Legge - 21/02/1991 - n. 52 art. 4 - Garanzia di solvenza.Garanzia di solvenza. 1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia. InquadramentoIl factoring è un contratto di derivazione anglosassone che ha fatto la sua apparizione in Italia nei primi anni Sessanta del secolo scorso, per l'intervento di alcune società statunitensi e che si è poi diffuso progressivamente, a partire dai successivi anni Settanta, anche tra le società nazionali di emanazione bancaria (Clarizia, 1998, 1667 ss.). Il modello contrattuale del factoring si è affermato nella prassi e secondo gli usi commerciali come un'operazione complessa per cui un soggetto (factor) si obbliga ad acquistare la totalità (o parte) dei crediti dei quali un altro soggetto (cedente o fornitore), di norma un imprenditore, sia o diventi titolare in un determinato arco di tempo, rinnovabile mediante preavviso, con assunzione (pro soluto) o meno (pro solvendo) del rischio dell'inadempimento dei debitori; a fronte di ciò il factor avrà diritto ad un compenso per l'attività di gestione e collaborazione nonché per gli eventuali rischi assunti. Questo contratto non trova una propria disciplina all'interno del codice civile, nel quale peraltro è regolato il contratto di cessione dei crediti che assume una fondamentale funzione strumentale per la realizzazione della fattispecie in esame; alcune norme sul factoring sono state introdotte mediante un intervento di legislazione speciale, con la l. n. 52/1991, recante la disciplina della cessione dei crediti di impresa (Toniato, 930 ss.). Il factoring è stato definito come quel contratto con il quale un operatore economico professionale trasferisce o si impegna a trasferire, a titolo oneroso, ad un altro operatore economico professionale (factor), tutti o una parte dei crediti già sorti o che sorgeranno dalla sua attività; quest'ultimo, a sua volta, con eventuale riserva di preventivo vaglio e rifiuto dei crediti proposti, si impegna ad anticipare in tutto o in parte l'importo dei crediti ceduti nonché a provvedere alla gestione dei medesimi inclusa la fase del relativo incasso; il trasferimento dei crediti può essere con assunzione o meno, in tutto o in parte, del rischio dell'insolvenza del debitore ceduto. Da ciò, come è stato osservato, si desumono le tre funzioni principali che il contratto di factoring può assolvere, cioè finanziamento, gestione degli incassi e assicurazione (Rivolta, 709 ss.). In giurisprudenza, Cass. I, n. 684/2001 ha evidenziato che il contratto di factoring, pur potendo presentare nella prassi una serie di varianti e di clausole differenziate in relazione a particolari esigenze delle parti, presenta un nucleo fondamentale costituito da una convenzione complessa mediante la quale il factor si obbliga ad acquistare la totalità dei crediti di cui un imprenditore è titolare, o lo diventerà in un secondo momento; di regola si prevede poi la facoltà per l'imprenditore cedente di ottenere delle anticipazioni dal factor, con evidente funzione di finanziamento, il quale a sua volta si impegna a prestare altri servizi come di informazione, collaborazione, consulenza, ecc.; per l'attività prestata il factor avrà diritto ad un compenso variabile in ragione delle possibili articolazioni dell'operazione e del rischio assunto. In termini analoghi, Cass. I, n. 4654/2000 ha affermato che il factoring si realizza mediante una convenzione complessa nella quale confluiscono elementi di finanziamento, di trasferimento dei crediti nonché di gestione della totalità dei crediti, con una prevalenza funzionale dei primi due. In questo quadro, in considerazione delle peculiarità che contraddistinguono l'operazione di factoring, è intervenuto il legislatore con la l. n. 52/1991 mediante la quale si sono disciplinati alcuni profili particolari della cessione dei crediti di impresa, in presenza di determinati presupposti e senza tuttavia offrire una definizione o un inquadramento generale dell'istituto. Come è stato evidenziato in dottrina, la l. n. 52/1991 non deve essere letta come un provvedimento sul factoring in sé, quanto piuttosto un intervento sul momento traslativo del credito, con particolare attenzione a quei profili che la prassi avvertiva come scarsamente adeguati alla struttura di quest'ultima, come per la cessione che costituisce lo strumento funzionale alla realizzazione dell'operazione di factoring: così si è intervenuti con disposizioni