Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 123 - Durata dei patti e diritto di recesso.

Guglielmo Bevivino
aggiornato da Nicola Rumìne

Durata dei patti e diritto di recesso.

Art. 123

1. I patti indicati nell'articolo 122, se a tempo determinato, non possono avere durata superiore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.

2. I patti possono essere stipulati anche a tempo indeterminato; in tal caso ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. Al recesso si applica l'articolo 122, commi 1 e 2.

3. Gli azionisti che intendono aderire a un'offerta pubblica di acquisto o di scambio promossa ai sensi degli articoli 106 o 107 possono recedere senza preavviso dai patti indicati nell'articolo 122. La dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.

Inquadramento

I patti parasociali sono accordi fra soci — che vengono stipulati e si collocano al di fuori dell'atto costitutivo(per una applicazione recente in giurisprudenza si veda Trib. Genova sez. impr., n. 2094/2023— attraverso i quali i soci dispongono di diritti derivanti dal contratto sociale; essi disciplinano, sia nei rapporti interni che nei rapporti con la società, con gli organi sociali o con i terzi, gli interessi sociali e alcuni comportamenti che caratterizzano le dinamiche sociali. Il primo dato da evidenziare è quello secondo cui vi sarebbe una distinzione fra sociale e parasociale che, possiamo anticipare sin da ora, ha delle ripercussioni non soltanto di tipo didascalico/classificatorio, ma anche relative all'applicazione o meno di alcune regole giuridiche.

La dottrina precisa come i patti parasociali rappresentino in realtà convenzioni estranee al contratto sociale poiché hanno il fine di regolamentare relazioni interpersonali in modo differente ovvero, in taluni casi, anche complementare rispetto a quanto «istituzionalmente» disciplinato nell'atto costitutivo o nello statuto (cfr. Oppo, 215 e ss.).

Si tratta in realtà di contratti plurilaterali che possono dirsi sufficientemente caratterizzati da un punto di vista funzionale. Ciò non esclude, tuttavia, che anche tale tipologia di accordi sia assoggettata ai controlli di liceità (cfr., naturalmente, art. 1343 c.c.) e meritevolezza (cfr., naturalmente, art. 1322, comma 2 c.c.) con riferimento, in particolare, agli interessi che tendono a regolamentare (Scarpa, 2 e ss.).

La differenza di questi giudizi, che si riverbera anche sui cc.dd. patti parasociali, deriva, naturalmente, dalla adesione a quella impostazione, sulla quale non è possibile soffermarsi nell'economia di questa trattazione, che predica una rilevante distinzione fra giudizio di liceità e giudizio di meritevolezza. Una differente impostazione avrebbe in effetti una chiara efficacia abrogatrice nei confronti di almeno una delle previsioni che disciplinano i differenti controlli sopra richiamati

Per quanto concerne l'efficacia di questi accordi, essi rivestono un'efficacia meramente obbligatoria in quanto non sono opponibili a terzi non contraenti. Se ne inferisce che la violazione dell'accordo parasociale importa un obbligo di risarcimento del danno per colui o coloro che si sono resi inadempimenti.

La distinzione fra efficacia reale e obbligatoria è molto nota (sia nel contesto della fenomenologia giuridica che della letteratura giuridica) e si palesa in maniera evidente ad esempio in materia di prelazione. La distinzione fra prelazione legale e prelazione convenzionale non deriva infatti esclusivamente dal riconoscimento di una differente fonte delle medesime; tale differenza non deriva infatti soltanto dal fatto che la prelazione legale è disciplinata dalla legge, mentre la prelazione convenzionale è il frutto dell'accordo fra le parti. Tale distinzione fa sì anche che, mentre la violazione di una prelazione obbligatoria provochi esclusivamente misure dirette al risarcimento del danno a favore del soggetto in favore del quale la prelazione è stata prevista, la violazione di una prelazione legale consente al prelazionario di reclamare presso il terzo il bene o il diritto che è stato ad esempio trasferito in violazione della medesima prelazione. In ciò starebbe in particolare il carattere reale della prelazione da ultimo richiamata

La giurisprudenza sottolinea come i patti parasociali siano illegittimi nelle ipotesi in cui il vincolo assunto dai contraenti si riveli in contrasto con norme imperative ovvero rappresenti un meccanismo volto a eludere queste ultime ovvero i principi generali dell'ordinamento giuridico (Cass. n. 15963/2007).

