Decreto legislativo - 2/08/2007 - n. 145 art. 2 - Definizioni

Nicola Rumine

Definizioni

1. Ai fini del presente decreto legislativo si intende per:

a) pubblicita': qualsiasi forma di messaggio che e' diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attivita' commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi;

b) pubblicita' ingannevole: qualsiasi pubblicita' che in qualunque modo, compresa la sua presentazione e' idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali e' rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente;

c) professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che agisce nel quadro della sua attivita' commerciale, industriale, artigianale o professionale; e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista;

d) pubblicita' comparativa: qualsiasi pubblicita' che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente;

e) operatore pubblicitario: il committente del messaggio pubblicitario ed il suo autore, nonche', nel caso in cui non consenta all'identificazione di costoro, il proprietario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario e' diffuso ovvero il responsabile della programmazione radiofonica o televisiva.

Inquadramento

Il contratto di diffusione pubblicitaria è l'accordo con il quale l'impresa che gestisce uno o più veicoli di comunicazione al pubblico, rappresentata dalla concessionaria della pubblicità ovvero, più raramente, dal titolare del suddetto veicolo, si obbliga, dietro il pagamento di un corrispettivo, a diffondere i messaggi dell'impresa committente, la quale generalmente agisce per il tramite di un'agenzia pubblicitaria o di un centro media.

L'impresa committente si avvale comunemente dell'agenzia pubblicitaria per l'ideazione e la predisposizione della campagna pubblicitaria, nonché del centro media per la programmazione della campagna sui diversi mezzi e per l'acquisto dei relativi spazi pubblicitari.

Occorre preliminarmente rilevare che con il termine mezzo pubblicitario”, secondo la definizione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, deve intendersi qualsiasi forma di comunicazione, purché diretta a promuovere la domanda di beni o servizi, nonché a diffondere il marchio di un'impresa (Cass. VI, n. 21966/2014; Cass., sez. trib., n. 252/2012).

Rispetto alla natura del contratto di diffusione pubblicitaria si è affermato in dottrina che essa contiene gli elementi caratteristici dello schema contrattuale dell'appalto di servizi e, talvolta, anche del contratto di somministrazione.

Si osserva, infatti, che malgrado si faccia spesso riferimento ai contratti di diffusione pubblicitaria adottando impropriamente la terminologia di vendita di spazi pubblicitari, il contratto di diffusione pubblicitaria è qualificabile come un contratto di appalto in considerazione del fatto che la messa a disposizione dello spazio è il risultato dell'attività di contenuto tecnico (stampa, messa in onda, ecc.) posta in essere dal mezzo pubblicitario (Fusi, 2007, 40; Leone, 40).

Anche la giurisprudenza di legittimità ha sposato tale orientamento e specificamente ribadito che la promozione pubblicitaria è un contratto atipico, del genere do ut facias, che non si esaurisce nello schema del mandato, ma deve piuttosto essere assimilato alla figura dell'appalto di servizi.

La Corte di Cassazione ha conseguentemente e ad esempio rilevato, con riferimento all'agente di pubblicità, non assoggettato agli obblighi del mandatario, che non si configura alcun conflitto di interessi in relazione ai contratti conclusi (su sua iniziativa) con i fornitori del materiale pubblicitario (Cass. II, n. 2474/1988 e Cass. II, n.1288/2000 ). Di recente Trib. Bergamo IV, n. 1015/2019, secondo cui l contratto di pubblicità è un contratto atipico del genere "do ut facias", che non si esaurisce nello schema del mandato, poiché il committente affida all'agente pubblicitario l'esecuzione di numerose prestazioni, relative alla ideazione, organizzazione ed attuazione della campagna promozionale, lasciandogli la necessaria libertà nella scelta dei mezzi più opportuni per il raggiungimento di un determinato risultato promozionale. Si tratta, quindi, di un contratto che trascende la figura del semplice mandato e si avvicina piuttosto a quella dell'appalto di servizi. Pertanto, l'obbligazione assunta da un'agenzia pubblicitaria di condurre una campagna promozionale in favore del committente non costituisce un’obbligazione di risultato, attenendo semplicemente all'apprestamento dei mezzi necessari per tale campagna, con la conseguenza che il mancato conseguimento dell'obiettivo di un significativo incremento della clientela del committente non può costituire prova del mancato adempimento.

I contratti di diffusione pubblicitaria sono poi riconducibili, almeno nella maggior parte dei casi, allo schema dei contratti a prestazioni periodiche o continuative, essendo pattuita la continuità della pubblicità ovvero la sua ripetizione in uno spazio temporale più o meno esteso.

Nel dettaglio, l'elemento della continuità si riscontra nei contratti che comportano la diffusione del messaggio per un certo periodo di tempo, come nel caso dell'affissione, della pubblicità esterna o della pubblicità realizzata attraverso mezzi di trasporto pubblico o privato.

L'elemento della periodicità caratterizza invece la pubblicità radiotelevisiva, su quotidiani o periodici, come anche quella cinematografica, in cui l'impresa veicolo si obbliga alla diffusione ripetuta dei messaggi dell'utente per un certo arco di tempo (Fusi, 2007, 40).

La nozione di pubblicità

In passato difettava una espressa definizione normativa di pubblicità, con la conseguenza che non risultava agevole stabilirne precisamente i confini.

Il legislatore infatti, a seconda dei casi, faceva riferimento alla «offerta in vendita», alla «propaganda», alla «propaganda pubblicitaria», con un'incertezza terminologica, come detto, di non irrilevante portata pratica.

Il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (poi abrogato dall'art. 146 del d.lgs. n. 206/2005) e, segnatamente, l'art. 2, lett. a), definiva la pubblicità come «qualsiasi forma di messaggio diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi».

Definizioni pressoché analoghe erano tra l'altro contenute nella direttiva n. 84/450/CEE, abrogata dall'art. 10 della direttiva n. 2006/114/CE e cui il d.lgs. n. 74/92 aveva dato anzi attuazione e dalla quale l'aveva mutuata, nonché nella direttiva n. 89/552/CEE concernente la pubblicità televisiva, in seguito abrogata dall'art. 34 della direttiva n. 2010/13/UE.

Occorre poi ricordare che già in precedenza, all'interno di talune fonti promananti dagli operatori della pubblicità, era emersa una nozione di pubblicità altrettanto estesa.

Si fa riferimento, in particolare, al codice di autodisciplina pubblicitaria (oggi denominato codice di autodisciplina della comunicazione commerciale), espressione delle varie categorie di operatori del settore, che nel delineare la nozione di pubblicità, vi includeva (e vi include), al punto e) delle norme preliminari e generali, «ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati».

