Codice Civile art. 1703 - Nozione.Nozione. [I]. Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra [2032]. InquadramentoLe pagine a seguire saranno dedicate al tentativo di analisi, da un punto di vista che potremmo definire civilistico, dei contratti di consulenza relativi alle operazioni di acquisizione. Questa precisazione nasce dalla constatazione per cui spesso la tematica qui in esame è stata affrontata da punti di vista economico-finanziari o, anche se da una prospettiva che potremmo definire lato sensu giuridica, mai, almeno sembrerebbe, da prospettive relative ai profili privatistici che valgono a favorire il processo di qualificazione giuridica della fattispecie. Tale processo assume una non trascurabile rilevanza nel caso di specie; infatti, eccezion fatta per le ipotesi in cui la regolamentazione del financial advisoring possa di fatto ritenersi assorbita da legislazioni speciali che disciplinano peculiari aspetti della fattispecie in esame, in molti casi il processo di qualificazione consente di individuare le regole che possono trovare applicazione nella fattispecie concreta; ciò soprattutto nei casi in cui non esiste di fatto una disciplina organica, codicistica o non, che sia in grado di individuare la fattispecie attraverso la previsione di una «nozione» e di tratteggiare la conseguente regolamentazione. In linea del tutto generica, più osservarsi come l'esame «funzionale» delle varie fattispecie concrete consente di sussumere una determinata fattispecie, che si realizza nella prassi, in una fattispecie astratta, predeterminata per legge, agevolando, oltre che il processo di qualificazione giuridica, quello volto alla individuazione della disciplina applicabile. Il processo richiamato è infatti fisiologicamente adatto alla delimitazione della disciplina applicabile; esso, al contempo, si deve ritenere applicabile anche nelle ipotesi, come quella in esame, di contratto che potremmo definire «atipico» — in questi termini deve essere certamente definito il financial adivisoring sulla base di quanto abbiamo sopra affermato — perché consente di cogliere gli aspetti funzionali e di comprendere a quale (o a quali figure) figura tipizzata si possa ricorrere al fine di integrare la disciplina. Sebbene possa apparire superfluo farlo, riteniamo, ad ogni buon conto, utile tenere distinta la figura giuridica della quale ci stiamo occupando in questa fase dai finanziamenti per la penetrazione commerciale all'estero. Da questo punto di vista nel contratto di financial advisoring non c'è alcun tipo di attività di finanziamento, ma soltanto un'attività che potremmo definire tecnico-giuridica tesa a supportare le operazioni di acquisizione. Il contratto di financial advisoringLa dottrina aziendalistica definisce i contratti sopra richiamati nei termini assolutamente generici di contratti di mandato (cfr. ad esempio Capizzi, 360 e ss.); l'impiego, anche se spesso a-tecnico, di questa formula (equiparazione contratto di financial advisoring a contratto di mandato) potrebbe indurre a ragionare della figura come fattispecie riconducibile ad un unico tipo contrattuale. Il contratto di financial advisoring, nelle sue diverse sfaccettature, sarebbe riconducibile a una sola fattispecie rappresentata, in termini tecnico-giuridici, dal c.d. contratto di mandato. La traslazione dall'ambito aziendalistico a quello giuridico deriverebbe dalla constatazione del substrato economico proprio di tutti i negozi giuridici e, al contempo, delle fattispecie contrattuali. Nel traslare le prassi negoziali dal momento economico a quello giuridico, però, le cose possono complicarsi, poiché la semplificazione propria del primo mondo non funziona bene nel momento in cui si rende necessario tradurre le operazioni economiche in schemi negoziali fatti di attribuzioni giuridiche, prestazioni giuridiche e, più in generale, regole a carattere giuridico. In realtà, la fattispecie rappresentata dai contratti di financial adivisoring risulta essere molto più sfaccettata di quella che emergerebbe da una mera assimilazione al contratto di mandato; al contempo, tale figura subirebbe delle modificazioni in ragione dei soggetti concretamente coinvolti nell'operazione. In termini più precisi può dirsi che l'accostamento