Come distinguere il sociale dal parasociale

Differenti possono dirsi i criteri che sono stati proposti al fine di stabilire se gli accordi predisposti possano rientrare nell'area del «sociale» ovvero del «parasociale». Ad un criterio meramente formale — rappresentato da una disamina delle circostanze che consentono di accertare se la convenzione risulti inserita o meno nei documenti costitutivi della società — si affianca tradizionalmente un criterio che potremmo definire volontaristico, in forza del quale il discrimen fra «sociale» e «parasociale» sarebbe il risultato della ricerca, attraverso modelli interpretativi adeguati, della reale volontà delle parti.

La letteratura giuridica ha sottolineato opportunamente i limiti delle differenti impostazioni richiamate; si è a riguardo osservato che il criterio formale sarebbe in realtà un criterio insufficiente, mentre il criterio volontaristico sarebbe foriero di incertezze giuridiche. Il discrimen fra sociale e parasociale sarebbe rinvenibile soltanto a seguito di una analisi volta a stabilire se l'accordo sia volto alla nascita di obblighi con effetti limitati soltanto ai rapporti fra i soci ovvero questi medesimi effetti coinvolgano anche le relazioni giuridiche fra soci e società (Scarpa, 5; sui rapporti fra patto parasociale, patto leonino e opzione put, Spolidoro, 1355 e ss.).

Sindacati di voto

Per quanto concerne i cc.dd. sindacati di voto, essi rappresentano quella tipologia di patti parasociali con i quali alcuni dei soci o la totalità dei medesimi si obbligano ad esercitare il diritto di voto in assemblea conformemente a quanto è stato determinato all'interno del sindacato medesimo. I sindacati di voto possono anche essere di maggioranza e di minoranza: in queste ipotesi, rispettivamente, nel primo caso si tende a determinare l'indirizzo comune dell'andamento societario, nel secondo caso, invece, si impone un indirizzo comune al gruppo di minoranza al fine di tutelare al meglio gli interessi dei minoritari.

I sindacati che legano la maggioranza sono spesso caratterizzati anche dalle precise modalità formali come, ad esempio, il rilascio ad un rappresentante comune, che assume la qualifica di direttore del sindacato, di un mandato irrevocabile ad esprimere in assemblea il voto in un determinato modo e precisamente in conformità a quanto stabilito nel sindacato medesimo. In tale ipotesi i soci saranno obbligati, in virtù della convenzione in esame, a conferire al rappresentante le deleghe per le varie assemblee ed a depositare, in maniera tempestiva, le azioni nelle sedi sociali; ne seguirà la consegna, al c.d. mandatario comune, dei biglietti di ammissione (Tucci, 897 e ss.).

La giurisprudenza ha posto in evidenza come al socio non possa essere in alcun modo impedito di scegliere il non rispetto del patto di sindacato e, quindi, nel caso qui in esame del c.d. sindacato di voto in tutte quelle ipotesi in cui l'interesse ad un certo risultato della votazione assembleare sia prevalente rispetto al rischio di dover rispondere all'inadempimento del patto medesimo (Cass. n. 14865/2001).

Sindacati di blocco

Altro tipico esempio del fenomeno parasociale è il c.d. sindacato di blocco. Con tale tipologia di accordo parasociale i soci assumono il reciproco obbligo rappresentato dal rispetto del divieto di alienazione delle proprie azioni per un certo periodo di tempo; ulteriore ipotesi di sindacato di blocco è il condizionamento della cessione di tali partecipazioni al gradimento o alla prelazione degli altri soci che fanno comunque parte del sindacato.

