Codice Civile art. 1435 - Caratteri della violenza.

Rosaria Giordano

Caratteri della violenza.

[I]. La violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all'età, al sesso e alla condizione delle persone [1438].

Inquadramento

L'art. 1435 c.c. individua i presupposti in presenza dei quali la violenza, esercitata dall'altro contraente o anche da un terzo (come specificato dall'art. 1434 c.c.), è idonea ad incidere sulla validità del negozio giuridico sino a comportarne l'annullamento.

In particolare, la minaccia deve essere specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, deve provenire dalla controparte o da un terzo e deve essere di natura tale da incidere con efficienza causale sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio (Cass. n. 20305/2015).

Inoltre, la violenza deve caratterizzarsi quale minaccia seria e attendibile e dipende dalla messa in scena, dalle possibilità della vittima di sottrarsi al male, dalla probabilità che la minaccia venga portata ad effetto (Bianca, 620)

Caratteri della violenza

L'art. 1435 c.c. stabilisce che la violenza deve essere di tale natura da far impressione su una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole, precisando che deve aversi riguardo, all'età, al sesso ed alla condizione delle persone.

Come osservato in dottrina, la minaccia può manifestarsi in tutte le forme e i modi psicologicamente idonei a coartare l'altrui volontà e può avere ad oggetto l'integrità fisica, l'onore, la riservatezza, il patrimonio (Sacco, De Nova, in Tr. Res.,1988, 172).

Inoltre, la minaccia deve essere seria ed attendibile ed idonea ad impressionare un soggetto ragionevolmente equilibrato (Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, 676) ovvero, secondo una prospettazione volta a considerare in maniera più specifica la situazione, tenendo conto delle reazioni che ha suscitato in concreto nella vittima, ma a quelle che era idonea a suscitare in una persona normale che si fosse trovata, peraltro, nelle stesse condizioni della vittima (Santoro Passarelli, 167).

Nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito, sulla questione, che la minaccia deve essere specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, deve provenire dalla controparte o da un terzo e deve essere di natura tale da incidere con efficienza causale sul determinismo del soggetto passivo, che in assenza della minaccia non avrebbe concluso il negozio (Cass. n. 20305/2015; Cass. n. 235/2007).

Ne consegue che il contratto non può essere annullato ove la determinazione della parte sia derivata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza, senza cioè che l'oggettività del pregiudizio risulti idonea a condizionare un libero processo determinativo delle proprie scelte (Cass. I, n. 20305/2015).

Parimenti, non costituisce minaccia invalidante il negozio, ai sensi dell'art. 1434 ss. c.c., la mera rappresentazione interna di un pericolo, ancorché collegata a determinate circostanze oggettivamente esistenti (Cass. I, n. 13644/2004).

La violenza, perché assurga a causa di invalidità del contratto, anche quando consista nella minaccia di far valere un diritto, deve intervenire in un momento anteriore al negozio e concretarsi nella minaccia attuale di un male futuro, dipendente in qualche modo dal comportamento dello stesso autore della vis compulsiva, mentre se la minaccia, invece, non è più attuale, nel senso che sia già interamente esaurita la condotta collocabile come antecedente causale, o almeno concausale del male temuto dal soggetto passivo, la rappresentazione, da parte di quest'ultimo, di un pericolo di danno non deriva più dal comportamento del minacciante, bensì dalla considerazione di altre circostanze che sfuggono al dominio del medesimo e si atteggia, quindi, come semplice metus ab intrinseco che, ove anche incida sul processo formativo della volontà negoziale, facendo venir meno quella volontà di determinazione cui ogni contrattazione deve essere informata, non è idoneo ad invalidare il negozio (Trib. Savona II, 12 luglio 2006, n. 527).

L'apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona, si risolvono in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio (cfr. Cass. sez. lav., n. 19974/2017, che ha confermato la decisione di merito che aveva escluso fosse viziato da violenza morale un accordo di risoluzione consensuale, raggiunto a seguito di trattative condotte con l'assistenza degli avvocati di entrambe le parti, che prevedeva il pagamento al dirigente di somme superiori a quelle cui avrebbe avuto diritto in caso di recesso illegittimo)

Casistica

Le dimissioni date dal dirigente possono essere annullate per violenza morale solo ove si accerti, tra l'altro, l'inesistenza del diritto del datore di lavoro al licenziamento, e dunque che il rapporto di lavoro del dirigente non sia assoggettato al regime di libera recedibilità, com'è di regola, per previsione contrattuale, collettiva o individuale (Cass. sez. lav., n. 19974/2017).

