Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 164 - Decreti del giudice delegato 1 .

Alessandro Farolfi

Decreti del giudice delegato1.

 

I decreti del giudice delegato sono soggetti a reclamo a norma dell'articolo 26.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 141 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La norma sembra, nella sua essenzialità, limitarsi ad affermare un dato del tutto ovvio, e cioè che i decreti del G.D. emessi in sede concordataria sono reclamabili avanti al Tribunale, richiamando in tal modo la disposizione fondamentale sui reclami endofallimentari, di cui all'art. 26 l. fall.

Va osservato che la riforma del 2006 ha eliminato il secondo comma della disposizione in esame, che precedentemente affermava che il decreto del tribunale che decide sul reclamo non è soggetto a gravame.

Tale soppressione ha la finalità di armonizzare il procedimento di reclamo endoconcordatario a quello endofallimentare di cui al citato art. 26 l. fall.

Procedimento

Il rinvio all'art. 26 l. fall. consente in questa sede di richiamarne gli elementi ricostruttivi e l'elaborazione giurisprudenziale che riguarda tale forma di gravame.

Il reclamo avverso il decreto del g.d. va in primo luogo proposto al tribunale in composizione collegiale.

L'attuale formulazione delle norme assegna al reclamo di cui all'art. 26 un ruolo generale, esperibile tanto nei confronti dei decreti del g.d. quanto dei provvedimenti (di prime cure) dello stesso Tribunale, in un termine di dieci giorni dalla comunicazione dell'atto impugnato, fondato su motivi di censura sia di legittimità che di merito.

Il vigente art. 36, cioè l'altra tipologia di reclamo endofallimentare prevista, invece prevede un termine di soli otto giorni dalla conoscenza dell'atto per avanzare reclamo al G.D. nei confronti degli atti di amministrazione, anche omissivi, del curatore od i provvedimenti autorizzativi del comitato dei creditori, con cognizione estesa in questo caso alle sole violazioni di legge. Appare perciò evidente che il reclamo ex art. 26 ha un oggetto più ampio, comprensivo della stessa opportunità o comunque del merito del provvedimento gravato, mentre il reclamo di cui all'art. 36 concerne esclusivamente profili di legittimità dell'atto, con conseguente insindacabilità del merito delle scelte del curatore e rafforzamento del ruolo gestorio degli organi della procedura fallimentare. Al tempo stesso si deve notare che, mentre le forme del reclamo ex art. 26 sono attualmente oggetto di dettagliate previsioni, il reclamo ex art. 36 si fonda su un rito camerale non altrimenti regolato se non per la necessaria osservanza del contraddittorio e per i termini relativi al suo esperimento, con la conseguenza che le lacune di disciplina specifica devono essere integrate attingendo, per analogia, alle norme generali di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.

Si è rilevato (Cecchella, 351) che il diritto concorsuale è invaso da tempo da procedimenti aventi forme camerali. Tale opzione processuale risponde ad una precisa scelta del legislatore del 1942 di privilegiare, rispetto all'interesse dell'imprenditore alla prosecuzione dell'attività di impresa ed allo stesso esercizio più compiuto dei diritti di difesa, l'opposto interesse ad una più rapida liquidazione dell'impresa insolvente ed al ripristino della normalità dei rapporti sul mercato. Ciò, almeno, sino agli interventi della Consulta, volti a coniugare tali ultime istanze con le esigenze di un giusto processo ed il rispetto del contraddittorio. Il modello di riferimento, in materia di controlli avverso gli atti degli organi della procedura fallimentare (all'epoca solo giudice delegato e curatore e non anche, come si è visto, tribunale fallimentare), era costituito dall'opposizione agli atti esecutivi, ma con la previsione di termini ancora più stringenti. L'art. 36, infatti, ammetteva una generale ricorribilità innanzi al giudice delegato nei confronti degli atti del curatore, su iniziativa del fallito e di qualunque interessato. Contro la decisione del giudice delegato, reso con decreto, era invece consentito un ulteriore reclamo entro tre giorni avanti al tribunale, il cui provvedimento non era ulteriormente impugnabile. L'art. 26, a sua volta, introduceva una generale reclamabilità avanti al tribunale nei confronti dei decreti del giudice delegato, da esercitarsi entro tre giorni dalla data del decreto. Gli unici aspetti procedimentali regolati consistevano nel fatto che si affermava espressamente che il tribunale decideva «in camera di consiglio», mentre il reclamo non sospendeva gli effetti del provvedimento sottoposto a gravame. L'assenza di indicazioni più precise lasciava alla discrezionalità del tribunale ed alla sua iniziativa officiosa tutta la regolamentazione pratica del procedimento, peraltro di difficile esperimento a causa della estrema ristrettezza del termine di impugnazione, escludendo poi un ulteriore sindacato dopo quello del tribunale.