I sindacati di blocco, a differenza dei sindacati di voto, vengono considerati non come contratti con comunione di scopo, bensì come contratti di scambio, poiché in tali ipotesi i soci che partecipano al patto parasociale assumono obblighi che è possibile definire, alla luce del diritto dei contratti, reciproci e corrispettivi. Anche le finalità che si tendono a perseguire appaiono differenti. Nel caso di sindacato di blocco l'intento del patto è quello di evitare l'ingresso all'interno della compagine societaria di soci che non siano graditi: ciò al fine di salvaguardare la c.d. governance societaria. Tale ratio è evidentemente differente rispetto a quella che caratterizza i cc. dd. sindacati di voto in quanto, come del resto già chiarito, l'interesse che i parasoci in quel caso tendono a soddisfare è quello di mantenere, rispetto alle delibere assembleari e, quindi, in particolare, alle decisioni in esse prese, un comune indirizzo politico che sia indifferentemente espressione della maggioranza ovvero della minoranza (ciò naturalmente sulla base della differente consistenza dei soci che aderiscono al patto parasociale).

Nonostante queste innegabili differenze, la letteratura giuridica ha posto in risalto come tratto comune caratterizzante le due tipologie di patti parasociali prese in considerazione in questa sede sia, solitamente, quella di dare vita ad un complessivo sistema di potere e di comando, all'interno delle differenti strutture ed organizzazioni societarie, che sia in grado di resistere nel tempo (cfr., ad esempio, Figà Talamanca, 108 e ss.).

Anche il sindacato di blocco ha poi un'efficacia meramente obbligatoria in quanto i vincoli che nascono dall'adesione dei parasoci al patto non sono opponibili né alla società, né ai terzi. Se ne inferisce che il trasferimento della partecipazione in violazione del patto parasociale in esame deve ritenersi pienamente valido ed efficace. Tale efficacia deve configurarsi sia nei confronti del terzo (cioè del cessionario della partecipazione) sia nei confronti della società.

Ciò detto non può dirsi che la violazione del patto sia priva di effetti. Da tale violazione può infatti discendere l'obbligo di risarcimento del danno cagionato agli altri partecipanti al patto, la possibilità, in alternativa, di attivazione di eventuali penali, la cui unica peculiarità sarebbe, in tal caso, la predeterminazione dell'ammontare del risarcimento del danno, infine, la possibilità di agire per la risoluzione per inadempimento; tale ultima facoltà deriva dalla qualificazione del sindacato di blocco nei termini di contratto a prestazioni corrispettive.

Un'ulteriore ipotesi di sindacato di blocco è il c.d. sindacato di collocamento; in tali casi i soci fondatori regolamentano i propri rapporti per il caso in cui essi intendano procedere alla collocazione delle azioni della società sul mercato; ancora l'autonomia privata dei soci si può estrinsecare attraverso accordi parasociali che siano volti a determinare i criteri sulla base dei quali agiranno i componenti del consiglio di amministrazione e attraverso accordi che siano tesi a regolamentare il finanziamento della società da parte dei soci.

Infine valgono una menzione i patti parasociali contenenti una clausola antistallo del tipo roulette russa. Di recente Cass. I, n. 22375/2023, premessa un'ampia disamina della natura dei patti parasociali, ha concluso che la “russian roulette clause” inserita in un patto parasociale non può considerarsi affetta da abusività genetica, dovendole essere riconosciuta precipua funzione organizzativa all'interno della società, in quanto diretta a risolvere situazioni di stallo gestionale riconducibili alla partecipazione paritaria al capitale sociale dei due soli soci. Tale abusività sarebbe astrattamente predicabile solo nel caso in cui la clausola fosse contenuta nello statuto della società e risultasse, pertanto, applicabile nei confronti del socio non in forza di un'autonoma pattuizione, bensì come mera conseguenza dell'ingresso in società.