Le dimissioni rassegnate dal lavoratore sono annullabili per violenza morale ove siano determinate da una condotta intimidatoria, oggettivamente ingiusta, tale da costituire una decisiva coazione psicologica; il relativo accertamento da parte del giudice di merito si risolve in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio.

Ai fini dell'annullabilità dell'atto di dimissioni del lavoratore dipendente ottenuto con la minaccia di licenziamento, vanno valutate, oltre all'obiettiva natura intimidatoria o meno dell'invito alle dimissioni, anche, in modo compiuto e approfondito, le modalità fattuali del comportamento tenuto dal datore di lavoro (Cass. sez. lav., n. 12693/2002).

La S.C. ha ritenuto ad esempio integrato il requisito intimidatorio in una fattispecie nella quale il lavoratore era stato destinatario, nell'arco di cinque mesi, di venti distacchi presso otto uffici diversi, tutti comunicati solo la sera precedente e implicanti il trasferimento con automezzo; inoltre, la contestazione disciplinare, sebbene i fatti fossero a conoscenza del datore, era stata immotivatamente differita; infine, il clima aziendale era pervaso da dicerie che prospettavano il licenziamento o le dimissioni del lavoratore pur a fronte di un fatto inidoneo a giustificare la risoluzione del rapporto (Cass. sez. lav., n. 15161/2015).

Ai fini dell'annullabilità dell'atto di dimissioni del lavoratore dipendente ottenuto con la minaccia di denuncia penale e di licenziamento vanno valutate, oltre all'obiettiva natura intimidatoria o meno dell'invito alle dimissioni, anche, in modo compiuto e approfondito, le modalità fattuali del comportamento tenuto dal datore di lavoro (Cass. sez. lav., n. 14621/1999).

Le dimissioni rassegnate dal lavoratore a fronte della minaccia del datore di lavoro di richiesta di intervento dell'arma dei carabinieri e di denuncia per furto non possono considerarsi viziate per violenza. Nella prospettiva della fattispecie di cui agli artt. 1434 e 1435 c.c., infatti, l'intervento dell'arma dei carabinieri e la denuncia per furto, non sono un male ingiusto per chi non ha la coscienza a posto e non sono neppure un male per chi non ha nulla da temere, mentre avendo riguardo a quella di cui all'art. 1438 c.c., che è più pertinente ad una situazione del genere, manca, invece, il vantaggio ingiusto per poter ritenere annullabili le dimissioni (Pret. Milano 26 luglio 1996, in Lavoro nella giur., 1997, 66).

Poiché per aversi violenza morale è indispensabile che il male minacciato dipenda esclusivamente e direttamente dalla volontà del minacciante, non sono annullabili le dimissioni del lavoratore ove il male temuto — nella specie, la lesione della propria immagine professionale a seguito del paventato licenziamento per gravi mancanze — deriverebbe oggettivamente come conseguenza normale e prevedibile delle circostanze del caso (Pret. Ascoli Piceno, 2 marzo 1987, in Giust. civ., 1987, I, 2722).

Considerato che la violenza morale può estrinsecarsi secondo una fenomenologia variabile ed indefinita, devono ritenersi annullabili ex art. 1435 c.c. le dimissioni rassegnate dal lavoratore allorquando la volontà del dimissionario è stata coartata non tanto dalla minaccia in sé di licenziamento per giusta causa, quanto piuttosto dal complessivo comportamento intimidatorio posto in essere ai danni del lavoratore (Cass. sez. lav., n. 368/1984, fattispecie nella quale la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva individuato nella delittuosa macchinazione del capo del personale ai danni del lavoratore — consistente in una simulazione di furto e nella simulazione, altresì, della sorpresa del lavoratore in quasi flagranza di reato — un comportamento già di per sé idoneo a produrre, in quelle particolari circostanze, pieni effetti intimidatori).

