Codice Civile art. 1337 - Trattative e responsabilità precontrattuale.InquadramentoLa formazione del contratto è istantanea, se proposta ed accettazione intervengono in maniera pressoché coeva e senza necessità che le parti abbiano necessità di dialogare tra loro in relazione al contenuto del contratto: ciò è generalmente quanto avviene allorché si tratti di negozi che hanno ad oggetto beni di scarso valore economico ovvero il cui contenuto sia in tutto o in parte predeterminato. Diversamente, ben può accadere che l'incontro tra proposta ed accettazione sia «preparato» da una fase preliminare, in cui le future parti del rapporto contrattuale individuano e «limano» il contenuto del negozio, svolgono le loro attività di controllo e riscontro, valutano la convenienza stessa dell'affare: questa fase preliminare di preparazione si qualifica con il termine di «trattative» che, se non impegnano alla futura conclusione del contratto, cionondimeno richiedono alle parti un determinato comportamento positivo. Il legislatore del 1942, dunque, ponendosi in linea evolutiva rispetto all'originario impianto dettato dal codice del 1865, ha disciplinato compiutamente l'ipotesi della culpa in contrahendo, forgiando una disposizione ad hoc che, significativamente rubricata «Trattative e responsabilità precontrattuale», espressamente impone alle parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, di comportarsi secondo buona fede (cfr. art. 1337 c.c.), contestualmente contemplando, al successivo art. 1338 c.c., un'ipotesi specifica di tale forma di responsabilità, consistente nell'omessa comunicazione alla controparte dell'esistenza di una causa di invalidità del contratto, conosciuta o conoscibile secondo l'ordinaria diligenza La natura della responsabilità precontrattualeMolto discussa è la natura stessa della responsabilità precontrattuale, oscillandosi tra chi ritiene che si tratti di una forma di responsabilità riconducibile alla responsabilità contrattuale, che ritiene che si rientri nell'ambito di operatività dell'illecito aquiliano e chi, infine, ne afferma l'autonomia rispetto alle precedenti e, dunque, sostiene versarsi in presenza di un tertium genus di responsabilità che a quelle si affianca. L'opinione prevalente (Mirabelli, 114; Sacco, 919) riconduce la responsabilità precontrattuale nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, della quale costituirebbe una species: il fondamento di tale forma di responsabilità va ravvisato nella lesione dell'interesse di ogni soggetto alla libera esplicazione della sua autonomia negoziale, inteso come situazione giuridica protetta nella vita di relazione. Pertanto l'applicabilità della disciplina sostanziale e processuale dettata per quel tipo di responsabilità, in tema di riparto dell'onere della prova e di prescrizione (quinquennale, ex art. 2947 c.c. e non già decennale ordinaria), ricade nel genus della responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che troverà applicazione la disciplina prevista per tale ultima ipotesi di responsabilità, sia in ordine alla ripartizione degli oneri probatori (sicché grava sul danneggiato l'onere di provare il comportamento lesivo ed il danno subito), sia in ordine al termine di prescrizione, che sarà quello quinquennale di cui all'art. 2947 c.c. Per un diverso orientamento, al contrario, la responsabilità ex art. 1337 c.c. ha natura contrattuale, derivando dalla violazione di specifici obblighi posti ex lege in capo alle parti (Scognamiglio, 215): in sostanza, si afferma, che gli obblighi precontrattuali di correttezza hanno struttura e contenuto uguali ai corrispondenti obblighi contrattuali riconducibili al dovere di buona fede e, in alcuni casi, tendono finanche alla positiva realizzazione dell'altrui interesse. Alcuni dei fautori di questa testi arrivano, poi, a ricostruire la culpa in contrahendo in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale (Mengoni, 362 ss.). Secondo altri (Sacco, 919), infine, quella in esame rappresenterebbe un tertium genus di responsabilità, non riconducibile ad alcuno dei tipi tradizionali di responsabilità civile e le cui regole disciplinari andrebbero ricostruite combinando quelle relative a questi ultimi. Meno variegata è, invece, la posizione della giurisprudenza, che oscilla tra la tesi — dominante — della natura extracontrattuale e quella, di più recente teorizzazione, della natura contrattuale. In particolare, Cass. III, n. 16735/2011, uniformandosi alle conclusioni della costante giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 9645/2001), afferma che la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall'art. 1337 c.c. