Decreto ministeriale - 2/09/2005 - n. 204 art. 3 - Disposizioni finaliDisposizioni finali Art. 3. 1. L'affiliante, a richiesta dell'aspirante affiliato, e' tenuto a fornire le informazioni concernenti il contratto e i relativi allegati in lingua italiana. 2. L'aspirante affiliato deve utilizzare le informazioni di cui all'articolo 2 del presente decreto esclusivamente ai fini della valutazione dell'offerta di affiliazione. Il presente decreto munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque di osservarlo e di farlo osservare. InquadramentoIl contratto di management è un contratto atipico utilizzato nell'ambito dei servizi di ospitalità e nell'hotellerie di lusso, attraverso il quale si realizza una sorta di separazione fra la proprietà dei fattori produttivi e la gestione dell'attività alberghiera, pur se non di rado quest'ultima viene esercitata in nome e nell'interesse del primo. La durata è spesso prolungata al fine di consentire la realizzazione delle economie di scala sottese all'operazione e, non di rado, si tratta di uno strumento contrattuale utilizzato nella ristrutturazione e riconversione di hotel storici o di lusso in crisi. Attraverso questo contratto, che presenta indubbie affinità con il franchising, infatti, il proprietario di un hotel aderisce ad una società che gestisce una catena di servizi alberghieri commercialmente apprezzati e generalmente diffusi, mantenendo la proprietà delle strutture alberghiere come pure, in genere, la titolarità dei rapporti di lavoro, ma inserendo un manager della struttura fornito dalla catena ed uniformandosi, nell'immagine e nei servizi erogati agli standard di immagine e qualità dei servizi forniti da quest'ultima. È stato notato come l'origine di questo contratto si rinvenga, al pari di molti contratti atipici, nelle prassi del commercio internazionale, in particolare del mondo anglosassone, ed abbia ricevuto in tale ambito una sorta di tipizzazione sociale, essendo stato impiegato per la prima volta nella gestione di strutture non solo alberghiere ma anche produttive, appartenenti a privati e società di paesi in via di sviluppo aderenti al c.d. Commonwealth. Il contratto di management va perciò distinto dal contratto di affitto d'azienda alberghiera come pure dalla locazione dell'immobile con destinazione alberghiera. La giurisprudenza di legittimità si è occupata della distinzione fra affitto d'azienda alberghiera e contratto di locazione dell'immobile con destinazione alberghiera. Secondo Cass. III, n. 20815/2006, la locazione di immobile con pertinenze si differenzia dall'affitto di azienda (nella specie, alberghiera) perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene — l'immobile concesso in godimento — che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell'economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà, rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di coordinazione-subordinazione, mentre, nell'affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni (mobili ed immobili) legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarità per il conseguimento di un determinato fine produttivo, così che oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all'art. 2555 c.c. La valutazione circa l'avvenuto inizio dell'attività alberghiera da parte del conduttore dell'immobile, compiuta ai fini della qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina degli artt. 27-42 della l. n. 392/1978), che si ha quando l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, secondo la presunzione posta dall'art. 1, comma 9-septies, del d.l. n. 12/1985, convertito, con modificazioni, in l. n. 118/1985, o piuttosto come affitto di azienda, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da congrua motivazione, esente da errori di diritto. Obbligazioni del gestoreIl gestore assume diverse obbligazioni nei confronti del proprietario alberghiero: la principale è quella di gestire l'altrui albergo in nome e nell'interesse del titolare, ma secondo il proprio specifico know-how e sotto i propri segni distintivi; possono poi essere previste obbligazioni accessorie, come la fornitura di prodotti o servizi aventi un certo standard qualitativo da impiegarsi nella erogazione dei servizi ai clienti dell'albergo, la selezione e la formazione del personale dell'impresa alberghiera, la individuazione e nomina del direttore della struttura. Inoltre, il gestore si occupa di solito della promozione