Codice Civile art. 1348 - Cose future.InquadramentoOgni contratto necessita, per la propria valida costituzione, di un oggetto, consistente, sostanzialmente, nel bene (o nell'utilità) alla cui realizzazione o al cui conseguimento l'accordo negoziale è preordinato. La nozione, invero, non è pacifica in dottrina giacché, secondo una prima ricostruzione l'oggetto del contratto andrebbe identificato con la prestazione (Osti, 503), chiarendosi che la nozione di prestazione, propria dei rapporti obbligatori, può comprendere non solo ciò che il soggetto si obbliga a fare o dare, ma anche ogni modificazione della situazione materiale che derivi dall'impegno assunto dalle parti nello stringere il vincolo contrattuale. In senso contrario si osserva, invece, che, affinché possa essere riportato all'oggetto anche l'effetto traslativo del diritto, occorrerebbe necessariamente aderire ad una concezione oltremodo generica di prestazione, identificandola con il risultato dedotto nel rapporto obbligatorio, rendendo così difficile la distinzione tra prestazione e contenuto del contratto. Sicché altra impostazione individua l'oggetto del contratto nel contenuto dell'autoregolamento adottato dalle parti (Carresi, 372), mentre per un'ulteriore opinione esso corrisponderebbe al bene (o alla cosa) che mediante il contratto diventa materia di trasferimento o di godimento (Messineo, 836). In particolare, l'oggetto si distingue dalla prestazione e, anzi, si contrappone concettualmente ad essa, riferendosi quest'ultima al contenuto del rapporto obbligatorio e consistendo nel comportamento al quale il debitore è tenuto. Le medesime difficoltà definitorie evidenziate in dottrina sono emerse in giurisprudenza, laddove ad un orientamento che identifica l'oggetto immediato con la prestazione, da valutare con riguardo al singolo atto di autonomia posto in essere dai privati (Cass. II, n. 19509/2012), si contrappone un diverso orientamento che rinviene l'oggetto del contratto nei beni che vengono scambiati, da non confondere con l'utilità che le parti conseguono attraverso tale scambio, utilità che considerata in rapporto alla funzione economico-sociale che il negozio è oggettivamente idoneo ad assolvere, costituisce la causa del contratto mentre, in rapporto alle finalità particolari e contingenti che la parte si ripromette di conseguire, ne configura il motivo (Cass. II, n. 6771/1991). I requisiti dell'oggetto sono individuati, dall'art. 1346 c.c., nella possibilità, liceità, determinatezza o, quantomeno determinabilità La possibilità materialeL'oggetto del contratto deve essere, a pena di nullità di quest'ultimo, fisicamente e giuridicamente possibile. Si ha impossibilità fisica — rilevante ai fini classificatori che in questa sede rilevano — allorché l'oggetto prescelto dalle parti non sia deducibile in contratto per una impossibilità naturale o materiale, che sia oggettiva e perpetua: è oggettiva l'impossibilità che sia tale per ogni soggetto di normale diligenza, non rilevando la semplice difficoltà soggettiva per il debitore che, al più, può determinare non già la nullità del negozio quanto un inadempimento; è perpetua l'impossibilità che concerne beni che non possono essere dedotti in contratto perché inesistenti o attività praticamente irrealizzabili (una deroga a tale principio è, però, rinvenibile nell'art. 1347 c.c., relativamente al contratto sottoposto a condizione sospensiva o termine iniziale). Ad integrazione di quanto precede va però evidenziato che l'art. 1348 c.c. ammette la deduzione in contratto di cose future e, cioè, di beni non esistenti al momento della conclusione del negozio ma suscettibili, secondo un criterio di normalità e ragionevolezza, di venire ad esistenza: sicché il contratto non è privo di oggetto, ma questo consiste nell'impegno obbligatorio che un contraente assume verso l'altro, di fargli acquistare il bene non appena venuto ad esistenza. Secondo una prima impostazione, la venuta ad esistenza della cosa dovrebbe essere intesa alla stregua di una condicio iuris di efficacia, sicché il contratto sarebbe immediatamente efficace in senso stretto, sebbene sia dotato di un'efficacia parziale, producendo tutti gli effetti corrispondenti alla sua funzione, che