutenzione, gestione e sviluppo del sistema informatico aziendale. Nel contratto di outsourcing di sistema informatico, come in ogni altro contratto di outsourcing avente a oggetto lo svolgimento di servizi specializzati, si pone il problema dell'individuazione dell'oggetto del contratto. Nel documento contrattuale le parti si limitano infatti a individuare genericamente le categorie di servizi oggetto della prestazione (nell'esempio proposto: servizio di elaborazione dati, di consulenza, di assistenza, di gestione e di sviluppo del sistema), mentre spetta agli allegati tecnici il compito di descrivere in maniera dettagliata le attività da svolgere e inoltre di definire i tempi, i modi e le fasi di svolgimento del rapporto contrattuale. Assume poi rilevanza determinante l'individuazione dello standard qualitativo del servizio e dei parametri per la sua misurazione, oltre alla previsione di verifiche periodiche per controllarne il rispetto e valutare l'opportunità di modifiche (Musella, 864). Gli indici di verifica della qualità del servizio sono dati, nell'esempio fatto, dalla precisione dell'assistenza telefonica, dalla rapidità di intervento, dal ripristino delle funzionalità, dalla tempestività delle risposte online, ecc. (Bocchini, 148). L'individuazione degli standard qualitativi del servizio consente quindi alle parti di valutare l'adempimento della prestazione sotto il profilo della sua adeguatezza (Rossello, 175 ss.). Quanto alla determinazione del corrispettivo per i servizi oggetto dell'esternalizzazione, è frequente la previsione di un importo base, commisurato alle esigenze dell'outsourcee, e di un importo variabile, eventuale, dipendente dal raggiungimento di determinati obiettivi. In taluni casi vengono assunti come rilevanti ai fini della quantificazione del prezzo alcuni fattori che evidenziano il miglioramento dell'efficienza economica. In altre ipotesi viene utilizzata la formula del fixed price, per cui si individua una quota fissa che deve essere pagata alla fine del periodo considerato, la quale differisce dal cost plus, che invece consiste nel costo effettivo del lavoro sostenuto per l'adempimento della prestazione e a cui può essere aggiunta una somma ulteriore nel caso di prestazioni extra (Pittalis, 1020). Altro tema ed elemento contrattuale di rilevante importanza è quello relativo alla tutela della riservatezza, atteso che l'outsourcer, in ragione dei propri obblighi contrattuali, può venire a conoscenza di dati, anche strategici, relativi all'attività aziendale dell'outsourcee e di seguito diffonderli ai competitor dell'outsourcee. Potrebbe quindi essere necessario stabilire vincoli di riservatezza sia per il soggetto che fornisce i servizi esternalizzati, sia per i suoi collaboratori e dipendenti. Per la dottrina l'outsourcer assume il ruolo di responsabile del trattamento dei dati ai sensi della normativa sulla privacy ed è quindi tenuto all'adozione di tutte le misure necessarie a preservare la riservatezza dell'informazione (Ferrando-Berta, 408). Anche l'Autorità Garante non ha mancato di sottolineare che le società che ricorrono per la pubblicizzazione delle loro attività ad apposite agenzie rispondono in ogni caso degli eventuali illeciti compiuti. A tal fine è assolutamente necessario che le società che si avvalgono dei servizi delle agenzie per la pubblicità procedano a nominarle responsabili del trattamento dei dati personali (Provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, 7 settembre 2011 e 15 giugno 2011). È d'interesse notare, rispetto ai contratti di esternalizzazione di servizi informatici, che si ritiene comunemente che tale tipologia di outsourcing rientri nello schema contrattuale tipico dell'appalto, con conseguente applicazione dell'art. 1657 c.c. in materia di revisione del prezzo e dell'art. 1656 c.c., che consente al fornitore di subappaltare il contratto soltanto previa autorizzazione espressa del titolare. Altra ipotesi in cui si fa ampio ricorso all'esternalizzazione — e di cui si ritiene doveroso dare conto in questa sede — è quella della gestione dei servizi di manutenzione (c.d. global maintenance service) di immobili e di impianti, anche industriali. In base a detto contratto l'imprenditore affida ad altro soggetto lo svolgimento delle attività necessarie a garantire il corretto funzionamento di un impianto e non soltanto di alcune sue parti (es. impianto di riscaldamento) (Roversi, 522). Tra l'altro il contratto di esternalizzazione avente a oggetto servizi di manutenzione si caratterizza per l'ampio margine di discrezionalità di cui gode l'outsourcer nell'adempimento dell'obbligazione principale. A detta caratteristica si aggiunge quella dell'ampiezza e dell'eterogeneità delle prestazioni che compongono l'obbligazione principale. Il fornitore, infatti, si impegna anche a migliorare le caratteristiche tecniche e produttive del bene e a ridurre i costi di manutenzione, assumendo inoltre la responsabilità della scelta del progetto e della sua attuazione (Ferrando-Berta, 402). Il punto 3.1 della norma UNI 10685 del 2007, dal titolo Manutenzione. Criteri