La parasocialità nella giurisprudenza

La teoria della c.d. invalidità dei patti parasociali ha fondato le sue radici nella conformazione progressiva di un certo modo di concepire la parasocialità per eccellenza, espressa attraverso il c.d. sindacato di voto.

Il formante giurisprudenziale ha in più occasioni affermato il principio di inderogabilità del metodo assembleare dal quale deriverebbe l'impossibilità giuridica di una formazione compiuta della volontà del socio in un momento anteriore e in un contesto estraneo all'assemblea societaria (cfr. Pret. Milano 15 gennaio 1990, in Giur. it., 1990, 248 e ss.).

L'inversione di questa tendenza della cultura giuridica trova alcuni concreti riscontri anche nella produzione normativa e in particolare un tale riconoscimento è rintracciabile negli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. e, per quanto riguarda le società quotate in mercati regolamentati, negli artt. 122-123 d.lgs. n. 58/1998.

Il formante giurisprudenziale ha pertanto, nel tempo, mutato il suo atteggiamento, arrivando a ritenere che poiché la violazione del patto parasociale si mostra nella sostanza ininfluente rispetto alla validità delle delibere assembleari, tale patto deve ritenersi pienamente valido; è infatti in ogni caso preservata la volontà del socio o meglio la libertà del socio di esprimere il proprio voto anche difformemente rispetto al patto parasociale (Trib. Milano 6 marzo 2006).

Visto il dialogo sempre serrato che deve ritenersi sussistente fra i differenti formanti, è possibile evidenziare, in senso più generale, come questo mutamento di indirizzo del formante giurisprudenziale abbia portato nel tempo a una modificazione dell'atteggiamento della dottrina giuridica che ha espresso su questi aspetti controversi via via una diversità di posizioni.

I principali riferimenti normativi connessi all'istituto

Come anticipato nel paragrafo precedente il Testo Unico della finanza agli artt. 122-124 prevede una regolamentazione dei patti di sindacato relativi alle società con azioni quotate nei mercati regolamentati e alle società che le controllano. Tale disciplina riguarda in modo particolare i profili della durata e della pubblicità. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto il fine della regolamentazione è quello di rendere trasparente le diverse concentrazioni di potere all'interno delle compagini societarie. Per quanto concerne invece il profilo relativo al tempo, alla durata, quindi, del patto di sindacato, l'intento del legislatore è quello di evitare concentrazioni di potere per un lasso troppo ampio di tempo. Le previsioni attengono pertanto alla previsione di una durata massima dei patti e alla determinazione delle modalità di svincolo dal patto in particolare nei patti a tempo indeterminato.

Occorre inoltre precisare che i patti parasociali devono essere soggetti a diverse forme di pubblicità; il loro testo integrale deve infatti essere comunicato alla Consob, devono inoltre essere pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana, devono essere nel testo integrale depositati presso il Registro delle imprese del luogo ove la società ha sede.

La letteratura giuridica osserva come in particolare il deposito presso il Registro delle imprese valga ad attenuare la differenza fra patto parasociale e statuto in quanto permette ai terzi di avere contezza, oltre che dell'esistenza del patto, anche del suo contenuto (Rescio, 860 e ss.).

La violazione delle regole sulla pubblicità importa, oltre alla applicazione di sanzioni amministrative, la nullità dei patti; ciò importa a sua volta la libertà dei soci di votare liberamente all'interno della società.

Requisiti di validità del patto

Il principio che governa l'esteriorizzazione dei patti parasociali è quello della libertà delle forme. La prassi conosce, tuttavia, esclusivamente il ricorso a forme scritte; ciò, naturalmente, al fine di garantire la certezza dell'esistenza dell'accordo e del suo contenuto. D'altro canto l'opportunità della forma scritta è spesso suggerita dall'importanza delle questioni regolamentate con il patto parasociale e dalla rilevanza anche economica di queste ultime.