Il predetto codice di autodisciplina, inoltre, già in passato comprendeva nella nozione di messaggio pubblicitario «qualsiasi forma di presentazione al pubblico del prodotto», comprese quelle contenute negli imballaggi, nelle confezioni e simili.

Parimenti le raccolte di usi in materia di pubblicità delle Camere di Commercio definivano (e definiscono) la pubblicità come «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi» ed elencano come principali forme di pubblicità, oltre alla pubblicità di tipo classico (c.d. pubblicità tabellare) anche le promozioni e le incentivazioni, le sponsorizzazioni, la pubblicità diretta, le pubbliche relazioni, le fiere e analoghe manifestazioni, l'informazione tecnico-scientifica e persino l'“immagine coordinata” (c.d. pubblicità non tabellare).

In conclusione la nozione di pubblicità è estremamente vasta, comprendendo ogni comunicazione promanante da un'impresa e avente una finalità direttamente o indirettamente promozionale che, in qualsiasi modo o forma e attraverso qualsiasi mezzo, sia divulgata fra il pubblico (Fusi, 1999, 2 ss.; Frignani, 133 ss.).

La definizione più recente di pubblicità è contenuta nell'art. 2 del d.lgs. n. 145/2007, secondo cui per pubblicità si intende «qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi». Come è evidente, tale norma riprende pressoché letteralmente la definizione contenuta nell'art. 2 del d.lgs. n. 74/1992.

Gli elementi essenziali del contratto di diffusione pubblicitaria

Giova adesso soffermarsi sugli elementi costitutivi del contratto di diffusione pubblicitaria.

Dal punto di vista soggettivo può dunque notarsi che il contratto di diffusione pubblicitaria può intercorrere tra diversi soggetti e, in particolare:

1) tra l'utente e l'impresa che dispone del veicolo pubblicitario;

2) tra l'agenzia pubblicitaria (con o senza potere di rappresentanza) e l'impresa che dispone del veicolo pubblicitario;

3) tra l'utente e il concessionario di pubblicità del mezzo;

4) tra l'agenzia pubblicitaria (con o senza potere di rappresentanza) e il concessionario di pubblicità del mezzo.

Per quanto concerne l'oggetto del contratto di diffusione pubblicitaria, questo è costituito dai messaggi pubblicitari diffusi, con forma e contenuti predeterminati, attraverso appositi mezzi.

A tal riguardo esempi di mezzi di diffusione sono la stampa, la radio, la televisione, il cinema, la pubblicità esterna e le affissioni, nonché oggi, ovviamente, anche internet (Stazi, 2012, 9 ss.).

Le modalità concrete con cui viene svolto tale servizio pubblicitario consistono nel mettere a disposizione dell'utente specifici spazi pubblicitari, nei quali viene poi inserita la comunicazione commerciale oggetto del contratto (Leone, 33).

In merito alla causa del contratto di diffusione pubblicitaria, essa consiste nel conseguimento del risultato cui la diffusione del messaggio pubblicitario è preordinata, per cui in definitiva l'obbligazione a carico del mezzo pubblicitario non può dirsi adempiuta, né lo scopo dell'accordo raggiunto, qualora la stessa non abbia mai avuto luogo (Leone, 33).

Per quanto riguarda la forma dei contratti di promozione pubblicitaria, malgrado non sia richiesta alcuna forma solenne, nella prassi commerciale è usuale la redazione per iscritto degli stessi, sotto forma di ordine che assume carattere irrevocabile per un determinato periodo di tempo.

In particolar modo, l'ordine di cui sopra è generalmente redatto su moduli predisposti dal mezzo o dal concessionario pubblicitario contenenti le condizioni generali del servizio, cui fa seguito la conferma d'ordine da parte del mezzo di diffusione, la quale ha valore di accettazione e determina il perfezionamento del contratto.

Si segnala nondimeno che nella prassi commerciale è frequente che il mezzo pubblicitario dia immediatamente corso all'esecuzione dell'ordine, anche senza esprimere una formale accettazione dello stesso (Bruno, 964 ss.).

In tale ultimo caso i moduli contengono un rinvio alle condizioni generali del contratto predisposte unilateralmente dal titolare del mezzo, le quali, a loro volta, dovranno essere specificatamente approvate e sottoscritte dall'utente ai sensi dell'art. 1341 c.c. e dell'art. 1342 c.c. (Leone, 40).

La normativa applicabile ai contratti di diffusione pubblicitaria

Come è noto, il contratto di diffusione pubblicitaria non forma oggetto di specifica disciplina legislativa.

Vi sono però una serie di disposizioni all'interno del d.lgs. n. 507/1993, relativo alla diffusione dei manifesti, che stabiliscono una serie di principi applicabili per analogia anche ad altri contratti pubblicitari.

Il suddetto decreto, infatti, pur perseguendo scopi prevalentemente fiscali e amministrativi, nel sancire a carico dei comuni con più di tremila abitanti l'obbligo (e per quelli con popolazione inferiore la facoltà) di istituire un servizio di pubbliche affissioni, si premura di indicare le modalità con cui il servizio pubblicitario deve essere gestito, prefigurando in tal modo, seppur embrionalmente, la disciplina di un contratto di diffusione.

In particolare, l'art. 18 del predetto decreto ha circoscritto l'oggetto del servizio all'affissione di manifesti in appositi impianti a ciò destinati, contenenti non soltanto comunicazioni a finalità istituzionale o sociale, ma anche a messaggi riguardanti attività economiche (inclusi quindi quelli pubblicitari).

Le disposizioni che seguono, segnatamente l'art. 22, individuano poi i diritti e gli obblighi principali dell'impresa utente e del Comune, con particolare riguardo al rapporto avente a oggetto l'affissione di manifesti pubblicitari.

Per quanto concerne la durata dell'affissione, si è stabilito che essa inizia a decorrere dal giorno in cui è stata completamente eseguita, così sancendo, ai fini dell'adempimento da parte del mezzo, l'irrilevanza della diffusione parziale o incompleta.

È stato poi previsto l'obbligo del Comune di mettere a disposizione del committente, al fine di consentirgli ogni opportuno controllo, l'indicazione delle posizioni utilizzate e dei quantitativi affissi.

Inoltre si è disposto, per l'eventualità della mancata affissione cagionata da avverse condizioni atmosferiche o da indisponibilità di spazi quali cause di forza maggiore, che il Comune sia tenuto a darne comunicazione al committente, il quale potrà decidere di recedere dal contratto senza oneri e con diritto al rimborso integrale della somma versata.