L'insoddisfazione determinata da tale soluzione, a fronte di un mutato quadro costituzionale, nei casi in cui la controversia finisse per coinvolgere diritti soggettivi delle parti, ha nel corso del tempo sollecitato plurimi interventi della Corte costituzionale, i cui arresti spiegano l'attuale formulazione dell'art. 26. Il primo intervento, in ordine cronologico, risale a Corte cost. n. 118/1963, che con una sentenza interpretativa di rigetto ritenne che le forme camerali di cui all'art. 26 non dovessero applicarsi alle controversie concernenti diritti soggettivi, così da respingere in concreto la questione di costituzionalità. A fronte di un refrattario indirizzo della giurisprudenza di merito e legittimità, invece, Corte cost. n. 42/1981 sancì l'illegittimità costituzionalità della norma in commento (nella formulazione previgente) ove applicata ai decreti del giudice delegato in materia di approvazione dei piani di riparto, considerato che detta norma non garantiva sufficientemente, pur in una materia concernente diritti soggettivi, né il diritto di azione né quello di difesa, ex art. 24 Cost. La successiva Corte cost. n. 303/1985 estese poi l'illegittimità costituzionale sia al termine di appena tre giorni che alla sua decorrenza dalla data del decreto in materia di impugnazione dei decreti del g.d. di liquidazione dei compensi degli ausiliari (per l'amministrazione controllata cfr. Corte cost. n. 156/1986).

Nel frattempo, nella giurisprudenza di legittimità, a partire dalla nota decisione Cass. S.U., n. 2255/1984 si sono affermati i seguenti principi: a) reclamabilità del decreto del g.d. sia per motivi di legittimità che di merito; b) soppressione de facto del termine di tre giorni e sua sostituzione con il termine di dieci giorni di cui all'art. 739 c.p.c., decorrente dalla comunicazione del provvedimento; c) garanzia del contraddittorio mediante notifica del decreto di fissazione dell'udienza ai soggetti controinteressati; d) onere di motivazione del provvedimento che decide sulla impugnazione.

Detti principi si trovano trasfusi nell'attuale formulazione della norma, unitamente a criteri ispiratori che possono così delinearsi:

1) previsione del reclamo anche nei confronti dei decreti del tribunale fallimentare, da proporsi avanti alla Corte d'appello; la non impugnabilità di quest'ultimo provvedimento lascia aperta la strada al ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. nelle controversie concernenti diritti soggettivi;

2) regolamentazione minuziosa del rito camerale nel caso di reclamo ai sensi dell'art. 26, così trasformato in una sorta di rito speciale a cognizione piena del quale sono indicati gli elementi dell'atto introduttivo, le modalità di realizzazione del contraddittorio, i termini di costituzione del convenuto e le modalità della decisione;

3) incompatibilità del giudice delegato, che non può conseguentemente fare parte del collegio che decide del reclamo avverso i propri atti (cfr. anche art. 25, comma 2 l. fall.);

4) gravame pieno, caratterizzato da un effetto devolutivo e sostitutivo del giudizio svolto nella prima fase, sorretto da motivi di reclamo a critica libera, sia di legittimità che di merito; si esclude l'applicabilità al reclamo dei filtri in appello introdotti con d.l. n. 83/2012 conv. con l. n. 134/2012 e, in particolare, della causa di inammissibilità di cui all'art. 348-bis c.p.c. (Cecchella, 369);

5) il ricorso non sospende l'efficacia del decreto di prime cure oggetto di gravame ed il procedimento è retto dal principio inquisitorio, potendo il collegio — anche mediante delega ad uno dei suoi componenti — assumere d'ufficio i mezzi di prova che ritenga opportuni e necessari;

6) i termini previsti per la costituzione delle parti non danno luogo a decadenze o preclusioni (che «scattano» solo all'esito della celebrazione dell'udienza);

7) si ritiene che il carattere giurisdizionale del procedimento richieda l'onere del patrocinio legale, che vale anche per il curatore, qualora intenda costituirsi formalmente per assumere proprie conclusioni (o sia egli stesso il soggetto reclamante) e non limitarsi ad assistere all'udienza rendendo semplici informazioni al collegio.