Per quanto concerne la durata dei patti parasociali, si distingue fra accordi a tempo determinato ed accordi a tempo indeterminato. Nel primo caso la durata non può eccedere i cinque anni; ove sia prevista una durata superiore la medesima si riduce automaticamente a quella prevista normativamente. Per il caso di patti parasociali a durata indeterminata è prevista la possibilità di recesso sebbene con un preavviso di centottanta giorni.

La distinzione sopra richiamata e in particolare l'ammissibilità del recesso per il caso di accordo a tempo indeterminato sembrano espressione dell'applicazione anche a questa specifica materia del diritto commerciale dei principi generali che governano il diritto contrattuale e nel caso di specie del principio secondo cui non possono essere imposti ai contraenti vincoli perpetui senza la possibilità che questi ultimi siano legittimati a sciogliere, anche unilateralmente, i predetti vincoli.

La ratio di quest'ultima regolamentazione è quindi quella che caratterizza il diritto contrattuale in generale e in forza della quale non sono generalmente ammessi vincoli contrattuali perpetui e nel caso questi siano comunque previsti è necessario determinare possibili contrappesi, nell'ottica quindi di un necessario bilanciamento fra interessi differenti, che agevolino la possibilità di svincolarsi, anche unilateralmente, dal legame contrattuale.

Patti parasociali nelle società quotate

I rapporti fra Consob e patti parasociali sono determinati dell'art. 122 del T.U.F. al cui testo si rinvia. Sul tema è possibile ricordare in questa sede e nell'economia di questa trattazione che la Consob ha accertato l'esistenza di un patto parasociale occulto avente ad oggetto l'acquisto di azioni Antonveneta oltre che l'esercizio congiunto di un'influenza dominante sulla Banca medesima. Un tale patto non era stato comunicato alla Consob, né era stato oggetto degli ulteriori adempimenti prescritti in materia. L'accertamento dell'accordo, essendo la Banca quotata in borsa, ha rappresentato il presupposto per l'imposizione agli aderenti al patto dell'OPA obbligatoria sulla totalità delle azioni. Ciò poiché il patto medesimo ha dato vita al superamento del limite del 30 % del capitale. L'obbligo di lanciare un'OPA totalitaria concerne infatti anche gli aderenti a un patto, anche nullo, previsto dal richiamato art. 122.

Informazione nelle società quotate e nei patti parasociali nelle società aperte al mercato del capitale di rischio

È agevole evidenziare la centralità del ruolo delle informazioni in tutti quei processi e, venendo più nello specifico alle questioni giuridiche, in tutti quegli istituti che dispiegano prevalentemente la propria funzione giuridica nella relazione con una vasta platea di soggetti.

L'informazione nelle società quotate assolve un ruolo di fondamentale importanza. Essa, infatti, è alla base della relazione fra esercizio trasparente dell'attività d'impresa ed acquisizione di finanziamenti. Per quanto concerne l'atteggiamento degli organi delegati nella prospettiva della stipulazione di patti parasociali, questi ultimi dovranno conformarsi a prudenza e dovranno recepire e conseguentemente rappresentare la prospettiva dell'attività gestionale nell'ottica della probabilità.

La letteratura giuridica ha posto in risalto che le società cc.dd. aperte devono dotarsi di canali di comunicazione al pubblico delle informazioni sull'attività d'impresa che siano in grado di affiancare lo statuto nel perseguimento dei fini informativi; per quanto concerne invece le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio risulta non corretto applicare i livelli di trasparenza prescritti per le società quotate (Scarpa, 61 e ss.).

Decisione dei soci e patti parasociali.