Da ultimo, nel caso in cui i manifesti si deteriorino o si strappino dopo l'affissione, è stabilito che il Comune è obbligato a sostituirli gratuitamente con quelli messi a disposizione dal committente ovvero, in mancanza di altri esemplari, a richiederli immediatamente al medesimo, conservando nel frattempo gli spazi a sua disposizione (Stazi, 11).

Si è visto poc'anzi che la dottrina e la giurisprudenza riconducono il contratto di diffusione pubblicitaria allo schema dell'appalto di servizi e talvolta a quello della somministrazione di servizi.

Ne consegue che si applicano al contratto di diffusione pubblicitaria, in quanto compatibili, le norme che disciplinano l'appalto di servizi, nonché quelle del contratto di somministrazione, ai sensi dell'art. 1677 c.c., ogniqualvolta il contratto pubblicitario presenti i caratteri essenziali della stessa, ossia la continuità e la periodicità delle attività pubblicitarie oggetto del contratto.

In particolare, è stato ritenuto applicabile al contratto di diffusione pubblicitaria l'art. 1560 c.c., che individua i criteri integrativi ed interpretativi per determinare l'entità della prestazione, nell'ipotesi in cui le parti non abbiano provveduto in tal senso.

Si ritengono poi applicabili l'art. 1564 c.c. e l'art. 1662, comma 2 c.c., per quanto concerne la risoluzione del contratto, nonché l'art. 1569 c.c. e l'art. 1373, comma 2 c.c. per quanto riguarda il recesso del committente (Leone, 36, Rubino, 378).

Con riferimento alla menzionata operatività dell'art. 1560 c.c., anche la giurisprudenza di legittimità ha aderito alla lettura offerta dalla dottrina, ad esempio rispetto al c.d. contratto di pubblicità aerea.

In un caso portato all'attenzione della Suprema Corte l'utente si era obbligato al pagamento di un corrispettivo, a fronte dell'impegno assunto dall'impresa titolare del veicolo pubblicitario di mettere a disposizione la propria organizzazione imprenditoriale per un determinato numero di prestazioni.

Il committente, nondimeno, decideva di non usufruire delle prestazioni del mezzo nella misura pattuita nel contratto.

Dinanzi alle richieste del mezzo pubblicitario di vedersi comunque riconosciuto il pagamento dell'intero prezzo concordato, la Corte di Cassazione si è pronunciata sancendo l'applicabilità ai contratti di diffusione pubblicitaria della regola dettata dall'art. 1560 c.c., il quale, come si è visto, disciplina le ipotesi di determinazione del prezzo in assenza di espressa pattuizione delle parti (Cass. II, n. 1883/1984).

Particolare importanza assumeva poi, nel settore della pubblicità radiotelevisiva, la l. n. 223/1990, di riforma del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, successivamente abrogata dall'art. 1, comma 6, lett. a), n. 6, della l. n. 97/1997.

L'art. 8 della predetta legge individuava infatti i criteri informatori cui gli operatori dovevano attenersi nel diffondere messaggi pubblicitari tramite i mezzi radiotelevisivi.

In particolare, dopo aver indicato i principi di correttezza e riconoscibilità cui deve uniformarsi la pubblicità, individuava una serie di disposizioni a tutela dei minori (escludendo la possibilità di diffondere messaggi pubblicitari nei programmi di cartoni animati), nonché la frequenza delle interruzioni pubblicitarie ammesse nell'arco della programmazione di un'opera teatrale, cinematografica, lirica o musicale.

Venivano stabiliti, altresì, divieti e limitazioni della pubblicità dei prodotti del tabacco, dei medicinali e delle bevande alcoliche e altresì previste limitazioni quantitative a seconda della tipologia di emittente (pubblica o privata, nazionale o locale) (Leone, 41).

Il contenuto della suddetta normativa è stato ribadito dal d.lgs. n. 177/2005 (c.d. testo unico della radiotelevisione), recante la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.

Altre norme da ritenersi applicabili a qualsivoglia contratto di diffusione pubblicitaria sono quelle attinenti alla tutela dei consumatori contro pratiche commerciali aggressive o ingannevoli.

In proposito il c.d. codice del consumo esprime una nozione amplissima di «tecnica commerciale», comprensiva anche del messaggio pubblicitario.

Tra i diritti fondamentali del consumatore trova poi espresso riconoscimento quello a essere destinatario di un'adeguata informazione e di una corretta pubblicità (art. 2, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 206/2005), ravvisandosi ovviamente l'esigenza di tutelare il consumatore contro informazioni aggressive o ingannevoli realizzate nell'esecuzione di contratti pubblicitari.

Per quanto concerne le norme che vietano, con il presidio della sanzione penale, la propaganda pubblicitaria di sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero gli artt. 82 e 84 del d.P.R. n. 309/1990, occorre osservare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che queste sono applicabili a qualsiasi strumento di propaganda pubblicitaria, anche alle pubblicità del tipo indiretto.

È stato però anche chiarito che la condotta di chiunque offre in vendita su un sito internet semi di «cannabis» non è idonea, di per sé, a indurre i possibili destinatari all'uso di sostanze stupefacenti, trattandosi di attività rientrante nella propaganda pubblicitaria, quantomeno quando la pubblicità e la descrizione del prodotto concerna unicamente le caratteristiche di ogni tipo di seme (Cass. pen., n. 6972/2012).

Al di là di quanto sopra esposto rispetto alla disciplina applicabile al contratto di diffusione pubblicitaria, si segnala che negli ultimi anni si è assistito a una autentica proliferazione di norme dirette a offrire maggiore tutela ai fruitori delle pubblicità.

Si è infatti rafforzata la convinzione che l'attività pubblicitaria, intesa come espressione dell'iniziativa economica privata, non debba svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, vale a dire in maniera tale da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, in osservanza delle previsioni costituzionali (art. 41 Cost.).

Il rispetto della dignità umana nelle comunicazioni commerciali ha poi trovato uno specifico riferimento normativo sia nel c.d. codice del consumo, sia nella disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato.

Nello specifico l'art. 30 del d.lgs. n 206/2005 vieta le televendite che offendano la dignità umana o che siano discriminatorie in base alla razza, al sesso, alla nazionalità, ovvero offendano convinzioni religiose o politiche, o ancora inducano a comportamenti pregiudizievoli per la salute o la sicurezza o la protezione dell'ambiente.

L'art. 36-bis del d.lgs. n. 177/2005 prevede invece che le comunicazioni commerciali audiovisive non possono pregiudicare il rispetto della dignità umana.

In definitiva, si è consolidato il concetto per cui alla pubblicità commerciale devono essere anteposti i valori essenziali della persona umana, come la salute, la sicurezza, la non discriminazione, l'ambiente, la tutela dei minori (Bianca, 1096; Cianci, 13 ss.).