ad uno piuttosto che ad un altro tipo contrattuale del financial advisoring dipende, oltre che dall'individuazione del soggetto advisor, anche dalla prestazione cui è contrattualmente obbligato. Sulla base di questa impostazione possiamo dire che oltre a un collegamento col già richiamato contratto di mandato è possibile proporre anche un accostamento al contratto di appalto. Veniamo più nel dettaglio ai criteri sopra individuati: a) per quanto riguarda il criterio soggettivo, nella maggior parte dei casi il soggetto advisor coincide con un'impresa individuale ovvero con una società; b) per quanto concerne la prestazione principale oggetto di questo modello contrattuale, nella maggior parte di casi, in realtà, il financial advisor risulta essere obbligato ad una prestazione che potremmo definire di consulenza pura. Il dato sopra richiamato sembra, quindi, portare ad un allontanamento della fattispecie in esame rispetto al già richiamato contratto di mandato; l'art. 1703 c.c., infatti, come è noto, individua un precipuo elemento quale strumento in grado di caratterizzare la funzione del contratto di mandato e quindi di agevolare il processo di sussunzione del concreto contratto nella fattispecie normativamente tratteggiata (c.d. tipo contrattuale). La disposizione richiamata prevede che con il contratto di mandato il mandatario si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra parte. In tale contesto contrattuale gli elementi che rilevano, ove ci limitassimo a parlare del mandato senza rappresentanza, naturalmente, a cui sembra alludere la norma richiamata — l'espressione codicistica è infatti «per conto» — sono il compimento di attività nell'interesse dell'altra parte, al fine, cioè, di procurare un vantaggio o più correttamente di generare la ripercussione delle attività giuridiche poste in essere nei confronti del mandante (ciò potrà avvenire, naturalmente, soltanto al momento dell'adempimento dell'obbligo a cui faremo riferimento subito nel prosieguo), e la natura giuridica dell'attività posta in essere: in altri termini si tratta non tanto di attività materiale, ma di attività rappresentata da veri e propri atti giuridici che devono ripercuotersi nei confronti dell'altra parte. Il dato per cui si tratti generalmente di un mandato senza rappresentanza implica (ciò vale certamente per le operazioni aventi ad oggetto beni immobili) la previsione di un obbligo di trasferimento in capo al mandatario e a favore del mandante di tutti i diritti dallo stesso (mandatario) acquistati in esecuzione del mandato medesimo. Sulla distinzione fra mandato con rappresentanza e mandato senza rappresentanza la letteratura giuridica ha posto in evidenza come «il Codice [...] prevede che se al mandatario — obbligatosi a compiere atti giuridici per conto del mandante — viene conferita anche la procura (e ciò dimostra ancora una volta come la procura sia un atto autonomo), si applicheranno le norme della rappresentanza; ciò significa dunque che il mandato regola esclusivamente i rapporti interni: il mandatario, non sussistendo la procura, nei confronti dei terzi agirà in nome proprio, benché nell'interesse altrui» (cfr. Alcaro, 410 e ss.). Il contratto di financial advisoring sembra collegabile al contratto di appalto non di opere, ma di servizi, poiché esso obbliga l'advisor (appaltatore) ad un'attività che abbiamo visto essere qualificabile come «di servizi», postulando, in maniera del tutto evidente, l'esistenza di un'organizzazione imprenditoriale da parte dell'appaltatore e, inoltre, la qualificazione dell'attività in parola nei termini di attività d'impresa. La trattatistica ha infatti evidenziato come i connotati essenziali del contratto di appalto siano «rappresentati dal contenuto della prestazione — un facere — e dalle modalità di svolgimento da parte dell'appaltatore il quale, con la propria organizzazione imprenditoriale, sia assume il rischio della gestione» (cfr. Alcaro, 502 e ss.). La prassi può dar vita ad ipotesi differenti da quella appena tratteggiata; in taluni casi, infatti, sarebbe possibile investire l'advisor, oltre che dei poteri di consulenza ai quali abbiamo fatto sino a qui riferimento, del potere di stipulare contratti con terzi in nome del soggetto che attraverso