Legge - 18/06/1998 - n. 192 art. 11 - Entrata in vigore.

Alessandro Farolfi

Entrata in vigore.

1. La presente legge entra in vigore il centoventesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale .

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Inquadramento

L'art. 1 della l. n. 192/1998, definisce il contratto di subfornitura come quell'accordo con il quale un imprenditore si impegna ad effettuare per conto di un'impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all'impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell'ambito dell'attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente.

Si tratta, conseguentemente, di una relazione contrattuale conclusa fra un'impresa principale ed una di minori dimensioni, caratterizzata da un rapporto di dipendenza progettuale e/o tecnologica della seconda nei confronti della prima. Da qui l'esigenza di predisporre talune forme di tutela di natura imperativa, ossia non derogabile dall'autonomia privata delle parti; esigenza molto spesso acuita dalla dipendenza economica che connota la posizione del subfornitore che ha nel committente (c.d. general contractor) il proprio cliente principale, quando non l'unico.

In una delle principali pronunce di merito, il Trib. Torino 13 dicembre 2007 ha affermato che la disciplina della subfornitura nelle attività produttive, introdotta dalla legge 18 giugno 1998, n. 192, non si riferisce a tutti i rapporti commerciali, emersi nella prassi, tradizionalmente qualificabili come subfornitura, ma solo a quelli caratterizzati dalla «subalternità progettual-tecnologica» del subfornitore, in cui sia ravvisabile il presupposto peculiare della necessaria conformità dell'opera da realizzare a progetti esecutivi, conoscenze tecniche o tecnologiche, modelli e prototipi forniti dalla committente (ossia la c.d. lavorazione per conto e la subfornitura di prodotti o servizi, entrambi con la ricorrenza del presupposto della strumentalità della prestazione rispetto al ciclo produttivo del committente) ed esige, pertanto, la sussistenza della soggezione tecnologica del subfornitore rispetto al committente.

Secondo Trib. Rovigo 3 giugno 2008, il contratto di subfornitura, in base alla definizione dettata dalla legge 18 giugno 1998, n. 192, si articola in due distinti sotto-tipi contrattuali: la subfornitura di lavorazione, riguardante l'ipotesi di lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente e la subfornitura di prodotti o servizi, concernente l'ipotesi in cui il subfornitore si impegni a fornire all'impresa committente prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell'ambito dell'attività economica della committente o nella produzione di un bene complesso.

Appare comunque importante mettere in evidenza la distinzione fra somministrazione e vendita con consegne ripartite, sulla quale si è recentemente osservato che nel primo caso, la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (ove non sia stata determinata l'entità della somministrazione), si che ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle altre, mentre la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla unicità della prestazione, rispetto alla quale la ripartizione delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto (Cass. 11 novembre 2021, n. 33559).

Nozione di subfornitura

Il fenomeno del decentramento produttivo e, più in particolare, gli abusi che lo stesso può comportare nei confronti dei c.d. imprenditori minori o «terzisti», sta alla base dell'introduzione della disciplina della subfornitura nel nostro ordinamento.

Ai sensi dei comma 1 e 2 dell'art. 1 della l. n. 192/1998 il contratto di subfornitura è quel contratto con cui un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all'impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell'ambito dell'attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente.

Nell'ambito di operatività del nuovo istituto rientra il riferimento sia alla subfornitura di lavorazione (nella quale la «dipendenza» del «terzista» dal proprio cliente, spesso l'unico, è addirittura contrassegnata dalla consegna di semilavorati o prodotti per essere specificamente trasformati rispondendo alle specifiche esigenze individuate dal committente), sia a quella di prodotti o servizi da realizzarsi direttamente da parte del subfornitore. Questi ultimi prodotti o servizi, per essere rilevanti ai fini della disciplina della subfornitura, sono chiamati a confluire nel ciclo produttivo del committente, pur se la norma non limita il proprio ambito di applicazione all'incorporazione del prodotto o servizio nel bene finale, ma lo estende, più in generale, alle ipotesi di utilizzazione di questi nell'ambito dell'attività economica del committente.

Nonostante i dubbi sollevati rispetto ad una formulazione letterale non del tutto precisa, l'inciso «in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente» deve ritenersi riferibile sia alla subfornitura di prodotto o servizio, cui la norma fa riferimento subito prima della virgola, che a quella di «lavorazione». Questa soluzione sembra avallata anche dai lavori preparatori e dalla circostanza che l'art. 7 parla di progetti e prescrizioni di carattere tecnico comunicati al fornitore, senza distinguere tra subfornitura di lavorazione e subfornitura di prodotto.

Una delle questioni più controverse nella definizione di subfornitura è immediatamente apparsa quella relativa all'interpretazione della frase «in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente», sopra già ricordata. Ci si è infatti chiesto se fosse sufficiente ad integrare gli estremi del requisito in questione la mera richiesta da parte del committente di una qualche «personalizzazione» delle lavorazioni, del prodotto o del servizio, senza che venisse fornito al subfornitore, da parte del primo, uno specifico apporto tecnico e anzi confidando sulle specifiche competenze tecniche di quest'ultimo, o se, al contrario, gli estremi del requisito fossero integrati solo quando si fosse in presenza di quella dipendenza tecnologica del committente sul sub fornitore. Questa seconda tesi è divenuta del tutto prevalente.