Il codice di autodisciplina della comunicazione commerciale e il Giurì della Pubblicità

In ambito pubblicitario assumono notevole importanza, ormai da tempo, le consuetudini e le regole di autodisciplina.

Si parla di autodisciplina quando una pluralità di soggetti, accomunati dall'esigenza di conformare il proprio comportamento a regole di correttezza, decide di essere assoggettata a norme comuni e di predisporre strumenti volte a garantirne l'osservanza.

Se alla base di ogni esperienza autodisciplinare vi è un'assunzione di responsabilità, i risultati raggiunti dall'esperienza autodisciplinare italiana nel campo della pubblicità la rendono per molti versi unica e ricca di implicazioni giuridiche.

Tra gli aspetti più significativi del sistema di autodisciplina nel settore della pubblicità vi è certamente la figura dell'organo giudicante, denominato Giurì della pubblicità, la cui istituzione è frutto dell'accordo intercorso tra gli operatori che esercitano attività professionale nel campo pubblicitario.

Il Giurì della pubblicità ha il fondamentale compito di garantire l'osservanza e l'applicazione di un codice di autodisciplina del settore che, come si è visto, i medesimi operatori hanno approvato.

Suo fondamento è infatti il c.d. codice di autodisciplina, attualmente composto da quarantasei articoli e ormai giunto alla sessantaquattresima edizione, adottato dalle componenti del mondo pubblicitario rappresentate nell'Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP) (Baldassarre-Guggino, 1 ss.).

Le finalità del codice di autodisciplina sono indicate con chiarezza nel paragrafo " Norme preliminari e generali " del codice medesimo, in particolare nella lettera a), rubricata “Finalità del codice”, ove si afferma che esso ha lo scopo di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo primario nel processo di sviluppo economico, sia realizzata come servizio per il pubblico, con speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore.

Al comma 2 il predetto codice definisce poi le attività ritenute in contrasto con le suddette finalità.

Il codice di autodisciplina, in particolare, è accettato e sottoscritto da tutte le associazioni ed enti che costituiscono l'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria, ossia dalle principali associazioni di utenti, professionisti e mezzi pubblicitari (stampa, radiotelevisione, cinema, affissioni, ecc.).

In forza della clausola di accettazione anche la pubblicità dell'utente, dell'agenzia o del professionista, i quali ovviamente non appartengono alle associazioni aderenti al sistema, è soggetta al codice e deve rispettare le decisioni dei suoi organi (in tal senso Giurì codice di autodisciplina, 24 aprile 2020, ove si afferma, appunto, che il Codice di autodisciplina rileva quale uso contrattuale, ove non sia stato espressamente escluso, e quindi integra il contratto di pubblicità ai sensi dell'art. 1340 c.c.).

Le norme del codice di autodisciplina sono anche accolte come “usi e consuetudini commerciali da varie Camere di commercio (Milano, Torino, Vicenza, Bari, ecc.) ed esse, pertanto, sono da considerare a tutti gli effetti tra le fonti del diritto.

In definitiva oggi un ampissimo numero di contratti di pubblicità è soggetto alla disciplina del codice di autodisciplina.

Si rileva, da ultimo, che il divieto di concorrenza sleale o di pubblicità denigratoria è espresso anche e prima di tutto dal codice civile e la sua violazione può essere portata all'attenzione del giudice ordinario ordinario (per un caso recente si veda Cass. I, n. 38165/2022), oltre che dell'Autorità garante della libera concorrenza (chiamata però ad accertare la responsabilità amministrativa dell'agente). Nondimeno ciò non vieta che anche il Giurì della pubblicità possa essere investito della decisione in forza dell'inserimento delle clausole appena menzionate.

Il Giurì, presieduto da un alto magistrato, è formato da membri di grande levatura culturale e professionale, che non possono essere impegnati, direttamente o indirettamente, in attività pubblicitarie e che inoltre possiedono specifiche competenze nella materia.

Accanto al Giurì opera il «Comitato di controllo», ovvero un organo dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria dotato di indipendenza, cui spetta il potere di azione nel caso in cui il messaggio pubblicitario sia ritenuto contrastante con il Codice di autodisciplina, sotto il profilo della tutela dei consumatori.

In altri termini il Comitato di controllo opera a tutela degli interessi del consumatore, attivandosi sia d'ufficio, sia su segnalazione o denuncia di qualsiasi persona fisica o giuridica.

In quest'ultimo caso il Comitato svolge una funzione di filtro delle diverse istanze, vagliando il fumus delle stesse.

Si osservi, poi, che il Comitato di controllo ha anche l'autonomo potere di sospensiva della pubblicità, che può esercitare d'ufficio nei casi di ritenuta manifesta violazione del codice di autodisciplina.

L'effetto sospensivo ha una durata di dieci giorni, decorsi i quali, in mancanza di contestazione, si consolida l'effetto inibitorio.

Qualora il Comitato ritenga non convincenti le ragioni dell'eventuale opposizione, gli atti sono trasmessi al Presidente del Giurì, che emetterà il provvedimento ritenuto più idoneo.

In conclusione può osservarsi quanto segue:

a) il sistema autodisciplinare, con le norme contenute nel Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, continuamente aggiornate, offre una copertura più ampia rispetto alle formulazioni legislative, tanto che è estesa anche a settori non considerati dalle altre discipline;

b) gli istituti specifici, le procedure, la rapidità e le modalità di intervento sono tali da assicurare tempestività nella definizione della lite e di evitare pregiudizi difficilmente riparabili altrimenti;

c) la qualità e la quantità di fattispecie esaminate e di giudizi espressi costituiscono un prezioso patrimonio di riferimento per gli operatori del settore e per i giuristi specializzati.

A quest'ultimo proposito si segnala che le decisioni il Giurì hanno anticipato quelle poi assunte dai giudici ordinari o ispirato le scelte del legislatore, ad esempio in punto di pubblicità comparativa, di pubblicità realizzata attraverso il cosiddetto «pubblico-consigliere» (cioè un esperto che gode della fiducia del pubblico in ragione della sua ritenuta indipendenza di giudizio) ovvero attraverso il «giornalista-testimonial» (pron. Giurì n. 46/96) (Baldassarre-Guggino, 1 ss.).

Le differenti tipologie di contratti di diffusione pubblicitaria

Si è visto che lo scopo essenziale del contratto di diffusione pubblicitaria è quello di diffondere presso il pubblico un dato messaggio pubblicitario, in modo da poterne orientare le scelte e il gusto.

Per poter conseguire tale finalità la comunicazione commerciale può raggiungere i suoi destinatari tramite vari mezzi, che garantiscono minore o maggiore diffusione del messaggio da parte del pubblico a seconda del loro grado di diffusione.