per la formulazione di un contratto di manutenzione basato sui risultati, che fornisce i criteri per la stesura di un contratto di manutenzione basato sui risultati, individua l'oggetto del contratto di global service nella manutenzione complessiva del bene e nell'attività di gestione dello stesso. Il tutto allo scopo di ridurre i costi e di migliorarne le caratteristiche in relazione alle esigenze manifestate dall'azienda. Per tale motivo il capitolato tecnico allegato a contratti di questo tipo dovrebbe indicare, oltre all'oggetto della manutenzione, anche le necessità del cliente e, in aggiunta, le modalità di verifica del soddisfacimento delle medesime (Ferrando-Berta, 402). Il corrispettivo per tale tipologia di contratti non viene commisurato ai volumi della manutenzione quanto, piuttosto, al risultato globale raggiunto. Indipendentemente dalle ipotesi di outsourcing di servizio informatico e di servizio di manutenzione, l'obbligazione principale che grava sull'outsourcer è quella di predisporre i mezzi, gli strumenti gli impianti, le attrezzature e le risorse necessari a espletare il servizio o l'attività che gli sono stati affidati. Come già osservato, assume dunque rilievo decisivo per l'impresa che intende esternalizzare il servizio verificare in sede di conclusione del contratto il possesso delle caratteristiche idonee all'espletamento del servizio. In particolare l'outsourcer è tenuto all'osservanza di norme e prescrizioni tecniche, di sicurezza e sanitarie, ma deve anche accertare che l'uso di dispositivi o l'adozione di soluzioni tecniche, o di altra natura, non violino diritti di brevetto, di autore e in genere di privativa altrui. L'outsourcer è poi tenuto ad avvalersi di personale altamente specializzato, ma anche a garantire che tale personale operi nel rispetto delle vigenti normative in materia di contributi assicurativi, previdenziali e assistenziali. L'outsourcer deve poi consentire all'outsourcee di verificare, in qualunque momento, la piena e corretta esecuzione del contratto, nonché di prestare la propria collaborazione per consentire lo svolgimento di tali verifiche. Ulteriore obbligo a carico dell'outsourcer consiste nella conservazione dei documenti e dei dati ricevuti con la diligenza del buon padre di famiglia e nell'uso degli stessi esclusivamente per l'esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto, anche perché, in caso di violazione di tali obblighi, è usuale concordare una clausola risolutiva espressa. Deve infine osservarsi che è ricorrente la pattuizione di una clausola di esonero di responsabilità in favore del committente, stabilendosi che l'outsourcer è responsabile dei danni commessi dai propri dipendenti, consulenti e collaboratori, subiti dal committente o da terzi. A tal proposito l'outsourcer potrebbe peraltro essere gravato dell'obbligo di stipulare una polizza assicurativa a copertura di eventuali danni causati nello svolgimento delle prestazioni contrattuali all'outsourcer o a terzi. Sull'outsourcee grava invece, quale obbligo principale, quello di pagare il corrispettivo pattuito e di collaborare con l'outsourcer per permettergli di adempiere correttamente alla prestazione. È evidente, infatti, che il contributo dell'outsourcee è imprescindibile al fine di delineare l'oggetto del servizio oggetto dell'esternalizzazione, come anche delle modalità con le quali lo stesso richieda di fruire dell'attività svolta in outsourcing. In quest'ottica è frequentemente previsto l'obbligo dell'outsourcee di consentire al fornitore l'accesso ai propri sistemi informatici attraverso adeguata connessione telematica, nonché l'accesso agli uffici del committente. In tale figura contrattuale, tra l'altro, viene in genere pattuito il diritto-dovere del committente di scegliere il personale che collaborerà con il fornitore nella gestione dei servizi oggetto del contratto, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi contrattuali. All'interno del contratto in commento è poi frequente la previsione di clausole di rinegoziazione del rapporto, considerato che successivamente alla conclusione del contratto le condizioni alle quali lo stesso è stato stipulato potrebbero mutare. In tale direzione si segnala che nei documenti contrattuali è talvolta presente il c.d. patto di retrocessione, che prevede il ritrasferimento in capo al cliente del ramo d'azienda esternalizzato nello stato di fatto e di diritto in cui si trova al momento della cessazione del contratto e a un prezzo fissato. In tal caso, al fine di prevenire il sorgere di eventuali contenziosi può essere preventivamente determinato un corrispettivo per il ritrasferimento. Le parti potrebbero poi attribuirsi il diritto di recedere anticipatamente dal contratto. Si prevede spesso che tale diritto possa essere esercitato dall'outsourcee, ma non prima di un periodo minimo, ciò evidentemente al fine di permettere all'outsourcer di recuperare gli investimenti effettuati. È inoltre necessario, in considerazione delle peculiarità del rapporto contrattuale, regolare in maniera quanto più possibile precisa le modalità