Codice Civile art. 1349 - Determinazione dell'oggetto.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Determinazione dell'oggetto.

[I]. Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio, il terzo deve procedere con equo apprezzamento. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice [778 3, 1287 3, 1473 2, 2264, 2603 4; 113 c.p.c.].

[II]. La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo.

[III]. Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.

Inquadramento

Ogni contratto necessita, per la propria valida costituzione, di un oggetto, consistente, sostanzialmente, nel bene (o nell'utilità) alla cui realizzazione o al cui conseguimento l'accordo negoziale è preordinato.

La nozione, invero, non è pacifica in dottrina giacché, secondo una prima una prima ricostruzione l'oggetto del contratto andrebbe identificato con la prestazione (Osti, 503), chiarendosi che la nozione di prestazione, propria dei rapporti obbligatori, può comprendere non solo ciò che il soggetto si obbliga a fare o dare, ma anche ogni modificazione della situazione materiale che derivi dall'impegno assunto dalle parti nello stringere il vincolo contrattuale. In senso contrario si osserva, invece, che, affinché possa essere riportato all'oggetto anche l'effetto traslativo del diritto, occorrerebbe necessariamente aderire ad una concezione oltremodo generica di prestazione, identificandola con il risultato dedotto nel rapporto obbligatorio, rendendo così difficile la distinzione tra prestazione e contenuto del contratto. Sicché altra impostazione individua l'oggetto del contratto nel contenuto dell'autoregolamento adottato dalle parti (Carresi, 372), mentre per un'ulteriore opinione esso corrisponderebbe al bene (o alla cosa) che mediante il contratto diventa materia di trasferimento o di godimento (Messineo, 836). In particolare, l'oggetto si distingue dalla prestazione e, anzi, si contrappone concettualmente ad essa, riferendosi quest'ultima al contenuto del rapporto obbligatorio e consistendo nel comportamento al quale il debitore è tenuto.

Le medesime difficoltà definitorie evidenziate in dottrina sono emerse in giurisprudenza, laddove ad un orientamento che identifica l'oggetto immediato con la prestazione, da valutare con riguardo al singolo atto di autonomia posto in essere dai privati (Cass. II, n. 19509/2012), si contrappone un diverso orientamento che rinviene l'oggetto del contratto nei beni che vengono scambiati, da non confondere con l'utilità che le parti conseguono attraverso tale scambio, utilità che considerata in rapporto alla funzione economico-sociale che il negozio è oggettivamente idoneo ad assolvere, costituisce la causa del contratto mentre, in rapporto alle finalità particolari e contingenti che la parte si ripromette di conseguire, ne configura il motivo (Cass. II, n. 6771/1991).

I requisiti dell'oggetto sono individuati, dall'art. 1346 c.c., nella possibilità, liceità, determinatezza o, quantomeno, determinabilità

La determinazione ad opera del terzo

L'oggetto del contratto, oltre che lecito e possibile, deve essere determinato o, quantomeno, determinabile, pena la nullità del contratto medesimo (exartt. 1346 e 1418 c.c.): tale requisito, in particolare, esprime una elementare esigenza di concretezza dell'accordo contrattuale, indispensabile per giustificarne la vincolatività (cfr. l'art. 1372 c.c.).

Il requisito della determinatezza o della determinabilità dell'oggetto esprime la fondamentale esigenza di concretezza dell'atto contrattuale, avendo le parti la necessità di sapere l'impegno assunto ovvero i criteri per la sua concreta determinazione, il che può essere pregiudicato dalla possibilità che la misura della prestazione sia discrezionalmente determinata, sia pure in presenza di precise condizioni legittimanti, da una soltanto delle parti (Cass. VI-3, n. 24790/2017).

In particolare, l'oggetto è determinato quando il contratto contenga una descrizione di esso sufficiente ad individuarlo e, dunque, già al momento di conclusione del negozio esso sia compiutamente identificato nelle sue qualità e quantità.