Nello specifico, i mezzi maggiormente utilizzati sono:

a) la stampa (quotidiani, periodici, riviste specializzate, ecc.);

b) le emittenti radiotelevisive pubbliche o private;

c) i circuiti cinematografici;

d) le affissioni di manifesti e similari, inizialmente regolate, sotto il profilo pubblicistico, dal d.P.R. n. 639/1972 (relativo all'imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, poi abrogato dall'art. 37 d.lgs. n. 507/1993);

e) le insegne luminose, gli striscioni, le locandine ubicate su mezzi di trasporto, ecc. (c.d. pubblicità esterna);

f) la pubblicità online, ovvero attraverso siti internet, social network, blog o altre piattaforme digitali.

In modo quasi speculare ai mezzi di diffusione sopra illustrati, i principali contratti di diffusione pubblicitaria sono i seguenti:

a) contratto di diffusione pubblicitaria a mezzo stampa, o «d'inserzione», attraverso il quale l'editore o il concessionario del prodotto editoriale si impegna a pubblicare gli annunci del committente su uno o più numeri del quotidiano o periodico;

b) contratto di diffusione pubblicitaria televisiva o radiofonica, con cui il titolare dell'emittente si impegna a trasmettere i messaggi del committente nell'ambito delle proprie trasmissioni;

c) contratto di pubblicità cinematografica, con il quale il gestore o concessionario di sale cinematografiche si impegna a far proiettare il materiale pubblicitario del committente;

d) contratto di pubblicità esterna (al quale è assimilabile quello di pubblicità sui mezzi di trasporto pubblico), con cui il gestore o concessionario di «posizioni» pubblicitarie in luoghi pubblici si impegna a installare e mantenere esposti su appositi impianti i materiali pubblicitari del committente (diversi dai manifesti), quali poster, striscioni, ecc. (diversi dai manifesti);

e) contratto di pubblicità affissionale, relativo all'affissione di manifesti in vie e piazze pubbliche nell'ambito del servizio che la legge riserva in esclusiva ai comuni;

f) contratto di pubblicità online, in cui il titolare di un sito web si impegna a ospitare sul proprio sito le comunicazioni pubblicitarie del committente (Stazi, 2012, 10; Fusi-Testa, 399 ss.; Stazi, 2004, 12 ss. e 49 ss.).

La classificazione appena proposta ha suggerito una ulteriore distinzione:

1) la pubblicità above the line (anche detta pubblicità tabellare), consistente nella divulgazione di messaggi all'interno dei mass media quali stampa, radio, televisione, cinema, pubblicità esterna, internet, di comunicazione regolato da tariffe);

2) la pubblicità below the line (anche detta pubblicità non tabellare), che viceversa non è realizzata attraverso i predetti canali mediatici (ad esempio la sponsorizzazione, il direct marketing, ecc.) (Stazi, 2012, 10).

Nuove possibilità di pubblicizzare un prodotto o un servizio si sono presentate con la diffusione dei social network e, prima ancora, di internet.

Il che, oltre a determinare l'incremento del numero degli attori coinvolti nell'attività pubblicitaria, ha anche determinato la nascita di nuove figure contrattuali.

Tutto ciò è accaduto anche in forza dell'affinamento delle tecniche pubblicitarie e dell'evoluzione dell'oggetto della pubblicità, non più riservato come un tempo ai prodotti e ai servizi dell'imprenditore, ma esteso a qualsiasi soggetto che aspiri ad incrementare la vendita di un prodotto o di un servizio o comunque a diffondere il proprio nome (Bianca, 1094-1095).

Se, come si è visto, la forma tradizionale di pubblicità è quella solitamente chiamata «tabellare», la pratica commerciale rende palese l'esistenza di numerose altre formule di comunicazione promozionale e iniziative similari, talvolta integrate con quelle tradizionali.

A tal proposito è possibile distinguere due categorie all'interno della c.d. pubblicità non tabellare.

a) In una prima categoria possono essere annoverate le c.d. formule pubblicitarie atipiche, che divergono da quelle tradizionali per le diverse modalità di realizzazione: si pensi, ad esempio, alla pubblicità espositiva e a quella diretta, alle telepromozioni, alla pubblicità redazionale, al product placement, alla pubblicità telematica, al bartering.

Il contratto espositivo, infatti, è frequente soprattutto nel contesto di mostre, mercati e saloni, luoghi di spettacolo e convegni. Attraverso la conclusione di un contratto espositivo una parte si impegna, dietro corrispettivo, ad esporre e a mantenere esposti al pubblico i prodotti dell'altra nel luogo e per il tempo convenuto.

Anche i contratti di pubblicità diretta sono un esempio di pubblicità non tabellare e infatti il contatto con il potenziale consumatore non avviene attraverso i mezzi di comunicazione di massa, bensì a mano, a domicilio col sistema «porta a porta» o più spesso utilizzando la posta, il telefono, il telefax o la posta elettronica.

Per effettuare pubblicità diretta le imprese potrebbero tra l'altro utilizzare mezzi propri, ad esempio utilizzando il servizio postale o la posta elettronica, oppure, specie per le distribuzioni qualificate o su larga scala, potrebbero avvalersi di operatori specializzati.

Rientra in una prima categoria di pubblicità non tabellare, infine, anche il contratto di product placement, il quale è una forma di pubblicità caratterizzata dall'inserimento di immagini o riferimenti a marchi, aziende o prodotti all'interno di programmi televisivi, pellicole cinematografiche, ecc.

L'inserimento di immagini o il riferimento ai marchi è effettuato in modo tale da farlo apparire come elemento narrativo o ambientale.

b) A una seconda categoria appartengono invece le tecniche di incentivazione all'acquisto: si pensi, ad esempio, alle varie forme di promozione, quali giochi, concorsi, operazioni a premio, ecc., o alle offerte di prezzo o alle vendite a distanza (via internet, telefono, o per corrispondenza).

Un classico esempio è rappresentato dal contratto per le telepromozioni, di cui all'art. 2, par. mm del c.d. testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, termine con il quale si fa riferimento a ogni forma di pubblicità consistente nell'esibizione di prodotti che prevede la presentazione verbale e visiva di beni o servizi di un produttore di beni o di un fornitore di servizi, realizzata nell'ambito di un programma da un'emittente televisiva o radiofonica (sia analogica che digitale), al fine di promuovere la fornitura dietro compenso dei beni o dei servizi presentati o esibiti.