di esercizio del diritto di recesso. È ricorrente anche l'inserimento di clausole penali a presidio di obbligazioni contrattuali ritenute essenziali. A ciò si aggiunga che la quantificazione del danno può spesso risultare di non agevole determinazione. L'importo previsto nella clausola penale deve essere ovviamente proporzionale all'entità effettiva del danno, mentre la facoltà di domandare il risarcimento del danno ulteriore deve essere oggetto di specifica pattuizione. I profili giuslavoristiciCome sopra riferito l'outsourcing consiste nel processo di esternalizzazione di funzioni o attività estranee al c.d. core business di un'impresa. In tale contesto assume evidentemente un ruolo decisivo la componente lavoristica. Orbene, si segnala l'esigenza di evitare che l'esternalizzazione nasconda intenti elusivi della normativa a protezione dei diritti dei lavoratori. In questo senso si è affermato che affinché un appalto possa essere ritenuto lecito e possa escludersi la ricorrenza di un contratto di somministrazione irregolare, è necessario che sia affidato all'appaltatore il compito effettivo e sostanziale di organizzare i mezzi e gli strumenti necessari al compimento dell'opera o del servizio. Ciò in particolare considerando che, a seconda delle esigenze di volta in volta individuate in contratto, l'opera o il servizio che sono appaltati possono anche non richiedere l'impiego di rilevanti risorse, ma possono essere realizzati tramite un'impresa c.d. leggera o dematerializzata, nella quale l'organizzazione del fattore lavoro sia prevalente sul capitale. Nello specifico quindi, occorre che l'appaltatore assuma il rischio dell'impresa, organizzando i mezzi necessari, i quali, a seconda del tipo di appalto, possono consistere in beni materiali, immateriali oppure anche soltanto in attività di lavoro (Cons. St. III, n. 1571/2018; Trib. Roma, 4 maggio 2017; Cass. sez. lav., n. 3178/2017). Nel caso in cui un contratto di appalto venga qualificato come somministrazione irregolare di manodopera, gli atti di gestione compiuti dall'appaltatore illecito devono intendersi riferiti al soggetto che in concreto ha utilizzato la prestazione lavorativa. Nel caso di costituzione di un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, gli atti di gestione del rapporto che sono stati posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali loro propri, anche modificativi del rapporto di lavoro, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo ai sensi dell'art. 6 della l. n. 604/1966 (Cass. sez. lav., n. 17969/2016). L'elemento essenziale che differenzia il contratto genuino da quello non genuino è dato dalla non ingerenza del committente appaltante sul personale dell'appaltatore ed è peraltro prassi che il personale ispettivo e la magistratura, subito dopo al dato contrattuale e formale, attribuiscano preminente rilievo ai soggetti che materialmente impartiscono le direttive al personale oggetto di appalto di servizi. Ciò in ottemperanza a un principio sostanzialistico che governa e disciplina i contratti di lavoro. Pertanto è ritenuto datore di lavoro chi nei fatti esercita i poteri e le prerogative connesse. Se il soggetto che ha esternalizzato ha facoltà di ingerirsi nella gestione dei lavoratori dell'outsourcer è evidente che tale esternalizzazione non è effettiva, ma attuata ai soli fini di eludere la normativa e i relativi obblighi che gravano sui datori di lavoro. È peraltro fondamentale, alla luce del regime normativo di solidarietà previsto dall'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, che il committente sia contrattualmente tutelato e garantito rispetto alla possibilità di verificare sia l'adeguatezza delle retribuzioni, sia il regolare versamento dei contributi. Sempre in merito all'esternalizzazione, essa può essere attuata con le forme dell'appalto ovvero della cessione o affitto d'azienda. In tal caso trova applicazione l'art. 2112 c.c., secondo cui i lavoratori conservano i diritti vantati nei confronti dell'impresa cedente e secondo cui il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento. Non è riconducibile alla nozione di cessione d'azienda il contratto con il quale viene realizzata la cd. esternalizzazione dei servizi (Trib. Trieste 21 dicembre 2009). Il trasferimento di un ramo d'azienda che, prima del trasferimento, costituisca un'entità dotata di autonomia e organizzazione realizza una cessione aziendale. Altrettanto può dirsi nel caso di trasferimento che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati e organizzati tra loro, la cui capacità sia assicurata dal fatto di essere dotati di particolari competenze, realizzandosi in tali ipotesi una successione legale che non richiede il consenso del contraente ceduto. Per tale motivo è stato ritenuto non riconducibile alla nozione di cessione di azienda il contratto con il quale viene realizzata la c.d. esternalizzazione dei servizi, laddove detti servizi non integrino un ramo o una parte di azienda. Pertanto le vicende traslative, sul piano dei rapporti di lavoro, devono essere qualificate come cessioni dei relativi