non siano impediti dall'inesistenza della cosa (Scognamiglio, 364); alla luce di una diversa impostazione, invece, si sarebbe in presenza di un contratto ad efficacia obbligatoria, che impegna la parte all'attribuzione delle cose ivi convenute nonché di regola ad adoperarsi per la loro produzione, con la conseguenza che, qualora la produzione del bene divenga impossibile, il contratto si risolverebbe (Bianca, 320). Sicché: a) ove l'impossibilità sia imputabile a difetto di diligenza della parte che si sia impegnata ad adoperarsi affinché la cosa venga ad esistenza, questa sarà tenuta al risarcimento dei danni nella misura dell'interesse positivo; b) se, invece, la parte non debba adoperarsi per la produzione del bene, la venuta ad esistenza della cosa va qualificata alla stregua di una condizione sospensiva, il cui mancato avveramento determina l'inefficacia retroattiva del contratto. In tale ultimo senso è orientata la giurisprudenza di legittimità, ritenendosi che si tratti di un contratto perfetto ab initio, con effetti obbligatori ed immediatamente trascrivibile, fermo restando che gli effetti della trascrizione si produrranno solo quando il bene venga ad esistenza (Cass. II, n. 2126/1997). Così, Cass. II, n. 15522/2013 ha ricondotto al regime ex art. 1348 c.c. il contratto di divisione immobiliare con stralcio di quota che preveda la costituzione in comproprietà ai condividenti tutti di una strada da realizzare sulla porzione di terreno non stralciata, poiché esso attribuisce al titolare della quota stralciata il diritto di esigere dagli altri contraenti il rilascio dell'area convenzionalmente deputata allo scopo, configurandosi in suo favore un diritto di credito funzionale alla tutela dello ius ad rem a lui spettante una volta che la strada, intesa quale cosa futura, sia venuta ad esistenza (Cass. n. 15522/2013). In sostanza, il negozio avente ad oggetto la prestazione di cose future deve considerarsi valido quanto alla sua struttura, sebbene sia necessario, ai fini della sua efficacia, che la cosa venga ad esistenza nel tempo previsto: ove ciò non si verifichi, il contratto diverrà inutile, non potendo più realizzare la sua funzione. La determinazione del tempo in cui la cosa dovrà venire ad esistenza non è, però, elemento essenziale del contratto, potendosi stabilire in base alla natura del contratto e a quella del suo oggetto, tenuto conto degli interessi delle parti (Cass. II, n. 683/1967) Emptio spei ed emptio rei sperataeApplicazione pratica dell'art. 1348 c.c. si ha nel successivo art. 1472 c.c., a mente del quale nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza; se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati; qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza. Si è in presenza, dunque, di una ipotesi di vendita obbligatoria: una vendita, cioè, in cui il trasferimento del diritto non avviene nel momento in cui le parti legittimamente manifestano il proprio consenso (secondo lo schema ordinario delineato dal combinato disposto degli artt. 1376-1470 c.c.), bensì in un momento successivo e, precisamente, quando la cosa — oggetto del contratto — venga ad esistenza. Molto si è discusso in relazione alla fattispecie in esame: innanzitutto con riguardo alla definizione della sua natura giuridica. Ed infatti: a) secondo un primo orientamento, si sarebbe in presenza di un negozio perfetto ab initio — ricorrendo in esso tutti gli elementi essenziali del contratto di compravendita (e, cioè, i soggetti, il consenso, la causa venditionis e l'oggetto, costituito dalla res sperata) — in relazione al quale, tuttavia, si assisterebbe ad una scissione temporale di effetti. Precisamente, tale contratto sarebbe immediatamente produttivo esclusivamente di effetti obbligatori e solo in un secondo momento, con la venuta ad esistenza della cosa, anche di effetti reali: riassumendo, dunque, si sarebbe in presenza di un effetto vincolante, immediato, e di un effetto reale, finale e differito. In tal senso si è pronunciata, peraltro, anche la Suprema Corte, la quale in più occasioni ha affermato l'illustrato principio, chiarendo che la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente per effetto della semplice manifestazione del