Codice Civile art. 1843 - Utilizzazione del credito.

Caterina Costabile

Utilizzazione del credito.

[I]. Se non è convenuto altrimenti, l'accreditato può utilizzare in più volte il credito, secondo le forme di uso, e può con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.

[II]. Salvo patto contrario, i prelevamenti e i versamenti si eseguono presso la sede della banca dove è costituito il rapporto.

Inquadramento

L'apertura di credito può essere semplice se l'accreditato utilizza la somma una sola volta, sia pure con prelevamenti successivi, ma fino a diversa pattuizione essa si presume in conto corrente con possibilità di versamenti per reintegrare i prelievi effettuati e conseguente applicabilità degli artt. 1852 ss. (Serra, 157; Molle, in Tr. C. M., 1981, 221).

La lettera della norma lascia, peraltro, intendere in maniera inequivoca che lo stesso legislatore presuppone la seconda figura come lo schema contrattuale «normale», richiedendo espressamente per escluderne la ricorrenza una apposita pattuizione.

La constatazione che nella prassi operativa l'apertura di credito finisca, il più delle volte, con l'atteggiarsi come una mera clausola all'interno dello schema negoziale del contratto di conto corrente di corrispondenza — con conseguente applicabilità, ai fini della disciplina del rapporto, delle norme legali e convenzionali, proprie del conto corrente di corrispondenza — costituisce, peraltro, constatazione meramente empirica, che non inficia l'autonomia delle due figure contrattuali in questione (Ferri, 605).

Il secondo comma dell'art. 1843 prevede che, salvo patto contrario, i versamenti e i prelevamenti si eseguono nella sede della banca presso la quale è stato acceso il rapporto, il che è stato inteso nel senso che il contratto, pur costituitosi con la banca nel suo complesso, si localizza, sotto il profilo dell'esecuzione, presso una filiale determinata.

Modalità di utilizzazione

Discussa è in dottrina la natura degli atti di utilizzazione.

Secondo una prima opinione, si tratta di atti di esecuzione del contratto, ossia atti dovuti in adempimento dell'obbligazione assunta e compiuti solvendi causa, pur potendo consistere in negozi giuridici costitutivi di ulteriori autonome obbligazioni della banca verso i terzi (Fiorentino, 676).

Di diverso avviso è la tesi che reputa gli atti di utilizzazione operazioni autonome anche se collegate economicamente con l'apertura di credito, rispetto alla quale incidono solo perché valgono a modificare la misura della disponibilità (Ferri, 600).

In posizione intermedia si colloca la tesi che distingue tra atti di utilizzazione dovuti aventi carattere non negoziale, i quali non implicano il consenso della banca, ed atti destinati a creare nuove obbligazioni della banca verso terzi nell'interesse dell'accreditato, per i quali è necessario uno specifico consenso della stessa banca (Molle, in Tr. C. M.,1981, 226).

La giurisprudenza attesa la funzione dell'apertura di credito — che è quella di consentire all'accreditato la possibilità di ottenere la disponibilità di denaro in vista di esigenze originariamente indeterminate, sia rispetto al tempo in cui esse possano assumere consistenza concreta, sia rispetto al modo con cui esse possano trovare soddisfacimento — ed il richiamo alle «forme d'uso», contenuto nell'art. 1843, ritiene sussistente un'elasticità di utilizzazione del credito a favore dell'accreditato, intesa sia nel senso che all'accreditato può essere consentito di disporre di questo attraverso la combinazione di prelievi e di rimborsi, sia nel senso che l'utilizzazione può avvenire con operazioni di natura diversa, cioè, ad esempio, attraverso un prelevamento diretto di denaro o attraverso lo sconto di cambiali, oppure, ove la convenzione lo preveda, anche attraverso pagamenti fatti dalla banca a terzi. Trattasi, negli ultimi due casi, di operazioni che hanno la struttura di autonomi negozi giuridici, caratterizzati dalla funzione di attuare l'utilizzazione del fido oggetto dell'apertura di credito e perciò a questa collegati (Cass. I, n. 690/1967).

Anche la dottrina concorda sul punto evidenziando che, in difetto di apposita convenzione, la banca non è tenuta ad accettare cambiali tratte su di essa dall'accreditato. Dibattuta è, invece, la possibilità che accreditato disponga del credito mediante assegno bancario in mancanza di un apposito accordo (Ferri, ult. cit.; Molle, in Tr. C. M., 1981, 230; Porzio, 3).

Revocatoria fallimentare

Le rimesse sul conto corrente dell'imprenditore poi fallito sono legittimamente revocabili, ex art. 67 r.d. n. 267/1942 (l. fall.), tutte le volte in cui il conto stesso, all'atto della rimessa, risulti «scoperto» tale dovendosi ritenere sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia quello scoperto a seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato al correntista.