contratti, che richiedono per il loro perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto (Cass. sez. lav., n. 22125/2006). Nello stesso senso si è affermato che non è riconducibile alla nozione di cessione d'azienda il contratto con cui viene realizzata l'esternalizzazione dei servizi, laddove questi non costituiscano un ramo o una parte di azienda intesa come complesso di beni dotata di autonomia organizzativa ed economica in vista della produzione di beni o servizi. Pertanto è da escludere la sussistenza dei requisiti necessari per configurare la cessione di azienda nel trasferimento che la società cedente e la società cessionaria avevano qualificato come un'operazione di outsourcing relativo ai servizi generali se di questo segmento non siano definite in maniera chiara la struttura e la dimensione, se inoltre le attività del preteso ramo non risultino, nella pratica, esattamente corrispondenti a quelle trasferite e se, infine, non sia provata l'autonomia organizzativa (Cass. sez. lav., n. 17351/2005). Non è riconducibile alla nozione di cessione d'azienda il contratto con cui viene realizzata la cosiddetta esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda. Per queste ragioni deve escludersi la sussistenza dei requisiti per configurare la cessione di azienda nel trasferimento — ricondotto dalla società cedente e dalla cessionaria al fenomeno cosiddetto di outsourcing, comprendente tutte le possibili tecniche mediante le quali un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle «competenze di base» — da una società ad altra del ramo d'azienda servizi generali, considerato che di esso non sono state chiarite struttura e dimensione, le attività del preteso ramo non sono risultate del tutto corrispondenti a quelle trasferite, non è stata provata l'autonomia organizzativa, e che inoltre esso si caratterizza per l'estrema eterogeneità delle attività dei lavoratori addetti, e per la mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile di farlo assurgere in qualche modo ad unitaria «entità economica» (Cass. sez. lav., n. 13068/2005). Nello stesso senso si è anche evidenziato come la disciplina dettata dall'art. 2112 c.c. e dall'art. 47 della l. n. 428/1990 trova applicazione non soltanto nell'ipotesi di trasferimento dell'intera azienda, ma anche laddove sia trasferito un ramo di azienda, da intendere come un complesso di beni che oggettivamente si presenti come entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi. Tale disposizione non preclude la cessione di singole funzioni o servizi ma impone che essi si presentino, prima del trasferimento, funzionalmente autonomi, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito (Cass. sez. lav., n. 15105/2002). La distinzione appena proposta tra il contratto di outsourcing e il contratto di cessione di azienda suggerisce di individuare la linea di confine tra il contratto di outsourcing e di subappalto. Specialmente nell'ambito degli appalti pubblici, infatti, il subappalto non è sempre consentito, tant'è che il nuovo codice degli appalti(d.lgs. n. 50/2016), all'art. 105, prevede al riguardo una disciplina stringente. Il subappalto, come noto, consiste nell'assunzione di un'impresa o di un fornitore esterno al contratto di appalto, affinché quest'ultimo svolga talune delle prestazioni dedotte nel contratto principale. L'esternalizzazione, invece, si riferisce a processi che potrebbero essere eseguiti da personale interno di un'impresa, la quale preferisce contattare un fornitore esterno per gestire le proprie esigenze tecnologiche, così da consentire al personale esistente di rimanere concentrato sulla produzione o sulle vendite. A tale proposito la giurisprudenza amministrativa si è pronunciata rilevando che deve essere considerato subappalto, ai fini delle norme sui contratti pubblici, qualunque tipo di contratto che intercorra tra l'appaltatore e un terzo in virtù del quale talune delle prestazioni appaltate non siano eseguite dall'appaltatore con la propria organizzazione, bensì mediante la manodopera prestata da soggetti giuridici distinti, in relazione ai quali si pone l'esigenza che siano qualificati e in regola con i requisiti di ordine generale, non sussiste sub-appalto soltanto laddove le prestazioni siano eseguite dall'appaltatore in proprio, tramite la propria organizzazione imprenditoriale. Il contratto in esame non può sfuggire dal divieto di subappalto in quanto «contratto di outsourcing», il quale descrive soltanto il fenomeno mediante il quale si comprendono tutte le possibili tecniche con cui un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle competenze di base (c.d. core business)» (Cons. St., V, n. 2073/2018). In definitiva, se è vero che l'outsourcing è un fenomeno di sintesi che può comprendere numerose figure contrattuali, tuttavia, laddove il contratto in esame integri gli elementi essenziali del contratto di subappalto, anche se le parti lo hanno qualificato come outsourcing, esso risulterà soggetto alla normativa in materia di subappalto. BibliografiaAA. 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