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova, e ne fa discendere la conseguenza per cui, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua. Sostanzialmente nel medesimo senso cfr. anche Cass. III, n. 2525/2006 e Cass. S.U.,n. 10413/2017, per cui la responsabilità precontrattuale è configurabile in tutti i casi in cui un soggetto abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui osservanza sono tenuti anche la P.A. e gli enti pubblici, nell'ambito del rispetto dei principi garantiti dall'art. 2043 c.c. La soluzione è stata poi confermata, sia pure indirettamente e con riferimento all'affermazione della giurisdizione del giudice italiano, da Cass. S.U.,n. 1311/2017 per la quale, qualora un ente pubblico promuova una causa risarcitoria complessa nei confronti di alcuni istituti di credito — alcuni dei quali con sede all'estero — avente ad oggetto, in via principale, l'illecito extracontrattuale consistente nell'aver tenuto, nella fase anteriore alla stipulazione di uno strumento finanziario derivato, condotte illecite tali da arrecare grave pregiudizio all'ente stesso, sussiste la giurisdizione del giudice italiano, ove l'evento dannoso si sia verificato in Italia, ai sensi dell'art. 5, n. 3), del Regolamento CE 22 dicembre 2000 n. 44/2001 (v. ora art. 7 Regolamento UE 12 dicembre 2012, n. 1215), perché la regola del locus commissi delicti trova applicazione anche in materia di responsabilità precontrattuale (conf. Cass. S.U., 2926/2012). Di recente la tesi della natura della responsabilità extracontrattuale è affermata da Cass. III , n. 27262/2023, con quanto ne consegue in termini di onere della prova. Quindi, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua. Esclude, poi, che nella fase delle trattative possa discorrersi di contatto sociale Cass. I, n. 15707/2018 che osserva come, in tema di sollecitazione al pubblico risparmio, la responsabilità per violazione delle regole destinate a disciplinare il prospetto informativo che correda l'offerta di prodotti finanziari ha natura aquiliana, essendo tali regole volte a tutelare un insieme ancora indeterminato di soggetti ed a consentire a ciascuno di essi la corretta percezione dei dati occorrenti al compimento di scelte consapevoli, non essendo ancora configurabile, al momento dell'emissione del prospetto, un contatto sociale con i futuri eventuali investitori. In senso inverso, al contrario, affermano la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale Cass. I, n. 14188/2016 e Cass. I, n. 27648/2011: si afferma che, in tema di contratti conclusi con la P.A., l'eventuale responsabilità di quest'ultima, in pendenza dell'approvazione ministeriale, deve qualificarsi come precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c., ed è inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da «contatto sociale qualificato», inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione sancito dall'art. 2946 c.c. Segue. La posizione della giurisprudenza comunitaria In questo teorico dialogo tra dottrina e giurisprudenza si colloca, inoltre, la posizione della Corte di Giustizia (sent. 17 settembre 2002, n. 334 — Fonderie Officine Meccaniche Tacconi s.p.a. c. Heinrich Wagner Sinto Maschinenfabrik GmbH) che, sia pure con riferimento alla Convenzione di Bruxelles ed una ipotesi specifica di responsabilità precontrattuale (recesso dalle trattative), ma con ragionamento pianamente applicabile al Reg. 44/2001 (destinato a sostituire, in parte qua, la detta convenzione) ha preso posizione netta per la teoria della natura extracontrattuale della responsabilità in commento, sia pure affermando il principio in prospettiva di una decisione sulla giurisdizione ad opera del giudice italiano: «in un contesto come quello della causa principale, caratterizzata dalla mancanza di impegni liberamente assunti da una parte nei confronti di un'altra in sede di trattative dirette alla formazione di un contratto e dall'eventuale violazione di norme giuridiche, in particolare di quella che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede nell'ambito di tali trattative, l'azione con cui si fa valere la responsabilità precontrattuale del convenuto rientra nella materia dei delitti o quasi delitti, ai sensi dell'art. 5, n. 3, Conv. Bruxelles». Nella pronunzia si delinea una netta distinzione tra le disposizioni contenute nel n. 1 e nel n. 3 dell'art. 5 della Convenzione di Bruxelles, fondata sull'esistenza o meno, tra le