ad hoc sui presupposti della cessione dei crediti futuri, sulla disciplina in caso di fallimento, in tema di opponibilità della cessione e fissando dei requisiti soggettivi per l'esercizio dell'attività del factor (Alessi, 1097 ss.). A completamento del quadro della normativa sul factoring, poi, si è da più parti richiamata l'importanza della disciplina generale in tema di trasparenza bancaria, con particolare riferimento alle disposizioni contenute nel titolo VI del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B.) — da leggersi poi unitamente alle disposizioni sulla «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti» della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 e ss.mm. — che impattano in misura rilevante sulla regolamentazione del contratto (R. Clarizia, 2011, 1667 ss.). In questo senso, la recente ordinanza Cass. I, n. 2510/2018 ha precisato che quando il contratto di factoring è stipulato da una banca, esso rientra nell'ambito delle connesse attività finanziare e pertanto rileva la disciplina sulla trasparenza bancaria di cui agli articoli 117 ss. T.U.B. (sul punto si veda De Poli, 875 ss.). Merita infine accennare alla disciplina del factoring internazionale, introdotta con la l. n. 260/1993, di ratifica ed esecuzione della Convenzione UNIDROIT approvata ad Ottawa il 28 maggio 1988. Come precisato all'art. 1, questa trova applicazione quando i crediti ceduti derivano da un contratto di vendita di merci tra un fornitore ed un debitore che abbiano la loro sede d'affari in Stati contraenti diversi, a condizione che pure il cessionario abbia la propria sede di affari in uno Stato contraente e che il contratto di vendita di merci e quello di factoring siano disciplinati dalla legge di uno Stato contraente. L'Istituto Internazionale per l'Unificazione del Diritto Privato (UNIDROIT), con la Convenzione di Ottawa del 1988 ha cercato di dare una disciplina uniforme al contratto di factoring e benché sia prevista una definizione di questo negozio, cosa di particolare importanza, non sono stati regolati tutti gli aspetti di questa particolare operazione, come la questione dell'efficacia della cessione a terzi e quella della validità del contratto (Ferrari, 195 ss.). A questo proposito occorre comunque rilevare, come fu già osservato in merito alla Convenzione, che la disciplina sul factoring internazionale è stata fortemente influenzata dal diritto e dalla prassi dei paesi di common law (Frignani, 4). Il contratto di factoring e la tipizzazione relativa nella l. n. 52/1991Come osservato nel paragrafo precedente, il contratto di factoring costituisce un'operazione complessa, attraverso cui si possono perseguire più finalità e rispetto alla quale il contratto di cessione del credito assume un ruolo di tipo strumentale. Quanto all'adozione della l. n. 51/1992 si è osservato che per agevolare e snellire le operazioni di factoring è stato necessario intervenire sui profili della cessione dei crediti, poiché nel nostro ordinamento, a differenza che in altri, non è possibile fare ricorso a strumenti diversi per la realizzazione del peculiare meccanismo che caratterizza il factoring; ma quest'ultimo diverge dalla cessione che rispetto al primo si pone in un rapporto di mezzo a fine. Benché la l. n. 51/1992 sia stata pensata proprio per il factoring, intervenendo soltanto su alcuni profili della cessione dei crediti, che è strumento di realizzazione del primo, tale complesso normativo potrà trovare applicazione anche in operazioni di mobilizzazione dei crediti diverse, purché ne ricorrano i relativi presupposti (Alessi, 1097 ss.). Cass. I, n. 21603/2012, ha affermato che il nucleo essenziale del contrato di factoring è costituito dall'obbligo assunto da un imprenditore (fornitore o cedente) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità di crediti derivati o derivandi dall'esercizio della sua attività di impresa, mediante lo strumento formale della cessione dei crediti; in termini analoghi, Cass. III, n. 2746/2007, ha precisato che la l. n. 52/1991 sulla cessione dei crediti non ha inciso sulla natura del contratto di factoring, rispetto al quale la cessione dei crediti rappresenta lo strumento formale per la sua realizzazione (ex plurimis, v. anche Cass. n. 17116/2004 e Cass. n. 10004/2003). Le peculiarità e le molteplici funzioni del contratto di factoring hanno fatto discutere gli interpreti circa la sua natura, tra