Codice Civile art. 1335 - Presunzione di conoscenza.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Presunzione di conoscenza.

[I]. La proposta, l'accettazione [1326], la loro revoca [1328] e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia.

Inquadramento

La norma, unitamente all'art. 1334 c.c. che immediatamente la precede, completa la disciplina che regola il regime giuridico degli atti recettizi: ed infatti, benché espressamente formulata avuto riguardo a proposta, accettazione e loro revoca (dunque, agli atti che concorrono alla formazione del contratto), si ritiene comunemente che la previsione sia applicabile a tutti gli atti recettizi.

In tal senso è chiara anche la giurisprudenza di legittimità: la norma si applica a tutte le dichiarazioni recettizie (Cass. n. 3908/1992), con esclusione dell'ambito riservato alla notificazione degli atti processuali, soggiacenti alla specifica disciplina del codice di rito (Cass. n. 6432/1984).

Seguendo, poi, l'impostazione contenuta nella Relazione al Re (n. 605), l'art. 1335 c.c. regolerebbe un'ipotesi di presunzione di conoscenza superabile dal destinatario che dimostri di essersi trovato, senza colpa, nella impossibilità di averne notizia: sicché si tratterebbe di una presunzione relativa, con conseguente inversione dell'onere della prova a carico del destinatario della dichiarazione (Mirabelli, 99)

Ambito di operatività della disciplina

Si è accennato, in precedenza, alla circostanza per cui si ritiene, in dottrina come in giurisprudenza, che la regola dettata dall'art. 1335 c.c. vada oltre il campo degli atti indicati dalla norma e trovi applicazione per tutti gli atti unilaterali recettizi.

Particolarmente ampia, in tal senso, la motivazione di Cass. L, n. 715/1988, per cui il principio stabilito dall'art. 1335 c.c., secondo cui ogni dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta al momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato senza sua colpa nella impossibilità di averne notizia, è applicabile non solo alle dichiarazioni inerenti alla formazione del contratto ma a tutte le dichiarazioni recettizie, fra cui rientra l'invito del datore di lavoro al lavoratore a riprendere servizio per cessazione della sospensione (derivante, nella specie, dall'ammissione alla C.i.g.) dell'attività lavorativa; detta presunzione, che non è connaturale ad un particolare mezzo di trasmissione della dichiarazione diretta a persona determinata, opera anche se si faccia uso del servizio postale, qualunque sia la forma, da questo prevista, adottata dal mittente; né, nel caso di lettera raccomandata di cui l'incaricato del servizio postale abbia certificato la consegna all'indirizzo del destinatario, assume rilievo l'inosservanza delle norme del regolamento postale relative al recapito delle raccomandate, salvo che tale inosservanza si traduca, in eventuale concorso con altre circostanze, nella prova (la cui valutazione è riservata al giudice del merito) della impossibilità del destinatario di averne avuto notizia. Del medesimo tenore Cass. L, n. 3908/1992, per cui l'operatività della presunzione di conoscenza stabilita dall'art. 1335 c.c. — che riguarda non solo le dichiarazioni inerenti alla formazione del contratto ma tutte le dichiarazioni recettizie e, quindi, anche l'invito del datore di lavoro a riprendere servizio per la cessazione della cassa integrazione — presuppone che la dichiarazione sia giunta all'indirizzo del destinatario, inteso l'indirizzo come luogo risultante, in concreto, nella sfera di dominio e controllo del destinatario medesimo, ma non esige, allorché la dichiarazione sia trasmessa a mezzo del servizio postale, che la consegna dell'atto avvenga secondo le norme del codice postale, essendo riservato al giudice del merito (la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata) l'accertamento della sussistenza o no di circostanze ed elementi tali, anche se di natura presuntiva, da far ritenere l'arrivo dell'atto all'indirizzo del destinatario.

Non tutta la dottrina concorda, però, con tale impostazione. A fronte di chi sposa questa tesi ampliativa della portata della norma (Scognamiglio, 180, Giampiccolo, 314), infatti, si pone chi, al contrario, ne limita l'operatività alle sole dichiarazioni volte alla conclusione del contratto (Rescigno, 240) e chi, ancora, ritiene che l'estensione della norma al di fuori dei casi dalla stessa espressamente previsti dovrebbe essere oggetto di una valutazione caso per caso (Ravazzoni, 313 ss.)

L'indirizzo del destinatario e la trasmissione

Con l'espressione «indirizzo del destinatario» si fa riferimento al luogo più idoneo per la ricezione (Giampiccolo, 274) ovvero a quello eventualmente concordato a tal fine dalle parti (Sacco, 74).