consenso, non costituisce un negozio a formazione progressiva suscettibile soltanto di effetti meramente preliminari, aventi per contenuto quello di porre in essere un successivo negozio, ma configura un'ipotesi di contratto definitivo di vendita obbligatoria, si per sé idoneo e sufficiente a produrre l'effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza a norma dell'art. 1472 c.c. (Cass. II, n. 11840/1991; Cass. II, n. 8863/1987; Cass. II, n. 4901/1993. I leading cases di questo orientamento ermeneutico, ad ogni modo, devono rinvenirsi in una serie di pronunzie rese tra il 1951 ed il 1955 dalla Corte di Cassazione, tra le quali possono segnalarsi, Cass. II, n. 1671/1951, Cass. II, n. 1885/1953, Cass. II, n. 516/1955); b) per altri, invece, si sarebbe in presenza di negozio incompleto, o a consenso anticipato — suscettibile, conseguentemente, solo di produrre effetti preliminari (con la eventuale ricorrenza, pertanto, di responsabilità ex art. 1338 c.c.) — dovendo considerarsi mancante, al momento della conclusione dello stesso, non tanto il consenso dei contraenti — elemento della fattispecie negoziale presente, invece, fin dall'inizio — quanto, piuttosto, l'oggetto, sebbene esso sia stato previsto ed atteso come esistente in futuro. In altri termini, si avrebbe un'inversione logico-giuridica di quello che è il «normale» procedimento di conclusione dei contratti, in cui il consenso rappresenta un posterius rispetto alla formazione degli altri elementi della fattispecie negoziale (Cass. II, n. 2058/1956; Cass. II, n. 56/1958). Tale tesi, in particolare, ha il pregio di cogliere la ratio della nullità comminata dal legislatore a carico della compravendita di cosa futura, ove quest'ultima non venga ad esistenza: in tale circostanza, infatti, il negozio sarebbe privo di uno dei suoi elementi essenziali (cfr. art. 1325 c.c.) e, pertanto, non può che essere nullo; c) secondo una terza tesi — intermedia tra le due suddette — ancora, dovrebbe distinguersi a seconda dei casi. Precisamente, laddove la venuta ad esistenza della cosa oggetto del contratto sia praticamente certa (come nel caso del titolare di una cartiera, che abbia alienato un blocco di carta pregiata che egli stesso produrrà attraverso i propri macchinari), la vendita dovrebbe considerarsi perfetta ab origine; allorché, invece, la venuta ad esistenza della cosa dipenda da fattori naturali (come nel caso del titolare di un'impresa vinicola, che abbia alienato una bottiglia del vino che egli stesso produrrà dopo la vendemmia), troverebbe spazio la tesi del negozio incompleto (o a consenso anticipato); d) ritiene, infine, un ultimo orientamento, che si sarebbe in presenza di un negozio — sia pure implicitamente — sospensivamente condizionato, rispetto al quale la venuta ad esistenza della cosa rappresenterebbe proprio l'evento (futuro ed incerto) dedotto in condizione (tale tesi, tuttavia, non sembra percorribile, rilevato, da un lato, che l'oggetto è un elemento essenziale del contratto e, in quanto tale, non può essere dedotto in condizione; dall'altro, che, ad ogni modo, il negozio condizionato differisce la produzione di tutti i suoi effetti al momento in cui l'evento futuro ed incerto si verifica, e non solo una parte di questi — come avverrebbe, invece, nel caso di specie, laddove ad essere differito è solo l'effetto traslativo: dal contratto, infatti, sorge immediatamente, in capo al venditore, l'obbligo di fare acquistare il diritto al compratore — cfr. art. 1476, n. 2 — e, in capo all'acquirente, di pagare il prezzo all'alienante). Problema inscindibilmente connesso a quello di carattere definitorio riguarda, poi, la disciplina della trascrizione del contratto. A seconda dell'orientamento cui si preferisca aderire, infatti, le soluzioni sono diverse: 1) per coloro che ritengono che il contratto di compravendita di cosa futura sia perfetto ed efficace ab initio, non vi sono dubbi circa la sua trascrivibilità. Tale tesi, in particolare, fa perno sulla considerazione per cui il legislatore richiederebbe, ai fini della trascrizione, semplicemente un atto astrattamente idoneo al trasferimento e non anche, invece, l'immediato trasferimento: principio, questo, che si ricava dal combinato disposto