parti, di un obbligo contrattuale: a) si applica l'art. 5, n. 1, ove detto elemento sia presente; b) in caso di sua assenza si rientra nell'ambito della seconda disposizione La struttura della responsabilità precontrattuale: a) le trattativeLa struttura della responsabilità delineata dall'art. 1337 c.c. richiede, ai fini della sua configurabilità, la ricorrenza di tre presupposti e, cioè, a) che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, b) che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli e c) che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato da dolo o colpa e non sia conforme ai canoni di correttezza e buona fede. Tale ricostruzione è, poi, sostanzialmente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità la quale (Cass. II, n. 7545/2016) ha ribadito che per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. Iniziando dal primo dei menzionati presupposti, le parti sovente intavolano discussioni più o meno lunghe, durante le quali formulano una serie di proposte e controproposte, così gradualmente elaborando e definendo compiutamente il contenuto del futuro contratto. Solo allorché tali discussioni sono giunte ad un punto tale da fare ritenere prevedibile (se non certa) la futura conclusione del contratto, la loro ingiustificata rottura origina la responsabilità in esame: né prima (perché difetta l'esigenza di tutelare l'affidamento dell'altra parte), né dopo (perché, se il contratto è perfezionato, tale circostanza preclude, evidentemente, la possibilità di recedere da esse — per essersi le stesse già esaurite). A tale proposito, anzi, da tempo si distingue tra «accordi preparatori in senso stretto» (con tale locuzione intendendosi l'attività delle parti che, ritenendo per raggiunti alcuni dei patti e delle condizioni, fissano gli stessi per agevolare il prosieguo delle trattative, precludendosi di ritornare nuovamente su di essi una volta raggiunto l'in idem placitum anche sugli altri aspetti allo stato non ancora definiti) «intese» (con tale espressione facendosi riferimento ad un vero e proprio «regolamento contrattuale, più o meno dettagliato, destinato a valere per la conclusione di futuri eventuali contratti tra di loro o anche nei riguardi dei terzi») e «contratti preparatori» (con tale circonlocuzione alludendosi espressamente e specificamente al contratto preliminare ed all'opzione): solo nei primi due casi, e sempre che il comportamento del soggetto sia stato tale da ingenerare nell'altro il convincimento che il contratto sarebbe stato stipulato, può propriamente parlarsi di trattative. Se ne è tratta l'esigenza di individuare delle figure sintomatiche di una trattativa giunta fino al punto che la sua (ingiustificata) interruzione determina l'insorgenza della responsabilità in esame. La giurisprudenza ha da tempo chiarito che l'accordo su alcuni elementi essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative e non pone in essere il perfezionamento del contratto stesso, giacché per la costituzione del vincolo contrattuale occorre che sia raggiunto l'accordo su tutti gli elementi costitutivi, anche secondari ed accessori, ossia sulla totalità delle clausole e dei fatti contrattuali (Cass. III, n. 367/2005; Cass. II, n. 16016/2002); ciò — si badi — a meno che le parti abbiano dimostrato di non volere subordinare la perfezione del contratto al successivo accordo su un determinato elemento complementare e sussidiario, nel qual caso, data la comune intenzione delle parti, basta, per la perfezione del contratto, che il consenso sia stato raggiunto sugli elementi essenziali del contratto stesso (Cass. III, n. 3705/1995). In ogni caso affinché possa insorgere responsabilità contrattuale in conseguenza del recesso dalle trattative, è necessario che le parti abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto, in modo che possa determinarsi un fondato affidamento sulla sua conclusione (Cass. III, n. 5492/1982): deve cioè trattarsi di trattative che siano in uno stadio avanzato, tale che, per serietà e concludenza, lascino presagire la stipulazione del contratto e giustifichino l'affidamento riposto dalle parti in tale conclusione (Cass. III, n. 11243/2003). Anche la dottrina ha tentato di enucleare ed isolare le principali regole giurisprudenziali affermate in materia, chiarendo che, per potersi parlare di «trattativa» rilevante ai fini dell'art. 1337 c.c. «a) occorre che, sia pure in sede di semplici trattative, le parti abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto che si propongono o sperano di stipulare; b) è