Si tratta, dunque, del luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione per l'esplicazione della propria attività lavorativa o per una preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto nella sfera di dominio del ricevente la dichiarazione, apparendo idoneo a consentirgli la ricezione dell'atto e la possibilità di conoscenza del relativo contenuto (Cass. L, n. 773/2003): ove si tratti del luogo di lavoro, peraltro, non è necessario che sia prevista una struttura organizzativa aziendale per lo smistamento della corrispondenza, essendo sufficiente che, da parte del datore di lavoro e della sua organizzazione, non vi sia un rifiuto della corrispondenza diretta ai propri dipendenti.

Non influisce, invece, sull'identificazione dell'indirizzo del destinatario, l'eventuale elezione di domicilio compiuta dalla parte destinataria della futura dichiarazione, nel senso che, in difetto di una chiara ed espressa volontà contraria, il domicilio eletto non ha comunque carattere esclusivo, sicché essa non osta a che l'atto unilaterale recettizio, inerente al rapporto contrattuale venga trasmesso al diverso indirizzo della parte medesima, ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 1335 c.c. (Cass. III, n. 8399/1986; Cass. III, n. 4083/1978).

Analoga è la posizione della dottrina (Giampiccolo, 272), per la quale, ove vi sia un'elezione di domicilio, il dichiarante che invochi l'operatività della presunzione ex art. 1335 c.c. rispetto a tale luogo deve avere cura di osservare che detto domicilio abbia carattere esclusivo.

Nel caso in cui il destinatario sia un ente collettivo, poi, l'indirizzo utile ai fini dell'operatività della presunzione in commento si identifica con la sede dell'ente (Cass. L, n. 6471/1987).

Fattispecie particolare, infine, è quella del destinatario dell'atto che usufruisca del servizio di casella postale: in simile ipotesi, il luogo presso cui eseguire le comunicazioni, agli effetti dell'art. 1335 c.c., va individuato nell'ufficio di destinazione presso il quale l'ente postale, pervenuta la corrispondenza, ne rileva la riferibilità al destinatario, provvedendo all'attività di inserimento nella casella, senza che rilevi che questa sia allocata, per il ritiro, presso altro ufficio del medesimo luogo (Cass. III, n. 2070/2015).

La disposizione non limita in alcun modo le facoltà dell'emittente la dichiarazione circa l'utilizzazione di un qualunque mezzo idoneo alla sua trasmissione, purché idoneo allo scopo e sempre che non sia la legge ad esigere una specifica forma di comunicazione (Mirabelli, 100).

I due criteri predetti vanno tuttavia integrati, nel senso che, rispettato il requisito formale «primario» (ad esempio forma scritta), è ben possibile che la trasmissione della dichiarazione avvenga con mezzi equipollenti a quelli previsti convenzionalmente ovvero ex lege. Così, ad esempio, per la prelazione locatizia, prevista dall'art. 38 l. n. 392/1978, sia la comunicazione dell'intenzione del proprietario di vendere, sia la dichiarazione di prelazione del conduttore — che hanno natura di atti ricettizi di valore sostanziale — devono essere portati a conoscenza dei rispettivi destinatari con il prescritto mezzo della notificazione eseguita dall'ufficiale giudiziario, sicché la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c. si verifica soltanto quando il procedimento notificatorio sia completo in tutti i suoi momenti, con la consegna, debitamente verbalizzata, di una copia dei suddetti atti, ovvero se siano state compiute le formalità equipollenti, restando onere dei rispettivi autori degli stessi la prova del perfezionamento del tempestivo adempimento di quel procedimento o del mezzo equivalente attuato (Cass. III, n. 4608/1989). Allo stesso modo Cass. II, n. 2211/1989 chiarisce che le modalità della disdetta del contratto di locazione, che siano indicate nel contratto medesimo (nella specie, lettera raccomandata con ricevuta di ritorno), non possono integrare una forma convenzionale ad substantiam e, pertanto, non ostano a che l'atto possa giungere all'indirizzo del destinatario con mezzi equipollenti (nella specie, raccomandata semplice), ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 1335 c.c.

Segue. La presunzione di conoscenza

Come chiarito dalla stessa lettera legis, l'atto si reputa conosciuto nel momento in cui giunge all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia.