il contratto in esame ha incaricato l'advisor. In tal caso, occorre precisare, il richiamo al contratto di mandato implica un richiamo ad una figura differente da quella che abbiamo sopra preso in considerazione (il c.d. mandato senza rappresentanza). In questo caso per la parte negoziale assimilabile al mandato ci troviamo di fronte ad un mandato con rappresentanza caratterizzato dalla coesistenza di un mandato e di un negozio (la c.d. procura) utile a realizzare la c.d. contemplatio domini. Una tale commistione di prestazioni e quindi di tipi contrattuali favorisce, ad ogni modo, in termini più complessivi, una qualificazione del contratto di financial advisoring che assuma le caratteristiche sopra menzionate nei termini di contratto a causa mista. Alcune considerazioni utili alla individuazione della funzione dei contratti di financial advisoringQui solo per inciso può osservarsi che la letteratura giuridica ha rilevato come appaia del tutto frequente e certamente anche ammissibile che un unico contratto abbia in sé contestualmente elementi del contratto di appalto ed elementi del contratto di mandato; spesso, infatti, il committente affida all'appaltatore oltre alla prestazione di un servizio o di un'opera anche il compimento di una o più attività giuridiche accessorie o complementari (cfr., fra gli altri, Rubino, Iudica, 61 e ss.). La conclusione appena riportata importa delle conseguenze naturalmente non soltanto definitorie; infatti può ritenersi che si applicheranno, nel caso in cui il contratto in esame assuma le vesti tanto del mandato quanto del contratto di appalto, le disposizioni che regolamentano le singole prestazioni che lo caratterizzano. Questa impostazione sembra preferibile anche rispetto a una possibile lettura che imponga l'applicazione della regolamentazione sulla base di un criterio di prevalenza, di un'indagine cioè volta a verificare quale prestazione e, quindi, quale tipo contrattuale debba considerarsi, nella fattispecie concreta, preponderante. Vi sarebbe in tale caso una sorta di assorbimento dell'intero negozio (concreto) nel negozio ritenuto prevalente. La combinazione della regolamentazione qui proposta consente, invece, di calibrare nella maniera più corretta la regolamentazione di questa fattispecie atipica e di adeguare la regolamentazione alle esigenze concrete che emergono dalla prassi dei rapporti commerciali. La disciplina del contrattoIl contratto di financial advisoring può essere stipulato, oltre che con imprese alle quali si applica lo statuto generale dell'imprenditore, con imprese di investimento e con banche che operano nel mercato finanziario. Alle prime si applica certamente la normativa in materia di T.U.F.; alla medesima disciplina devono ritenersi sottoposte, comunque, anche le banche già individuate come possibili parti del contratto di financial advisoring. Parte della dottrina pone in evidenza, a precisazione di quanto appena sopra riportato, che soltanto teoricamente, in realtà, il financial advisoring può essere esercitato da soggetti secondo il modello e lo statuto generale dell'impresa, o secondo quelli propri delle banche e delle imprese di investimento o, infine, sulla base delle disposizioni previste per il contratto di lavoro autonomo (cfr. artt. 2222 e 2228 c.c.). La medesima dottrina evidenzia, ad ogni buon conto, che l'ipotesi del financial advisor stipulato soltanto dalla categoria del lavoro autonomo — sia essa rientrante nelle ipotesi di categorie professionali protette o meno — è un'ipotesi meramente teorica in quanto al pari del financial advisoring stipulato con imprese soggette soltanto allo statuto generale dell'attività imprenditoriale tale fattispecie non ricorre nella prassi. Le ragioni di tale restringimento le individuiamo subito a seguire. Solitamente queste attività consulenziali sono svolte da banche e da imprese di investimento; sulla base infatti della disciplina del mercato finanziario queste entità sono legittimate a prestare i servizi accessori presi in considerazione in questa sede; la letteratura richiamata pone in evidenza in particolare che «in ogni caso la quota maggiore del mercato dei servizi di financial advisoring è notoriamente occupata da banche specializzate, che vengono solitamente