Va ricordato che l'opinione preferibile ritiene inoltre, che la l. n. 192/1998 non abbia creato una nuova figura contrattuale, ma abbia piuttosto introdotto uno statuto di tutela dell'imprenditore «debole» operante in funzione ed al servizio dell'altrui ciclo economico-produttivo, capace di abbracciare diverse figure negoziali anche tipiche, come il subappalto, la vendita di cosa futura, la somministrazione, ecc. Ciò non di meno, appare evidente come la modulistica contrattuale in questo ambito abbia ormai acquistato una certa autonomia rispetto ai modelli negoziali sottostanti e regolanti, ad esempio, operazioni economiche isolate e prive di quello squilibrio che caratterizza i rapporti fra general contractor e subfornitore.

Peraltro, come pure si è notato, il legislatore ha preferito individuare l'operazione economico-contrattuale di subfornitura, cui attribuire rilevanza e tutela, piuttosto che l'impresa subfornitrice, potendo accadere nella realtà che una medesima impresa si comporti a volte come subfornitrice ed a volte come committente. Deve, ancora, ritenersi irrilevante il nomen juris eventualmente utilizzato dalle parti, spettando al giudice, nel caso concreto, individuare l'esistenza degli elementi che caratterizzano - al di là delle espressioni letterali impiegate dalle parti - la subfornitura e che fanno perciò «scattare» i presupposti per l'applicazione della disciplina in commento.

Una recente ed importantissima decisione, sia pure interpretativa di rigetto, della Consulta (C. cost., n. 254/2017) ha avallato decisamente la tesi dianzi esposta, secondo cui la subfornitura non sarebbe un nuovo ed autonomo contratto, bensì un'operazione economico-giuridica capace di abbracciare al suo interno altri contratti già esistenti e tipici, come ad esempio lo stesso appalto. A tale riguardo si è infatti rilevato che l'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 — che regola la responsabilità solidale nell'ambito dell'appalto di opere o servizi a carico del committente per i crediti retributivi vantati dai lavoratori dipendenti verso il datore di lavoro-appaltatore e per le obbligazioni contributive di cui sono titolari gli enti previdenziali — può essere applicato anche alla subfornitura.

Va poi ricordato che l'art. 1, comma 2, l. n. 192/1998, esclude espressamente che possano essere considerati contratti di subfornitura i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime, di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature.

In ordine alla individuazione del concetto di subfornitura, cfr. Cass. III, n. 18186/2014, secondo cui «il contratto di subfornitura è una forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale nella quale la dipendenza economica del subfornitore si palesa oltre che sul piano del rapporto commerciale e di mercato anche su quello delle direttive tecniche di esecuzione, assunte nel loro più ampio significato, sicché il requisito della «conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente», di cui all'art. 1 della legge 18 giugno 1998, n. 192, si riferisca a tutte le fattispecie ivi descritte, compresa la «lavorazione su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente», dato che anche in tal caso la commessa di subfornitura comporta l'inserimento del subfornitore in un determinato livello del processo produttivo proprio del committente).

In precedenza, secondo il Trib. Genova 13 dicembre 2005, la sussistenza dei presupposti soggettivi (consistenti nel rapporto tra due imprese) ed oggettivi (risultanti dalla richiesta di una lavorazione su materie prime fornite dalla committente nonché dalla realizzazione di un prodotto destinato ad essere incorporato nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente) concretano la presenza della c.d. subfornitura congiunturale, in cui un imprenditore isola una o più delle fasi in cui si articola il processo produttivo — fasi che potrebbe egli stesso svolgere con una diversa organizzazione della produzione impiegando risorse proprie — per affidarla all'esterno ad altro imprenditore; questi a sua volta rende una prestazione che va ad innestarsi nel ciclo produttivo del committente, dovendosi attenere alle indispensabili direttive di carattere tecnico impartite da quest'ultimo, atteso che, trattandosi spesso di prestazioni che richiedono una elevata specializzazione tecnica, non è possibile a priori escludere che vi possa essere un concorrente apporto a livello progettuale e soprattutto esecutivo, da parte del subfornitore (nella specie rientra nella disciplina di cui alla l. n. 192/98 in materia di subfornitura il contratto avente per oggetto il montaggio della struttura, degli accessori e di quant'altro necessario per la «completa finitura di n. 260 cellule bagno», da realizzarsi su disegni e con materiali forniti in prevalenza dal committente). Ed ancora, Trib. Desio, 1 marzo 2004, ha affermato che la l. n. 192/1998 non ha introdotto un nuovo tipo contrattuale ma costituisce una piattaforma normativa finalizzata ad offrire una base inderogabile di tutela ad una categoria di imprese che si trova ad operare all'interno di rapporti giuridicamente riconducibili entro vari tipi contrattuali, ma accomunati dal carattere economico fondamentale dell'esistenza di un nesso di dipendenza, potenziale fonte di abusi da parte dell'impresa committente (in virtù del suddetto principio, il rapporto di subfornitura oggetto della controversia, essendo prevalente un'obbligazione di facere da parte del subfornitore, è stato ricondotto al contratto d'appalto, con conseguente applicazione degli artt. 1667 e seg. c.c. per quanto riguarda la responsabilità del subfornitore).