commerciale della catena alberghiera, e così indirettamente del singolo hotel — che si presenta di fronte ai terzi con la medesima immagine commerciale e prestazionale — peraltro spesso traslando i relativi costi nelle royalties previste a carico del proprietario dell'albergo. Possono essere previsti servizi centralizzati presso la catena (come ad esempio un unico settore amministrativo, un unico centro prenotazioni al servizio degli hotel della «catena» e così via). In modo corrispondente alla presenza di elementi riconducibili allo schema negoziale del mandato, il gestore deve informare periodicamente il proprietario di eventi sopravvenuti in grado di incidere sul regolare svolgimento dell'attività; inoltre è chiamato a rendere il conto della gestione periodicamente, illustrando i risultati ottenuti, nei termini contrattualmente stabiliti o, in mancanza di espresso accordo, su richiesta del titolare dell'albergo. Il rendimento dei conti rappresenta il contenuto di un'altra obbligazione fondamentale del gestore, posto che lo stesso — anche attraverso la predisposizione di bilanci di periodo — deve evidenziare secondo principi di verità, trasparenza e buona fede, le entrate ed i costi, nonché la quota di utili destinata ad essere ritrasferita al proprietario e comunque essere formulato in modo da evidenziare chiaramente quali servizi siano in attivo e quali «in perdita» in modo da adattare «al meglio» l'attività gestoria. In dottrina è stato evidenziato che la gestione di interessi altrui corrisponde allo schema causale del mandato e realizza una forma di interposizione gestoria; normalmente il gestore sarà anche insignito del potere di rappresentare il titolare dell'albergo nel compimento degli atti inerenti l'oggetto del mandato. Tuttavia, anche nel caso in cui il gestore perfezioni singoli atti di gestione a proprio nome, la naturale vocazione degli effetti dell'atto ad incidere sul patrimonio del mandante, comporta che il gestore non assumerà di regola, di fronte ai terzi, il rischio dell'impresa alberghiera (Alvisi). Obbligazioni del proprietarioSul proprietario o titolare dell'albergo gravano, di regola, molteplici obbligazioni. In primo luogo, possono venire in rilievo doveri di carattere preparatorio intesi a consentire al gestore la possibilità di intraprendere l'attività secondo gli standard propri della catena. Non di rado, tuttavia, specie quando ci si rivolge a questa forma contrattuale e di collaborazione economica al fine di superare una situazione di crisi, gli oneri di ristrutturazione iniziale possono essere posti a carico (naturalmente dietro elevazione del compenso pattuito) del gestore. Il proprietario è invece sempre gravato dell'obbligo di cooperare con il gestore per l'ottenimento di tutte le autorizzazioni amministrative o edilizie eventualmente necessarie. Sul proprietario dell'albergo grava l'obbligazione principale di pagamento del corrispettivo. Questa obbligazione ha ad oggetto, di norma, il pagamento di un importo fisso garantito, sganciato dai risultati della gestione, legato alla remunerazione dei costi fissi e generali (spese amministrative centralizzate, costi pubblicitari, formazione e sviluppo del personale, costi di finalizzazione dell'immagine della struttura, licenza di marchio, know how), oltre a prevedere quasi sempre l'ulteriore pagamento di una percentuale degli incassi, con lo scopo di incentivare indirettamente il migliore andamento della gestione e premiare la redditività della stessa. Non mancano, peraltro, esempi di contratti che individuano il corrispettivo della gestione in modo integrale in termini fissi (più raramente), ovvero soltanto in modo corrispondente ad una percentuale del fatturato. Un aspetto fondamentale del contratto di management agreement, che come notato, presenta talune similarità al franchising, consiste nell'uniformare l'immagine del singolo hotel a quello della catena del gestore, che spesso gode già di rinomanza e di capacità di attrazione commerciale per i potenziali clienti. Questo spiega perché a questo contratto si accompagni praticamente sempre una licenza di marchio, che può prevedere uno specifico corrispettivo oppure, come pure è consentito, avere carattere gratuito quale prestazione di carattere accessoria rispetto a quelle principali del contratto di gestione e ricevere da esse la dovuta remunerazione. È tuttavia evidente come il proprietario dell'albergo non possa sfruttare la licenza di