Si è in presenza di una presunzione di conoscenza (Scognamiglio, 181) — o, secondo altri autori, di conoscibilità (Giampiccolo, 315) — che concerne non solo la cognizione, ma anche l'esatta cognizione dell'atto (Mirabelli, 102. In termini cfr. anche Cass. I, n. 22687/2017, per cui la dichiarazione unilaterale comunicata mediante lettera raccomandata si presume ricevuta — e quindi conosciuta nel suo contenuto — pur in mancanza dell'avviso di ricevimento, sulla base dell'attestazione della spedizione da parte dell'ufficio postale, sicché incombe sul destinatario l'onere di provare l'asserita non corrispondenza della dichiarazione ricevuta — perché la raccomandata non conteneva alcun atto o conteneva un atto diverso — rispetto a quella indicata dal mittente, non potendo il destinatario limitarsi ad una generica contestazione dell'invio della raccomandata medesima) e che ha carattere relativo, nel senso che giunto l'atto all'indirizzo del destinatario, si determina un'inversione dell'onere della prova a carico di costui, spettando a questi di dimostrare che non ha avuto la possibilità, senza colpa, di conoscere l'atto.

In proposito si è chiarito che: a) ove non sorgano contestazioni, la prova che l'atto sia pervenuto all'indirizzo del destinatario può essere fornita anche in via presuntiva, purché la presunzione abbia i requisiti di cui all'art. 2729 c.c. e, dunque, sia fondata su indizi gravi, precisi e concordanti (Cass. II, n. 20925/2015). In tal senso, ad esempio, si è detto che: a.1) la produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell'avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell'arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell'art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull'ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico (Cass. L, n. 24015/2017. Applica il medesimo principio Cass. VI, n. 22240/2013, per cui la prova dell'avvenuto recapito della lettera raccomandata contenente il verbale dell'assemblea condominiale all'indirizzo del condomino assente all'adunanza comporta l'insorgenza della presunzione iuris tantum di conoscenza, in capo al destinatario ex art. 1335 c.c., nonché, con essa, la decorrenza del dies a quo per l'impugnazione della deliberazione, ai sensi dell'art. 1137 c.c.); a.2) dimostrato l'avvenuto corretto inoltro del documento a mezzo telefax al numero corrispondente a quello del destinatario, deve presumersene il conseguente ricevimento e la piena conoscenza da parte di costui, restando, pertanto, a suo carico l'onere di dedurre e dimostrare eventuali elementi idonei a confutare l'avvenuta ricezione (Cass. VI, n. 18679/2017); b) la presunzione di conoscenza di un atto del quale sia contestato il suo pervenimento a destinazione, non è integrata dalla sola prova della spedizione della raccomandata, essendo necessaria, attraverso l'avviso di ricevimento o l'attestazione di compiuta giacenza, la dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio (Cass. VI-L, n. 19232/2018). Per l'operatività della presunzione occorre, infatti, che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza, posto dall'art. 1335 c.c., rimane integrato solo in conseguenza del fatto oggettivo dell'arrivo dell'atto nel luogo di destinazione, e non opera quando l'agente postale lo abbia rispedito al mittente, attestando di non aver potuto procedere alla consegna (Cass. I, n. 24703/2017); c) la lettera raccomandata — anche in mancanza dell'avviso di ricevimento — costituisce prova certa della spedizione attestata dall'ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell'atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l'onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di acquisire la conoscenza dell'atto (Cass. I, n. 17204/2016; Cass. III, n. 20167/2014). Contra, però, Cass. L, n. 12822/2016, per cui la presunzione di conoscenza di un atto, del quale sia contestato il suo pervenimento a destinazione, non è integrata dalla sola prova della spedizione della raccomandata, essendo necessaria, attraverso l'avviso di ricevimento o l'attestazione di compiuta giacenza, la dimostrazione del perfezionamento del procedimento notificatorio.

Onde evitare che scatti la presunzione ex art. 1335 c.c., il destinatario di un atto recettizio ha, dunque, l'onere di fornire la prova della ricorrenza di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà (quale, ad esempio, la permanenza forzata in un luogo non conosciuto o non raggiungibile) che gli ha impedito, secondo un comportamento da valutarsi in base all'ordinaria diligenza, di avere conoscenza dell'atto medesimo.

Si ritiene che a tal fine il destinatario debba fornire la dimostrazione di un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà (Cass. III, 450/1985) ovvero del ricevimento di un testo difforme da quello di cui il mittente esibisca copia (Cass. III, n. 771/2004).

Al riguardo, la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass., L., n. 4795/2023) si è pronunciata nell'ambito del procedimento di irrogazione delle sanzioni disciplinari, specificando come tale presunzione di conoscenza non operi ogni qual volta il mittente conosca l'impedimento effettivo del destinatario ad avere notizia dell'atto inviato (in particolare, si è ritenuta non integrata la presunzione a favore del datore di lavoro già precedentemente informato dell'allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell'impedimento di quest'ultimo a prendere conoscenza della contestazione inviatagli).