Di contro, si è affermato che non rientra nell'ambito di applicazione della disciplina sulla subfornitura «il contratto avente ad oggetto solamente la fornitura di servizi integrati per interventi ordinari e straordinari di pulizia variamente indicati nel contratto stesso, presso gli uffici e la foresteria della committente, poiché manca in tal caso, il tipico carattere del contratto in oggetto, ovvero la dipendenza, non solo economica, ma anche tecnica e tecnologica, dalla committente» (cfr. Trib. Monza 9 maggio 2007); analoga conclusione negativa per il contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi generici di distribuzione di merci su incarico del committente (che nel caso di specie richiedeva specifiche caratteristiche nel mezzo di trasporto e modalità di esecuzione tali da garantire il buon livello del servizio), considerata la mancanza (anche tenuto conto delle clausole contrattuali e delle condizioni di gara di cui alla specifica vicenda oggetto del giudizio) «di un collegamento di dipendenza tra le due imprese, con riferimento all'organizzazione aziendale « (cfr. Trib. Roma 23 gennaio 2008).

Particolarmente sentito il problema della distinzione fra subappalto e subfornitura: «mentre il subappaltatore assume di eseguire in tutto o in parte una prestazione dell'appaltatore (ai sensi dell'art. 1655 c.c.) a beneficio della Stazione Appaltante, il subfornitore si impegna soltanto a porre nella disponibilità dell'appaltatore un prodotto e rileva fondamentalmente sotto il profilo privatistico dei rapporti commerciali tra le aziende. Il contratto di subfornitura si configura, pertanto, come una forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale nella quale la dipendenza economica del subfornitore si palesa, oltre che sul piano commerciale e di mercato, anche su quello delle direttive tecniche di esecuzione, assunte nel loro più ampio significato, sicché il requisito della « conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente » si riferisce a tutte le fattispecie ivi descritte, compresa la « lavorazione su prodotti semilavorati o su materie prime fornite dalla committente. Alla stregua dei criteri rivenienti dai dati testuali legislativi, emerge la differenza fra il contratto di subappalto — ontologicamente caratterizzato dal coinvolgimento dell'assetto imprenditoriale dell'impresa subappaltatrice nell'attività dell'impresa aggiudicataria dell'appalto — e il contratto di subfornitura, il quale prevede l'inserimento del subfornitore in un determinato livello del processo produttivo, sotto le direttive del fornitore che determinano la dipendenza tecnica del subfornitore quanto a progetto, specifiche e know how di realizzazione della fornitura» (TAR Roma I, n. 1956/2018).

Si è ritenuto che «non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 sollevata dalla Corte d'appello di Venezia in relazione agli artt. 3 e 36 cost., perché tale norma è interpretabile in modo conforme a Costituzione. L'art. 29, comma 2, è applicabile anche in caso di subfornitura: la ratio dell'introduzione della responsabilità solidale del committente – che è quella di evitare che i meccanismi di decentramento produttivo e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale – non giustifica un'esclusione di tale garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento produttivo» (Corte. Cost., n. 254/2017).

Forma e contenuto

L'art. 2, comma 1, dispone che il contratto di subfornitura debba essere stipulato in forma scritta a pena di nullità, precisando, però, che «costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica».

La norma evidentemente mira a stabilire forme minimali di tutela dell'imprenditore subalterno, il quale potrebbe di fatto trovarsi a subire le eccessive pretese della controparte proprio in virtù di un rapporto non formalizzato e basato su meri «comportamenti concludenti», evitando in tal modo la stessa inconoscibilità o dubbiezza delle condizioni che regolano il rapporto oltre che la loro modificabilità da parte del soggetto più «forte» (in primis prezzo, quantità dei beni o servizi, termini di esecuzione).

Al tempo stesso, tuttavia, la norma vuole evitare di ingessare definitivamente il settore dell'integrazione produttiva e della collaborazione – sia pure su di un piano non paritetico di relazioni e peso economico – stabilendo che al fine di rispettare la forma scritta è sufficiente che l'uso del fax e lo scambio di e-mail, oltre che di comunicazioni a mezzo PEC. Proprio per questo la previsione della forma scritta non appare elemento decisivo al fine di individuare nella subfornitura un nuovo ed autonomo contratto, posto che, sempre nella stessa ottica di tutela del contraente «debole», si tratta di una nullità che non toglie che il subfornitore abbia «comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell'esecuzione del contratto» (art. 2, comma 1). Inoltre, allo stesso fine, in caso di proposta scritta del committente il contratto si considera concluso per iscritto anche se il subfornitore si limiti a iniziare le lavorazioni o le forniture senza richiedere modificazioni degli elementi della proposta (v. art. 2, comma 2). Si tratta di una anomala modalità di conclusione del contratto che contempera forma scritta e perfezionamento del contratto mediante l'inizio della sua esecuzione, ai sensi dell'art. 1327 c.c. (ciò di cui si dovrà comunque dare immediata notizia al proponente). Va da sé che, in tal caso, è il contenuto della proposta scritta a disciplinare il rapporto.