L'oggetto è, invece, determinabile ove le parti non lo abbiano individuato subito, nelle sue qualità e/o quantità, ma abbiano piuttosto indicato gli strumenti per la sua successiva determinazione. In particolare tale criterio: a) a volte è dettato dalla legge (come nel caso della fideiussione omnibus, che, pur in assenza di esatta quantificazione del credito garantito, è tuttavia valida, a condizione che sia però indicato l'importo massimo garantito — che, dunque, segna l'oggetto del contratto fideiussorio), nell'ambito della sua funzione integrativa e conservativa del regolamento contrattuale. Così, ad esempio, nel caso dell'art. 1474 c.c., laddove le parti non abbiano determinato il prezzo della compravendita ovvero nel caso dell'art. 1339 c.c., mediante la sostituzione automatica di clausole. Nel primo caso, dunque, la determinazione legale si basa sulla presunta volontà dei contraenti, nel secondo sul rispetto dell'interesse generale perseguito (che potrebbe essere anche in contrasto con quanto concordato dagli stessi contraenti); b) a volte è dettato dai contraenti, i quali possono riferirsi (b.1) ad una circostanza o ad un fattore oggettivo esterno al contratto, ovvero (b.2) ad una nuova manifestazione di volontà di tutte le parti coinvolte dal regolamento negoziale ovvero, in tesi, anche di una sola di esse (cfr. l'art. 1286 c.c.) ovvero, infine, (b.3) al giudizio di un terzo soggetto, al oro estraneo, che prende il nome di arbitratore.

Il compito dell'arbitratore è diverso, a seconda che le parti si siano affidate al suo equo arbitrio (o apprezzamento. Cfr. l'art. 1349, comma 1 c.c.) ovvero al suo mero arbitrio (cfr. l'art. 1349, comma 2 c.c.), con la precisazione che, ove nulla sia specificato, si presume che le parti abbiano inteso fare riferimento all'equo arbitrio: sicché la rimessione all'arbitrium boni viri è da ritenersi presunta iuris tantum. L'operazione di determinazione dell'oggetto della prestazione posta in essere dal terzo prende il nome di arbitraggio.

Con la clausola di arbitraggio le parti demandano ad un terzo arbitratore la determinazione della prestazione, impegnandosi ad accettarla (Cass. III, n. 13954/2005). Il fatto che le parti nel contratto demandino la determinazione dell'oggetto ad un terzo, usando l'espressione secondo cui «si rimettono alla decisione inappellabile del terzo», non importa rimessione all'arbitrium merum (Cass. n. 1050/1948): ad ogni buon conto, in mancanza di espressa qualificazione da parte dei contraenti del tipo di arbitraggio voluto, l'interpretazione del contenuto e dell'estensione dei poteri dell'arbitratore spetta al giudice di merito, la cui pronunzia in proposito non è censurabile in sede di legittimità se conforme alle regole legali di ermeneutica e sorretta da motivazione immune da vizi (Cass. II, n. 4931/1998).

L'affidamento della determinazione ad un terzo costituisce una clausola accessoria e non essenziale del contratto (Mirabelli, 183) e può essere contenuta anche in un patto separato ma collegato al contratto, purché rivesta la stessa forma richiesta per il contratto (Carresi, 206).

Assolutamente conforme è posizione della giurisprudenza, la quale, chiarito come la clausola di arbitraggio abbia natura accessoria (Cass. n. 4215/1957), evidenzia altresì come il deferimento ad un terzo della determinazione della prestazione non postula necessariamente un contratto definitivo, ben potendo le parti con il contratto preliminare assumere, per una qualsiasi ragione d'opportunità, l'obbligazione di concludere un contratto definitivo comportante prestazioni predeterminate da un terzo arbitratore e delle quali le parti stesse possano preventivamente, attraverso le impugnazioni previste dall'art. 1349, addirittura impedire l'effetto traslativo (Cass. II, n. 3227/1995).

A livello di casistica giurisprudenza Cass. I, n. 22375/2023 ha concluso nel senso della validità della c.d. russian roulette clause, con cui, all'interno di un patto parasociale, sia rimessa al mero arbitrio di un terzo la scelta se vendere o acquistare una partecipazione sociale. Tale clausola soddisfa l'interesse dei soci faciscenti ad evitare la possibile paralisi del funzionamento dell'assemblea derivante dalla contrapposizione del loro paritetico peso nell'esercizio del diritto di voto.

Segue. Equo arbitrio e mero arbitrio

L'equo arbitrio è l'arbitrium boni viri, del buon padre di famiglia, quel giudizio che deve ritenersi ispirato, cioè, al contemperamento degli opposti interessi. Ove l'arbitratore rifiuti ovvero effettui una determinazione manifestamente iniqua o erronea, i contraenti possono rivolgersi all'A.G. cui sarà demandato il compito di procedere alla determinazione dell'oggetto della prestazione secondo equità.

Poiché il giudizio del terzo deve essere ispirato a criteri di buona fede, l'intervento del giudice è ancora possibile, qualora la determinazione dell'arbitratore manchi o sia manifestamente iniqua o erronea (Cataudella, 112). L'iniquità che consente il ricorso all'A.G. consiste in una chiara irragionevolezza o sproporzione del risultato finale della determinazione; essa deve essere oggettiva, non rilevando il dolo o la colpa dell'arbitratore (Scognamiglio, 392). In tale contesto, l'errore è rilevante indipendentemente dalla circostanza che abbia determinato l'iniquità della determinazione: può trattarsi di un errore di calcolo o di una deduzione contrastante con le premesse, alla luce delle comuni regole di tecnica ed esperienza (Bianca, 334). L'iniquità o l'erroneità devono essere comunque manifeste, ossia riconoscibili a prima vista.