chiamate per merchant bank». Questa posizione preminente delle banche è giustificata dal fatto che «le banche sono state le prime a svolgere le attività di consulenza qui considerate; dalla capacità delle banche di offrire servizi finanziari complementari a quelli della consulenza, e che sono tipicamente utili se non necessari ad ogni operazione di acquisizione; dall'ampiezza della clientela bancaria e della correlativa rete di raccolta di informazioni utili al monitoring del mercato e allo screening dei possibili soggetti intenzionati ad intervenire nel procedimento di risanamento; e dall'abitudine centenaria delle banche a lavorare in network con altre aziende di credito, e dunque dal loro essere attrezzate a svolgere attività anche di coordinamento» (cfr. Ubertazzi, 206 e ss.). Per quanto concerne la disciplina c.d. speciale che si applica al contratto in esame possiamo precisare che gli artt. 21 e ss. del T.U.F. stabiliscono alcune regole generali che sono relative alla forma del contratto, al corrispettivo dovuto dall'advisor, all'onere della prova per le azioni di risarcimento del danno, e, infine, alle regole di correttezza degli operatori del mercato finanziario. Per quanto riguarda la prima delle questioni appena sopra richiamate, quella della forma, occorre ricordare come da un punto di vista diacronico ci sia stata nel tempo una evoluzione che ha condotto da una prima fase in cui i contratti di advisoring rivestivano la forma libera, ad una seconda fase nella quale il principio della libertà delle forme viene progressivamente scalfito dalla disciplina dei contratti bancari. Qui solo per inciso, occorre rilevare come il principio della libertà delle forme conformi tutto il diritto contrattuale; la forma scritta ad substantiam, come è noto, disciplinata dall'art. 1350 c.c., già nell'impianto originario di questo tradizionale modello di regolamentazione, rappresentava disciplina che potremmo definire «eccezionale», applicabile soltanto nelle ipotesi espressamente regolamentate dal legislatore. Le regole di origine comunitaria in materia di crediti al consumo, che prescrivono la forma scritta, vengono estese dalla legge sulla trasparenza bancaria a tutte le altre operazioni e servizi bancari e finanziari; tale operazione di estensione è confermata dall'art. 117 del T.U.B. che letteralmente prescrive al primo comma che: «i contratti bancari sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti»; tale disposizione, salvo il contenuto eccezionale del secondo comma a tenore del quale «il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma», deve essere coordinata con il terzo comma del medesimo articolo ai sensi del quale «nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo». L'importanza della prescrizione della forma per in contratti in oggetto si desume anche dal regime sanzionatorio: la previsione della sanzione della nullità, quale effetto della inosservanza delle prescrizioni di forma, testimonia l'importanza degli interessi protetti dalla disciplina in esame attraverso le prescrizioni formali richiamate; ciò anche a dispetto del regime della legittimazione ad agire al quale faremo riferimento subito nel prosieguo della trattazione. Degne di menzione sono anche altre due disposizioni contenute nel T.U.B; in particolare, l'art. 124 e l'art. 127 d.lgs. n. 385/1993, la prima ribadisce la prescrizione di forma anche per i crediti al consumo; la seconda, in particolare al secondo comma, statuisce la legittimazione relativa del solo cliente ai fini dell'esercizio dell'azione di nullità. Si tratterebbe, quindi, di una sorta di fuoriuscita dal regime generale della nullità che, come è noto, prevede la legittimazione assoluta per il caso in cui si debba invocare questa forma di invalidità del contratto. Una fuoriuscita ad ogni modo consentita dal sistema medesimo in ragione del fatto che è proprio il legislatore a considerare ammissibile una tale deroga sul presupposto dell'esistenza di una previsione normativa che la legittimi. L'art. 1421 c.c. dispone, infatti, letteralmente, come è noto, che «salvo diverse disposizioni di legge, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d'ufficio dal giudice». Da tale disposizione sembra potersi ricavare che la deroga alla