marchio se non nei limiti dell'attività gestoria conferita dalla società licenziataria (con i connessi limiti temporali, territoriali e di oggetto) e che, in particolare, lo stesso non possa utilizzare il marchio del gestore a beneficio di altri alberghi di cui fosse titolare, ma che non siano ricompresi nel contratto di gestione. Si ritiene che qualsiasi violazione perpetrata dal proprietario sotto questo profilo sia, anzi, proprio per la sua essenzialità, suscettibile di integrare un inadempimento del contratto di gestione alberghiera sufficiente a fondare una domanda di risoluzione da parte del gestore. Meritevolezza e disciplinaLa diffusione ed il riconoscimento sul piano internazionale del contratto di management spiega come non vengano generalmente frapposti ostacoli a ritenerne la meritevolezza degli interessi perseguiti e la liceità del suo utilizzo nel nostro ordinamento. In particolare, trattandosi di un contratto atipico, la valutazione viene compiuta rispetto al paradigma di meritevolezza degli interessi, ai sensi dell'art. 1322, comma 2 c.c. Tale test si considera positivo sul presupposto che, secondo la configurazione socialmente tipica di questo contratto, esso non crea un'effettiva e completa dissociazione fra direzione e rischio di impresa, né elimina totalmente l'autonomia e la libertà di iniziativa economica del proprietario dell'azienda alberghiera, nonostante il suo assoggettamento, talora particolarmente stringente, rispetto alle scelte gestorie della «catena». È tuttavia evidente che superata tale valutazione in astratto, occorre poi in concreto verificare il contenuto delle pattuizioni e in particolare la sussistenza o meno del potere del titolare o proprietario dell'albergo di fornire istruzioni o mantenere un controllo, sia pure minimo, sull'andamento dell'attività gestoria (ad es. distinguendo fra ordinaria e straordinaria amministrazione), ciò al fine di evitare che un mandato tanto esteso e generalizzato affidato alla società di gestione spogli completamente il titolare di ogni prerogativa sull'azienda alberghiera. Il contratto di gestione alberghiera realizza un negozio bilaterale, di carattere sinallagmatico e a titolo oneroso, normalmente di contenuto misto o complesso. Quanto alla disciplina applicabile non è mancato chi, valorizzando i poteri rappresentativi normalmente conferiti al gestore, ha proposto il richiamo alla preposizione institoria, mentre altra dottrina ritiene che la presenza di elementi riconducibili al mandato possa agevolare l'applicazione, diretta o analogica, della relativa disciplina. Chi scrive ritiene che il carattere misto e complesso del contratto richieda un'attenta verifica in concreto che può portare, molto spesso, ad integrare la disciplina pattizia con quella prevista in tema di franchising, stanti le notevoli affinità. Come il franchising, d'altra parte, si è di fronte ad un contratto fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. Il management in campo alberghiero viene definito asset light, quando si avvicina ad un franchising puro o gestionale, mentre asset intensive quando, per il particolare pregio dell'immobile o particolare appetibilità del mercato locale o posizionamento, la società della catena alberghiera affiliante partecipa all'investimento (ad es. costruzione o ristrutturazione dei locali). Ciò influisce anche sull'entità del fee e delle royalties che l'aderente si impegna a pagare. Come per il franchising si ritiene che questo contratto debba essere redatto per iscritto, a pena di nullità, al fine di evitare qualsiasi problematica relativa al contenuto della dissociazione fra titolarità e potere gestorio ed area del rischio di impresa. Un'altra disposizione di cui appare opportuno il rispetto è quella contenuta nell'art. 4 della l. n. 129/2004, destinato a dettare il contenuto minimo del regolamento contrattuale, secondo il quale il contratto o i relativi allegati devono indicare: «a) principali dati relativi all'affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell'aspirante affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; b) l'indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all'affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l'uso concreto del marchio; c) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l'attività oggetto dell'affiliazione commerciale; d) una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti dell'affiliante; e) l'indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell'attività dell'affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni; f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti dell'affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy. Negli allegati di cui alle lettere d), e) ed f) del comma 1 l'affiliante può limitarsi a fornire le informazioni relative alle attività svolte in Italia». Si ritiene possibile, inoltre, l'applicabilità di quanto previsto dall'art. 8 della cit. l. n. 129/2004, secondo cui «se una parte ha fornito false informazioni, l'altra parte può chiedere l'annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439 del c.c. nonché il risarcimento del danno, se dovuto». Si tratta infatti di una disposizione che, da un lato, non si pone in distonia con i principi generali in tema di vizi del consenso e che, dall'altro, ribadisce l'importanza della fase precontrattuale che precede la conclusione del contratto e l'esigenza che ciò avvenga attraverso una completa discovery dei dati e delle formule commerciali usate, proprio per il limiti gestori che il proprietario assume e degli oneri economici che pure lo stesso si addossa, sotto forma di canone fisso e royalties. Al fine di individuare le informazioni necessarie ai fini della stipula appare pertinente l'elencazione contenuta nel d.m. n. 204/2005, il cui art. 2 prevede che almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l'affiliante di cui all'articolo 1 deve consegnare all'aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato degli allegati di cui ai commi 2, 3, 5 e 6 dello stesso articolo. Precisando successivamente che entro lo stesso termine l'affiliante è tenuto a fornire all'aspirante affiliato una lista numerica, comprensiva degli affiliati al momento operanti e dei punti vendita diretti, suddivisa per singoli Stati. Inoltre, su richiesta dell'aspirante affiliato, l'affiliante è tenuto a fornire, altresì, una lista recante i dati relativi all'ubicazione ed alla reperibilità, di almeno venti affiliati operanti. Nel caso in cui il totale degli affiliati sia inferiore al predetto numero, l'affiliante è tenuto a fornire la lista completa. Tali informazioni possono essere date anche in via informatica o pubblicate sul sito dell'affiliante. La norma inoltre richiede che l'affiliante sia tenuto a fornire l'indicazione della variazione, anno per anno e suddivisa per singoli Stati, del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni solari o dalla data di inizio dell'attività qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni. Inoltre, lo stesso è tenuto a fornire all'aspirante affiliato la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari, definiti nei tre anni solari antecedenti al termine di cui al comma 1, con sentenza passata in giudicato, nonché' dei procedimenti arbitrali per i quali, nel medesimo periodo, si sia pervenuti al lodo definitivo; degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, che devono riferirsi al sistema di affiliazione commerciale, devono essere indicate almeno le parti, l'organo giudicante, le domande e il dispositivo. Il successivo art. 3 precisa, altresì, che l'affiliante, a richiesta dell'aspirante affiliato, è tenuto a fornire le informazioni concernenti il contratto e i relativi allegati in lingua italiana; mentre, per converso, l'aspirante affiliato deve utilizzare le informazioni di cui all'articolo 2 del presente decreto esclusivamente ai fini della valutazione dell'offerta di affiliazione. Sul test di meritevolezza dei contratti atipici vanno segnalate due recenti decisioni che, mutatis mutandis, possono offrire utili spunti per la valutazione causale del contratto in commento. In particolare, secondo Cass. I, n. 17498/2018 se l'identificazione degli elementi di fatto dell'accordo è compito del giudice del merito, la valutazione di liceità e di meritevolezza del patto è giudizio di diritto. Ciò posto, tanto più quando si tratti di soggetti entrambi imprenditori, che abbiano concordato un regolamento pattizio nel pieno esercizio dell'autonomia negoziale privata, ogni intervento giudiziale ex art. 1322 c.c. — col suo effetto d'autorità rispetto ad equilibri negoziali liberamente contrattati — non può che essere del tutto residuale. Il controllo del giudice sul regolamento degli interessi voluto dai soggetti, se mira a limitare l'esercizio dell'autonomia privata, non deve però perdere di vista che il principio generale è quello della