Il terzo arbitratore, a meno che le parti si siano affidate al suo mero arbitrio, deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, adottando cioè un criterio di valutazione ispirato all'equità contrattuale, che in questo caso svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell'equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco. Pertanto l'equo apprezzamento si risolve in valutazioni che, pur ammettendo un certo margine di soggettività, sono ancorate a criteri obbiettivi, desumibili dal settore economico nel quale il contratto incompleto si iscrive, in quanto tali suscettibili di dare luogo ad un controllo in sede giudiziale circa la loro applicazione nel caso in cui la determinazione dell'arbitro sia viziata da iniquità o erroneità manifesta, il che si verifica quando sia ravvisabile una rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte, determinate attraverso l'attività dell'arbitratore (Cass. III, n. 13954/2005).

La determinazione del terzo cui sia demandata una valutazione secondo equo apprezzamento è invalida, oltre che nei casi espressamente previsti dalla norma, anche nelle ipotesi di mala fede, violenza, se ed in quanto diretta ad alterare l'esercizio del potere di determinazione del terzo a scapito di una delle parti, incapacità, qualora questa abbia impedito un'obiettiva valutazione degli interessi contrattuali (Bianca, 334).

Il mero arbitrio (cd. merum arbitrium) consiste, invece, in quel giudizio ispirato alla piena discrezionalità, nel senso che il terzo ha letteralmente carta bianca, potendo procedere alla determinazione dell'oggetto della prestazione secondo la propria libera scelta. In tal caso i contraenti non potranno impugnare l'atto dell'arbitratore se non nel caso di mala fede dello stesso (come avviene nel caso in cui lo stesso abbia deliberatamente deciso di favorire una parte in danno dell'altra).

La soluzione è accolta in dottrina come in giurisprudenza. Si osserva, infatti, che, in base al mero arbitrio, il terzo arbitratore può decidere secondo il suo criterio individuale, sicché il suo apprezzamento sarà sottratto a qualsiasi tipo di controllo di merito e il suo intervento sarà impugnabile solo nel caso di valutazione compiuta con mala fede (Scognamiglio, 394). Ciò non esclude che la prestazione del terzo possa essere comunque valutata secondo gli standards della diligenza e della buona fede oggettiva, benché possa essere impugnata solo quando ricorra il dolo, almeno generico, ossia la mala fede che lo ha indotto a realizzare un atto scorretto (Sacco-De Nova, 127). Tale mala fede risulterà integrata ove la determinazione dell'arbitratore sia avvinta da motivi illeciti, quali la corruzione o l'intenzione di nuocere ad una delle parti, la collusione fraudolenta con una delle parti.

Del pari è stato affermato in giurisprudenza (Cass. I, n. 13379/2014) che l'arbitratore, al quale sia stata affidata la determinazione della prestazione dedotta in contratto, può decidere secondo il suo criterio individuale, in quanto le parti hanno riposto piena fiducia nella sua correttezza ed imparzialità, oltre che nella sua capacità di discernimento, sicché il suo apprezzamento si sottrae ad ogni controllo nel merito della decisione e le parti possono impugnare la determinazione effettuata solo dimostrando che egli ha agito intenzionalmente a danno di una di esse. In tal caso (ed a differenza dell'ipotesi in cui la determinazione sia stata rimessa all'equo apprezzamento del terzo, nella quale l'iniquità manifesta che può giustificare l'impugnazione deve essere oggettiva) assume rilievo decisivo l'atteggiamento psicologico dell'arbitratore che, tradendo la fiducia conferitagli, si pieghi volontariamente ed in piena consapevolezza agli interessi di una delle parti, non essendo sufficiente che l'incarico non sia stato compiutamente eseguito e che le determinazioni siano prive di ragionevolezza

L'atto dell'arbitratore

L'atto con cui l'arbitratore procede alla determinazione dell'oggetto, è stato qualificato da alcuni come negozio giuridico di accertamento, che si collega al contratto ad oggetto determinabile, il quale a sua volta è valido ed efficace fin dal momento della sua stipulazione, indipendentemente dal modo con cui il terzo procederà alla stessa (Carresi, 207). Per una diversa impostazione, si verserebbe in presenza di un atto dovuto, privo di natura negoziale (Mirabelli, 184); secondo una ulteriormente diversa ricostruzione, si tratterebbe di un atto di scienza che si impone alle parti, in quanto preventivamente accordatesi sull'attribuzione ad esso di efficacia integrativa del contratto (Bianca, 328).