Infine, nel caso di contratti a esecuzione continuata o periodica, anche gli ordinativi relativi alle singole forniture devono essere comunicati dal committente al fornitore in una delle suddette forme (art. 2, comma 3), ossia fax, mail o altra comunicazione scritta.

Per quanto riguarda il contenuto del contratto, anche qui a tutela del subfornitore sono previsti dei requisiti tendenzialmente inderogabili, al fine di dare in primo luogo certezza al rapporto. Va così ricordato che ai sensi del comma 5, art. 2 «nel contratto di subfornitura devono essere specificati:

a) i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che consentano l'individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia;

b) il prezzo pattuito;

c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento».

Nella stessa linea di intervento, il comma 4 dispone che «il prezzo dei beni o servizi oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell'interpretazione dell'entità delle reciproche prestazioni e nell'esecuzione del contratto».

La norma non delinea gli effetti derivanti dalla violazione di detta disposizione, non prevedendo al riguardo una nullità, come invece in altri casi di cui subito si dirà. Restano perciò discusse le possibili conseguenze.

L'art. 6, l. n. 192/1998 stabilisce, inoltre, che è nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modificare unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura. Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali che consentono al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura.

È altresì nullo il patto che attribuisce ad una delle parti di un contratto di subfornitura ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso.

Infine, è nullo anche il patto con cui il subfornitore dispone, a favore del committente e senza congruo corrispettivo, di diritti di privativa industriale o intellettuale (art. 6, comma 3).

Specifica regolamentazione è, ancora, dedicata alla tutela dei diritti di privativa industriale. Al riguardo l'art. 7 sembra innanzitutto dedicato ad offrire un certo ambito di tutela per il committente che trasferisca o comunque comunichi il proprio know how al subfornitore, al fine di consentirgli di dare esecuzione al contratto. L'art. 7 della l. n. 192/1998, sancisce infatti che «il committente conserva la proprietà industriale in ordine ai progetti e alle prescrizioni di carattere tecnico da lui comunicati al fornitore e sopporta i rischi ad essi relativi. Il fornitore è tenuto alla riservatezza e risponde della corretta esecuzione di quanto richiesto, sopportando i relativi rischi». L'espressione fornitore, utilizzata dalla norma, viene in genere intesa come sinonimo di subfornitore e, a differenza di quanto si dirà per l'abuso di posizione dominante, tale da non conferire alla disposizione un ambito applicativo generalizzato. La circostanza che la norma parli anche di «prescrizioni di carattere tecnico» si presta, ad avviso dello scrivente, ad una lettura non restrittiva, tale da abbracciare anche il know how e tutte quelle conoscenze e metodiche tecnico-produttive fornite dal committente, purchè non di uso comune o già affermate fra la generalità dei produttori o fornitori di quei beni o servizi, altrimenti la norma finirebbe per ricevere un ambito applicativo eccessivo e tale da paralizzare di fatto la possibilità del subfornitore di accettare altri contratti da parte di imprenditori terzi. Come già detto, invece, il precedente art. 6, comma 3 tutela il versante del subfornitore che nell'ambito dell'attività affidata scopra e divenga titolare di diritti di privativa industriale. In questo caso la norma vuole evitare che la subfornitura espropri di fatto l'imprenditore più debole attraverso pattuizioni che lo obbligano alla cessione verso il committente di invenzioni, brevetti, ecc. a corrispettivo incongruo. La congruità, in assenza di indicazioni normative più precise, dovrà essere accertata in concreto, eventualmente ricorrendo ad una CTU.

Secondo Trib. Bari II, 30 ottobre 2006, ai fini della qualificazione giuridica dei suddetti contratti come subfornitura non è sufficiente il nomen iuris attribuito dalle parti, dovendosi aver riguardo al risultato che le parti intendono perseguire in concreto.

In relazione al rapporto fra forma e diritto al corrispettivo, cfr. Cass. 6 ottobre 2021, n. 27094, secondo cui il contratto di subfornitura, ancorché nullo perché stipulato in assenza di forma scritta, fa insorgere comunque, in capo al subfornitore, ai sensi dell'art. 2, comma 1, della l. n. 192 del 1998, il diritto al pagamento delle prestazioni eseguite; il risarcimento delle spese sostenute, invece, è subordinato alla buona fede nell'esecuzione del contratto.

Divieto di interposizione

L'art. 4 della l. n. 192/1998 prevede che «la fornitura di beni e servizi oggetto del contratto di subfornitura non può, a sua volta, essere ulteriormente affidata in subfornitura senza l'autorizzazione del committente per una quota superiore al 50 per cento del valore della fornitura, salvo che le parti nel contratto non abbiano indicato una misura maggiore. Gli accordi con cui il subfornitore affidi ad altra impresa l'esecuzione delle proprie prestazioni in violazione di quanto stabilito al comma 1 sono nulli».