invece irrilevante l'eventuale breve durata o il numero minimo degli incontri intervenuti tra le parti, ove l'interruzione ad opera di una delle parti risulti comunque priva di ogni ragione giustificativa e tale, perciò, da sacrificare il legittimo affidamento che la controparte poteva avere fatto sulla conclusione del contratto; c) non c'è giusta causa di recesso se il recedente adduce circostanze già note all'inizio della trattativa o conoscibili con l'ordinaria diligenza; d) c'è giusta causa di recesso se una parte si avvede di essere stata indotta alla trattativa dal dolo dell'altra parte, che aveva già alienato a terzi lo stesso bene» (Di Majo, 562 ss.). Segue. Ancora sulle trattative Occorre che il soggetto che invochi la responsabilità precontrattuale ovvero che la abbia generata sia stato parte delle trattative, considerandosi tale il soggetto che — anche attraverso un rappresentante — sia intervenuto in esse, nei cui confronti cioè, confronti il contratto da concludere sarebbe destinato a produrre effetti. In questo senso si è espressa, peraltro, la giurisprudenza di legittimità, per la quale lo svolgimento delle sole trattative in vista della conclusione di un contratto, può essere oggetto di mandato con rappresentanza, in quanto la prestazione del mandatario non deve consistere necessariamente nella conclusione di negozi giuridici, ma può concretarsi anche nel compimento di atti volontari non negoziali, e le norme sulla rappresentanza sono applicabili per analogia anche agli atti giuridici leciti c.d. simili ai negozi (quali la costituzione in mora, la denunzia di vizi, le partecipazioni in genere, ecc.): sicché, allorché le trattative siano svolte da un mandatario con rappresentanza — sia pure limitata alla sola fase precontrattuale, con esclusione della stipula del contratto — gli atti compiuti dal rappresentante sono direttamente ed automaticamente imputati al rappresentato, con conseguente riferibilità a quest'ultimo della responsabilità precontrattuale eventualmente configurabile (Cass. II, n. 3103/2002). Il medesimo principio si applica, poi, laddove l'apparente rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (Cass. III, n. 4299/1999). Diversamente, la responsabilità del rappresentante senza poteri ovvero che abbia ecceduto i limiti dei poteri conferitigli richiede un autonomo fatto doloso o colposo dello stesso, lesivo dell'altrui affidamento (Cass. III, n. 402/1966). Discorso diverso è se il comportamento di un terzo, estraneo alle parti, possa essere causa di responsabilità precontrattuale. Si ritiene, in proposito, che il comportamento del terzo che, senza condurre alcuna trattativa, generi in altro soggetto il convincimento che verrà concluso un contratto, configura un ordinario illecito extracontrattuale (Cass. III, n. 2521/1968). Segue. b) il recesso ingiustificato Le parti conservano, nella fase delle trattative, piena libertà circa le richieste relative al contenuto contrattuale e sono comunque libere di recedere indipendentemente dalla esplicazione di un giustificato motivo, ma sempre nel rispetto del dovere di buona fede: con il che si ritiene che occorra comunque informare la controparte circa la possibilità o meno di concludere il contratto (Scognamiglio, 210). Per altro orientamento (Messineo, 919), al contrario, onde prevenire la formazione della responsabilità in questione, una giustificazione sarebbe sempre e comunque dovuta. Il requisito in esame presuppone, da un lato, l'assenza di un obbligo a contrarre (quale, ad esempio, si verifica nell'ipotesi di contratto preliminare rispetto al futuro contratto definitivo, nel qual caso, in ipotesi di mancata conclusione di quest'ultimo, la parte inadempiente rispondere ex art. 1218 c.c. e non già ex art. 1337 c.c.) e, dall'altro, nell'avere dolosamente o colposamente indotto l'altra parte a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto, conclusione poi non perfezionatasi, per essersi la parte «ritirata» dalle trattative senza giustificato motivo. Non è configurabile un'ipotesi di responsabilità precontrattuale tutte le volte in cui la rottura delle trattative e la mancata conclusione del contratto siano state in anticipo programmate dalle parti e costituiscano, pertanto, l'esercizio di una facoltà legittima da parte del recedente (Cass. III, n. 15040/2004). Più in generale, comunque, è necessario valutare la posizione ed il comportamento di entrambe le parti onde determinare se il recesso si configuri come illecito abuso del recedente per averlo esercitato a causa di condizioni ostative