chi lo ha qualificato come contratto preliminare unilaterale, chi lo ha ricondotto al contratto normativo, ecc. Si tratta evidentemente di un'operazione complessa, che per di più muta a seconda delle circostanze del caso concreto, delle finalità che le parti hanno inteso perseguire, con la possibilità anche di una diversa articolazione causale. L'indagine sulla natura del contratto di factoring ha appassionato gli interpreti che ne hanno evidenziato le somiglianze e le differenze con figure affini, quali lo sconto, l'assicurazione del credito, il mandato, ecc. Stante la mancanza di una tipizzazione legislativa, si sono indagate attentamente le molteplici funzioni veicolate attraverso questa particolare operazione, che sono miste, tra liquidità, garanzia, collaborazione gestionale, ecc. In dottrina tale figura è stata ricondotta, tra le altre, al contratto normativo bilaterale individuale e pure al contratto preliminare (Frignani, 4; per un approfondimento sulla situazione precedente l'intervento normativo del 1991 cfr. anche De Nova, 353 ss.). Dopo l'adozione della legge n. 52/1991, benché questa sia intervenuta soltanto su alcuni profili della cessione, alcuni autori ne hanno rilevato un impatto sull'individuazione della fattispecie in esame, nel senso che con tale intervento normativo si sarebbe tipizzato un contratto sui generis dove assumono un ruolo qualificante i requisiti soggettivi delle parti e una particolare declinazione causale sul piano oggettivo in cui riveste un ruolo preminente l'aspetto finanziario. Ma pure a seguito dell'adozione della l. n. 52/1991 la dottrina ha continuato a dibattere sulla natura del factoring e alcuni interpreti ne hanno continuato a sostenere l'atipicità (Clarizia, 57 ss.; per una disamina degli orientamenti dottrinali in argomento si veda anche Finelli, 162 ss.). È incerta l'individuazione della causa del contratto di factoring, poiché tale operazione assolve ad una variegata serie di funzioni economiche che possono mutare nella singola operazione concreta. La previsione di anticipazioni sui crediti ceduti connota l'operazione quale misura di finanziamento, mentre si palesa una funzione di tipo assicurativo nei casi in cui il factor assuma il rischio di insolvenza del debitore; di frequente, poi, quest'ultimo svolge attività di contabilità e consulenza riconducibili ad una funzione di organizzazione dell'impresa (Toniato, 932 ss.). Cass. III, n. 1004/2003, ha evidenziato che anche dopo l'emanazione della l. n. 52/1991 sulla cessione dei crediti di impresa il factoring è rimasto un contratto atipico, il cui elemento costante consiste nella gestione dei crediti di un'impresa realizzata con lo strumento formale della cessione del credito, cui si aggiungono le possibili varianti del finanziamento, con o senza assunzione del rischio dell'insolvenza del debitore. Poiché la qualificazione del contratto dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico-economici, sarà l'intento negoziale delle parti a palesare la causa del negozio, se hanno optato per quella ‘vendendi', per quella ‘mandati' o per altre ancora. Il legislatore italiano, poi, data la rilevanza assunta dal fenomeno, è intervenuto con un provvedimento, la l. n. 52/1991, con cui non si è dettata una disciplina complessiva del factoring, quanto piuttosto alcune regole particolari in merito a taluni profili della cessione, per consentire di rendere più agevole ricorrere a questo tipo di operazione che presentava alcuni problemi di inquadramento all'interno della disciplina codicistica. Da un punto di vista generale, come già anticipato, parte della dottrina ha sottolineato che con la l. n. 52/1991 non è stata posta in essere una tipizzazione del contratto di factoring, né si è offerta una definizione o un'individuazione di massima di tale complessa operazione. Proprio in un recente arresto di legittimità la Cass. I, ordinanza n. 16850/2017, ha affermato che il factoring è un contratto atipico complesso il cui nucleo fondamentale è costituito da un accordo tra un'impresa specializzata (factor) e un imprenditore, in forza del quale la prima si obbliga ad acquistare (pro soluto o pro solvendo), per un periodo di tempo determinato e rinnovabile salvo preavviso, la totalità o una parte di crediti di cui il secondo è titolare o diventerà titolare. Il factor paga all'imprenditore l'importo dei crediti ceduti secondo il loro valore nominale, al