Ad ogni buon conto, tutte le iniziative pubblicitarie descritte da ultimo e riconducibili alla pubblicità c.d. non tabellare, pur essendo diverse dalla c.d. pubblicità tabellare, rientrano nell'ampia nozione legislativa di pubblicità, essendo ugualmente destinanti alla loro pubblica diffusione (Stazi, 2012, 27 ss.; Testa, 40).

Gli obblighi dell'impresa committente e il c.d. diritto di rifiuto

L'obbligazione principale che grava sul committente è ovviamente quella del pagamento del corrispettivo all'impresa che dispone del veicolo pubblicitario.

In genere, il prezzo non viene esattamente determinato al momento della conclusione del contratto ed esso non è mai a forfait.

La diffusione della pubblicità, infatti, viene di solito pagata a misura, in base agli spazi o ai tempi della pubblicità, nonché secondo tariffe prestabilite e differenziate per posizione, fascia oraria o altri elementi.

Così, ad esempio, la collocazione preferenziale che si vuole dare all'annuncio pubblicitario, rispetto agli altri, potrebbe determinare il pagamento di un maggior corrispettivo a carico dell'utente (Bruno, 964 ss.).

In riferimento al settore della pubblicità televisiva si osservi che mandare in onda uno spot nelle ore di maggiore audience, di regola comporta per l'utente un costo ben più elevato rispetto all'acquisto di pubblicità nelle ore di bassa audience.

Relativamente al settore della pubblicità televisiva, è stato creato pressoché da tutti i soggetti interessati al mercato pubblicitario un apposito organismo denominato Auditel.

L'Auditel si occupa del rilevamento dei dati concernenti l'audience delle trasmissioni televisive e degli spot pubblicitari, mettendoli nel contempo a disposizione dei soci e degli operatori.

Così facendo le emittenti possono determinare il valore di uno spazio pubblicitario e il relativo costo per l'utente, mentre gli utenti sono messi in grado sapere quanti spettatori hanno assistito allo spot realizzato nelle ore di messa in onda e potranno valutare, altresì, i risultati della campagna pubblicitaria, eventualmente apportandovi modifiche.

Anche nel settore della stampa quotidiana e periodica è stato creato un analogo organismo, denominato Audipress, a cui partecipano gli utenti e le agenzie, unitamente agli editori di stampa quotidiana e periodica (Leone, 40).

Per quanto riguarda la quantificazione dei compensi, nel settore della pubblicità a mezzo stampa è previsto un apposito sistema.

Nel settore radiotelevisivo, invece, sono praticate particolari agevolazioni economiche che variano in funzione della durata del messaggio di cui si richiede la diffusione.

Si osservi però che molti mezzi pubblicitari, all'interno del settore radiotelevisivo, attuano sistemi articolati di sconti-quantità, che però potrebbero creare situazioni di disparità tra un utente e l'altro, a seconda del peso economico di ciascuno di essi (Leone, 40).

Inoltre è frequente che i titolari dei mezzi pratichino sconti per rendere più appetibili gli spazi pubblicitari meno richiesti e che questi ultimi si affidino a formule di diffusione atipiche, quali sono, ad esempio, il contratto di «cambio merce pubblicitario» e il «contratto a rischio».

Nel dettaglio il cambio merce pubblicitario è la pratica che permette ad aziende di ogni tipologia di pagare la pubblicità con beni e/o servizi (il contratto è anche detto advertising bartering).

Il contratto a rischio, invece, collega il corrispettivo spettante al mezzo di diffusione al livello di audience che quest'ultimo conseguirà nella fascia oraria oggetto del contratto, così rendendo partecipe il mezzo del proprio rischio d'impresa (Gambino, 1 ss.).

In ordine, infine, alle modalità di pagamento del corrispettivo, di regola l'utente è tenuto ad effettuare il pagamento del prezzo una volta eseguita la diffusione e con cadenza mensile, a fronte della presentazione di una fattura che enunci nel dettaglio i tempi della pubblicità realizzata (Bruno, 964 ss.).

Altro obbligo tipico dell'utente all'interno dei contratti di diffusione pubblicitaria è quello di consegnare il materiale promozionale all'impresa che dispone del veicolo pubblicitario, cosicché quest'ultima potrà diffonderlo secondo le modalità e le tempistiche contrattualmente pattuite.

L'utente, peraltro, è tenuto a comunicare le date prescelte, osservando un congruo preavviso, così da consentire all'impresa di organizzare la propria attività (Bruno, 965).

In proposito si è visto che i contratti di diffusione pubblicitaria in genere non hanno ad oggetto annunci già individuati all'atto della conclusione del contratto, bensì un generico numero di annunci e infatti sono determinati solo sotto l'aspetto dimensionale o temporale, con facoltà per l'utente di «consumarli» entro un certo arco di tempo o secondo un certo calendario.

Dunque, l'impresa che dispone il veicolo pubblicitario viene a conoscenza del contenuto dei messaggi soltanto in un secondo momento, vale a dire quando questi sono forniti dall'impresa committente.

A fronte di tale prassi è però riconosciuto al titolare del veicolo pubblicitario la facoltà di non accettare, e quindi di non diffondere, l'annuncio pubblicitario fornito dall'utente, quantomeno ogniqualvolta quest'ultimo sia ritenuto pregiudizievole per l'impresa stessa o per la propria immagine.

Si parla, al riguardo, di «diritto di rifiuto», il quale è pressoché sempre previsto nelle condizioni generali del contratto. Esso più precisamente consiste nel diritto del titolare del mezzo pubblicitario di rifiutarsi di diffondere un dato messaggio il cui contenuto sia illecito, immorale, lesivo dell'immagine del veicolo, ovvero in contrasto con le norme del C.A.P. (codice di autodisciplina pubblicitaria).

Tra l'altro le grandi imprese di mezzi sono dotate di una strumentazione tecnologica molto sofisticata che consente loro di effettuare il c.d. prescreening dei messaggi pubblicitari, ossia di verificare, in tempi estremamente rapidi, l'accettabilità del contenuto degli stessi.

Inoltre molte imprese titolari di veicoli pubblicitari hanno predisposto appositi regolamenti che l'utente è tenuto ad approvare, allo scopo di stabilire espressamente i criteri di accettabilità dei messaggi pubblicitari.

Il diritto di rifiuto non incide però sull'efficacia del contratto, con la conseguenza che resta valido l'impegno dell'impresa di pubblicizzare un messaggio dal contenuto diverso, purché non in contrasto con le norme e con i principi appena menzionati (Stazi, 15 ss.).

Si osservi, peraltro, che la finalità del diritto di rifiuto trascende la semplice necessità di assicurare il rispetto della legge o di un sistema di regole condivise, ragione per cui lo stesso codice di autodisciplina ha stabilito che «la mera conformità di un annuncio pubblicitario alle norme del Codice non esclude la possibilità per i mezzi di rifiutare, in base alla loro autonomia contrattuale, la pubblicità difforme da più rigorosi criteri da loro eventualmente stabiliti» (art. 16 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale).