alla stipula del contratto, già a lui note o dallo stesso conoscibili con la ordinaria diligenza, ovvero sia stato o meno determinato da comportamento della controparte derivandone, in siffatta evenienza, l'insussistenza della responsabilità precontrattuale del recedente (Cass. III, n. 5290/1985). Cass. II, n. 12679/2025 ha di recente fatto il punto sugli elementi necessari per integrare la responsabilità precontrattuale, compreso il recesso ingiustificato delle trattative: “perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l'altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, le interrompa senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto” Segue. c) l'elemento soggettivo e la buona fede La responsabilità precontrattuale richiede, ancora, per la propria configurabilità, il dolo o, quantomeno, la colpa del recedente nell'indurre l'altra parte a confidare nella conclusione del contratto. La necessità che ricorra tale elemento soggettivo è giustificata sulla base della riconduzione della responsabilità precontrattuale nell'alveo della responsabilità extracontrattuale (in applicazione dei principi regolanti la quale la violazione del più generale principio del neminem laedere è ravvisabile anche in ipotesi di una condotta imputabile all'agente a titolo di mera colpa) (Cass. I, n. 14050/2010) ed in perfetta linea con l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, la quale osserva (Cass. I, n. 8157/1995) che poiché la sussistenza di tale forma di responsabilità, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest'ultimo devono essere vagliati alla stregua degli artt. 2043 e 2056 c.c., ne discende che — essendo l'elemento soggettivo richiesto dall'art. 2043 c.c., quale componente necessaria del fatto illecito, implicito nella violazione dell'obbligo di comportamento secondo buona fede, quanto meno sotto il profilo della colpa — una volta accertato l'obiettivo contrasto tra il comportamento dell'agente e l'obbligo di correttezza imposto dall'art. 1337 c.c., non occorre, per l'accertamento della responsabilità precontrattuale e perché sia ritenuto sussistente l'elemento psicologico necessario ex art. 2043 c.c., la verificazione di un particolare comportamento oggettivo di malafede, né la prova dell'intenzione di arrecare pregiudizio all'altro contraente (in senso sostanzialmente conforme Cass. II, n. 477/2013). Si è del pari chiarito (Cass. L, n. 8723/2004) che la responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 c.c., che costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, presuppone che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, e infine che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. Il tema si intreccia, inevitabilmente, con quello del comportamento richiesto alle parti durante lo svolgimento delle trattative e, in particolare, a quel dovere di buona fede prescritto dall'art. 1337 c.c.: non v'è dubbio, infatti, che si tratti della buona fede in senso oggettivo, sinonimo di «correttezza», di «condotta leale» e che si ritrova negli artt. 1366 e 1375 c.c. Alcuni autori hanno da ciò tratto conferma alle posizioni — appena illustrate — della giurisprudenza, concludendo nel senso per cui, ad integrare la fattispecie, non concorrerebbe necessariamente un comportamento delle parti connotato da una condizione soggettiva di mala fede (quale volontà, cioè, di arrecare intenzionalmente pregiudizio alla controparte), essendo al contrario sufficiente anche una condotta non caratterizzata dal proposito di nuocere, sia essa anche meramente colposa, che abbia però portato ad interrompere senza giusto motivo le trattative, eludendo così le aspettative della controparte che, confidando nella conclusione del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunziare ad occasioni più favorevoli. Di contrario avviso, invece, altra parte della dottrina, la quale collega la responsabilità in questione esclusivamente ad un comportamento doloso, negando che la culpa in contrahendo sia configurabile in caso di violazione colposa (cfr. per tutti Messineo, 918). È controverso, infine, se il dovere di buona fede si consacri nel rispetto di una serie di obblighi tipici o meno. Su punto si tornerà nel commento all'art. 1338 c.c Responsabilità precontrattuale e conclusione di un contratto valido ma «svantaggioso»L'elaborazione giurisprudenziale è giunta alla conclusione per cui la responsabilità precontrattuale sarebbe ravvisabile anche qualora il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto (sub specie di dolo incidente ex art. 