netto di una commissione che costituisce il corrispettivo dell'attività da esso prestata, oppure gli concede delle anticipazioni sui crediti ceduti e in tal caso spetteranno al factor, oltre alla commissione, anche gli interessi su quanto versato in anticipo. Ancora, Cass. III, n. 10004/2003, ha precisato che pure dopo l'entrata in vigore della l. n. 52/1991 sulla cessione dei crediti di impresa il contratto di factoring è rimasto un contratto atipico. Considerato che la legislazione speciale non è capace di abbracciare tutte le ipotesi astrattamente ascrivibili al factoring e individua piuttosto delle regole particolari soltanto per alcune di esse, merita accoglimento la tesi maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza della sostanziale atipicità del contratto di factoring anche dopo l'entrata in vigore della disciplina della cessione dei crediti di impresa, contratto che invece riveste una sicura tipizzazione sociale (Toniato, 930 ss.). In dottrina si è rilevato che la l. n. 52/1991 non disciplina l'operazione di factoring nel suo complesso, ma si limita ad introdurre norme particolari in merito a fattispecie di cessione caratterizzate da requisiti dell'oggetto e delle parti; è pur vero che tali requisisti si riscontrano spesso nel factoring ma, da un lato, non occorre la presenza di tutti questi elementi affinché possa dirsi integrata la fattispecie a tipicità sociale di questo contratto e, dall'altro lato, non è detto che la presenza di tutti gli elementi normativamente individuati possa essere sempre sufficiente per qualificare una determinata cessione di crediti come factoring (Rivolta, 709 ss.). Poiché manca, per le ragioni evidenziate, una sovrapposizione tra factoring e l. n. 52/1991, per l'individuazione della disciplina applicabile, di volta in volta si dovranno considerare tutti gli elementi della fattispecie concreta e, se del caso, applicare altre norme, come quelle di matrice codicistica, a partire dalla disciplina sulla cessione dei crediti. Le norme introdotte con la l. n. 52/1991 costituiscono un indice normativo importante per la ricostruzione della disciplina applicabile al contratto di factoring ma, stante l'atipicità di questo, si dovranno prendere in considerazione anche altre fonti concorrenti, a partire proprio dalla disciplina codicistica sulla cessione dei crediti nonché altre norme generali eventualmente applicabili; a questo proposito, poi, si è posto il problema della qualificazione del debitore ceduto come consumatore e delle eventuali conseguenze normative di ciò (Toniato, 930 ss.). Le norme della l. n. 52/1991, in particolare, individuati determinati presupposti soggettivi e oggettivi per la loro applicazione, sono intervenute in punto cessione di crediti di futuri e di crediti di massa, di prestazione della garanzia per l'inadempimento del debitore, sull'efficacia della cessione nei confronti dei terzi e in tema di fallimento. Caratteristica della disciplina di cui alla l. n. 52/1991 è la sua tendenziale inderogabilità che, dunque, si contrappone al carattere tendenzialmente derogabile che invece presenta la disciplina sul factoring internazionale (Toniato, 930 ss.). L'ambito di applicazione della l. n. 52/1991Appare opportuno innanzitutto individuare il particolare campo d'applicazione della disciplina speciale delineata dalla l. n. 52/1991, così come fissato all'articolo 1. Ai fini dell'applicazione della normativa in discorso è necessario che si tratti di cessione di crediti pecuniari onerosa, ‘verso corrispettivo'. Si richiede poi che il soggetto cedente sia un imprenditore, i crediti ceduti derivino da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio della propria attività di impresa e che il cessionario sia una banca o un intermediario finanziario di cui al T.U.B. avente per oggetto sociale anche l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti di impresa; il cessionario, inoltre, può anche essere una società di capitali esercente l'attività di acquisto di crediti di soggetti, non intermediari finanziari, che fanno parte del gruppo di appartenenza e vantati verso terzi oppure di crediti di terzi vantati nei confronti di soggetti del gruppo di appartenenza. Nel caso in cui non ricorrano i predetti presupposti, il secondo comma dell'art. 1 fa salva l'applicazione delle norme del codice civile sulle cessioni di credito. Sull'individuazione del campo applicativo della l. n. 52/1991 