Vi è qui una evidente distonia con la disciplina prevista per il contratto di appalto, in relazione al quale l'art. 1656 c.c. stabilisce che «l'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente».

In altri termini, mentre nell'appalto il subappalto deve essere espressamente autorizzato dal committente (anche preventivamente), nel caso della subfornitura il prestatore dell'opera o del servizio può sempre – anche in difetto di qualunque autorizzazione – ricorrere ad una ulteriore subfornitura se non supera il 50% del valore della fornitura stessa. Questo perché l'appalto è un rapporto fondato sull'intuitus personae e sull'autonomia organizzativa dell'appaltatore (e quindi non è senza rilievo per il committente che l'appaltatore si rivolga all'opera di terzi invece che provvedere direttamente), mentre nel secondo la caratterizzazione del rapporto in forma di decentramento produttivo e la prevalenza progettual-tecnologica del committente lascia presumere irrilevante per lo stesso un ulteriore decentramento che non coinvolga la maggior parte delle prestazioni. Soltanto in caso di ulteriore subfornitura che riguardi più del 50% del valore dei beni o servizi da fornire allora sarà indispensabile l'autorizzazione del committente.

Da sottolineare, inoltre, come la norma non parli di prezzo ma di valore della fornitura, il che lascia aperta la possibilità (più teorica che pratica) di una non coincidenza delle due grandezze numeriche e di una prevalenza del secondo sul primo (si pensi al caso in cui le parti abbiano previsto uno sconto: il rispetto della percentuale dovrebbe probabilmente effettuarsi sul prezzo pieno e non su quello scontato convenuto per l'occasione dai contraenti).

Ritardo nei pagamenti

Da sempre uno dei fenomeni più insidiosi della posizione di asimmetria esistente nei rapporti riconducibili alla subfornitura industriale è rappresentato dai termini di pagamento. Può infatti accadere che il committente, forte della propria posizione di «dominanza» progettual-tecnologica sul subfornitore, imponga a quest'ultimo dei tempi di pagamento particolarmente dilatati rispetto al momento della consegna dei prodotti o dei servizi richiesti. Tale fenomeno, se applicato «in serie» può trasformarsi in un vantaggio per il committente di particolare evidenza, potendo infatti contare su una sorta di finanziamento indiretto che egli è in grado di imporre ritardando il momento del pagamento ai subfornitori rispetto a quello in cui, a sua volta, riceve dai clienti il pagamento dei prodotti finiti, ottenuti anche grazie all'apporto dei «terzisti». Il fenomeno inoltre, se non contrastato, rischia altresì di produrre inefficienze di mercato e falsare la concorrenza.

Proprio per questo la legge sulla subfornitura n. 192/1998 si è mossa da subito nel senso di riequilibrare anche tale aspetto del rapporto, prevedendo sostanzialmente dei termini massimi e precisi di pagamento, l'applicazione di una penale in caso di ritardo e il decorso automatico di interessi più elevati rispetto a quello ordinari.

L'Unione Europea è poi intervenuta a regolamentare la materia dei termini di pagamento in tutti i tipi di transazione commerciale (e non solo per i contratti di subfornitura) con la Direttiva UE 2000/35 sui termini di pagamento nelle transazioni commerciali. La stessa è stata recepita in Italia con il d.lgs. n. 231/2002 che ha modificato l'art. 3 della legge n. 192/98, nel senso di prevedere anche per i rapporti di subfornitura il medesimo tasso di interesse moratorio previsto per le transazioni commerciali (saggio di interesse della BCE maggiorato di 7 punti). Tale tasso di interesse moratorio legale è stato ulteriormente aumentato, a seguito del d.lgs. n. 192/2012 (di recepimento della nuova Direttiva 2011/7/UE) al tasso medio BCE maggiorato di 8 punti.

A seguito di queste modifiche l'art. 3 prevede, in sintesi:

i prodotti o i servizi resi attraverso la subfornitura vanno pagati entro 60 giorni:

— dalla consegna del bene,

oppure

— dalla comunicazione del subfornitore dell'esecuzione della prestazione.

Può essere fissato un termine più lungo (mai comunque superiore a 90 giorni) in base ad accordi nazionali di settore, od in base ad accordi territoriali conclusi presso le camere di commercio locali.

Gli effetti del mancato pagamento nei termini sono:

— corresponsione di interessi pari al saggio di interesse della BCE maggiorato di 8 punti per le transazioni concluse dall'1 marzo 2013 in avanti; in precedenza, come anticipato, la maggiorazione era di 7 punti;

— corresponsione di una penale fissa pari al 5% dell'importo pagato fuori termine, qualora il ritardo ecceda i trenta giorni, rispetto al termine convenuto;

— corresponsione degli eventuali maggiori danni che il subfornitore dimostri di aver subito;

— il subfornitore può ottenere, in ogni caso, ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva così da poter agire esecutivamente ed incassare coattivamente il prezzo, nonostante l'eventuale opposizione del committente (vi è in questa parte un evidente favore per l'ottenimento in forme più snelle di un titolo esecutivo).