1440 c.c.): il leading case è rappresentato da una decisione della Suprema Corte intervenuta nel 2005 (Cass. I, n. 19024/2005), sebbene la definitiva consacrazione del principio si è avuta con due pronunce gemelle delle Sezioni unite (Cass. S.U., nn. 26724/2007 e 26725/2007 ) alla cui stregua ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all'art. 6 l. n. 1/1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. «contratto quadro», il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del «contratto quadro»; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma, 1 c.c., la nullità del cosiddetto «contratto quadro» o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso. Si è trattato del recepimento della teoria dei cd. «vizi incompleti», «fattispecie in cui, pur non essendo presenti tutti i requisiti che integrano una delle ipotesi tipiche di vizio — e per le quali l'impugnativa è perciò preclusa — il concreto assetto di interessi che risulta dal contratto appaia comunque il frutto di una decisione in qualche modo «deformata» in ragione della (influenza spiegata dalla) condotta sleale e scorretta di una delle parti, nella fase che ha preceduto la conclusione del contratto» (Mantovani, 187); della applicazione, cioè, della distinzione tra regole di comportamento e regole di validità del contratto: le prime, volte a sanzionare il comportamento di uno dei due contraenti nello svolgimento delle trattative (ingenerando responsabilità precontrattuale) ovvero della esecuzione del contratto (determinando responsabilità contrattuale); le seconde che, al contrario, evidenziano la contrarietà del contratto (per contenuto o forma) rispetto al suo paradigma legale. La validità delle conclusioni è stata successivamente confermata dalla medesima Corte di legittimità (Cass. III, n. 24795/2008) in tema di leasing: in particolare, si è ritenuto assunto in violazione del canone di buona fede di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. il comportamento di una società di leasing che aveva omesso di informare la controparte circa la già avvenuta sospensione delle agevolazioni fiscali di cui alla l. n. 341/1995 e, anzi, aveva fornito assicurazioni circa la possibilità di far ricorso alle dette agevolazioni, per le quali la controparte medesima si era indotta alla stipula del contratto di locazione finanziaria. Del pari, Cass. III, n. 21225/2013, ha chiarito che l'azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. per lesione della libertà negoziale è esperibile allorché ricorra una violazione della regola di buona fede nelle trattative contrattuali — nella specie, finalizzate alla stipulazione di una transazione — che abbia dato luogo ad un assetto d'interessi più svantaggioso per la parte che abbia subìto le conseguenze della condotta contraria a buona fede, e ciò pur in presenza di un contratto valido, ovvero, nell'ipotesi di invalidità dello stesso, in assenza di una sua impugnativa basata sugli ordinari rimedi contrattuali. In altra occasione (Cass. II, n. 2479/2007), invece, a proposito di un contratto di compravendita di automezzi, in cui l'alienante non aveva comunicato all'acquirente che gli stessi erano d'importazione e, dunque, che godevano di una minore garanzia, la Corte è sembrata porsi in senso contrario rispetto ai principi innanzi descritti escludendo la configurabilità della responsabilità precontrattuale, proprio in conseguenza della intervenuta conclusione del contratto. Al riguardo, tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nella più recente giurisprudenza (Cass. II, n. 4715/2022), ove si è ribadita l'interpretazione che consente di qualificare i comportamenti illegittimi tenuti dalle parti, estranei alla fattispecie negoziale, non quali condotte rilevanti sul piano della nullità del contratto – salvo che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore – bensì ipotesi rilevanti ai sensi dell'articolo in commento, il cui ambito applicativo è dunque esteso ben oltre l'ipotesi di rottura ingiustificata di trattative ovvero di stipulazione di un contratto invalido, fino a farvi comprendere tutti quei comportamenti sleali che materialmente determinano la conclusione di un contratto valido ma pregiudizievole o sconveniente per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto. In tale ottica, la responsabilità precontrattuale si affranca da una lettura rigida, per assumere natura di strumento utile a sanzionare condotte scorrette che si traducono in violazione del dovere di buona fede e lealtà contrattuale (in tal senso, la Corte