si sono appuntate subito alcune perplessità della dottrina, che ne ha sottolineato una certa genericità nella misura in cui non consentirebbe un'adeguata sovrapposizione con quella particolare fattispecie sociale che si voleva disciplinare, il factoring, considerato che i presupposti individuati dall'art. 1 ben potrebbero attagliarsi anche ad uno sconto bancario, mentre non è detto che tutte le ipotesi factoring possano rientrare nelle maglie della norma (sulla portata della l. n. 52/1991 v. anche supra). La norma richiede che si tratti innanzitutto di una cessione a titolo oneroso, di crediti pecuniari nascenti da contratti conclusi dal cedente nello svolgimento di un'attività di impresa; il cedente deve essere un imprenditore, requisito peraltro implicito nella prima perimetrazione del campo applicativo evidenziata e il cessionario deve essere una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal testo unico in materia bancaria avente come oggetto sociale anche l'esercizio dell'attività di acquisto di crediti di impresa (Cian, 247 ss.). Come pure è stato messo in luce, la regolamentazione speciale non si pone come alternativa rispetto a quella del codice civile ma piuttosto in affiancamento: il legislatore, di fronte ad una realtà economica in corso di evoluzione, ha preferito non introdurre una disciplina su questo istituto che si ponesse come esclusiva. L'art. 1 della l. n. 52/1991 individua il campo applicativo della legge riferendosi, sul piano oggettivo, ad una cessione di crediti pecuniari, derivanti da contratti conclusi dal cedente nello svolgimento della sua attività di impresa; sul piano soggettivo si richiede che la cessione avvenga tra due imprenditori e che il cessionario, in particolare, sia dotato di determinate caratteristiche, dovendo essere una società oppure (nella versione originaria) un ente pubblico o privato con personalità giuridica che abbia nel proprio oggetto sociale anche l'acquisto di crediti di impresa. Se sussistono le condizioni richieste troveranno applicazione le norme previste dalla legislazione speciale, eccettuati i casi per i quali si rinvia espressamente alla disciplina codicistica (ad es. art. 5), diversamente la fattispecie concreta sarà regolata secondo quanto previsto nel codice civile. L'art. 1, nella mente dei presentatori del disegno di legge originario, è stato considerato come il prezzo da pagare per poter fruire delle norme di privilegio sulla opponibilità della cessione e in merito alla revocatoria fallimentare (Frignani, 540 ss.). Si considerò ‘bizzarro' l'allargamento della platea dei possibili cessionari anche egli enti pubblici o privati aventi personalità giuridica, data la sovrabbondanza delle espressioni utilizzate (Patroni Griffi, 61 ss). La natura dei crediti cedibiliPer quanto attiene ai crediti cedibili, come in parte anticipato nel paragrafo precedente, l'art. 1 della l. n. 52/1991 richiede che si tratti di crediti pecuniari derivanti da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'attività di impresa. Come è stato osservato, il riferimento normativo ai ‘crediti pecuniari' consente di escludere dall'ambito di applicazione della disciplina speciale le cessioni non aventi ad oggetto una somma di denaro. La cessione regolata dalla l. n. 52/1991 è inoltre delimitata in considerazione della fonte del credito, dovendosi trattare di crediti pecuniari sorti da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa, restando così escluse, ad esempio, le cessioni relative a crediti per risarcimento danni. Si sono poi prospettati alcuni possibili interrogativi sulla riconducibilità di certi contratti all'esercizio dell'impresa, come potrebbe essere per quei negozi stipulati per smobilizzare le scorte o per esitare gli strumenti aziendali obsoleti (Bussani, 108 ss.). Interviene poi l'art. 3 a consentire, a certe condizioni, la cessione di crediti in massa e di crediti futuri. In via generale, il primo comma consente la cessione di crediti futuri, cioè anche prima che siano stati conclusi i contratti dai quali essi sorgeranno. I successivi commi secondo, terzo e quarto disciplinano poi la cessione di crediti in massa ammettendola in via generale, sia per crediti esistenti che per crediti futuri, ma richiedendo l'indicazione del debitore ceduto e, qualora si tratti di crediti ancora non esistenti, che i contratti dai quali sorgeranno siano conclusi entro