garanzia costituzionale ex art. 41 Cost. Si rivela un interesse meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c. al finanziamento dell'intrapresa societaria, ove la meritevolezza è dimostrata dall'essere il finanziamento partecipativo correlato ad un'operazione strategica di potenziamento ed incremento del valore societario; il patto leonino si può ravvisare solo in presenza di una esclusione totale e costante dalle perdite e dagli utili e solo quando questa non integri una funzione autonoma meritevole di tutela. Pertanto: «È lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società». Pertinente anche Cass. I, n. 18138/2018, secondo cui un patto parasociale avente ad oggetto la materia delle nomine dei membri del consiglio di amministrazione, del relativo presidente e dei sindaci, che costituisce parte di un più ampio regolamento negoziale avente ad oggetto la divisione dei beni caduti in comunione tra due coniugi, deve essere indagato, quanto a sua meritevolezza e interpretazione, alla luce del complessivo assetto di interessi fissato dall'accordo di divisione. Di particolare interesse una recente decisione del S.C. in tema di franchising, che nel dare a tale istituto una lettura particolarmente estensiva (secondo cui ai fini dell'integrazione di detta figura contrattuale non è necessario il trasferimento di know how dall'affiliante all'affiliato), conferma la tesi che qui si sostiene circa il carattere integrativo di tale disciplina, in quanto non incompatibile, rispetto al regolamento pattizio predisposto dalle parti: così, secondo Cass. n. 11256/2018 «per potersi configurare un contratto di franchising è sufficiente che il franchisor metta a disposizione del franchisee la sperimentata formula commerciale con l'inserimento dell'affiliato nella propria rete territoriale non essendo essenziale il trasferimento del know how». La Cassazione ha innanzitutto confermato che il contratto concluso tra le parti — in forza del giudicato interno formatosi sul punto — doveva qualificarsi come un contratto di affiliazione commerciale e che per tale ragione era soggetto alla disciplina di cui alla l. n. 129/2004. Dopo questa premessa, la S.C. è partita dalla definizione contenuta nell'art. 1, comma 3, lett. a), della l. n. 129/2004, chiarendo che il requisito del know how non costituisce elemento indefettibile del tipo negoziale ai fini della stipula del contratto di franchising. Il contratto di affiliazione commerciale non deve infatti riguardare cumulativamente tutti gli aspetti regolati dalla norma perché ciò che rileva è la concessione all'affiliato della disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale. È pertanto essenziale che l'affiliato possa beneficiare della sperimentata formula commerciale dell'affiliante, ma essa può concernere uno o più profili elencati nell'art. 1, comma 3, lett. a) della l. n. 129/2004 nell'ottica dell'inserimento dell'impresa del franchisee in una articolata rete territoriale riferibile al franchisor e composta da una pluralità di altri affiliati con lo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. La Cassazione è giunta pertanto alla conclusione che può configurarsi un contratto di franchising privo della clausola concernente la trasmissione del know how dal franchisor al franchisee. La seconda questione posta all'esame della Cassazione aveva ad oggetto la possibilità di configurare una ipotesi di nullità contrattuale nel caso di mancata determinazione del contenuto del know how nel contratto di franchising. L'art. 1, comma 3, lett. a) della l. n. 129/2004 prevede che il know how consista in un patrimonio di conoscenze che deve possedere le caratteristiche di segretezza, sostanzialità e individuabilità. I giudici di legittimità hanno però chiarito che l'art. 1, comma 3, lett. a) della l. n. 129/2004 non prescrive che il know how debba necessariamente consistere in un patrimonio di conoscenze inaccessibile; piuttosto, lo stesso deve essere soltanto non generalmente noto e facilmente accessibile, essendo peraltro rilevante la concreta combinazione di queste conoscenze come sperimentate dal franchisor nella sua rete a prescindere dalla loro analitica conoscibilità. In considerazione del fatto che il contratto di affiliazione commerciale può essere applicato in ogni settore di attività economica, così come previsto dall'art. 1, comma 2, della l. n. 129/2004, la Cassazione ha inoltre sottolineato che il requisito della