Responsabilità

Sulla scorta di quanto previsto dall'art. 5 della l. n. 192/1998 il subfornitore è responsabile del funzionamento e della qualità della parte o dell'assemblaggio da lui prodotti o del servizio fornito. Tuttavia, tale responsabilità è destinata a venir meno in relazione ai difetti nei materiali o attrezzi forniti dal committente per l'esecuzione della fornitura e tempestivamente segnalati dal subfornitore.

In merito a possibili erronee effettuazioni della fornitura, l'art. 5 prevede anche che «eventuali contestazioni in merito all'esecuzione della subfornitura debbono essere sollevate dal committente entro i termini stabiliti nel contratto che non potranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge».

Questa seconda espressione va evidentemente nel senso di riconfermare il carattere non innovativo ed autonomo del contratto di subfornitura, ma del suo plasmarsi quale statuto protettivo del contraente più debole sulle altre figure negoziali in concreto impiegate dalle parti (vendita ed appalto in primis). Pertanto, a seconda che la prestazione dovuta dal subfornitore si caratterizzi nel senso del dare/consegnare piuttosto che della realizzazione di un'opera o servizio, troveranno applicazione i termini per la denuncia di 8 gg. in materia di vendita o di 60 gg. in tema di appalto.

Deve inoltre ritenersi che, coerentemente, il regime di responsabilità disegnato in termini particolarmente succinti dal citato art. 5 non escluda l'applicazione di altre discipline normative, come quella relativa alla figura contrattuale rinvenibile in concreto (ad es. responsabilità del venditore o dell'appaltatore), ovvero ancora sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso.

Conciliazione e arbitrato

La legge 192/98 ha introdotto, all'art. 10, un particolare meccanismo di risoluzione delle controversie tra subfornitore e committente.

Dopo la scadenza del termine per le contestazioni del committente sull'esecuzione della subfornitura si apre una fase obbligatoria di conciliazione presso la Camera di commercio nel cui territorio ha sede il subfornitore. Il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 10 è presupposto processuale dei giudizi relativi alle domande nascenti da tale contratto, con la conseguenza che il suo mancato esperimento è causa di improponibilità dell'azione. Si ritiene che tale conciliazione non debba invece precedere le richieste di carattere cautelare.

In caso di esito negativo di tale obbligatorio tentativo di conciliazione è prevista, in questo caso come semplice facoltà, purché richiesta da entrambi i contraenti, la possibilità di rimettere la controversia alla Commissione arbitrale istituita presso la Camera di Commercio, instaurando così un vero e proprio arbitrato. Di fatto, la procedura arbitrale potrà essere iniziata o in base ad una clausola compromissoria contenuta nel contratto di subfornitura, oppure mediante un accordo successivo alla stipulazione del contratto o all'insorgere della controversia. La presenza di una clausola compromissoria potrebbe tuttavia indebolire la posizione del subfornitore che, a seguito dell'inadempimento del committente alla sua obbligazione di pagare il prezzo, intenda agire con un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Infatti, la clausola compromissoria o arbitrale, seppur non operativa in sede di emissione del decreto ingiuntivo, potrebbe essere fatta valere dal committente nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo, richiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione e successivo provvedimento di annullamento del decreto ingiuntivo, con conseguente pronuncia di incompetenza od improcedibilità del giudizio ed annullamento del provvedimento monitorio.

Si è posto perciò la questione se il tentativo di conciliazione previsto dal citato art. 10 debba applicarsi anche alla procedura di ricorso per ingiunzione, ovvero se la struttura di quest'ultimo renda la prima incompatibile, con prevalenza per questa seconda posizione.

Ancora, si deve ritenere che il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal citato art. 10 sia sopravvissuto pur dopo l'approvazione del d.lgs. n. 28/2010, che ha inserito nel nostro ordinamento un generalizzato obbligo di mediazione quale condizione di procedibilità in alcune materie invi elencate. Infatti, l'art. 23, comma 2 afferma che «restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati». Tale norma, che prevedeva anche la conservazione di procedimenti conciliativi obbligatori in materia di lavoro (poi abrogati), afferma esplicitamente che «i procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto», così sancendo non solo la sopravvivenza del tentativo di conciliazione presso la Camera di Commercio in tema di subfornitura, ma il suo carattere sostitutivo rispetto alla mediazione ex novo introdotta, che non dovrà conseguentemente essere ripetuta in caso di fallimento del primo tentativo di conciliazione.

Il Trib. Monza 6 marzo 2004 ha precisato che il tentativo di conciliazione in questione è incompatibile con il rito della verifica dello stato passivo fallimentare.