un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. In dottrina si è rilevato che, a dispetto della formulazione letterale della norma, il legislatore speciale non ha introdotto una regola generale che consente sempre la cedibilità dei crediti futuri a prescindere dall'esistenza della sua fonte, poiché una tale ricostruzione contrasterebbe con la necessità dell'esistenza di un oggetto quantomeno determinabile; ciò ancor meno se si considera che questo varrebbe soltanto per la cessione di crediti singoli poiché per le cessioni di massa sono fissati dei requisiti per la loro cessione. Si è ritenuto allora che il precetto contenuto nel primo comma dell'art. 3 abbia voluto soltanto avallare una regola che già si era formata in giurisprudenza, benché isolata e minoritaria, circa l'astratta cedibilità dei crediti futuri, salva pur sempre la necessità che il relativo oggetto sia determinato o quantomeno determinabile, dovendo a tal fine prendere in considerazione le prescrizioni dettate per i crediti in massa (Modica, La cedibilità dei crediti futuri, 2008, 1106 ss.). In tal senso si è sottolineato che, da un punto di vista strettamente letterale, la sequenza dei commi dell'art. 3 l. n. 52/1991 potrebbe far ritenere sussistente la condizione dei ventiquattro mesi soltanto per la cessione di massa dei crediti futuri e non per le singole cessioni; in questo modo, peraltro, si riproporrebbe il problema della indeterminatezza dell'oggetto che il legislatore aveva voluto risolvere. Pertanto, secondo un'interpretazione logico-sistematica, i requisiti della indicazione del debitore ceduto e del limite temporale devono ritenersi necessari per le cessioni di crediti futuri sia in massa che singole (Clarizia, 2011, 1689 ss.). Circa la determinabilità dell'oggetto, Cass. I, n. 3829/2013 ha rilevato che nei contratti di factoring caratterizzati da una cessione di crediti di impresa per i quali trova applicazione l'art. 3 della l. n. 52/1991, la cessione in massa si considera ad oggetto determinato anche quando riguardi crediti futuri nascenti da un contratto ancora non concluso, purché la stipula avvenga entro un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. La l. n. 52/1991 deroga alla soluzione tradizionale e consente la cessione di crediti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali essi sorgeranno, e ciò anche per la cessione in massa, purché siano indicati i debitori ceduti. Questa norma ha posto peraltro alcuni problemi applicativi: ad esempio, poiché il limite di ventiquattro mesi di cui al terzo comma concerne la conclusione dei contratti dai quali sorgeranno i crediti e non alla nascita di questi ultimi, ci si è chiesti se esso decorra dalla conclusione del contratto di factoring ovvero dalle singole cessioni: per ragioni interpretative e di semplificazione è apparsa preferibile quest'ultima ricostruzione. Si è posto poi il problema delle conseguenze del superamento di questo limite temporale, tra chi ha ritenuto di ravvisare un'ipotesi di invalidità con sostituzione ex art. 1419 c.c. e chi invece ha ricondotto la questione al profilo della opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 5 l. n. 52/1991 (Bussani, 109 ss.). Cass. III, n. 19341/2017 ha specificato che nel contrato di factoring avente ad oggetto crediti futuri il debitore ceduto può opporre in compensazione al cessionario un proprio credito nei confronti del cedente sorto in epoca successiva alla notifica dell'atto di cessione, poiché nella cessione di crediti futuri l'effetto traslativo si produce nel momento in cui questi vengono ad esistenza e non anteriormente all'epoca della stipulazione del contratto. Sempre sulla cessione dei crediti futuri, Cass. III, n. 23175/2014 ha affermato che nell'ipotesi di factoring con cessione pro solvendo di crediti futuri, una volta ricevuta la notifica della cessione il debitore ceduto non può liberarsi adempiendo in favore di un soggetto indicato dal creditore cedente, poiché quest'ultimo non può più disporre del credito atteso che la cessione di un credito ancora non venuto ad esistenza comporta soltanto il differimento dell'effetto traslativo, ma non consente al cedente di continuare a disporre del credito come se fosse ancora proprio. Cessione pro solvendo e pro soluto.L'art. 4 della l. n. 52/1991 interviene sul piano della garanzia di solvenza del debitore ceduto, dettando una regola generale di segno opposto rispetto alla disciplina