Le motivazioni che conducono ad esercitare il diritto di rifiuto, infatti, oltre che da discrezionali ragioni di opportunità, possono nascere dalle responsabilità in cui il mezzo rischierebbe d'incorrere, laddove il messaggio presentasse profili d'illiceità.

Più volte, ad esempio, è stata affermata la responsabilità penale del direttore di un giornale per reati commessi attraverso inserzioni pubblicate a pagamento o quella civile dell'editore per i danni causati da annunci pubblicitari.

Ciò in forza del dovere di controllo del contenuto dei messaggi che grava su tali soggetti (Testa, 600 ss.).

Giova poi soffermarsi su altra clausola ricorrente nei contratti di diffusione pubblicitaria, la c.d. clausola di accettazione.

È frequente, in particolare, che l'utente si impegni a sottoscrivere tale clausola, con cui acconsente a sottoporsi al già citato Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, nonché alle decisioni del Giurì della pubblicità.

Infatti ragioni di tutela dell'immagine e del buon nome delle parti di un contratto di diffusione pubblicitaria le inducono a tentare soluzioni transattive o arbitrali, oppure a sottoporsi alle decisioni di un giudice privato quale è appunto il Giurì della pubblicità.

A tutto ciò è conseguito che la giurisprudenza civile è stata raramente chiamata a risolvere le controversie contrattuali sorte in materia (Zeno Zencovich-Assumma, 83 ss.).

La clausola di accettazione è comunemente ritenuta lecita e meritevole di tutela (Rossotto-Elestici, 102).

Gli obblighi dell'impresa che dispone del veicolo pubblicitario e la clausola di esonero di responsabilità

L'obbligazione principale che il mezzo assume con la conclusione del contratto in esame è data dalla diffusione del materiale pubblicitario dell'utente.

Il contratto di diffusione può ritenersi adempiuto solo qualora il messaggio sia diffuso «a regola d'arte» e assolva dunque pienamente alla sua funzione.

Ai fini della corretta esecuzione dell'accordo non è però sufficiente che il mezzo abbia reso disponibile il supporto, bensì occorre che la diffusione abbia avuto luogo con le modalità e nei tempi pattuiti.

A quest'ultimo proposito si pensi al numero delle copie della testata su cui dovrà comparire l'annuncio pubblicitario, alla sua collocazione all'interno della stessa, alle dimensioni, al numero di passaggi televisivi ogni giorno, alla loro durata, ecc.

In particolare si è visto che, in dipendenza del veicolo di comunicazione utilizzato, la divulgazione del messaggio può sostanziarsi:

a) nella pubblicazione degli annunci su uno o più numeri della testata e nella distribuzione della testata nelle edicole (per l'inserzione a mezzo stampa);

b) nella messa in onda dei comunicati pubblicitari durante l'emissione dei programmi (per l'emittente radiofonica o televisiva);

c) nella proiezione del materiale pubblicitario nelle sale cinematografiche del circuito (per il gestore del circuito cinematografico);

d) nell'installazione e nel mantenimento in esposizione del materiale pubblicitario su appositi impianti (per il concessionario di «posizioni» pubblicitarie in luoghi pubblici o aperti al pubblico);

e) nella pubblicazione online su determinati siti del messaggio pubblicitario (Bruno, 965 ss.).

Per quanto concerne specificamente la collocazione del messaggio pubblicitario, si rileva che potrebbero essere inserite nel contratto di diffusione le c.d. clausole delle «posizioni particolari».

In buona sostanza queste impongono all'impresa che dispone del veicolo pubblicitario il rispetto della collocazione del messaggio indicata dall'utente, nel contesto degli spazi pubblicitari disponibili.

Talvolta, però, tale collocazione è imposta al mezzo in senso «assoluto», ovvero a prescindere dal comportamento delle imprese concorrenti dell'utente.

Altre volte, invece, la clausola è prevista in relazione ai messaggi dei concorrenti, ossia può pattuirsi che, laddove uno o più concorrenti acquistino altri spazi pubblicitari presso il medesimo mezzo di diffusione, l'utente avrà diritto ad una collocazione preferenziale.

Ad ogni buon conto, qualora non sia previsto alcunché in ordine alla posizione da assegnare al messaggio oggetto del contratto, il mezzo di diffusione potrà collocarlo dove ritiene più opportuno (Gambino, 1 ss.).

In ordine alle tempistiche di diffusione del messaggio pubblicitario, esse sono regolate dalla clausola c.d. del «calendario uscite».

In particolare, infatti, potrebbero essere stabiliti dei riferimenti temporali precisi, oppure un arco di tempo con periodi di intervallo minimi tra un'uscita e un'altra (Gambino, 1 ss.).

Peraltro nei contratti di diffusione pubblicitaria figurano delle clausole di esonero di responsabilità del mezzo, con particolare riferimento alle ipotesi in cui la programmazione della pubblicità non avvenga secondo il programma concordato.

Dette clausole sono valide soltanto nei limiti stabiliti dall'art. 1229 c.c., ossia salvo il caso di dolo e colpa grave che risulti imputabile al titolare del mezzo medesimo.

Ad ogni modo è necessaria la specifica approvazione delle stesse da parte dell'utente, a norma dell'art. 1341 c.c., quantomeno qualora tali clausole risultino incluse nelle condizioni generali del contratto unilateralmente predisposte su moduli o formulari dal mezzo (Leone, 40).

Per un caso di lamentato inadempimento dell'impresa obbligata a diffondere il messaggio pubblicitario, anche con riferimento agli oneri probatori delle parti, si veda Cass. III, n. 32933/2023.

Le figure contrattuali limitrofe alla diffusione pubblicitaria

È importante non confondere il contratto di diffusione pubblicitaria con altre figure contrattuali, apparentemente simili, in quanto relative al settore della pubblicità, ma che presentano rilevanti elementi distintivi.

Si osservi innanzitutto che la diffusione pubblicitaria si differenzia dal contratto di concessione pubblicitaria.

A ben vedere, infatti, attraverso quest'ultimo i gestori dei mezzi di diffusione affidano a imprese specializzate la gestione del servizio di acquisizione e raccolta della pubblicità per i mezzi stessi, mentre con la diffusione pubblicitaria un'impresa, la quale dispone di un veicolo pubblicitario, assume l'obbligo di diffondere i messaggi pubblicitari elaborati dal committente (Fusi, 11).

Occorre poi distinguere il contratto di diffusione pubblicitaria da quello di agenzia pubblicitaria.