Di fronte alle incertezze di dottrina e giurisprudenza di merito sul tema dell'applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione al ricorso monitorio, si è dovuto attendere Corte cost. n. 163/2004, affinché fosse dichiarata manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4, l. n. 192/1998, nella parte in cui non prevede che il subfornitore, il quale intenda avvalersi del procedimento per ingiunzione di cui agli artt. 633 ss. c.p.c., debba preventivamente esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 10 stessa legge. Secondo tale provvedimento, più in particolare, la lettura della norma che non sottopone al tentativo di conciliazione anche le procedure monitorie in tema di subfornitura non contrasta con l'art. 3 Cost., poiché non vi è una disparità di trattamento tra due situazioni (l'esercizio dell'azione in via ordinaria e quello in via monitoria) che fanno capo allo stesso soggetto e ciò in quanto tali due situazioni riguardano due distinte forme di tutela giurisdizionale sperimentabili dal titolare secondo una sua libera scelta, onde non si vede come possa parlarsi di disparità. Né l'art. 3 Cost. è violato per difetto di ragionevolezza in quanto si deve tenere conto, per la Corte, sia della discrezionalità legislativa nel configurare le discipline processuali, sia del fatto che il legislatore, apprestando una tutela particolarmente intensa ai crediti dei subfornitori, con la previsione dell'ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva, mostra all'evidenza di risolvere non irragionevolmente in favore di una sollecita realizzazione delle pretese di tali soggetti (alla quale è funzionale il processo monitorio) la valutazione di bilanciamento con l'esigenza di apprestare uno strumento di composizione transattiva delle relative controversie.

Più recentemente la Cass. II, n. 20975/2017 ha affermato che le controversie relative ad un contratto di subfornitura, ancorché stipulato anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 192/1998, sono sottoposte al tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell'articolo 10 della legge medesima; infatti, dal carattere processuale della norma, in mancanza di una diversa disposizione di diritto transitorio, discende dunque la diretta applicabilità della stessa alle controversie che discendono dall'esecuzione di un contratto riconducibile alla subfornitura, insorte successivamente alla data di entrata in vigore della legge, pure se il contratto sia stato stipulato anteriormente a tale data, secondo i principi generali in materia di norma processuale, attesa la regola della immediata applicazione in materia processuale della norma sopravvenuta, che interessa ogni atto processuale isolatamente considerato.

Abuso di dipendenza economica

L'art. 9 della l. n. 192/1998, come anticipato, vieta infine l'abuso di dipendenza economica al quale può trovarsi esposta una impresa cliente o fornitrice. Tale disposizione, prima della modifica del 2001, disponeva che «è vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo».

Nel 2001 il Legislatore è intervenuto, introducendo il co. 3-bis secondo il quale: «ferma restando l'eventuale applicazione dell'art. 3 della l. n. 287/1990, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della l. n. 287/1990, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso»; inoltre si è inserita la precisazione che in caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica.

Nel medesimo tempo è stato anche aggiunto, al comma 3 dell'art. 9, il seguente periodo: «il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni», così sciogliendo ogni (residuo) dubbio sull'ampiezza degli strumenti di tutela invocabili dal subfornitore «abusato».

La dottrina assolutamente prevalente, facendo leva sia sul dato letterale dell'art. 9 (che utilizza la parola «cliente» anziché committente), sia sui lavori preparatori, che sul dato sistematico e comparatistico, ritiene condivisibilmente che la disciplina sul divieto di abuso possa essere applicata anche a rapporti diversi.

A seguito delle modifiche operate dalla l. n. 57/2001, che ha previsto la possibilità per chi abbia subito l'abuso di agire davanti all'Autorità giudiziaria ordinaria non solo per il risarcimento del danno (cosa che era possibile anche in passato) ma anche per l'inibitoria, pare superata ogni incertezza in ordine alla tipologia di pronunce giudiziarie adottabili in questo ambito.

La S.C., superando le precedenti incertezze della giurisprudenza di merito, ha affermato che «l'abuso di dipendenza economica di cui all'art. 9 della l. n. 192/1998 configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere dall'esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un'impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l'abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi, considerato anzitutto il dato letterale della norma, ove si parla di imprese clienti o fornitrici, con uso del termine cliente che non è presente altrove nel testo della l. n. 192/1998» (Cass. S.U., n. 24906/2011). Su tale linea, il Trib. Milano 6 dicembre 2017 ha affermato la sussistenza della responsabilità contrattuale dell'impresa «dominante» che, nell'ambito di un rapporto negoziale con altra soggetto imprenditoriale, fa abuso della posizione di dipendenza economica di questa, secondo le modalità di cui alla l. n. 192/1998, arrecando ad essa un danno patrimonialmente rilevante.

Sempre in ordine alla delimitazione della fattispecie, Trib. Lecce 12 settembre 2018 ha ritenuto che “parlare di “dipendenza economica” non può che implicare l'assenza di reali alternative per la fornitrice, costretta non solo a subire le condizioni contrattuali inique, ma anche ad operare con il cliente forte, in mancanza di altri. Tuttavia la mera imposizione di condizioni contrattuali non equilibrate non implica una dipendenza: se il fornitore può scegliere di operare con terzi, può di fatto sottrarsi alle condizioni contrattuali inique e, dunque, non ha una vera e propria dipendenza”.

Per Trib. Bari 6 maggio 2002 in questo ambito è possibile l'ordine giudiziario di un facere infungibile: posto che il rifiuto arbitrario di vendere la merce commissionata integra nella specie «gli estremi dell'abuso di dipendenza economica in danno del rivenditore al dettaglio che intratteneva un consolidato rapporto commerciale con il produttore di capi di abbigliamento di alta moda, anche considerato che il rifiuto era stato formalizzato quando ormai non era più possibile reperire in tempo utile sul mercato una valida alternativa e rilevato che l'immagine del rivenditore rischiava di essere compromessa dall'indisponibilità di quei capi di vestiario», può essere «ordinato al fornitore di consegnare immediatamente la merce richiesta, alle condizioni previste nel modulo, predisposto dal fornitore stesso e sottoscritto dal cliente, contenente la proposta di acquisto».