legittimazione assoluta, nell'ambito dell'invalidità di cui ci stiamo occupando, non può comportare la fuoriuscita dallo schema della «nullità». Tornando al tema in esame, le regole richiamate, sia, quindi, quelle in tema di prescrizione di forma, sia quelle inerenti la legittimazione relativa, si applicano anche alle prestazioni accessorie delle banche e, quindi, anche ai contratti, che le medesime stipulano, di financial advisoring. Venendo alla regolamentazione del mercato finanziario, può osservarsi che la disciplina del T.U.F. statuisce all'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 58/1998, la forma scritta, a pena di nullità, per i contratti relativi alle prestazioni di servizi di investimento e accessori; il terzo comma della disposizione da ultimo richiamata stabilisce, inoltre, la legittimazione relativa, disponendo in sostanza che la nullità relativa può essere fatta valere soltanto dal cliente. Il medesimo articolo 23 consente tuttavia alla Consob di, sentita la Banca d'Italia, prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Senza dilungarsi sul punto può tuttavia osservarsi, soltanto incidentalmente, che la Consob, in relazione alle imprese e ai sevizi di investimento, tende a garantire ed assicurare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti. Per quanto concerne, invece, Banca d'Italia, le principali funzioni svolte da questo organismo di controllo sono volte ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria. La letteratura giuridica specialistica rileva sul punto che «la Banca d'Italia concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell'area dell'euro ed espleta gli altri compiti che le sono attribuiti come banca centrale componente dell'Euro-sistema; può effettuare operazioni in cambi conformemente alle norme fissate dall'Euro-sistema; gestisce le riserve valutarie proprie; gestisce, inoltre, una quota-parte dei quelle della BCE per conto di quest'ultima. È responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota definita nell'ambito dell'Eurosistema, della gestione della circolazione e dell'azione di contrasto alla contraffazione; l'istituto promuove il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti attraverso la gestione diretta dei principali circuiti ed esercitando poteri di indirizzo, regolamentazione e controllo propri della funzione di sorveglianza» (in dottrina, di recente, cfr. De Mari, 16 e ss., ove anche ulteriori specificazioni in ordine alle funzioni e alle finalità che gli organismi richiamati tendono a realizzare; sulla disciplina sia generale che speciale qui presa in considerazione Ubertazzi, 2008, 30 e ss.). Tornando all'oggetto più specifico di questa trattazione, per quanto concerne la tematica del corrispettivo, occorre, in estrema sintesi, fare riferimento alla disciplina del mercato finanziario che nella materia qui di interesse ha statuito con riferimento ai cc.dd. financial advisoring di banche ed imprese di investimento una sorta di ampliamento rispetto ai principi bancari; questi ultimi prevedevano, come è noto, la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati. Mentre nella regolamentazione bancaria tale nullità si realizza esclusivamente nel caso di mancanza di pubblicità della fase precontrattuale relativa alla previsione del corrispettivo, nella regolamentazione finanziaria una tale limitazione non deve ritenersi ammissibile e la nullità si realizza in ogni caso di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto a seguito della stipulazione di un contratto di financial advisoring. Qualche osservazione di chiusuraSulla base di quanto sin qui osservato, possiamo ritenere che il contratto di financial advisoring può concretamente essere spiegato attraverso una tassonomia che consente di far riferimento a tre sub-fattispecie. La prima è racchiusa nell'ipotesi classica nella quale il contratto in esame ha tutte le caratteristiche essenziali che consentono di sussumere il modello concretamente impiegato nel c.d. contratto di appalto di servizi; ai sensi dell'art. 1655 c.c. infatti «l'appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro». Da tale disposizione emerge la presenza di due sub-ipotesi di contratto di appalto (quello d'opera e quello di servizi che