Si afferma che il reclamo avverso i decreti del giudice delegato va proposto, ex art. 26 l.fall., come novellato dal d.lgs. n. 5/2006 e successivamente modificato dal d.lgs. n. 169/2007, innanzi al tribunale in composizione collegiale, sicché ove la corte d'appello, erroneamente investita, ometta di rilevarne l'inammissibilità, l'impugnazione, in sede di legittimità, va dichiarata inammissibile d'ufficio, con cassazione senza rinvio della sentenza erroneamente emessa, riguardando l'erronea individuazione del giudice legittimato a decidere non la competenza ma la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame medesimo, senza che al gravame inammissibilmente spiegato (con relativo passaggio in giudicato della decisione di primo grado) possa riconoscersi efficacia conservativa del processo di impugnazione (cfr. Cass. n. 12005/2016).

Si è ritenuto per una parte della giurisprudenza che l'assenza di una disposizione espressa escluda il potere di inibitoria dell'efficacia esecutiva del provvedimento reclamato da parte del collegio investito del reclamo (Trib. Pordenone 18 marzo 2011). In contrario si è condivisibilmente argomentato che nonostante il potere di sospensione dell'efficacia del provvedimento del giudice delegato non sia espressamente attribuito al collegio adito in sede di reclamo ex art. 26 l.fall., il tribunale può esercitare detto potere visto che allo stesso, in ambiti diversi, sono conferiti poteri cautelari; è il caso degli artt. 15, comma 8, l. fall. e 25, comma 1, l. fall., nonché dello specifico potere di sospensiva attribuito dall'art. 19 l. fall. alla corte d'appello in sede di reclamo avverso la dichiarazione di fallimento (Trib. Bologna 10 luglio 2014).

In sede di reclamo al tribunale fallimentare, proposto ai sensi dell'art. 26 l. fall. avverso i provvedimenti del giudice delegato, il curatore, controparte del reclamante, partecipa al procedimento in quanto contraddittore necessario (Cass. n. 6710/2009). Tale principio deve estendersi, nel caso che ci occupa, al commissario giudiziale in luogo del curatore.

L'art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo, con la conseguenza che la norma trova applicazione anche ai provvedimenti resi in esito al reclamo ex art. 26 l. fall., avverso il provvedimento del g.d., benché la disposizione richiamata manchi di una espressa indicazione circa il governo delle spese (Cass. n. 19979/2008).

Sul tema della incompatibilità del g.d., a far parte del collegio del reclamo, si è osservato che il divieto contenuto nell'art. 25, comma 2 l. fall., che impedisce al giudice delegato di far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti, è inapplicabile al giudizio di omologazione del concordato fallimentare previsto dall'art. 129 l. fall., il quale non è assimilabile, ai fini in esame, al decreto contro i provvedimenti del giudice delegato; nell'ambito della procedura concordataria non è, infatti, possibile individuare la previsione di alcun atto dispositivo di tale procedura da parte del giudice delegato, consistendo piuttosto la funzione di tale organo in quel contesto nel coordinare ed organizzare le varie fasi dell'avanzamento progressivo del procedimento stesso (Cass. n. 13427/2015).

Ammesso dalla giurisprudenza anche il reclamo incidentale, per il quale si è infatti osservato che il termine lungo per la proposizione del reclamo di cui al quarto comma dell'articolo 26, legge fallimentare deve essere rispettato da colui che propone reclamo principale e non dal reclamante in via incidentale. Il reclamo incidentale può, pertanto, essere proposto fino all'udienza fissata per la discussione del reclamo principale (Trib. Brindisi 1 febbraio 2012).

Si è già notato che il termine per proporre reclamo ex art 26 è di dieci giorni. Tale termine decorre dalla comunicazione o notificazione del provvedimento per il debitore, il commissario giud., i soggetti che hanno chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento oggetto del reclamo. La comunicazione integrale dell'atto da parte del commissario giudiziario ai soggetti interessati equivale a notificazione, trattandosi di adempimento che assicura in modo equipollente l'integrale conoscenza dell'atto.

A garanzia della stabilità dei rapporti giuridici e per esigenze di certezza in ordine all'andamento della procedura concorsuale è poi previsto un termine finale di 90 giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento suscettibile di riesame: decorso tale termine l'atto diviene pertanto non più reclamabile. Da notare che, ai sensi dell'art. 36-bis, i termini previsti per proporre il reclamo in commento non sono soggetti a sospensione feriale. Quanto ai termini di costituzione per le parti, si ritiene che l'unico termine perentorio sia quello a garanzia del diritto di difesa del convenuto, previsto in 15 giorni fra la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza e quest'ultima. Va ancora ricordato che l'art. 31-bis l.fall., introdotto dalla l. n. 221/2012 di conversione del d.l. n. 179/2012, ha previsto che le comunicazioni si intendono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria per quei soggetti, creditori e titolari di diritti su beni, ai quali la comunicazione all'indirizzo PEC non sia avvenuta per cause imputabili al destinatario o nel caso in cui questi soggetti non abbiano indicato un indirizzo PEC cui eseguire le comunicazioni.