ha ritenuto irrilevante che tale violazione sia avvenuta in un momento successivo, e non antecedente, alla stipulazione del contratto; inoltre, per quanto attiene la determinazione del danno, conformandosi al principio secondo il quale in tema di responsabilità precontrattuale, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti). La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazioneSi ammette, oramai, pacificamente, la sussistenza di una responsabilità precontrattuale in capo alla P.A.: dopo gli arresti della giurisprudenza di legittimità, un passo decisivo in tal senso è stato mosso da Cons. St., Ad. Pl., n. 6/2005 (conf. Cass. S.U., n. 11656/2008; Cass.S.U., n. 20116/2005; di recente Cons. Stato V, n. 10221/2023), che ha chiarito come, nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente, l'amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell'interesse pubblico (la cui violazione implica l'annullamento o la revoca dell'attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all'art. 1337 c.c., prescritte dal diritto civile (regole la cui violazione assume significato e rilevanza, ovviamente, solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi venuti meno e questi ultimi effetti si sono trasformati in affidamenti restati senza seguito). Con la precisazione, tuttavia, che, data la peculiarità degli interessi e delle posizioni soggettive in gioco, la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 1337 c.c.non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente — nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative (Cons. St., n. 6489/2010): anteriormente a tale momento, infatti, difetta quella relazione specifica tra soggetti, consistente nello svolgimento delle trattative, da cui l'art. 1337 c.c. fa discendere l'obbligo di buona fede valido anche per l'autorità amministrativa (Cass. S.U., n. 4673/1997). Il recesso ingiustificato dalle trattative va dunque ravvisato allorché la P.A. revochi immotivatamente il proprio impegno ovvero adduca ragioni pretestuose ovvero, ancora, già note o conoscibili già al momento iniziale delle trattative o ragioni di cui — pur essendone a conoscenza da tempo — ha sempre escluso la rilevanza, ovvero ragioni di cui ha reso edotta l'altra parte con particolare ritardo e solo perché formalmente sollecitata Se ne trae, dunque, che la responsabilità precontrattuale della P.A. non è responsabilità da provvedimento, ma responsabilità da comportamento, per la quale non rileva la legittimità del provvedimento adottato nella procedura ad evidenza pubblica, ma la correttezza del comportamento tenuto durante le trattative e la formazione del contratto (Cass. I, n. 9636/2016). Essa è configurabile in tutti i casi in cui l'ente pubblico, nelle trattative con i terzi, abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui puntuale osservanza anch'esso è tenuto, nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c.; in particolare, il recesso dalle trattative è sindacabile, ai sensi dell'art. 1337 c.c., ove l'ente predetto sia venuto meno ai doveri di buona fede, correttezza, lealtà e diligenza, in rapporto anche all'affidamento ingenerato nel privato circa il perfezionamento del contratto, a prescindere dalle ragioni che abbiano indotto il primo ad interrompere le trattative o a rifiutare la conclusione nel contratto (Cass. S.U., n. 10413/2017; Cass. I, n. 15260/2014) I danni risarcibili: l'interesse negativoQuanto, infine, ai pregiudizi risarcibili, l'obbligo risarcitorio è riconosciuto nei limiti del cd. interesse negativo e, cioè, dell'interesse della parte a non essere lesa nell'esercizio della libertà di autodeterminazione negoziale (ossia dell'id quod interest contractus initium non fuisse). Tale posta risarcitoria va tenuta distinta dal danno per lesione dell'interesse positivo, quale interesse all'esecuzione del contratto, costituito sia dalla perdita subita che dal mancato vantaggio economico in quanto, diversamente da quest'ultimo, il primo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato nella conclusione o nella validità del contratto ovvero per avere stipulato un contratto che senza l'altrui illecita ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse. L'interesse negativo è rappresentato, sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalle perdite di ulteriori occasioni per la stipulazione di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso (Mirabelli, 116). In relazione, poi, agli elementi di cui si compone l'interesse negativo, con l'espressione «spese», si fa pacificamente