La giurisprudenza qualifica l'atto di determinazione dell'arbitratore come negozio giuridico di accertamento (Cass. III, n. 4253/1974).

A seconda della tesi per cui si propende ne consegue, con evidenza, la diversa capacità — di agire o naturale — richiesta all'arbitratore.

Non rilevano, ai fini della validità dell'atto, i vizi del volere, atteso che il legislatore determina tassativamente le impugnative esperibili avverso la determinazione del terzo.

Quanto, poi, alla forma, mentre secondo un orientamento l'atto dell'arbitratore non deve necessariamente rivestire la stessa forma prescritta per il contratto cui esso attiene (Scognamiglio, 389), per l'opposta tesi la determinazione, avendo natura negoziale, dovrebbe essere resa nella stessa forma del contratto che va ad integrare (Sacco, De Nova, 129). In ragione del tipo di arbitraggio a cui le parti hanno inteso demandare la determinazione dell'oggetto, ne discendono diverse conseguenze sia in ordine ai profili di contestazione dell'atto determinativo dell'arbitratore sia in ordine ai riflessi della mancata determinazione dell'arbitratore.

Il potere di determinazione del terzo deve essere attribuito da tutte le parti del contratto. Quanto alla fonte da cui deriva tale potere, per alcuni esso va ricondotto al mandato, connotato da gratuità, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto un compenso per l'opera del terzo (Bianca, 333); per altri, si rientrerebbe nell'ambito di un contratto d'opera intellettuale, anche in ragione della natura non negoziale della dichiarazione determinativa del terzo (Scognamiglio, 388).

Uguale contrasto si ravvisa in giurisprudenza, laddove il rapporto tra parti e arbitratore è stato qualificato ora in termini di prestazione d'opera (Cass. n. 1039/1967), ora quale mandato negoziale collettivo, con la conseguenza che il negozio costituente la fonte dei poteri del terzo può essere revocato anche ad opera di una sola parte qualora ricorra una giusta causa, trovando applicazione l'art. 1726 (Cass. III, n. 4283/2002). In base ad un arresto risalente, la determinazione del terzo potrebbe estendersi anche a tutti gli elementi del contratto (Cass. n. 3167/1957). In senso contrario si rileva che esso può riguardare solo alcuni elementi, purché non essenziali, in quanto non direttamente definiti dalle parti e non suscettibili di una preventiva compiuta determinazione perché connessi allo sviluppo del rapporto (Cass. n. 700/1968; Cass. n. 1055/1963; Cass. n. 185/1962)

L'impugnazione dell'atto di determinazione

Legittimate ad impugnare l'atto di determinazione dell'arbitratore sono le sole parti, non anche l'arbitratore medesimo, per difetto di interesse.

L'impugnabilità davanti al giudice della determinazione iniqua non realizza, secondo un orientamento, un'ipotesi di annullabilità in senso tecnico e quindi non soggiace alla relativa disciplina, e in specie non è convalidabile. Le parti sono comunque libere di accettare l'atto di determinazione del terzo, indipendentemente dalla sua validità, eventualmente anche dando esecuzione al contratto nella consapevolezza dell'invalidità della determinazione compiuta dal terzo (Bianca, 334). Le modalità procedimentali della determinazione giudiziale in via surrogatoria seguono, nei limiti della compatibilità, le regole stabilite in tema di determinazione del prezzo nella compravendita, di cui all'art. 82 disp. att. c.c. (Bianca, 332). Le parti non possono, invece, ricorrere all'A.G. qualora si siano accordate per l'arbitraggio, ma non abbiano trovato l'accordo sul nome dell'arbitratore né abbiano indicato i criteri per la sua identificazione (Scognamiglio, 392): sicché, ove tale individuazione sia rimessa ad un successivo accordo delle parti, l'incompletezza del contratto in tal modo stipulato, oltre a far dubitare della sua stessa conclusione, ne evidenzierebbe una nullità strutturale.

Il contratto di conferimento di incarico professionale o di mandato al terzo arbitratore non può essere risolto per inadempimento, ostandovi la previsione dell'art. 1349 c.c., che consente l'impugnazione della determinazione di quest'ultimo solo se manifestamente iniqua o erronea (arbitrium boni viri) o in presenza di comprovata malafede (arbitrium merum), che, altrimenti, resterebbe vanificata (Cass. II, n. 13379/2014).

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