Casistica: reclamo avverso decreti del G.D.

La casistica relativa all'impugnazione tramite reclamo di decreti del g.d., in ambito concordatario, non è particolarmente rilevante. Può essere utile, in questa sede, ricordare altresì come parimenti appaiano scarsamente percorribili casi di reclamo ex art. 36 l.fall.avverso gli atti del commissario giudiziale, ai sensi dell'art. 165 l.fall. Del pari, può essere interessante ricordare come l'art. 182 l.fall., nel rinviare a talune disposizioni della legge fallimentare, quanto alla figura ed alle funzioni svolte dal liquidatore giudiziale, non contenga alcun riferimento all'art. 36 l.fall.

Si ritiene che la reclamabilità riguardi i decreti del g.d. di contenuto decisorio e non quelli che si limitano a dare indicazioni sulla fase esecutiva del concordato. In questo senso cfr. Trib. Vicenza 11 maggio 2012: L'attività liquidatoria posta in essere in esecuzione del piano concordato non è soggetta di norma ad autorizzazione del giudice delegato, e pertanto un eventuale diniego di autorizzazione ad effettuare un pagamento concordatario non è reclamabile.

Sempre con riferimento alla fase esecutiva del concordato si è peraltro rilevato che rientrano nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva — allorché assolvono ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell'ambito della liquidazione fallimentare — i provvedimenti emessi dal giudice delegato in attuazione delle disposizioni della sentenza (ora decreto) di omologazione del concordato preventivo in tema di vendita dei beni del debitore ceduti ai creditori. Pertanto, così come i provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione ex artt. 617 e 618 c.p.c. non altrimenti impugnabili sono ricorribili per cassazione, allo stesso modo si deve ritenere esperibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento con cui il tribunale decida un reclamo, proposto contro un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni omologato dal tribunale (cfr. Cass. S.U., n. 19506/2008).

Quanto all'ipotetico reclamo avverso un progetto di ripartizione del liquidatore giudiziale, in sede di esecuzione di un concordato, può essere citato Trib. Monza, 3 giugno 2015, che ne ha statuito l'inammissibilità sulla scorta del ragionamento secondo cui nel concordato preventivo, a differenza di quanto accade nella procedura fallimentare, non esiste alcuna forma di accertamento dei crediti con effetto vincolante e i creditori ed il debitore sono solo vincolati dalla proposta concordataria, nel senso dell'inclusione in una piuttosto che in un'altra delle classi eventualmente previste, con la conseguenza che la proposta omologata crea un vincolo in ordine alla riduzione dei crediti in corrispondenza della percentuale offerta. Occorre, poi, precisare che non tiene luogo dell'accertamento del credito l'inclusione dello stesso nell'elenco di cui all'art. 161, comma 2, lett. b), la quale può tutt'al più riguardare la sfera dell'imprenditore ma non vincolare le decisioni degli organi della procedura. Neppure in proposito rileva il provvedimento del giudice delegato ai sensi dell'art. 176 l.fall., strumentale solo all'ammissione o meno al voto per espressa disposizione di legge, per cui i relativi crediti non possono intendersi affatto definitivamente accertati e possono, quindi, essere considerati insussistenti nella fase di esecuzione del concordato stesso.

Segue. Reclamo avverso decreti del Tribunale

Il regime di impugnazione dei decreti del tribunale non è disciplinato. Si contrastano al riguardo due tesi: quella che ritiene reclamabili i soli atti del G.D. e quella che afferma la reclamabilità anche dei decreti del tribunale, ritenendo che il rinvio all'art. 26 debba intendersi come integrale e che questo, dopo le riforme degli anni 2006-2007, contempli appunto anche il reclamo dei decreti del tribunale. Ovviamente questa seconda tesi deve fare i conti con le disposizioni che espressamente affermano la non reclamabilità in sede di concordato di taluni decreti collegiali del tribunale (si pensi ad es. al decreto di apertura della proposta di concordato ex art. 163 l. fall.).

I decreti emessi dal tribunale ai sensi dell'art. 161, comma 7, l. fall. di autorizzazione al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione nel periodo di concordato con riserva devono ritenersi impugnabili ai sensi dell'art. 26 l fall. e ciò anche se l'art. 164 l. fall. si riferisce ai soli decreti del giudice delegato. La mancata menzione, in detto articolo, dei decreti del tribunale è, infatti, frutto di un difetto di coordinamento della norma conseguente alla introduzione, avvenuta nel 2012, della disciplina del concordato con riserva, la quale demanda al tribunale il controllo sugli atti di straordinaria amministrazione durante il periodo di concordato con riserva (così App. Firenze 11 luglio 2013).

Bibliografia

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