riferimento ai costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative e per la stipulazione del contratto, nonché ai costi sostenuti per eseguire o per ricevere la prestazione, detratto quanto il soggetto può recuperare mediante reimpiego o rivendita mentre, allorché ci si riferisce alla «perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di altro contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso», si fa riferimento alla circostanza per cui, in conseguenza delle inutili trattative, la parte non ha potuto stipulare altri contratti ovvero non ha potuto stipularsi a condizioni di mercato migliori rispetto a quelle cui è, infine, dovuta soggiacere. L'ammontare del danno va dunque determinato tenendo conto della peculiarità dell'illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa la quale, nel caso di ingiustificato recesso dalla trattativa, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l'altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente: sicché, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione di diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all'inadempimento contrattuale mentre, essendosi verificata la lesione dell'interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile (liquidabile anche in via equitativa) è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall'aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (Cass. III, n. 12313/2005). Si tratta di riconoscere in favore della parte lesa il risarcimento dei danni derivanti sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione di altro contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso (ancorché avente un contenuto diverso rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse. Così Cass. II, n. 4718/2016. Nello stesso Cass. III, n. 19202/2023): non va compreso in esso, pertanto, il lucro cessante, che sarebbe risarcibile solo se il contratto (una volta stipulato) non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte (Cass. I, n. 19883/2005). Venendo alla determinazione dell'ammontare del danno risarcibile, si registrano in dottrina orientamenti contrapposti: in virtù di una prima teoria, il risarcimento dell'interesse negativo non potrebbe superare l'ammontare del danno riparabile secondo l'interesse positivo; secondo altri, al contrario, in certe ipotesi il danno commisurato all'interesse negativo ben potrebbe essere di entità pari o superiore a quello corrispondente all'interesse positivo, con conseguente illogicità di una limitazione quantitativa del danno risarcibile per la responsabilità precontrattuale (cfr., per tutti, Scognamiglio, 213). Ad esempio, Cass. III, n. 12262/2015, pronunziandosi in tema di intermediazione finanziaria, ha affermato che la responsabilità dell'intermediario che ometta di informarsi sulla propensione al rischio del cliente o di rappresentare a quest'ultimo i rischi dell'investimento, ovvero che compia operazioni inadeguate quando dovrebbe astenersene, ha natura contrattuale, investendo il non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del contratto-quadro intercorrente tra le parti, sicché il danno invocato dal cliente medesimo non può essere limitato al mero interesse negativo da responsabilità precontrattuale (Cass. III, n. 12262/2015) Da un punto di vista probatorio poi, sia la perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali, sia la relativa valutazione comparativa devono essere sorrette da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume danneggiata, e non possono basarsi sulla semplice considerazione della sua qualità imprenditoriale, né può senz'altro farsi luogo alla liquidazione equitativa da parte del giudice, ai sensi dell'art. 1226 c.c., subordinata, anche nella materia della responsabilità precontrattuale, all'impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell'esatta quantificazione di un pregiudizio comunque certo nella sua esistenza (Cass. II, n. 19883/2005, cit.). Non può sottacersi, tuttavia, che le conclusioni che precedono, pacifiche nella giurisprudenza di legittimità, devono essere necessariamente rivisitate alla luce degli sviluppi cui è pervenuta la medesima giurisprudenza in tema di ammissibilità della responsabilità precontrattuale anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti semplicemente pregiudizievole per la parte vittima dell'altrui comportamento scorretto: in simile frangente il risarcimento del danno debba essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.. 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