Per quanto invece concerne l'azione risarcitoria ed il profilo relativo alla sua legittimazione attiva, si deve precisare che nell'abuso di dipendenza economica, pure applicabile anche a rapporti diversi dalla subfornitura, l'azione di responsabilità compete alla società e non anche al singolo socio (così Trib. Bologna, 14 aprile 2006, con riferimento al socio che ritenga di aver subito, per effetto del comportamento abusivo ex art. 9 l. n. 192/1998 operato nei confronti della società di cui è parte, un danno concretatosi nella diminuzione di valore della propria quota di partecipazione sociale, nonché nell'essere stato escusso dagli istituti bancari quale fideiussore per debiti della società ed aver patito ripercussioni sulla propria attività professionale).

Più recentemente, Trib. Vicenza, 5 luglio 2021 ha osservato che  l'abuso di dipendenza economica nell'ambito del contratto di fornitura si configura in presenza dei seguenti requisiti: 1) la sussistenza della situazione di "dipendenza economica", per cui non sarà sufficiente la mera sussistenza di un'asimmetria di diritti e di obblighi tra le parti, ma bisognerà altresì indagare se tale squilibrio sia eccessivo; 2) quanto all'abuso, sarà necessario accertare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante.

Profili fiscali

L'art. 13-ter del d.l. n. 83/2012 ha riformulato la disciplina della responsabilità fiscale nei contratti di appalto, stabilendo, da un lato, la solidarietà dell'appaltatore con il subappaltatore per il mancato versamento dell'IVA e delle ritenute afferenti le prestazioni eseguite e, dall'altro, la sanzionabilità (con un minimo di 5.000 euro) in capo al committente nell'ipotesi di mancato versamento da parte dei soggetti componenti la «filiera» contrattuale.

Dopo un primo intervento chiarificatore, avvenuto con la Circolare n. 40/2012, l'Agenzia è tornata sulla questione con la successiva Circolare n. 2/2013, in cui, tra i numerosi aspetti affrontati, ha precisato l'ambito oggettivo di applicazione della responsabilità fiscale in esame, che deve ritenersi «limitata» ai contratti di appalto (e relativi subappalti) in generale (art. 1655 c.c.), e non solo per quelli relativi al settore edile. La stessa Agenzia delle Entrate con tale documento ha ritenuto siano esclusi dal campo di applicazione della responsabilità solidale tutti quei contratti diversi dal contratto di appalto di opere e servizi, tra i quali vi rientrano i contratti di subfornitura conclusi per iscritto, di cui alla l. n. 192/1998.

Come già si è evidenziato, la recente Corte. Cost. n. 254/2017 ha ritenuto applicabile alla subfornitura la responsabilità solidale prevista dalla Legge Biagi (art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, che prevede la responsabilità solidale in capo all'appaltante per i contributi e le retribuzioni dovuti ai dipendenti dell'appaltatore).

L'articolo 74, comma 5 del d.P.R. n. 633/1972, come modificato dall'art. 8 della l. n. 192/1998, prevede un particolare sistema di liquidazione dell'imposta sul valore aggiunto, denominato «regime IVA della subfornitura». Tale regime offre la possibilità di versare l'Iva a debito relativa alle operazioni di subfornitura con cadenza trimestrale e senza applicazione di interessi. L'Amministrazione finanziaria con la Circolare n. 45/1999 ha fornito i chiarimenti indispensabili per la corretta applicazione del regime, precisando che devono sussistere specifici requisiti relativi ai soggetti che intervengono nell'operazione (che devono essere entrambi imprenditori); al contenuto del contratto; alla forma (necessariamente scritta) del contratto; alla tempistica nei pagamenti.

Bibliografia

Alpa, Clarizia, La subfornitura. Commento alla legge 18 giugno 1998 n. 192, Milano, 1999; Berti, Grazzini, La disciplina della subfornitura nelle attività produttive, Milano, 2005; Colangelo, L'ambito di applicazione dell'abuso di dipendenza economica: il caso logista Italia, in Danno e Resp. 2010, 12, 1175; De Nova, La subfornitura, Milano, 1998; Ieva, Appalto, subfornitura e solidarietà negli oneri previdenziali, in Lavoro nella Giur. 2016, 12, 1070; Maugeri, Subfornitura, in treccani.it; Musso, La subfornitura, in Comm. S.B., Bologna, 2003; Pisapia, Contratti squilibrati tra imprese e abuso di dipendenza economica: il c.d. «terzo contratto, in Contratti, 2018, 4, 424; Ruvolo, Questioni giurisprudenziali in tema di subfornitura industriale ed abuso di dipendenza economica, in Corr. Giur. 2010, 5, 599; Zuccaro, La forma del contratto di subfornitura tra finalità di protezione ed esigenze di correttezza, in Riv. dir. priv. 2012, 409.

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