In siffatta situazione, secondo la distribuzione dell'onere probatorio sancita dall'art. 67 l. fall., alla curatela fallimentare spetta la dimostrazione della sussistenza della rimessa, della sua effettuazione nel periodo «sospetto», e della «scientia decoctionis» da parte della banca, mentre quest'ultima ha l'onere di provare, onde escludere la natura solutoria del versamento, sia l'esistenza, alla data di questo, di un contratto di apertura di credito, sia l'esatto ammontare dell'affidamento accordato al correntista alla medesima data. La S.C. ha precisato che a tal fine non è sufficiente invocare una presunta autonomia formale dei singoli rapporti instaurati, poiché l'eventuale «collegamento negoziale» attuato dalle parti, se finalizzato alla realizzazione del fine pratico unitario dell'estinzione dei debiti risultanti da un conto affidato e lasciato solo formalmente aperto, presenta carattere indiscutibilmente «funzionale», che prevale sui fini immediati (apparentemente) perseguiti dai singoli rapporti in realtà strumentali all'interesse finale dell'operazione (Cass. I, n. 1672/1999).

I giudici di legittimità hanno altresì chiarito che, per stabilire se le rimesse su conto corrente bancario assistito da apertura di credito abbiano natura solutoria, occorre verificare se i versamenti siano confluiti su un conto passivo in corso di ordinario svolgimento del rapporto in funzione ripristinatoria o siano intervenuti in una situazione caratterizzata dalla mancanza o dal superamento della concessione del credito.

La predetta valutazione deve operarsi con riferimento al momento dell'effettuazione dei singoli versamenti e non «ex post», in relazione alla mancata riutilizzazione del credito da parte del cliente, salvo che risultino provate dopo l'esecuzione delle rimesse condotte negoziali sintomatiche in modo univoco della natura solutoria dei versamenti, quali la chiusura anticipata del conto o il blocco nella concessione dei blocchetti degli assegni (Cass. I, n. 23107/2007).

La S.C. ha, inoltre, chiarito che, le rimesse annotate sui conti anticipi non hanno natura solutoria e non sono revocabili, costituendo tali conti una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente, ove vengono annotati in «dare» le anticipazioni erogate al correntista ed in «avere» l'esito positivo della riscossione del credito, sottostante agli effetti commerciali presentati dal cliente. Il rapporto tra banca e cliente viene invece rappresentato esclusivamente dal saldo del conto corrente ordinario, ove affluiscono tutte le somme portate dai titoli, dalle ricevute bancarie o dalle carte commerciali presentate per l'incasso, che saranno oggetto di revocatoria nei limiti in cui abbiano contribuito a ridurre lo scoperto del conto medesimo (Cass. I, n. 6575/2018).

Secondo l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale il castelletto di sconto, anche laddove regolato in conto corrente bancario, non è in alcun modo riconducibile all'apertura di credito (Cass. I, n. 926/2022). A differenza, infatti, della fattispecie disciplinata dalla norma in commento, che prevede l'obbligo della banca di tenere una somma predeterminata nell'ammontare e per il periodo stabilito a favore del cliente ed il correlativo diritto di costui di disporne, il negozio in questione, pur prevedendo la concessione di fido, non determina l'insorgenza, con carattere di immediatezza, dell'obbligo della banca e del corrispondente diritto del cliente, perché l'aver ottenuto tale forma di affidamento è condizione necessaria, ma non sufficiente affinché l'affidato che aspira allo sconto dei propri effetti possa, poi, ottenerlo in concreto. Tant'è che il castelletto di sconto non implica alcun trasferimento di danaro, neppure nella forma della mera messa a disposizione dello stesso. Prima di procedere concretamente allo sconto il cliente non può, infatti, disporre di alcuna somma, e le movimentazioni di danaro a cui gli sconti concretamente effettuati danno successivamente luogo, anche allorché il castelletto sia regolato in conto corrente e, quindi, transitino nello stesso, trovano la loro fonte, non già nel castelletto, bensì esclusivamente nei singoli negozi di sconto (Cass. I, n. 13510/2015; Cass. I, n. 5634/2000; Cass. I, n. 3526/1999).

Non rappresentando, quindi, il castelletto di sconto una forma di utilizzazione dell'apertura di credito ex art. 1843, se ne è tratto argomento per ritenere, ai fini dell'esclusione della revocabilità, in sede fallimentare, delle rimesse in conto corrente, non invocabile la compensazione tra accrediti (non disponibili se non dopo il pagamento del titolo) e addebiti (mere operazioni contabili di storno) ed inammissibile imputare l'importo del castelletto di sconto per identificare il limite di affidamento del correntista e, conseguentemente, per distinguere le rimesse solutorie da quelle ripristinatorie (Cass. I, n. 12306/2010; Cass. I, n. 7451/2008).

Bibliografia

Ferri, voce Apertura di credito, in Enc. dir., II, Milano, 1958; Fiorentino, voce Apertura di credito bancario, in Nss. D.I., Torino, 1957; Porzio, Apertura di credito, in Enc. giur., II, Roma, 1988; Serra, Apertura di credito confermato, in Dig. comm., I, Torino, 1987; Sirena, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di credito al consumo, in Banca, borsa, tit. cred. 1997, II, 354; Tondo, Dei contratti bancari, in Comm. De M.,, Novara-Roma, 1971.

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