specificità del know how deve possedere un contenuto necessariamente elastico poiché deve essere in grado di adattarsi alla maggiore o minore complessità strutturale della rete commerciale del franchisor e conseguentemente all'attività concretamente esercitata dal franchisee come dedotta nel contratto. Si ricorda in dottrina come la concreta conformazione del potere di direttiva in capo al proprietario, ovvero il suo esautoramento completo, sia stato analizzato dalla Suprema Corte tedesca nel caso deciso da BGH, 5 ottobre 1981. In quella fattispecie era accaduto che nel 1976 la società tedesca proprietaria di un piccolo albergo a conduzione familiare e la catena nord-americana Holiday Inn avessero concluso un contratto di gestione in forza del quale quest'ultima si obbligava a gestire in via generale il predetto hotel, senza specificare in alcun modo se in tale mandato dovesse ricomprendersi la semplice gestione ordinaria o anche gli atti di straordinaria amministrazione dell'impresa alberghiera. Si ricorda altresì che il contratto stabiliva che la società proprietaria dell'immobile non avrebbe mantenuto alcun potere di intervento nelle decisioni relative alla gestione dell'impresa alberghiera, né veniva riconosciuto in capo alla proprietà il potere di dettare istruzioni di alcun tipo; la durata del contratto era stata fissata in venti anni e alla sola catena veniva attribuito il diritto di opzione per la proroga, per tre volte, per la durata di dieci anni ciascuna; il contratto fissava inoltre un tetto massimo per le spese relative alla manutenzione ordinaria dell'albergo, pari a ventimila marchi, oltre il quale si rendeva necessaria l'autorizzazione della proprietà; si prevedeva che tali spese non potevano comunque superare il 5% degli incassi lordi, ferma la facoltà della catena di sostenere spese superiori, ove le avesse giudicate necessarie per il mantenimento del suo standard qualitativo. Infine, per la copertura dei costi di gestione il titolare dell'albergo si obbligava a mantenere una provvista di 200.000 marchi su un conto in cui la sola catena era autorizzata ad operare. Ancora, alla catena veniva riconosciuto un corrispettivo per la gestione, in parte in misura fissa e in parte ragguagliato ad una percentuale degli incassi. Dopo soli due anni dalla stipula del contratto, la società tedesca titolare dell'albergo agì in giudizio per fare accertare la nullità del contratto per contrarietà al buon costume e assunse la gestione diretta dell'albergo. La relativa domanda, pur rigettata nei due primi gradi di giudizio, venne invece ritenuta fondata dalla Suprema Corte sull'assunto che il contratto fosse nullo perché spogliava radicalmente l'impresa alberghiera della sua libertà di iniziativa economica, atteso che il contratto le precludeva qualsiasi possibilità di intervento nelle decisioni relative all'organizzazione dell'impresa e le negava qualsiasi potere di dettare istruzioni (Alvisi). Profili fiscaliIn linea di principio l'attività connessa al management agreement in campo alberghiero dà luogo ad una prestazione di servizi: pertanto, le regole generali da applicare saranno quelle proprie di tale fattispecie, e quindi l'art. 109 del TUIR (per le imposte sul reddito) e l'art. 3 del d.P.R. n. 633/1972 (in materia di Imposta sul Valore Aggiunto). Con riferimento agli elementi immateriali che la società a capo della catena mette a disposizione dell'aderente, la norma tributaria di riferimento è l'art. 103, comma 2 del TUIR (unitamente al principio contabile n. 24/2005) che disciplina l'ammortamento dei beni immateriali, prevedendo che le quote di ammortamento del costo sostenuto per i diritti di concessione siano deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge. BibliografiaAloe, I contratti nei gruppi di società: management contracts e tutela dei contraenti deboli, in I nuovi contratti, a cura di E. Napolillo, Piacenza, 2002, 137; Alvisi, Il contratto di gestione alberghiera, in Dir. Turismo, 2008, 3; Farina, Attività di impresa e profili rimediali nel franchising, in Quaderni Rass. Dir. Civile, diretta da Perlingieri, Napoli, 2011; Fici, Il contratto di franchising, Napoli, 2011; Frignani, Il contratto di franchising. Orientamenti giurisprudenziali prima e dopo la legge 129 del 2004; Milano, 2012; Montalenti, Contratto di gestione, in Dig. comm. IV, 1989; Rispoli, Mella, Jolly hotels. Il percorso strategico di una grande impresa famigliare, Bologna, 2006. |