dovrebbe essere coinvolto nel contratto del quale ci stiamo occupando in questa trattazione). La seconda, certamente più rara, si verifica nelle ipotesi in cui il contratto in esame racchiuda in sé anche aspetti e caratteristiche propri del contratto di mandato; in tal caso ci troviamo di fronte a un negozio a causa mista in cui l'advisor ha anche poteri di rappresentanza che gli vengono direttamente conferiti dall'altra parte del rapporto contrattuale. La terza ipotesi è rappresentata dal contratto di consulenza prestata da banche ed imprese di investimento; tale ipotesi si caratterizza per una forte ingerenza della normativa speciale la cui applicabilità discende, in particolare, dalla precipua qualificazione soggettiva delle parti che rappresentano i prestatori del servizio di consulenza (banche e imprese di investimento). Quanto sopra affermato e le riflessioni sino a qui condotte permettono di dare profondità ulteriori alle considerazioni svolte. In termini più espliciti, la suddivisione del contratto in esame in sub-fattispecie aiuta molto se si percorre il tentativo di individuare una disciplina applicabile. In altri termini, rappresentando il contratto in esame una fattispecie negoziale sprovvista di disciplina autonomia, occorrerà ricorrere alla disciplina del contratto di appalto di servizi nel caso in cui l'operazione economica concretamente prefigurata risponda a tale modello; nel caso in cui, invece, all'interno della fattispecie siano presenti anche aspetti che rimandano alla figura del contratto di mandato si potrà parlare, come detto, di un contratto misto; in tale ipotesi, allora, si dovrà invocare la disciplina applicabile, utilizzando la teorica dell'assorbimento ovvero quella della combinazione. Il contratto misto è, come è noto, una sottospecie del contratto atipico che ha al proprio interno elementi che caratterizzano differenti contratti tipici; esso è caratterizzato, a sua volta, per come abbiamo già avuto modo di verificare, da una causa mista che però appare tutto sommato unitaria. Spesso labile si mostra la distinzione fra contratto misto e contratti collegati in ragione del fatto che è difficile stabilire le ipotesi (quelle riconducibili proprio ai contratti collegati) in cui vengono perseguite più funzioni negoziali. È possibile evidenziare — sebbene nell'economia di questa trattazione non sia possibile un approfondimento che invece la materia meriterebbe — che un eventuale ricorso alla tecnica dell'assorbimento avrebbe l'effetto di annullare, quanto meno da un punto di vista disciplinare o, più correttamente, degli sforzi fatti per individuare la disciplina applicabile, le peculiarità della concreta fattispecie negoziale da prendere in considerazione. Tali peculiarità necessiterebbero di una disciplina che regolamenti la fattispecie sulla base di una considerazione dei singoli frammenti che caratterizzano la più complessa fattispecie o, ancora meglio, la più complessa operazione. Cosi la legislazione direttamente coinvolta dovrà essere quella relativa al contratto più attinente al frammento di fattispecie concreta di volta in volta preso in considerazione. Così, ancora, nel caso in cui accanto alla figura del contratto di appalto sia invocabile anche la figura del contratto di mandato dovrà farsi riferimento alla disciplina (nei limiti di compatibilità, naturalmente) del contratto di appalto con riferimento a tutte quelle prestazioni che possano ritenersi del tutto o anche soltanto parzialmente assimilabili al compimento di uno a più atti giuridici nell'interesse di un'altra parte. Una ulteriore riflessione che pare opportuno fare a questo punto della trattazione attiene al fatto che nel momento in cui configuriamo il contratto di financial advisoring nei termini di contratto misto intendiamo valorizzare entrambi gli aspetti del negozio che nella fattispecie concreta sembrano assumere un rilievo peculiare. Utilizzare la tecnica dell'assorbimento equivarrebbe a ridurre il contratto in esame o alla fattispecie contratto di mandato ovvero alla fattispecie contratto di appalto (più precisamente contratto di appalto di servizi). In altri termini, la qualificazione nei termini di contratto misto sarebbe di fatto smentita dall'impiego, anche se soltanto ai fini