Per quanto la considerazione possa apparire paradossale, poi, secondo alcuni anche il dichiarante può a far valere l'inefficacia della propria dichiarazione, dimostrando che il destinatario non l'ha conosciuta per sua colpa (Sacco, 74). Diversamente, si osserva che, poiché l'art. 1335 c.c. abilita il destinatario a provare la mancanza di colpa, non sono ammesse deroghe all'efficacia della ricezione.

Segue. Il rifiuto del destinatario

Correlata alla tematica appena trattata è quella concernente l'eventuale rifiuto di ricevere l'atto da parte del destinatario.

In linea generale, la «colpa» ravvisabile in capo al destinatario dell'atto recettizio, in ordine all'impossibilità di avere notizia dell'atto giunto al suo indirizzo, si riferisce ad un comportamento privo dei connotati di diligenza, tenuto conto delle normali esigenze del traffico, in base alle circostanze del caso concreto (Ravazzoni, 323): ciò implica che il destinatario è comunque tenuto ad impiegare la diligenza ordinaria, da valutarsi in concreto, pur non dovendo necessariamente avere un comportamento collaborativo.

È in tale contesto che si pone, dunque, il problema del comportamento volutamente ostativo del destinatario della dichiarazione, che rifiuti di ricevere l'atto, sebbene regolarmente comunicatogli presso il proprio indirizzo.

Si applica, in questo caso, il principio per cui il rifiuto del destinatario di un atto recettizio di riceverlo, non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta, trattandosi di un atto che non sfugge al principio generale per cui il rifiuto della prestazione da parte del destinatario non può risolversi a danno dell'obbligato e alla regola della presunzione di conoscenza dell'atto desumibile dall'art. 1335 c.c. (Cass. L, n. 18661/2017, in tema di consegna dell'atto di licenziamento nell'ambito del luogo di lavoro. Conf. Cass. L, 20272/2009). Specifica in proposito Cass. L, n. 7620/2001 che il principio, secondo cui, anche al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 138, comma 2 c.p.c., il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale recettizio di ricevere lo stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi avvenuta e produca i relativi effetti, ha un ambito di validità determinato dal concorrente operare del principio secondo cui non esiste, in termini generali ed incondizionati, l'obbligo o l'onere, del soggetto giuridico di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte da parte di chicchessia e in qualunque situazione. Infatti, al di fuori del campo delle comunicazioni normativamente disciplinate, quali quelle mediante notificazione o mediante i servizi postali, una soggezione in tal senso del destinatario non esiste in termini generali, ma può dipendere dalle situazioni o dai rapporti giuridici cui la comunicazione si collega.

L'incapacità del destinatario

L'operatività dell'art. 1335 c.c. presuppone che il destinatario sia legalmente capace di agire, non essendo richiesta una capacità più ampia di quella richiesta per gli atti di ordinaria amministrazione (e ciò almeno nel caso in cui l'atto sia diretto a realizzare un effetto rispetto al quale il destinatario non abbia da compiere alcuna attività o, se contro l'atto sia consentita reazione, questa sia sempre possibile in quanto dalla recezione del negozio unilaterale non decorrano termini di decadenza al fine di esercitare diritti per cui occorre la capacità piena. Così Cass. III, n. 2540/1964), né assumendo rilievo alcuno l'eventuale suo stato di incapacità naturale.

La validità o l'efficacia degli atti recettizi prescinde, infatti, dall'eventuale stato di incapacità naturale del soggetto cui sono rivolti, atteso che la disciplina di tali atti — in ordine ai quali il legislatore si è dato cura di dettare regole (art. 1335 c.c.) che consentono di stabilire la certezza giuridica della loro conoscenza da parte dei destinatari indipendentemente dalla capacità degli stessi di apprezzarne il valore e di determinarsi in conseguenza — è informata al principio dell'affidamento e che l'art. 428 c.c. prevede la annullabilità soltanto degli atti unilaterali posti in essere dallo stesso incapace naturale (Cass. L, n. 3612/1985; Cass. L, n. 5563/1982 e, più recentemente, Cass. VI, n. 12658/2018).

Si fa però presente che di recente Cass. lav., n. 27483/2023 ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione del seguente quesito: se uno stato di incapacità naturale, processualmente dimostrato e non contestato, sussistente nel momento in cui l'atto recettizio sia giunto all'indirizzo, rilevi ai fini del superamento, da parte del destinatario, della presunzione di conoscenza ex art 1335 c.c. in quanto incidente sulla possibilità di averne notizia, senza sua colpa.

La soluzione è sposata dalla dottrina la quale ritiene che la dichiarazione indirizzata ad un soggetto di cui il dichiarante ignorava lo stato di incapacità naturale è idonea a produrre i propri effetti, salvo che il destinatario non provi di averla non percepita senza sua colpa per tale suo stato di incapacità (Mirabelli, 98)..

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