degli artt. 2659, ult. comma, e 2668, comma 3, c.c., norme dettate in tema di trascrizione dei contratti sospensivamente condizionati che trasferiscono beni o diritti immobiliari. Donde la ulteriore conclusione per cui il sistema di trascrizione di una compravendita di cosa futura dovrebbe essere in tutto e per tutto analogo a quello dettato proprio per i contratti sospensivamente condizionati (Cass. II, n. 4419/1986); 2) chi, invece, opta per la ricostruzione della fattispecie in termini di negozio incompleto o a consenso anticipato, contesta le conclusioni esposte sub 1) e, conseguentemente, nega la trascrivibilità dello stesso. Ciò, in particolare, sulla scorta della duplice considerazione per cui, da un lato, è la stessa incompletezza del contratto ad impedire il meccanismo di cui agli artt. 2643 ss. c.c.; dall'altro, la trascrizione richiede che l'effetto traslativo si sia già verificato. Per quanto attiene, poi, alla asserita analogia con l'ipotesi del contratto sospensivamente condizionato ovvero sottoposto a termine, la stessa non sussisterebbe in quanto, mentre in tale ultimo caso il differimento dell'effetto traslativo dipende dalla volontà delle parti, nell'ipotesi di compravendita di cosa futura detto differimento dipende, invece, da una mancanza sostanziale, obiettiva e funzionale del contratto. Ulteriore aspetto di rilievo concerne, infine, la definizione del momento in cui si perfeziona l'acquisto della cosa futura. Il principio generale, infatti, è quella sancito dall'art. 1472, comma 1, c.c., per cui il diritto si acquista con la venuta ad esistenza della cosa; esistono, tuttavia, casi particolari in cui la regola è parzialmente diversa (o, meglio, essa deve essere adattata alle peculiarità della fattispecie concreta): a) quando si tratta di alberi o di frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati; b) se si tratta della cessione di un diritto, invece, l'acquisto avviene nel momento stesso in cui l'originario alienante ne diviene titolare (in sostanza, si assiste ad un doppio passaggio, il secondo dei quali avviene in maniera pressoché automatica: quando il venditore diventa titolare del diritto de quo, infatti, quest'ultimo si trasferisce immediatamente all'acquirente); c) se, infine, il contratto ha ad oggetto beni d'opera (si pensi, ad esempio, alla alienazione di un appartamento all'interno di un edificio da costruire), si ritiene che la locuzione «venuta ad esistenza della cosa» debba essere riferita al momento in cui l'opera viene completata definitivamente. Del tutto conforme la giurisprudenza di legittimità (Cass. II, n. 6851/2001). Per quanto riguarda, infine, i residui aspetti disciplinari, gli stessi possono essere così brevemente riassunti. Anzitutto, tra il momento di produzione degli effetti obbligatori — che, come detto, coincide con la conclusione del contratto — e quello, successivo, in cui si produce l'effetto traslativo — il quale coincide con la venuta ad esistenza della cosa — la disciplina destinata a regolare i rapporti tra le parti è, in quanto compatibile, quella della compravendita «ordinaria», ferma l'osservanza di alcune regole dettate in materia di negozio condizionato (si tratta, in particolare, degli artt. 1356, 1357 e 1358 c.c.); in secondo luogo, l'art. 1472 c.c. postula che la cosa dedotta in contratto, quale oggetto della prestazione di dare ivi contemplata, sia specifica, essendo incompatibile con lo schema negoziale in esame la sussunzione, quale oggetto della predetta prestazione, di una cosa generica futura (diversamente ragionando, infatti, si finirebbe per violare il disposto dello stesso art. 1472, acquisendosi la proprietà della cosa non al momento della sua venuta ad esistenza, bensì al momento della sua individuazione); sono compatibili con lo schema negoziale in esame, poi, i rimedi «ordinari» delle azioni di risoluzione e di rescissione, mentre discussa la invocabilità, durante pendenza degli effetti obbligatori, della garanzia per evizione: essa, infatti, può essere azionata solo allorché il compratore sia stato privato della res acquistata e tale situazione non sembra configurabile prima della produzione dell'effetto traslativo.. 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