Peraltro, poiché il contratto può essere annullato ai sensi dell'art. 1434 c.c. qualora la volontà del contraente sia stata alterata dalla coazione, fisica o psichica, proveniente dalla controparte o da un terzo, requisiti che non ricorrono ove la determinazione del lavoratore — e la conseguente rinunzia ad una porzione dei compensi maturati — sia stata provocata da timori meramente interni ovvero da personali valutazioni di convenienza (Cass. sez. lav., n. 7394/2008, fattispecie nella quale la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, avente ad oggetto un complesso rapporto economico relativo al conseguimento di un contributo ministeriale per la costruzione di un pastificio e di altri stabilimenti, ha ritenuto che la decisione del lavoratore di sottoscrivere un atto di rinunzia alle pretese economiche già avanzate, adottata a seguito delle personali preoccupazioni sulla propria situazione economica e sul buon fine dei progetti di costruzione degli opifici, rispondesse a scelte individuali e spontanee).

Sebbene violenza morale e incapacità naturale incidano entrambe sulla facoltà di autodeterminazione, tuttavia la prima ha incidenza sulla determinazione volitiva, mentre la seconda impedisce la capacità di cosciente e libera autodeterminazione del soggetto, sicché diversi sono i presupposti dell'una e dell'altra e gli accertamenti in fatto che ne conseguono. Pertanto, se nel giudizio di primo grado a fondamento di una domanda di annullamento delle dimissioni di una lavoratrice sia stato posto il vizio del consenso determinato da violenza, costituisce causa petendi del tutto nuova, che comporta inammissibile novità della domanda in appello, la pretesa incapacità di intendere e di volere. Né quest'ultima, quale causa di annullamento del negozio, è configurabile come fattispecie consequenziale alla violenza, in quanto la violenza non comporta necessariamente incapacità di intendere e di volere, atteso che, di norma, non priva il soggetto della facoltà di percepire e valutare il contenuto dell'atto anche nei suoi aspetti pregiudizievoli, al contrario di quanto avviene nell'ipotesi di incapacità di intendere e di volere (Cass. sez. lav., n. 7327/2002).

Non costituisce minaccia di un male ingiusto, ai fini dell'annullabilità per violenza di un contratto di compravendita, la minaccia dell'aspirante acquirente di promuovere in proprio favore procedimento di espropriazione del bene per pubblica utilità, ove la controparte non acconsenta alla vendita (Cass. II, n. 588/2000, la quale ha precisato che un'espropriazione illegittima sarebbe un male ingiusto, ma questo male, essendo riferibile all'operato della p.a. e non dell'autore della minaccia, non sarebbe rilevante ai fini in questione).

Non può trovare accoglimento la domanda di annullamento del contratto di cessione di quote societarie per violenza morale quando, atteso il forte indebitamento della società all'epoca della conclusione del contratto, la prospettazione della escussione di debiti e garanzie e di un probabile fallimento non rappresentava un male ingiusto e notevole per il contraente, bensì una realistica messa in guardia contro le sicure conseguenze di un atteggiamento contrattuale rigido ed ostruzionistico (Trib. Padova 7 marzo 2005).

La minaccia di denuncia penale per illecito edilizio non può assumere i caratteri della violenza morale ai fini dell'annullamento del negozio (Cass. II, n. 7844/1993).

È legittimo da parte dell'amministrazione comunale subordinare il rilascio di una concessione edilizia ad una condizione di efficacia, consistente nell'assunzione dell'impegno unilaterale del richiedente di concedere a titolo gratuito un'area per la realizzazione di una via comunale. In tale fattispecie, infatti, non sono ravvisabili gli estremi della violenza, quale causa di annullamento del contratto (art. 1435 c.c.); né sussiste violazione dell'art. 1987 c.c. in tema di efficacia della promessa unilaterale della prestazione, nella misura in cui l'art. 49, comma 4, l. reg. Piemonte n. 56/1977 contempla espressamente che vengano apposte condizioni alle concessioni, purché accettate dal privato (Cons. St. IV, n. 7344/2010)..

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.1. e 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Criscuoli, Violenza fisica e violenza morale, in Riv. dir. civ., 1970, I, 135; Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Torino, 1983 Messineo, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. dir., Milano, 1958; Prosperetti, Contributo alla teoria dell'annullabilità del negozio giuridico, Milano, 1983; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Tommasini, voce Annullabilità e annullamento (dir. priv.), in Enc. giur., Roma, 1988

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