La possibilità di prevedere accordi o patti parasociali, all'interno della società a responsabilità limitata fa il paio con le peculiari procedure previste dall'art. 2479 c.c. In altri termini l'adozione di patti parasociali può prescindere, nel contesto della società a responsabilità limitata, dall'adozione del metodo assembleare. Il tema che si pone è quindi quello di verificare se e come la violazione di un patto parasociale possa influenzare le modalità di partecipazione alla vita societaria in modo differente dal metodo assembleare.

Come è noto l'atto costitutivo della società a responsabilità limitata può prevedere che le decisioni dei soci siano votate attraverso consultazione scritta o attraverso il consenso espresso per iscritto; la necessità della deliberazione assembleare è limitata alle modifiche dell'atto costitutivo e a quelle operazioni che importino una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Deve ritenersi in ogni caso che anche nelle ipotesi in cui i patti parasociali si innestino in un contesto in cui non vige il metodo assembleare le ripercussioni delle violazioni del patto non modifichino il loro tradizionale spettro. Anche in tal caso può infatti dirsi che tali violazioni non avranno effetto rispetto alla validità della delibera in questione, ma si attesteranno esclusivamente sui profili di responsabilità ai quali abbiamo già fatto riferimento in differenti passaggi di questo commento.

Il rapporto fra autonomia statutaria e parasocialità

L'ampia autonomia statutaria concessa ai soci di società a responsabilità limitata permette di conformare alle esigenze di questi ultimi il modello societario nel concreto posto in essere. È quindi possibile dare vita ad una tale messe di modelli da rendere di fatto impossibile ogni forma di catalogazione o categorizzazione.

Per quanto concerne il tema qui di interesse non può affermarsi il potere dell'autonomia statutaria di elidere completamente il principio della previa informazione dei soci quale presupposto inderogabile ai fini dell'adozione di decisioni non collegiali che siano comunque valide. Una conferma a quanto appena affermato sembra ricavabile dall'art. 2479 penultimo comma c.c. Tale disposizione prevede, in maniera esplicita, che ogni socio ha il diritto di partecipare alle decisioni previste dal presente articolo e che il voto di ciascun socio vale in misura proporzionale alla partecipazione posseduta.

La letteratura giuridica ha sul punto osservato che il concetto di partecipazione, che si evince dal testo della disposizione da ultimo richiamata, porta con sé, rectius presuppone, una preventiva conoscenza delle materie sulle quali ciascun socio è chiamato ad esprimersi (Mirone, 475 e ss.).

A ulteriore conforto di quanto appena sopra affermato può rilevarsi come l'art. 2479-bis c.c. precisi che l'atto costitutivo determina i modi di convocazione dell'assemblea dei soci; tali modalità comunque devono rispettare il principio secondo cui deve essere ad ogni modo garantita la tempestiva informazione sugli argomenti da trattare.

In particolare poi l'ultimo comma della disposizione prevede che in ogni caso la deliberazione si intende adottata quando è partecipata dall'intero capitale sociale e tutti gli amministratori e i sindaci sono presenti e informati della riunione.

Sulla base di quanto sinora posto in risalto, deve ritenersi che non possono considerarsi valide le clausole parasociali che siano volte a negare a talune partecipazioni sociali la comunicazione della decisione adottanda e di conseguenza la possibilità di esercitare il diritto di voto nelle medesime decisioni. Si pone a riguardo la questione di come concepire i rapporti fra maggioranza e minoranza. In altri termini non è possibile riconoscere alla maggioranza la possibilità di decidere lasciando all'oscuro la minoranza.

Il rapporto fra destinazione patrimoniale e parasocialità

Valutare i patti parasociali nell'ottica della destinazione patrimoniale vuol significare far rientrare i patrimoni destinati nel contesto delle cc.dd. business combination.