Infatti con il contratto di agenzia pubblicitaria le imprese che intendano promuovere la domanda dei propri prodotti o servizi affidano a organizzazioni specializzate (ovvero le agenzie di pubblicità) l'incarico di studiare, ideare, pianificare e realizzare le iniziative di comunicazione più atte allo scopo (Fusi, 11).

La promozione pubblicitaria, al contrario, ha per oggetto la divulgazione di messaggi pubblicitari.

Circa il rapporto tra le due figure contrattuali, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata osservando che l'attività di propaganda scientifica volta a collocare sul mercato prodotti medicinali potrebbe formare oggetto del rapporto di agenzia ogniqualvolta all'attività pubblicitaria si associ quella di promozione della conclusione di affari nell'interesse del proponente (Cass. sez. lav., n. 7014/1987).

Distinto dalla diffusione pubblicitaria è anche il contratto per la commissione di opere per la pubblicità, al quale si ricorre nel caso in cui, volendo il committente utilizzare particolari strumenti di diffusione del messaggio (opere pittoriche, fotografie, film, ecc.), risulti indispensabile commissionarne la realizzazione a esecutori specializzati (Fusi, 11).

La diffusione pubblicitaria si distingue inoltre dal contratto per l'utilizzazione pubblicitaria, di attributi della personalità o per interpretazioni pubblicitarie, con il quale le imprese, o le loro agenzie, onde realizzare le iniziative comunicazionali programmate, acquisiscono generalmente da fotomodelli o attori il diritto di utilizzarne l'immagine e il nome, ovvero ne assicurano le prestazioni per l'esecuzione di film pubblicitari o altre iniziative promozionali (Fusi, 11).

Si distinguono infine dalla diffusione pubblicitaria i contratti di sponsorizzazione.

Questi ultimi, in particolare, pur riconducibili all'ampia categoria dei contratti di pubblicità, se ne differenziano perchè con la sponsorizzazione il messaggio pubblicitario trasmesso non consiste nell'esaltazione della qualità di un prodotto o di un servizio, ma semplicemente nella diffusione del segno distintivo.

Nei contratti di diffusione pubblicitaria, invece, l'oggetto contrattuale è rappresentato dalla diffusione di un messaggio, direttamente finalizzato alla promozione delle vendite di un determinato bene o servizio.

Quindi la sponsorizzazione rientra nel concetto di pubblicità in senso lato, la quale include qualsiasi forma di diffusione dei messaggi, del nome, del marchio e dei simboli dell'impresa e dei suoi prodotti; la diffusione pubblicitaria è definita, viceversa, come pubblicità in senso stretto.

La sponsorizzazione, inoltre, diversamente dalla diffusione pubblicitaria, non interrompe la manifestazione in corso di svolgimento e, in essa, le modalità di diffusione del messaggio (durata, frequenza, intensità) non dipendono direttamente dall'impresa sponsor, bensì unicamente dalle vicende proprie dell'avvenimento cui essa è collegata.

Altro aspetto distintivo dei contratti di promozione pubblicitaria da quello di sponsorizzazione è dato dal fatto che in quest'ultimo l'impresa sponsor ha un minore potere di controllo sulla forza comunicazionale del messaggio, anche considerando che essa dipende da fattori non prevedibili, come nel caso delle scelte tecniche del regista delle riprese televisive (Bocchini-Gambino, 540).

In buona sostanza, la principale differenza tra i due contratti si apprezza sotto il profilo causale.

Ciò che caratterizza il contratto di sponsorizzazione e che lo distingue dal contratto di diffusione pubblicitaria è lo stretto legame che si instaura fra la divulgazione dell'immagine o dei segni distintivi dello sponsor e l'evento (manifestazione o spettacolo) che egli utilizza, confidando nella capacità di presa e nella forza di suggestione dello stesso (Baldi, 276).

Bibliografia

Baldassarre, Guggino, L'Autodisciplina pubblicitaria e il suo Giurì. Come è strutturata e come funziona una delle istituzioni «storiche» di Autonomia funzionale. Trenta anni di esperienze, un prestigio fondato sul consenso, in impresa-stato.mi.camcom.it; Baldi, I contratti di sponsorizzazione, in La disciplina dei contratti pubblici. Commentario al Codice appalti, a cura di Baldi, Tomei, Milano, 2007, 291 ss.; Bianca, Contratti di pubblicità, sponsorizzazione e sfruttamento del nome e dell'immagine, in Trattato dei contratti, diretto da Oppo, a cura di Benedetti, III, Milano, 2014, 1091 ss.; Bocchini, Gambino, I contratti di somministrazione e distribuzione, Milano, 2011; Bruno, I contratti di pubblicità, in I contratti di somministrazione di servizi, a cura di Bocchini, Torino, 2006, 964 ss.; Cianci, Comunicazione pubblicitaria e contratti del consumatore. Dal motivo allo status relazionale, Milano, 2013, 13 ss.; Frignani, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, Torino, 1999, 133 ss.; Fusi, I contratti della pubblicità, Torino, 1999; Fusi, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale. Tecnica, modelli e tipi contrattuali, in Trattato di diritto privato, a cura di Bessone, XV, Torino, 2007, 37 ss.; Fusi, Testa, Diritto e pubblicità, Milano, 2006, 399 ss.; Gambino, I contratti di diffusione pubblicitaria above the line e below the line, in dimt.it; Leone, I contratti pubblicitari: rapporti con le agenzie, concessione e diffusione pubblicitaria, opere pubblicitarie su commissione, utilizzazione dell'immagine e del nome altrui, sponsorizzazione, merchandising, Trieste, 1991, 33 ss.; Nigra, La pubblicità e i suoi contratti tipici, Rimini, 2000, 21 ss.; Pierni, La pubblicità ingannevole. Tutela giuridica della concorrenza e del consumatore, Roma, 2005, 45; Rossotto, Elestici, I contratti di pubblicità, Milano, 1992; Rubino, Commentario al Codice Civile, a cura di Scialoja, Branca, Bologna, 1984, 378; Ruffolo, Commentario al Codice dell'autodisciplina pubblicitaria, Milano, 2003; Stazi, La pubblicità commerciale on line, Milano, 2004, 12 ss. e 49 ss.; Stazi, I contratti di diffusione pubblicitaria, in I Contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, a cura di Gambino, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da Costi, Torino, 2012., 9 ss.; Testa, La pubblicità, Bologna, 2004; Testa, Inserzione pubblicitaria, responsabilità dell'editore e giustizia sostanziale, in Dir. inf. 1987, 600 ss.; Zeno Zencovich, Assumma, Pubblicità e sponsorizzazioni, 1991.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario