Codice Civile art. 1479 - Buona fede del compratore.

Cesare Taraschi

Buona fede del compratore.

[I]. Il compratore può chiedere la risoluzione del contratto [1453], se, quando l'ha concluso, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.

[II]. Salvo il disposto dell'articolo 1223 [1483], il venditore è tenuto a restituire all'acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; deve inoltre rimborsargli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto [1475]. Se la diminuzione di valore o il deterioramento derivano da un fatto del compratore, dall'ammontare suddetto si deve detrarre l'utile che il compratore ne ha ricavato.

[III]. Il venditore è inoltre tenuto a rimborsare al compratore le spese necessarie e utili fatte per la cosa, e, se era in mala fede, anche quelle voluttuarie [171 trans.].

Inquadramento

La norma in esame disciplina l'ipotesi di vendita di cosa altrui in cui il compratore ignori l'altruità della cosa, a differenza della fattispecie di cui all'art. 1478 c.c., che si riferisce al caso in cui l'alienità della cosa sia nota ad entrambe le parti.

Peraltro, mentre nei casi contemplati dall'art. 1478 c.c. il compratore deve attendere la scadenza del termine convenzionalmente stabilito o fissato dal giudice per l'adempimento del venditore, nell'ipotesi considerata dall'art. 1479 c.c. l'acquirente può agire illico et immediate per la risoluzione, salvo che, prima della domanda di risoluzione, la situazione sia stata sanata con l'acquisto del diritto da parte del venditore o con la vendita direttamente effettuata dal terzo a favore del compratore (Cass. II, n. 14751/2006). L'inadempimento del venditore non viene meno per il fatto che il compratore abbia acquistato il diritto per effetto del trasferimento del possesso nella sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 1153 c.c., poiché il trasferimento del possesso a non domino, essendo privo di valore negoziale, non può equivalere a trasferimento del diritto come effetto immediato del puro e semplice consenso (Cass. II, n. 3306/1977).

Secondo la tesi prevalente, l'art. 1479, comma 1 c.c. non è applicabile al contratto preliminare di vendita perché, indipendentemente dalla conoscenza del promissario compratore dell'altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo, il promittente venditore può adempiere all'obbligo di procurargliene l'acquisto; invece, nel contratto di vendita, se il compratore ignora l'altruità del bene, già al momento della stipula di detto contratto il venditore è inadempiente all'obbligo di trasferirgli la proprietà del bene (Cass. II, n. 4164/2015; Cass. II, n. 925/1997).

Si ritiene, inoltre, che la disciplina di cui agli artt. 1478 e 1479 c.c. non trovi applicazione neppure nel caso in cui il venditore si sia procurato la cosa in modo illecito (furto, ricettazione) o comunque non dimostri di avere ignorato senza colpa (neppure lieve) la sua provenienza delittuosa, con conseguente diritto del compratore a chiedere la risoluzione del contratto (Cass. II, n. 6626/1988).

Tutela del compratore

L'art. 1479 c.c. concede al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto (a prescindere dal giudizio di responsabilità del venditore), la restituzione del prezzo pagato (con detrazione dell'utile ricavato in caso di diminuzione di valore ovvero di deterioramento del bene derivante da fatto del compratore), il rimborso di tutte le spese sostenute per il contratto e per la cosa stessa (le spese utili e necessarie ed anche quelle voluttuarie in caso di mala fede del venditore), oltre poi al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1223 c.c. (e cioè il «mancato guadagno», quale interesse «positivo» all'esecuzione del contratto, previo accertamento della colpa del venditore). Il compratore può chiedere anche il solo risarcimento dei danni (Cass. II, n. 1600/1993) e può, comunque, sospendere il pagamento delle ulteriori rate del prezzo fin quando il venditore non si sia procurato la proprietà della cosa o abbia dato, almeno, valide garanzie a tale riguardo (Cass. II, n. 1727/1981).

In dottrina si è sostenuto che il rimedio della risoluzione è precluso quando il venditore abbia procurato nel frattempo il diritto al compratore, anche dopo la proposizione della domanda giudiziale, se il ritardo sia di lieve entità ed escluda l'estremo della gravità dell'inadempimento (Bianca, 749), salvo comunque il diritto del compratore al risarcimento del danno.

Tuttavia, qualora sia stata pronunciata sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore — passata in cosa giudicata — nonostante l'acquisto della proprietà compiuto dal medesimo nelle more di quel giudizio, il compratore non può invocare l'acquisto della proprietà ai sensi del comma 2 dell'art. 1478 c.c., atteso che, in considerazione dell'efficacia retroattiva della risoluzione, è venuta meno la fonte dell'obbligazione posta a carico del venditore (Cass. II, n. 4024/2004).

L'applicazione della norma in esame implica poi la prova da parte del compratore della propria «buona fede», la quale costituisce una condizione dell'azione; si noti che tale buona fede non può essere esclusa per la semplice possibilità di verificare l'altruità della cosa attraverso l'esame dei registri immobiliari, qualora il compratore si sia fidato della contraria dichiarazione formulata dal venditore al momento dell'atto (Cass. II, 14289/2018); per altro verso, quel che rileva ai fini dell'art. 1479 c.c. è solo la posizione soggettiva dell'acquirente, sicché non ha alcuna incidenza l'erroneo convincimento del venditore di essere proprietario del bene alienato (Cass. II, n. 6361/1987).

La differenza sostanziale nella consapevolezza o meno dell'altruità si ha ai fini prescrizionali dell'azione. La prescrizione dell'azione di risoluzione (soggetta al termine decennale decorrente dalla stipula della vendita) o di riduzione del prezzo e di risarcimento dei danni, di cui agli artt. 1479 e 1480 c.c., rimane sospesa, a norma dell'art. 2941, n. 8 c.c., quando il venditore abbia dolosamente occultato al compratore la parziale alienità della cosa, precludendogli, con il suo comportamento doloso, la possibilità di far valere il proprio diritto, ed il termine per l'esercizio di tale azione, quindi, non può decorrere se non dalla data in cui l'acquirente abbia scoperto che la cosa vendutagli appartiene in tutto o in parte a persona diversa dal venditore (Cass. II, n. 5773/1978). Inoltre, il termine di prescrizione dell'azione di risoluzione del contratto di compravendita di cosa altrui proposta dal compratore in buona fede non può essere interrotto con un atto stragiudiziale di costituzione in mora ai sensi dell'art. 2943, comma 4 c.c., in quanto quest'ultima norma è applicabile ai diritti di credito, non anche ai diritti potestativi, qual é quello esercitato con la predetta azione (Cass. II, n. 18477/2003).

Il termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione di risarcimento decorre dalla data della vendita (Cass. n. 1934/1951).

Il compratore ha diritto al rimborso delle spese sostenute per il contratto (es.: spese concernenti la redazione dell'atto, la trascrizione, i pesi fiscali, i compensi dovuti a terzi per la conclusione del contratto), delle spese necessarie per la cosa (ossia, quelle sostenute per evitarne la perdita o il deterioramento: Cass. I, n. 8536/2011) e delle spese utili (volte, cioè, ad apportare miglioramenti al bene).

In caso di mala fede del venditore (configurabile solo in ipotesi di dolo: Bianca, 742 ss.), il compratore ha diritto anche al rimborso delle spese voluttuarie, ossia di quelle volte a modificare il bene secondo il suo gusto.

La restituzione del prezzo ed il rimborso delle spese sono debiti di valuta insuscettibili di rivalutazione (Cass. II, n. 3884/1980), ma soggetti al comma 2 dell'art. 1224 c.c., mentre il risarcimento del danno costituisce debito di valore (Cass. II, n. 1727/1981).

Nell'ipotesi di cui all'art. 1478 c.c., cioè di conoscenza da parte del compratore dell'altruità della cosa, non cambiano gli effetti della risoluzione della vendita, tranne che per le spese fatte per la cosa: invero, sono rimborsabili al compratore le spese necessarie e quelle utili solo nei limiti di un aumento di valore della cosa, in quanto la consapevolezza dell'alienità della cosa impone quelle cautele e quei limiti che sono richiesti nella gestione di un bene altrui (Bianca, 770).

Bibliografia

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