A riguardo la letteratura giuridica ha osservato che si tratterebbe di quelle configurazioni di aggregazioni aziendali cui fanno riferimento i principi contabili internazionali, a prescindere dalle differenti forme giuridiche e modalità tecniche con cui le stesse possono realizzarsi (Scarpa, 166).

La deliberazione che istituisce il patrimonio destinato è assunta dall'organo amministrativo a maggioranza assoluta dei suoi componenti; è tuttavia ammissibile la diversa disposizione, che deve essere contenuta in un accordo parasociale, che renda ammissibile una diversa maggioranza (sia, pertanto, una qualificata che una non qualificata).

Sempre con riferimento alla c.d. parasocialità, e in particolare con riferimento alle cause di cessazione della destinazione del patrimonio, si deve convenire con quella impostazione dottrinaria che ha statuito che non sarebbe possibile prevedere ulteriori cause di cessazione (ulteriori, quindi, rispetto a fallimento e liquidazione); ciò in quanto sarebbe comunque necessario garantire una certa tutela ai creditori particolari del patrimonio destinato; questi soggetti potrebbero infatti subire un danno; se come abbiamo visto i patti parasociali sono soggetti a pubblicità notiziale a favore dei soci, queste convenzioni non assumono il peso di pubblicità opponibile a favore dei terzi (Scarpa, 171).

Patti parasociali e reti tra società

Osserva la letteratura giuridica come, vista la necessità di far seguire alla costituzione di un contratto di rete fra imprese una certa dotazione patrimoniale, sembra ad ogni modo che la caratterizzata patrimonialità dell'integrazione debba presentare, a mezzo di convenzione parasociale, ai fini della concreta realizzabilità del programma, un certo grado di flessibilità all'interno della rete; non è possibile infatti ritenere necessaria l'adesione dei partecipanti alla rete tutte le volte in cui appare opportuna una modificazione avente carattere patrimoniale all'originario contratto (Scarpa, 166; in arg. anche Cafaggi, passim).

Sempre la dottrina osserva come il rilievo giuridico dell'assoggettare un determinato bene ad una data destinazione implica che la destinazione medesima attraverso la convenzione parasociale non sia esclusivamente programmata, ma che venga anche effettivamente realizzata. Nei casi in cui alla separazione non faccia seguito in maniera effettiva il perseguimento della destinazione patrimoniale cui la separazione è funzionalizzata possiamo trovarci di fronte a ipotesi di abuso della separazione patrimoniale (cfr. Scarpa, 196).

Bibliografia

Bazzoni, Patti parasociali. La validità “equilibrata” della Russian roulette, in Giur. it., 2024, X, 2082 ss.; Cafaggi, Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, Bologna, 2004, passim; Capizzi, Patti parasociali di “Russian roulette”, in Foro it., 2023, XII, 3531 ss.; Figà Talamanca, Patti parasociali e arbitrato, in Foro pad., 2002, 108 e ss.; Garofalo, La successione “mortis causa” dei patti parasociali, in Riv. not., 2023, V, 999 ss.; Grimaldi, La validità della “russian roulette” e il problema dell’equa valorizzazione: si può fare di più, in Foro it., 2023, XII, 3529 ss.; Mirone, Le decisioni dei soci nella s.r.l.: profili procedimentali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2007, 475 e ss.; Oppo, I patti parasociali ancora una svolta legislativa, in Riv. dir. civ., 1998, 215 e ss.; Rescio, La disciplina dei patti parasociali dopo la legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2002, 860 e ss.; Scarpa, I patti parasociali nelle s.p.a. e nelle s.r.l., Milano, 2011; [Data agg. 21/12/2020] M.S. Spolidoro, Opzione put e patto leonino: le incertezze non sono (ancora) finite, in Le Società, 2020, p. 1355 e ss.; Tucci, Contratti parasociali e trust nel mercato finanziario, in Aa.Vv., I contratti del mercato finanziario, II, a cura di Gabrielli e Lener, Padova, 2004, 897 e ss.

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