della determinazione della disciplina applicabile, della tecnica dell'assorbimento che ridurrebbe la fattispecie negoziale concreta o alla fattispecie del contratto di appalto o alla fattispecie del contratto di mandato. In termini ancora più espliciti, priva di alcun rilievo si mostrerebbe la qualificazione nei termini di contratto misto ove si considerasse quale disciplina applicabile soltanto quella di uno degli schemi negoziali richiamati in questa parte della trattazione. Dovrebbe, invece, prospettarsi nei termini di interpretazione preferibile, quella in forza della quale la disciplina applicabile venisse individuata sulla base di un processo di sussunzione della singola prestazione, individuabile all'interno dell'operazione complessa, nel contratto tipizzato, caratterizzato, a livello funzionale, da questa medesima prestazione. Questo medesimo processo dovrebbe applicarsi per tutte le prestazioni coinvolte nell'operazione complessivamente considerata. Se ne inferisce la individuazione di una disciplina complessivamente composita e, quindi, la possibilità di modulare tale medesima disciplina sulla base delle singole prestazioni che caratterizzano l'operazione complessivamente considerata, senza cosi rinunciare, proprio a livello disciplinare, alla valorizzazione dei singoli passaggi dell'operazione e senza, al contempo, operare cesure che altrimenti, aderendo alla teoria dell'assorbimento, inevitabilmente si prospetterebbero. Proprio per ovviare agli inconvenienti della teoria dell'assorbimento — tali inconvenienti sono stati in questa sede segnalati con riferimento al contratto di financial advisoring, ma, naturalmente, niente esclude che analoghe preoccupazioni si possano radicare rispetto ad altre fattispecie negoziali innominate — è stata elaborata una teoria che potremmo definire dell'assorbimento attenuato. La giurisprudenza, proprio in applicazione di tale modello teorico, ha affermato che nelle ipotesi in cui gli elementi del contratto definibili non prevalenti non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, la linea da seguire sarebbe quella di procedere, nel rispetto dell'autonomia contrattuale che, naturalmente governa anche i criteri da applicare in questa sede, alla integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano fino, in taluni casi, a fondersi nel c.d. negozio misto (App. Bologna 3 febbraio 2014; Cass. S.U., n. 11656/2008). Un'ulteriore, possibile prospettiva sarebbe quella di ridurre o scindere l'operazione, ove possibile, in rapporti contrattuali più basilari ed essenziali; ad essi si potrebbe quindi applicare la regolamentazione che corrisponde al singolo rapporto; ove ciò non fosse possibile, soltanto in questo caso si potrebbe, o forse più correttamente, si dovrebbe ricorrere alla teoria dell'assorbimento. L'applicazione di questo modello alla fattispecie in esame comporterebbe l'applicazione ai differenti segmenti negoziali, rispettivamente della disciplina dell'appalto e della disciplina del mandato. Ove un tale tipo di impostazione si dovesse ritenere concretamente impraticabile, si dovrebbe procedere con la teoria dell'assorbimento e, quindi, valutare quale fra i due schemi negoziali, possa, nella fattispecie concreta, ritenersi prevalente e, quindi, applicare la disciplina prevista per il modello prevalente. BibliografiaAlcaro, Diritto privato, Trento, 2015, passim; Capizzi, Gli intermediari finanziari e i servizi a supporto delle acquisizioni aziendali, in Forestieri (a cura di), Corporate & Investment Banking, Milano, 2000; De Mari, Diritto delle imprese e dei servizi di investimento, Milano, 2018, passim; Lembo, Servizi di investimento e sostenibilità ESG: il nuovo assetto normativo alla luce della più recente disciplina comunitaria, in Dir. comm. int., 2023, I, 63 ss.; Rubino, Iudica, Appalto, in Comm. S.B., a cura di Galgano, Bologna, 2007, 61 e ss.; Ubertazzi, Il contratto di financial advisoring, in Dir. banc. merc. fin., 2007, IV; Ubertazzi, Il procedimento di acquisizione di imprese, 2008, in eprints.luiss.it; Ubertazzi, Accordi di risanamento: i soggetti coinvolti, il ruolo delle banche e le responsabilità, in Bonfatti, Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovra indebitamento, Milano, 2014, 206 e ss. |