codicistica precisando che, salvo il cessionario vi rinunci in tutto o in parte, il cedente garantisce la solvenza del debitore nei limiti del corrispettivo pattuito. Con l'art. 4 della l. n. 52/1991 si è capovolta la regola contenuta nell'art. 1267 c.c. sulla cessione, divenendo così la garanzia di solvenza un naturale negotii che si giustifica in ragione della peculiare caratterizzazione della fattispecie. Come è stato rilevato, si sono posti dei problemi interpretativi in merito alla disciplina della garanzia, considerato che l'art. 4 si limita a prevedere in via generale che, salvo patto contrario, è dovuta la garanzia di solvenza ma, a differenza di quanto previsto dall'art. 1267 c.c., nulla dice in ordine ai contenuti della garanzia: pertanto, in particolare, alcuni autori hanno ritenuto che la garanzia nella legislazione speciale non ricomprenderebbe gli interessi, le spese e i danni, mentre per altri interpreti il legislatore speciale ha inteso normativizzare soltanto il dovere di garanzia, restando applicabile per il resto la disciplina codicistica. A questo primo interrogativo se ne sono poi aggiunti altri, sempre in considerazione del confronto con la disciplina codicistica, come in merito alla misura della garanzia dovuta in caso di cessione in massa e se vi siano differenze tra il limite del “corrispettivo pattuito” (art. 4 l. n. 52/1991) e il limite “di quanto ha ricevuto” (art. 1267 c.c.): mentre rispetto a quest'ultimo aspetto non pare che possano esservi dubbi in ordine a una sostanziale identità tra le due ipotesi, degli interrogativi possono porsi circa la misura della garanzia nei crediti di massa, se il limite del corrispettivo vada considerato nella sua globalità ovvero partizionato tra i singoli crediti ceduti; a quest'ultimo proposito, poiché la cessione disciplinata dalla legislazione speciale riguarda i contratti considerati in massa, la prima soluzione sembrerebbe preferibile in quanto rispettosa di siffatta indivisibilità (Clarizia, 2011, 1697 ss.). Altri autori hanno rilevato la non plausibilità della soluzione per cui il cedente dovrebbe rispondere delle insolvenze che si manifestano via via sino al limite del corrispettivo complessivamente pattuito, poiché in questo modo verrebbe meno la corrispondenza tra corrispettivo e garanzia che ispira tanto la disciplina codicistica quanto quella speciale. Risulta invece più razionale la soluzione secondo cui il corrispettivo globale va suddiviso proporzionalmente tra tutti i crediti ceduti in massa e il cedente è tenuto a rispondere dell'insolvenza di ciascun debitore nei limiti della corrispondente frazione (Modica, La l. 21 febbraio 1991, n. 52: gli elementi di specialità quanto alla disciplina, 2008, 1115 ss.; sul punto si veda anche Rivolta, 718 ss.). In giurisprudenza, Cass. I, n. 684/2001, nel sottolineare la molteplicità di funzioni sottese al factoring si è osservato che nel caso di mancata esazione dei crediti, ove sia stata convenuta la garanzia di solvenza del debitore, come ordinariamente previsto dall'art. 4 l. n. 52/1991, il fornitore sarà tenuto al rimborso di quelle anticipazioni. Nel caso nel quale sia convenuta, tra cedente e factor, nelle condizioni generali per le future operazioni di factoring, l'espressa assunzione da parte del cedente della garanzia della solvenza del debitore e sia prevista come eventuale la cessione pro soluto, subordinata alla richiesta della società fornitrice e all'accettazione da parte del debitore che deve pervenire al factor entro la scadenza di ciascuna fattura, sono state ritenute legittime la revoca del plafond accordato e la trasformazione delle cessioni da pro soluto a pro solvendo qualora sia mancata l'accettazione delle singole fatture, non risultando sufficiente la comunicazione iniziale della cessione dei crediti in massa (Trib. Milano 4 novembre 2005). BibliografiaAlessi, La cessione dei crediti di impresa tra regole codicistiche e contratto di “factoring”, in Alessi, Mannino (a cura di), Cessione ‘factoring' cartolarizzazione, in La circolazione del credito, I, in Garofalo, Talamanca (diretto da), Trattato delle obbligazioni, IV, Padova, 2008, 1097-1101; Bussani, Contratti moderni. Factoring franchising leasing, in I singoli contratti, IV, in Sacco (diretto da), Trattato di diritto civile, Torino, 2004; Cian, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. 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